Dissuefarsi dal legame con la vita fisica terrena

O.O. 153 – Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – 13.04.1914


 

Direi quasi che è poco piacevole adoperare tali espressioni,

ma mi si potrà comprendere, quando dico: la vita terrena, dunque non la vita del pensiero,

in quanto è contenuto animico sentito e pervaso d’impulso volitivo,

la vita terrena, con la quale siamo ancora in rapporto, diventa

come una specie di commutatore elettrico della nostra individualità

con ciò che fluttua attorno a noi spiritualmente, una specie di commutatore elettrico.

 

Noi percepiamo tutto per la via indiretta dell’ultima vita terrena;

ma soltanto attraverso ciò che nell’ultima vita terrena era sentire e volere

percepiamo quanto ci appartiene nel mondo spirituale.

 

Ora è veramente come se sentissimo che continuiamo a vivere nel tempo,

come se fossimo una specie di cometa del tempo.

• La nostra vita terrena è là come un nucleo, e quel nucleo

sviluppa nel prossimo avvenire una specie di coda che noi viviamo.

 

• Siamo ancora in rapporto con la nostra vita terrena, in quanto essa è riempita di sentimento e di volontà,

e nella nostra interiorità animica, come ho spiegato, deve nascere da questo sperimentare

qualcosa che non è ora direttamente sentimento e volontà,

perché le forze animiche che sviluppiamo qui nel mondo fisico,

anche la forza del sentimento che appunto abbiamo come tale nel mondo fisico,

e la forza della volontà che abbiamo come tale nel mondo fisico,

noi le abbiamo in quelle forme per il fatto di vivere appunto nel corpo fisico.

 

• Se ora l’anima non vive più nel corpo fisico,

essa deve sviluppare altre facoltà che sono soltanto assopite durante la vita fisica.

• Mentre l’eco del sentimento e della volontà agisce per anni nell’anima,

essa deve far maturare grazie a questo rapporto

ciò che al riguardo ora le può occorrere per il mondo spirituale.

• Sono forze che ho indicato dicendo: è come una brama che sente, o un sentimento che brama.

 

• Del nostro sentimento e della nostra volontà noi sappiamo che risiedono nella nostra anima;

ma del sentimento e della brama, quali risiedono nella nostra anima, dopo la morte non abbiamo nulla;

essi (sentimento e volontà) devono gradatamente ottenebrarsi e attutirsi; e difatti così avviene dopo alcuni anni.

 

Ma durante il corso di questo ottenebrarsi e attutirsi del sentimento e della volontà

si deve sviluppare qualcosa che ci rimane dopo la morte.

• I nostri pensieri vivono fuori di noi come esseri elementari.

• Del sentimento e della volontà che vivevano in noi

non ci rimarrebbe nulla per il mondo che siamo noi stessi e che è là fuori di noi.

 

Dobbiamo sviluppare a poco a poco una volontà, e infatti la sviluppiamo,

che irraggi da noi, che si effonda da noi, che ondeggi e fluttui là dove sono i nostri pensieri viventi.

• Essa li pervade, perché sulle onde della volontà nuota il sentimento che nella vita fisica è soltanto in noi.

Sulle onde della volontà nuota il sentimento.

 

• Là fuori ondeggia e fluttua il mare della nostra volontà, e su di esso nuota il sentimento.

• Vi nuota quando la volontà cozza con un essere-pensiero elementare.

Dall’incontro della volontà con l’essere-pensiero elementare si produce un rilucere del sentimento;

noi percepiamo come vera realtà del mondo spirituale questo riverbero della nostra volontà.

 

Supponiamo che nel mondo esteriore spirituale vi sia un essere elementare. Quando siamo riusciti ad estrarci dallo stato che abbiamo dovuto prima attraversare, allora la nostra volontà, che ora irraggia da noi, si frange sull’essere elementare. Là dove essa cozza con l’essere elementare, viene ricacciata indietro. Ora non ritorna come volontà, ma come sentimento che fluttua verso di noi in quel mare di volontà.

È come un sentimento quello che nel fluttuare della volontà ritorna a noi: così vive il nostro essere effuso nel cosmo. In tal modo gli esseri elementari diventano reali per noi, e noi percepiamo gradatamente sempre più ciò che là fuori, al di fuori di noi, esiste realmente quale mondo esteriore spirituale.

 

• Ma da noi deve anche farsi strada una forza animica che è latente in strati dell’anima più profondi

di quanto non siano il volere che sente e il sentire che vuole: è la forza animica creativa,

come una luce animica interiore che deve risplendere sul mondo spirituale,

affinché noi non guardiamo soltanto gli esseri-pensiero oggettivi vibranti di vita

che nuotano sulle onde del sentimento e che ritornano entro il mare della volontà,

ma affinché il mondo spirituale possa da noi venire illuminato da luce spirituale.

 

Forza illuminante spirituale creatrice deve effondersi dalla nostra anima nel mondo spirituale.

Essa si risveglia gradatamente.

 

• Del volere che sente e del sentire che vuole, mentre viviamo nel corpo fisico,

noi portiamo differenziati in noi la coppia del sentire e del volere;

li portiamo in noi come se fossero due, mentre dopo varcata la porta della morte essi sono un’unità.

 

Se mi è permesso parlare qui di spazio, poiché veramente non è spazio,

ma per giungere in qualche modo a comprendere queste condizioni occorre esprimerle figuratamente,

la forza animica creatrice, la luce animica che noi irraggiamo come luce animica nello spazio spirituale

è sopita profondamente in noi,

perché è connessa con ciò di cui nella vita né si deve, né si può sapere niente;

è sopita in noi a grande profondità, durante la vita nel piano fisico, la luce che viene poi liberata,

e che illumina e rischiara il mondo spirituale.

 

Ciò che così irraggia da noi deve essere trasformato e adoperato durante la nostra vita fisica,

affinché il nostro corpo viva veramente e possa albergare in sé la coscienza.

• Totalmente al di sotto della soglia della coscienza però

questa forza illuminante spirituale agisce nel nostro corpo fìsico

come forza organizzatrice della vita e della coscienza;

non ci è permesso portarla nella coscienza terrena,

altrimenti ruberemmo al nostro corpo la forza che lo deve organizzare.

 

Ora che non dobbiamo provvedere a nessun corpo, essa diventa illuminante forza spirituale;

effonde i suoi raggi, illumina, rischiara e fa brillare ogni cosa.

 

Queste parole esprimono vere realtà.

Così noi ci facciamo strada, ci familiarizziamo col mondo spirituale e arriviamo a sperimentarlo come realtà,

come qui sperimentiamo il mondo fisico quale realtà.

 

Ci facciamo strada in esso gradatamente e arriviamo veramente a incontrare anche le anime umane trapassate, in quanto esse vivono realmente nel mondo spirituale come nostre compagne; viviamo in mezzo alle anime come qui nel corpo fìsico viviamo in mezzo ai corpi.

In quanto sempre più ci immergiamo nel vero intimo spirito della scienza spirituale, per chi penetra più profondamente l’argomento diventa assurda l’asserzione che qualcuno potrebbe fare, che cioè dopo la morte non rincontriamo tutti gli uomini con cui abbiamo vissuto; diventa assurda, come per il piano fìsico sarebbe assurdo asserire che, quando con la nascita scendiamo sulla Terra, non vi incontriamo uomo alcuno. Noi abbiamo gli uomini attorno a noi.

Per il conoscitore della vita spirituale è proprio come se qualcuno dicesse: il bambino viene a vivere nel mondo, ma non vi vede uomini. È una sciocchezza evidente, ma è uguale sciocchezza il dire: quando penetriamo nel mondo spirituale non vi ritroviamo tutte le anime con le quali siamo stati legati, non vi troviamo le entità delle gerarchie superiori che impariamo gradualmente a conoscere come sulla Terra conosciamo i minerali, le piante e gli animali.

 

La differenza consiste nel fatto che nel mondo fisico, mentre vediamo le cose e le udiamo,

sappiamo che la possibilità di vederle e di udirle ci viene dai sensi, dal mondo esteriore.

• Nel mondo spirituale sappiamo che questa possibilità proviene da noi,

perché ciò che possiamo chiamare luce animica, splendore animico,

irraggia dalla nostra anima, rischiara e illumina le cose e in esse risplende.

 

Così viviamo durante il periodo che possiamo chiamare la prima metà della vita fra morte e rinascita.