Diversi gradi di possibilità di comprendere il Cristo, nelle diverse età precristiane

O.O. 149 – Cristo e il mondo spirituale – La ricerca del santo Gral – 29.12.1913


 

Sommario: Diversi gradi di possibilità di comprendere il Cristo, nelle diverse età precristiane. Le caratteristiche psichiche delle sibille, nell’ultimo millennio precristiano. Contrasto fra l’atteggiamento delle sibille e quello dei profeti ebrei. Sibille e profeti dipinti da Michelangelo. Paolo e l’olivo

 

Richiamando alla mente i pensieri esposti nella conferenza precedente, possiamo riassumerli dicendo che l’epoca dell’inizio della nostra èra si è data veramente ogni pena per comprendere il mistero del Golgota, fondandosi sul tesoro della sua sapienza, e che questa sapienza ha incontrato le più grandi difficoltà nel suo sforzo di comprenderlo.

Dobbiamo fermarci ancora un momento a considerare il fenomeno, perché se non ci rendiamo conto esattamente delle ragioni per cui il mistero del Golgota non potè essere giustamente compreso, ci riuscirebbe poi impossibile mettere nella luce conveniente un fatto importante dei secoli successivi: il sorgere delle idee sul Gral, delle quali dovremo parlare in connessione con i fenomeni che stiamo prendendo in esame.

 

Prendendo in considerazione, come abbiamo fatto, proprio la più significativa e sapiente fra le correnti dell’inizio della nostra èra, quella degli gnostici, abbiamo potuto constatare quanto fossero profonde e penetranti, da un certo punto di vista, le loro idee, tese a inserire la figura del Figlio di Dio in un vasto disegno cosmico.

E tuttavia, se guardiamo a quanto ci è stato possibile scoprire fino ad oggi sul mistero del Golgota, fondandoci sulla cronaca spirituale delle epoche passate, dobbiamo riconoscere che oggi i concetti e le idee della gnosi non servono a nulla.

 

Questo ci appare in modo particolarmente evidente, se prendiamo in considerazione certe idee che gli gnostici si erano fatte circa l’apparizione del Cristo in Gesù di Nazaret. Alcuni di loro pensavano che sì, certo, l’entità del Cristo era di natura tale da superare tutto ciò ch’è terrestre, un’entità che aveva la sua radice nei regni spirituali; e una tale entità non poteva soggiornare che temporaneamente in un corpo umano, qual era quello di Gesù di Nazaret.

Il pensiero di questi gnostici coincide con quel che anche noi abbiamo sempre dovuto mettere in evidenza: che cioè è esatto dire che l’entità Cristo dimorò temporaneamente, solo per tre anni, nel corpo di Gesù di Nazaret.

 

Gli gnostici però non pervennero a farsi un’idea precisa del modo in cui l’entità del Cristo dimorò nel corpo di Gesù di Nazaret. Prima di tutto, non conoscevano il segreto del corpo di Gesù stesso: essi infatti ignoravano che in quel corpo viveva l’io di Zaratustra, e che la connessione dei tre corpi (fisico, eterico e astrale) di Gesù di Nazaret rappresentava una sostanza umana quale non era mai stata prima incarnata sulla Terra.

Gli gnostici non erano in grado di conoscere il rapporto esistente fra il Cristo e i due bambini Gesù. Perciò non trovarono mai soddisfacente quello che essi stessi erano in grado di affermare, circa la temporanea dimora del Cristo nel corpo di Gesù di Nazaret: o almeno, questo ben presto non apparve soddisfacente ad alcuni dei loro seguaci.

 

Anche del modo della nascita (di questo massimo mistero dell’evoluzione dell’umanità) gli gnostici si erano occupati, secondo le loro idee.

Essi sapevano bene che ciò che rese necessaria la comparsa del Cristo in Terra è connesso con il passaggio per la concezione carnale. Ma non furono in grado di mettere compiutamente in relazione la madre di Gesù di Nazaret con la nascita del Cristo-Gesù. Ve ne furono anche alcuni che tentarono di farlo, ma vennero ben scarsamente compresi.

 

Altri gnostici poi negarono del tutto l’apparizione carnale del Cristo in Terra, a causa delle difficoltà ora caratterizzate; essi pensavano che, sia prima che dopo la morte sul Golgota, si fosse aggirato sulla Terra soltanto un corpo apparente, cioè quello che noi potremmo chiamare un corpo astrale, un corpo che appunto « appariva » ora qua, ora là, e non era un vero corpo fisico.

Poiché si incontravano difficoltà nel farsi un’idea di come il Cristo potesse essersi congiunto con un corpo carnale, si negò del tutto che tale congiunzione fosse avvenuta: sarebbe stata solo un’illusione della gente che egli fosse stato dotato di un corpo carnale.

Anche tale opinione tuttavia non riuscì ad affermarsi. Su tutti i punti, appare evidente che gli gnostici si sforzarono di chiarire con i loro concetti e le loro idee il massimo problema storico dell’evoluzione umana, ma i loro concetti non furono all’altezza del compito, e si rivelarono per così dire impotenti di fronte agli eventi accaduti.

 

Vedremo più oltre il modo in cui Paolo cercò di risolvere il problema.

Sarà però intanto opportuno cercar di chiarire come stessero i fatti, perché si dovesse manifestare quasi necessariamente una tale facilità di malinteso, di incomprensione.

Possiamo comprendere, dapprincipio magari solo in astratto, di che cosa si trattava, se ci poniamo una serie di domande e cerchiamo poi di trovarvi risposta con i mezzi della scienza dello spirito.

 

Ci si può chiedere per esempio: se l’epoca vicina alla vita del Cristo Gesù fu talmente incapace di comprendere la sua natura, sarebbe forse stata capace un’epoca diversa di comprenderlo meglio?

Risalendo con i metodi dell’indagine spirituale alle condizioni delle anime umane nelle diverse epoche, si giunge davvero a risultati singolari. Si può cominciare approfondendo lo stato d’animo dei grandi maestri del periodo paleo-indiano, cioè il primo dell’epoca postatlantica. Come abbiamo ricordato molte volte, ci troviamo lì con la massima ammirazione di fronte alla vasta e profondissima sapienza, tutta pervasa da luci di chiaroveggenza, dei santi risci indiani del tempo più antico.

 

Sappiamo che le anime di quei grandi maestri del loro tempo erano colme dei segreti universali che sono andati poi perduti anche per i saggi, nelle età successive. Trasponendosi nel modo migliore possibile con la coscienza chiaroveggente nell’anima di uno di quei grandi maestri dell’India più antica, si deve riconoscere che, se fosse stato possibile che l’entità del Cristo fosse apparsa sulla Terra allora, in mezzo ai santi risci, la sapienza di costoro sarebbe stata capace di comprendere nella massima misura la natura del Cristo». Non avrebbero avuto alcuna difficoltà a sapere di che cosa si trattava.

E siccome non è possibile esprimere adeguatamente in termini astratti fenomeni importanti come quelli di cui stiamo parlando, mi sia concesso di valermi di un’immagine.

 

Vorrei dire: se i santi risci dell’antica India avessero percepito in un uomo il fulgore della saggezza del Logos, della sapienza che sta a base dell’universo, essi avrebbero offerto in sacrificio al Logos l’incenso, simbolo del riconoscimento del divino operante entro la sfera dell’umano.

Senonché in quell’epoca paleo-indiana l’entità del Cristo non poteva trovare un corpo adeguato; i corpi umani di allora non sarebbero stati adatti ad essa. Perciò essa non potè apparire sulla Terra nell’epoca in cui sarebbero stati presenti tutti i presupposti perché potesse venir compresa; e torneremo più avanti sulle cause di tale impossibilità.

 

Se poi ci rivolgiamo alle anime dell’antica civiltà paleopersiana, quella di Zaratustra, possiamo constatare che certamente esse non erano più dotate degli altissimi mezzi di conoscenza dell’epoca paleo-indiana; tuttavia, avrebbero compreso che lo spirito del Sole si era proposto di vivere in un corpo umano, e sarebbero state in grado di riconoscere l’azione specifica dello spirito solare in un evento del genere. Esprimendomi ancora una volta in immagine, potrei dire: i discepoli di Zaratustra avrebbero onorato il loro spirito solare disceso in un uomo, con l’offerta dell’oro lucente, simbolo della sapienza.

 

Procedendo ancora più oltre, nell’epoca egizio-caldaica, la possibilità di comprendere il Cristo sarebbe stata ulteriormente diminuita. Ma non sarebbe stata tanto scarsa, quanto invece lo fu nel quarto periodo di civiltà, il greco-romano, quando neppure la gnosi fu capace di comprenderne l’apparizione. Si sarebbe capito che una stella era apparsa dalle somme altezze spirituali, ed era nata in un uomo: si sarebbe cioè compresa bene la provenienza divino-spirituale da sfere extra-terrestri; si avrebbe offerto in sacrificio la mirra.

 

Rivolgiamo ora la nostra attenzione alle anime dei tre magi di cui ci narra il Vangelo: essi vengono dall’oriente e sono i custodi dei tesori di sapienza derivati dalle prime tre grandi civiltà postatlantiche.

Il Vangelo stesso accenna all’esistenza di un certo grado di comprensione, proprio perché i magi si presentano quando nasce il bambino Gesù. Tuttavia dovremmo stupirci di una cosa, della quale oggi nessuno si preoccupa: che proprio riguardo ai tre magi il Vangelo si trova in una situazione curiosa.

Esso infatti sembra volerci indicare che quelli erano davvero tre grandi saggi che già al momento della nascita di Gesù avevano compreso di che cosa si trattava. Ma vien fatto di chiedersi: che cosa succede più tardi, di quei tre saggi? dove va a finire la loro sapienza? disponiamo noi forse di qualche elemento utile alla comprensione dell’apparizione del Cristo, e che si possa ricondurre ai tre saggi venuti dall’oriente? Questa però vuol essere soltanto una domanda: una delle tante che si dovrebbero sollevare di fronte al contenuto delle Scritture e che avrebbero maggiore importanza di tutta la pedantesca critica biblica del secolo scorso.

 

Se adesso passiamo al quarto periodo postatlantico, possiamo intanto affermare che ora esiste il corpo umano nel quale si può incarnare l’entità Cristo. Un tale corpo non esisteva nei primi tre periodi dell’epoca postatlantica; ora invece esisteva. Ma ora non c’è più negli uomini la possibilità di comprendere l’evento, di compenetrarlo veramente con la conoscenza. Non è questo un fenomeno strano?

Qui infatti ci troviamo di fronte a questa realtà: che il Cristo appare sulla Terra nell’epoca che meno di ogni altra è adatta a comprenderlo. Se poi si guarda ai tempi successivi e alle iniziative prese nei secoli seguenti, per cercare di comprendere la natura del Cristo, non troviamo che un’incessante diatriba teologica.

Poi, nel medioevo, troviamo la rigida distinzione fra scienza e fede, cioè una completa rinuncia alla conoscenza della natura del Cristo Gesù; per non parlare dell’età moderna che fino ai giorni nostri è rimasta impotente di fronte a quel problema.

 

È dunque davvero un fenomeno strano che il Cristo sia venuto a nascere proprio nell’epoca meno capace di comprenderlo! Se per l’evoluzione dell’umanità fosse stato essenziale che il Cristo operasse per mezzo della comprensione sua da parte degli uomini, le cose sarebbero andate ben male!

Può forse sembrare un modo un po’ radicale di esprimersi, però, a scanso di malintesi, vorrei proprio usare questi termini. Chi osserva dal punto di vista della scienza dello spirito l’evoluzione teologica connessa con la comparsa del Cristo, deve ricavarne l’impressione che essa si sia posta il compito di ostacolare nel massimo grado possibile la comprensione della natura del Cristo.

Infatti l’erudizione teologica nel suo corso evolutivo sembra allontanarsi sempre più da una tale comprensione.

 

Riconosco che mi sono espresso in modo un po’ radicale, ma a chi voglia veramente comprendere il senso di queste espressioni, esso risulterà senz’altro chiaro.

Ora, la soluzione dell’enigma espresso con quei termini non è in fondo certamente facile; e devo ammettere che nel corso degli anni io stesso ho tentato le più diverse vie dell’indagine spirituale per venirne a capo.

Il tempo a disposizione non mi consente ovviamente di descrivere ora qui quelle diverse vie. Ma vorrei menzionarne una almeno, tra le tante: è un’indagine che riguarda un fenomeno molto singolare dell’epoca prossima all’inizio della nostra èra, cioè quello della vita delle sibille.

 

Le sibille rappresentano un fenomeno singolare, con un particolarissimo carattere profetico. La scienza accademica non è nemmeno in grado di precisare da quale lingua derivi il nome di sibilla.

Considerando in un primo momento quanto risulta (e anche piuttosto diffusamente) da testi antichi, constatiamo anzitutto che all’inizio del periodo delle sibille si ritrova un fenomeno molto strano. A partire dall’ottavo secolo prima di Cristo si trova nella città di Eritrea, nella Jonia, la prima sede di sibille; da lì le prime sibille cominciarono a diffondere nel mondo le più diverse profezie.

 

Già il modo in cui tali profezie furono trasmesse nella letteratura dimostra che quelle enunciazioni sibilline provenivano da singolari profondità della natura umana, dell’anima umana. Le sibille esprimevano, quasi come da caotiche profondità sotterranee della vita psichica, molte sentenze che esse annunciavano ai diversi popoli, sull’avvenire dell’evoluzione terrestre: per lo più si trattava di annunci funesti, ma talora anche favorevoli.

Quello che esse dicono sembra prorompere dai caotici abissi dell’anima ed è privo di qualsiasi pensiero ordinato; se oggi si esamina con i mezzi della scienza dello spirito l’enunciazione di una qualsiasi sibilla, si sente che essa si presenta agli uomini con una specie di fanatismo spiritualizzato e vuole imporre loro ciò che ha da dire.

Ella non rimane in attesa di essere interrogata, come ad esempio faceva con le sue profezie la Pizia in Grecia, ma vien fuori all’aperto, presentandosi al popolo riunito e le sue enunciazioni pretendono di imporsi quasi con violenza, e riguardano gli uomini, i popoli, le epoche.

 

Il fenomeno curioso al quale alludevo è che le sibille fecero la loro prima comparsa nella Jonia, proprio nella stessa epoca in cui ebbe inizio lì la filosofia greca: quella forma di saggezza che, prendendo le mosse da Talete e fino ad Aristotele e proseguendo poi fin nel tempo romano, scaturisce tutta dalla vita ordinata dell’anima, proprio all’opposto del caos, e si serve dei più limpidi e luminosi concetti.

Ebbe le sue origini nella Jonia, quella filosofia della chiarezza, luminosa, si vorrebbe quasi dire celeste, pensando alla forma che le dette Platone. E come controfigura di quella filosofia ecco presentarsi le sibille, con i loro prodotti spirituali scaturiti dal caos, i quali talvolta annunciavano chiaramente qualcosa che poi si avverava, altre volte invece enunciavano detti che dovevano venir falsati dai loro seguaci perché si potesse affermare che la profezia si era avverata.

 

In seguito assistiamo al propagarsi del culto sibillino attraverso la Grecia e l’Italia, quasi fosse l’ombra della sapienza del quarto periodo di civiltà. Vengono menzionate le più diverse sibille e in particolare si parla della loro presenza in Italia. Il loro culto emerge proprio negli anni prossimi al compiersi del mistero del Golgota; e vediamo crescere il loro influsso sui poeti romani, ne troviamo le tracce nell’opera di Virgilio, rileviamo che gli scrittori romani cercano di influire sul corso della vita del popolo, richiamandosi alle sentenze delle sibille.

Per rendersi conto di quanto prestigio godessero le sentenze delle sibille basta ricordare i cosiddetti libri sibillini che venivano consultati per trarne consigli pratici. Fra quanto ci viene narrato in proposito, si può riscontrare la più caotica mescolanza di brillante intelligenza e di imbroglio. Più tardi vediamo che il ricordo delle sibille si presenta perfino nelle manifestazioni del cristianesimo: così ad esempio nel famoso inno di Tommaso da Celano:

 

Dies irae, dies illa

solvet saeclum in favilla

teste David cum Sibylla!

(O giorno dell’ira che condurrà alla rovina quest’epoca, secondo le testimonianze di Davide e della Sibilla!)

 

• Dunque fino a ben oltre l’inizio del cristianesimo vediamo che la sibilla sta davanti agli occhi di molte personalità, soprattutto con le sue sentenze relative alla fine dell’ordine mondiale e alla venuta di un ordine nuovo.

Si può dunque affermare che per moltissimi secoli, anzi per tutta la durata del quarto periodo di civiltà postatlantico, incontriamo la sibilla nella storia dell’umanità, e i suoi ultimi raggi si estendono sia pure debolmente fino al quinto.

Solo a chi, dominato dalle concezioni razionalistiche contemporanee, non vuole prestare attenzione a questi fenomeni, può sfuggire la profonda influenza esercitata dal mondo delle sibille entro l’ambiente in cui si diffuse il cristianesimo.

 

Ho dovuto ricordare in molte occasioni che quello che racconta la storiografia ufficiale è una favola convenzionale, soprattutto quando si tratta di fenomeni spirituali. Molto più di quanto abitualmente si ritenga, le idee di vasti ambienti erano dominate fino a secoli tardi del medioevo da quanto proveniva dalla sfera delle sibille. Si tratta davvero di un fenomeno singolare ed enigmatico che si estende per tutto il quarto periodo di civiltà postatlantico.

Dal nostro punto di vista, quello che ci interessa è ciò che si svolgeva nelle anime delle sibille. Fenomeni come questo devono venire riscoperti con i mezzi della moderna scienza dello spirito, dopo essere stati per così dire sommersi da uno strato di cultura materialistica.

 

Si può intanto far osservare che il mondo delle sibille non era dimenticato come lo è oggi, ancora in un passato relativamente non lontano. Esiste infatti una testimonianza molto importante che ci dimostra l’esistenza di tradizioni relative alla sfera sibillina. Forse non se ne avverte sempre il significato, pure questa testimonianza esiste, e dovrebbe far riflettere.

Nei suoi mirabili affreschi nella Cappella Sistina, Michelangelo non raffigurò soltanto la storia della Terra e dell’umanità, ma anche i profeti e le sibille. E proprio nel contemplare quei capolavori non si dovrebbe trascurare di notare il modo in cui Michelangelo rappresenta le sibille, e in particolare il contrasto fra le sibille e i profeti.

 

Se si osservano tali particolari obiettivamente, dal contrasto risulta evidente qualcosa che, ancora una volta, è oggi possibile conoscere per mezzo della scienza dello spirito, qualcosa che riguarda alcuni aspetti misteriosi del quarto periodo postatlantico, nel quale si compì il mistero del Golgota.

Vediamo dunque in quella mirabile opera d’arte raffigurati anzitutto i profeti: Zaccaria, Gioele, Isaia, Ezechiele, Daniele, Geremia e Giona. Inframmezzate alla serie dei profeti troviamo le sibille: la persica, la delfica, l’eritrea, la libica e la cumana.

 

Contemplando i profeti, troviamo in quelle figure più o meno il carattere che ci appare tanto evidente già in Geremia e soprattutto in Zaccaria: quello di uomini profondamente pensierosi, immersi nella lettura di libri o in altro, sempre in atto di accogliere con animo placato e tranquillo, armonicamente ordinato, il contenuto della loro lettura o meditazione. Nei visi di quei profeti si esprime la loro anima calma.

Sembra fare una piccola eccezione la figura di Daniele che sta di fronte a un libro appoggiato sul dorso di un ragazzo, tenendo in mano uno strumento di scrittura, per trascrivere in un altro libro ciò che sta leggendo: accenna al passaggio dall’accoglimento meditativo dei segreti dell’universo, alla loro annotazione; tutti gli altri profeti invece rimangono assorti, con animo quieto e paziente, interamente immersi nella loro meditazione sui segreti del mondo.

 

Dobbiamo infatti tenere presente ciò che del resto risulta dal loro aspetto: che essi sono immersi nel mondo sovraterrestre, che la loro anima è immersa nello spirito, tutta tesa a comprenderne il senso. Si vede che nei loro pensieri essi oltrepassano il mondo circostante, nonché le passioni umane e il fanatismo e gli stati estatici che dalle passioni e dal fanatismo scaturiscono.

Hanno superato non solo quello che l’uomo comune può scorgere, ma anche le esperienze che questi fa in sé, in quanto uomo terrestre. Così si manifesta la grandezza delle raffigurazioni che Michelangelo dà dei profeti.

 

Guardiamo adesso le sibille. Ecco per prima la sibilla persica, vicina al profeta Geremia, col cui atteggiamento meditabondo contrasta singolarmente. Solleva la mano, come se volesse imporre all’umanità quanto ella ha appreso; come un cattivo oratore, sembra che voglia dimostrare con prepotenza quanto ha dire, costretta dalla sua fanatica passionalità a imprimere nel movimento della mano ciò di cui vorrebbe persuadere l’umanità intera!

Volgiamo ora lo sguardo alla sibilla eritrea: la sentiamo connessa con quanto può rivelarsi all’uomo dei segreti tellurici. Sopra il suo capo vi è una lampada che un fanciullo ignudo accende con una fiaccola: non si potrebbe esprimere più chiaramente la passionalità umana che, partendo dalle forze inconsce dell’anima, vorrebbe imporre violentemente all’umanità la propria profezia.

L’anima dei profeti è tutta dedita all’eterno nella sfera dello spirito; le sibille sono trascinate da tutto ciò che è terrestre, in quanto in esso può manifestarsi l’animico-spirituale. Ce lo mostra in modo speciale la sibilla delfica, i cui capelli sono sconvolti da un soffio di vento che solleva anche il suo velo azzurro: è all’elemento dell’aria che essa deve quanto ha da annunziare. In quel soffio di vento che le attraversa i capelli e le scompone il velo, possiamo scorgere ciò che la Terra voleva in quel momento rivelare per bocca di quella sibilla.

E poi la sibilla cumana: parla quasi balbettando, con la bocca semiaperta; essa ci appare come se enunciasse una profezia in uno stato di incoscienza. La sibilla libica poi sembra voltarsi in fretta, come se volesse afferrare con lo sguardo qualcosa in cui leggere dei segreti! In quelle sibille tutto sembra per così dire abbandonarsi direttamente all’elemento terrestre.

 

Molte cose si trovano contenute proprio in testimonianze come questi affreschi di Michelangelo: essi provengono da un’epoca in cui naturalmente certe cose si esprimevano molto meglio nella pittura, nell’arte in genere, di quanto si poterono esprimere in tempi più vicini a noi, servendosi di concetti, di idee.

Qual’è dunque la natura peculiare delle sibille? che cosa sono in realtà? qual’è il significato delle loro profezie?

 

Per potere scoprire ciò che avveniva nell’anima delle sibille, occorre scavare molto in profondità nei segreti dell’evoluzione umana.

A tale scopo possiamo chiederci ancora una volta: per quale ragione gli antichi risci dell’India preistorica avrebbero potuto comprendere senza difficoltà il Cristo Gesù, con la loro sapienza per noi quasi insondabile?

La risposta può sembrare ovvia: perché possedevano la necessaria sapienza e i concetti adeguati che il quarto periodo di civiltà postatlantico non aveva più. Essi possedevano ciò a cui invano anelavano gli gnostici, i loro avversari, e anche i padri apostolici (come si usa chiamare i più antichi maestri cristiani). I risci avevano tutto ciò, ma in quale forma?

 

Non sotto forma di idee elaborate, quali ad esempio erano le idee di un Platone o di un Aristotele, ma come ispirazioni, come una concreta ispirazione che si presentava loro in tutta la sua forza. Il loro corpo astrale veniva afferrato da quanto affluiva loro dall’universo, e da tali effetti esercitati dal cosmo sul loro corpo astrale scaturivano i concetti che avrebbero potuto chiarir loro d’incanto la natura del Cristo Gesù.

Si potrebbe definirlo come un dono elargito a quegli uomini; non era qualcosa che essi elaboravano, ma sprizzava per così dire dalle profondità del corpo astrale. Quella forza di conoscenza scaturiva con meravigliosa chiarezza dal corpo astrale dei santi risci e dei loro discepoli, e si potrebbe anzi dire da tutti gli appartenenti alla civiltà paleo-indiana del primo periodo postatlantico.

Quelle forze andarono via via sempre diminuendo, ma erano tuttavia ancora presenti nel secondo e nel terzo periodo di civiltà postatlantico, e un resto se ne conservò perfino ancora nel quarto. Ma come? in che cosa consisteva tale resto?

 

Esaminando le condizioni esistenti ancora nel terzo periodo di civiltà, si troverebbe che gli uomini più progrediti del loro tempo (e allora ve ne erano percentualmente assai più di oggi) possedevano concetti sulle condizioni del cosmo extraterrestre che si esprimevano simbolicamente nelle posizioni degli astri. Essi erano capaci di leggere segreti cosmici nei movimenti degli astri.

Il terzo periodo di civiltà postatlantico avrebbe senz’altro saputo comprendere dalla scrittura stellare il significato della comparsa in Terra del Cristo Gesù. Il destino necessario (che abbiamo spesso enunciato in forma di principio) voleva però che nel corpo astrale degli uomini regredisse sempre più la facoltà di trovarsi mediante viventi immagini in quello stretto rapporto con i segreti del cosmo.

 

Le immagini divennero sempre più confuse e caotiche. Ciò che in questo modo penetrava nelle anime umane andò sempre più perdendo d’importanza per la comprensione dei veri segreti dell’esistenza universale: non dico che la perdette del tutto, ma ne ebbe sempre meno.

Ne derivò una duplice realtà. Da un lato vi era il mondo dei concetti (diciamo ad esempio quelli di Platone e di Aristotele), il mondo delle idee, cioè il mondo spirituale più « filtrato » che si potesse immaginare, il mondo spirituale più povero di vera realtà spirituale, che poteva essere afferrato e penetrato dall’io stesso e non più dal corpo astrale.

 

Caratteristica della filosofia greca è infatti che per la prima volta in essa

lo spirito si manifestò attraverso l’io,

nei concetti più limpidi, ma ormai staccati dalla vera e propria vita dello spirito.

 

Il filosofo greco tuttavia sentiva ancora, a differenza dai filosofi moderni, che i pensieri provengono dal mondo spirituale, mentre di necessità il filosofo moderno è diventato un dubitatore, uno scettico, in quanto non sente più la connessione vivente tra i suoi pensieri e i segreti dell’universo. Nei tempi moderni è andata sempre scemando la capacità di dirsi: ciò che io penso, è lo spirito del mondo a pensarlo in me.

 

• Come ho cercato di esporre nel mio scritto La soglia del mondo spirituale, bisogna ricorrere alla meditazione per giungere ad acquistare fiducia nel pensare, fiducia nella elaborazione dei concetti e delle idee, quale il filosofo greco possedeva in modo spontaneo, in quanto era in grado di considerare i propri pensieri come pensieri dello spirito universale.

 

• Nella filosofia si presentò dunque all’umanità per così dire l’involucro più esterno della spiritualità cosmica, ma era pur sempre ancora un involucro compenetrato della vita spirituale reale del mondo: e lo si sentiva.

• L’altra realtà derivata dai tempi antichi era invece di natura ereditaria, atavistica. L’ambito in cui questa si manifestò nel modo più chiaro fu quello delle profezie sibilline; nelle sibille si manifestarono ancora una volta in modo caotico le forze dell’anima umana che per tutto il secondo e il terzo periodo di civiltà avevano operato in modo armonico, mentre ora mettevano a nudo in modo caotico soltanto dei fremiti del mondo spirituale.

 

Vogliamo formulare un’ipotesi che ci sembra lecita, nel contesto di queste nostre considerazioni: ammettiamo che non fosse venuto il Cristo, e neppure ci fossero stati i filosofi greci. Che cosa sarebbe accaduto in quel caso?

L’umanità avrebbe dovuto continuare a vivere con l’eredità dei tempi antichi, con ciò che nel quarto periodo postatlantico era già scaduto fino al livello di coscienza delle sibille.

 

Immaginiamo che ciò si fosse continuato a sviluppare in occidente, senza l’impulso del Cristo, ma anche senza la filosofia e senza la scienza che su essa si fondò: si avrà l’immagine del caos spirituale in cui sarebbe caduto l’occidente, derivato di necessità dal mondo delle esperienze sibilline, privo dell’impulso del Cristo e della filosofia. Senonché le forze hanno un effetto postumo.

 

• Si può esaminare con i mezzi della scienza dello spirito la forza elementare con cui le potenze spirituali viventi nell’ambiente immediatamente circostante alla Terra si esprimono nel vento, nell’acqua e nel fuoco; si può indagare come quelle potenze si sarebbero insediate nell’anima umana e con quale intensità ne avrebbero preso possesso. Si può scoprire, con una tale indagine, come l’armonia e l’ordine fossero scomparsi dall’antico modo di conoscere il mondo, quale esisteva nei primi tre periodi postatlantici, mentre si sarebbero ancora conservate certe forze nelle anime umane.

Queste non sarebbero più state capaci di stabilire un rapporto reale con i grandi fenomeni dell’universo, mentre lo avrebbero mantenuto con gli spiriti del vento, del fuoco, ecc. e soprattutto con la congerie di spettri e di dèmoni che si sarebbero rivelati, separati dal contesto dei grandi nessi cosmici.

Gli uomini sarebbero caduti preda degli spiriti elementari, e i loro maestri avrebbero assunto tutti i caratteri delle sibille; la forza di quella degenerazione sarebbe stata talmente intensa, da persistere fino ad oggi e per tutti i tempi futuri della Terra.

 

Se poi ci si chiede perché questo non sia avvenuto, e chi abbia attenuato a poco a poco la forza che ci si manifesta nelle sibille, dobbiamo rispondere: è stato il Cristo che grazie al mistero del Golgota si è effuso nell’aura della Terra, strappando dalle anime umane la forza sibillina.

Così dal terreno della scienza dello spirito si osserva il fatto singolare che con la loro sapienza gli uomini non comprendono gran che dell’impulso del Cristo: concetti e idee si rivelano piuttosto impotenti.

Ma per quanto concerne l’impulso del Cristo ciò che importa non è tanto il fatto che esso si manifesti al mondo sotto forma di una dottrina; importano invece i fatti, gli effetti direttamente scaturiti dal mistero del Golgota.

E questi effetti non vanno tanto ricercati in ciò che gli uomini insegnano o comprendono, quanto in ciò che di fatto avviene per l’anima umana.

 

In questa mia considerazione odierna volevo appunto richiamare l’attenzione sopra uno di quegli effetti, cioè

• la lotta del Cristo effuso nell’aura terrestre, contro l’azione delle sibille.

 

Il Cristo doveva dunque svolgere realmente un ufficio di giudice. La cosa era stata fraintesa da coloro che avevano interpretato materialisticamente l’annuncio che il Cristo sarebbe ritornato presto, dopo la sua risurrezione. I concetti umani di quei tempi non erano infatti all’altezza di tali problemi.

Senonché nel confuso diffondersi dell’idea di un imminente ritorno viveva la verità che il Cristo da un lato era apparso su un terreno che fu elaborato esteriormente da Paolo (come si vedrà nella prossima conferenza), ma soprattutto era apparso nella sfera che sta dietro all’esistenza materiale e nella quale si svolge la lotta fra Cristo e le sibille, cioè una lotta spirituale.

 

• Dobbiamo sollevare il velo costituito dalla diffusione del cristianesimo sul piano fisico;

dietro al piano fisico dobbiamo scorgere la lotta spirituale, per effetto della quale

viene espulso dalle anime umane l’elemento caotico che altrimenti avrebbe acquistato una forza sempre maggiore.

• Fraintende radicalmente l’azione irripetibile del Cristo, chi non riconosce che, grazie a quell’intervento metafisico,

fu compiuto dal Cristo un beneficio incommensurabile a favore dell’umanità.

 

Chi fu però capace di favorire almeno in parte, anzi molto, la comprensione di quella azione? Furono coloro che, dotati di una certa ispirazione o anche rivelazione dal mondo spirituale, scrissero i Vangeli, e anche Paolo.

Le figure degli evangelisti e di Paolo potranno essere lumeggiate e apprezzate anche da punti di vista diversi. Qui però vogliamo osservare come Paolo si muova entro un mondo nel quale sta avvenendo qualcosa, anche prescindendo dalla sua parola possente e appassionata che tanto ha contribuito alla comprensione del mistero del Golgota.

 

Vorrei concludere questa conferenza accennando al fenomeno ora menzionato, della lotta del Cristo contro le sibille. A tale riguardo ci troviamo di fronte a Paolo con un sentimento che si potrebbe esprimere così: si ha l’impressione che nelle sue parole si trovi molto di più di quanto esse significano, come se attraverso di lui si esprimesse la forza che lo compenetrò nell’apparizione di Damasco, e come se attraverso di lui penetrasse nell’umanità un tono opposto a quello delle sibille, un tono che rappresenta la continuazione del tono degli antichi profeti che Michelangelo raffigurò in modo così mirabile.

 

Dicevo che le sibille erano dotate di qualcosa che scaturiva dai regni elementari della Terra, qualcosa che non avrebbe potuto essere presente in loro se non avessero udito parlare gli spiriti elementari della Terra.

In Paolo è presente qualcosa di simile che, strano a dirsi, è stato già constatato (anche se in modo del tutto esteriore) dalla scienza, dalla storiografia accademica. Si tratta di qualcosa che suscita una profonda meraviglia, se lo si considera dal punto di vista della scienza dello spirito.

 

Anche Paolo ha attinto in certo modo alla sfera elementare della Terra, ma da un particolare distretto di essa. Si può naturalmente comprendere Paolo, sul piano astrattamente teologico-razionalistico, senza prendere in considerazione ciò che ora sto per menzionare, e che non risulta interpretabile da parte della scienza esteriore; si può benissimo interpretare Paolo dal punto di vista esclusivamente razionale.

Se però si vuole comprendere ciò che viveva spiritualmente in Paolo, ciò che si esprime nelle e dietro le sue parole; se si vuole comprendere perché dalle sue parole traspaia qualcosa di simile alle profezie delle sibille, ma nel suo caso proveniente da un elemento buono dell’evoluzione della Terra, allora ecco che si presenta la considerazione del fenomeno che risponde a queste domande: quanto si estende il mondo di Paolo? quali ne sono i limiti?

 

Il fatto singolare che risponde a questi interrogativi è il seguente: Paolo divenne grande in quella parte della Terra che coincide con la zona dove cresce l’olivo! So bene di esprimere qualcosa di strano; ma si vedrà nella prossima conferenza, prendendo in esame più da vicino la figura di Paolo, che tale stranezza si chiarirà in certo modo.

Anche dal punto di vista geografico la Terra è piena di segreti e una zona della Terra nella quale cresce l’olivo non ha le stesse qualità di quella dove cresce la quercia o il frassino.

 

In quanto essere fisico, durante un’incarnazione fisica, l’uomo sta in determinati rapporti con gli spiriti elementari.

Tutta diversa è l’atmosfera della natura nel mondo dell’olivo che nel mondo della quercia o del frassino o di altri alberi.

Per comprendere il rapporto fra la natura terrestre e la natura umana non è inutile portare la propria attenzione anche a fenomeni singolari come quello ora accennato: che la parola e l’opera di Paolo si estesero sulla Terra esattamente quanto vi si estende l’olivo. Il mondo di Paolo è il mondo dell’olivo.