Diversi stati di coscienza (veglia, sonno e sogno) nell’uomo e nell’animale

O.O. 136 – Le entità spirituali nei corpi celesti e nei regni della natura – 14.04.1912


 

Durante la sua esistenza terrena, l’essere umano modifica i propri stati di coscienza, che da diversi punti di vista abbiamo trattato anche in questi giorni, dalla piena veglia al sonno e al sogno.

In un breve ciclo di conferenze tenute durante il convegno dei delegati, ho tentato di chiarire il significato dei sogni.

Oggi vogliamo porci ancora una volta la domanda: appartiene alla natura dell’uomo vivere quale essere terrestre in questi tre stati di coscienza?

 

• È necessario aver chiaro che nella vita sulla terra l’uomo è il solo a vivere questi tre stati di coscienza.

L’animale sperimenta infatti un’alternanza molto diversa: non ha quel profondo sonno senza sogni che l’uomo ha per buona parte della notte fra il momento in cui si addormenta e il risveglio, ma non ha neppure lo stato di piena veglia fra il risveglio e il momento di addormentarsi.

 

La veglia dell’animale è in realtà qualcosa di simile ai sogni umani,

però le esperienze coscienti degli animali superiori sono più precise, potrei dire più appaganti, dei fuggevoli sogni umani.

D’altra parte l’animale non è mai privo di coscienza in senso assoluto, come lo siamo noi nel sonno profondo.

 

L’animale quindi non si distingue dal proprio ambiente nella stessa misura dell’uomo,

non ha come lui un mondo interiore ed uno esterno;

traducendo nel linguaggio umano la coscienza oscura che vive nell’animale superiore,

potremmo dire che include se stesso, tutto il proprio essere nel mondo esterno.

 

Quando vede una pianta, l’animale non ha immediatamente la percezione

che fuori vi sia una pianta e che lui sia un essere conchiuso nel proprio intimo,

ma ha di essa una forte esperienza interiore, provando subito una manifesta simpatia o antipatia;

nella sua interiorità si sente tutt’uno con ciò che la pianta esprime.

 

Quel che impedisce di scorgere nell’animale questo processo, questo atteggiamento, di capire che le cose sono come le ho descritte è solo la circostanza che nel nostro tempo gli uomini non sono quasi in grado di notare quanto non risulti in modo grossolano dall’osservazione.

Solo l’essere umano ha questa netta, chiara distinzione fra il suo mondo interiore e quello esterno.

 

Perché l’uomo riconosce un mondo esterno? come mai parla di un mondo interiore e di uno esterno?

Perché con il proprio io e con il proprio corpo astrale

egli è, durante lo stato di sonno, fuori dal corpo fisico e da quello eterico,

li abbandona per così dire a se stessi ponendosi fra le cose del mondo esterno.

 

Nel sonno condividiamo la sorte degli oggetti esterni.

Come nello stato di veglia tavoli e panchine, alberi e nuvole sono fuori dal nostro corpo fisico e da quello eterico,

e perciò li definiamo mondo esterno,

così appartengono a quel mondo il nostro io e il nostro corpo astrale durante il sonno.

Quando nel sonno noi, con il corpo astrale e l’io, facciamo parte del mondo esterno, avviene qualcosa.

 

Per comprendere che cosa accada, partiamo innanzi tutto da quel che si verifica in realtà quando, in uno stato di veglia del tutto normale, stiamo di fronte al mondo e fuori di noi vi sono gli oggetti. Si è gradualmente reso necessario il pensiero scientifico umano come il solo sicuro per conoscere negli oggetti fisici ciò che si può misurare, pesare, calcolare. Il contenuto della nostra scienza viene distinto secondo peso, misura, numero.

 

Noi calcoliamo con operazioni aritmetiche, valide per le cose terrene, le pesiamo, le misuriamo. Quel che distinguiamo secondo peso, misura, numero è l’aspetto fisico. Non consideriamo un corpo come fisico se non abbiamo modo di constatarne la realtà con la bilancia.

 

Tuttavia i colori, i suoni o le stesse sensazioni di caldo e freddo, le percezioni dei sensi dunque, stanno al di sopra di tutte le cose pesanti, misurabili, numerabili. L’unica cosa che interessa davvero allo scienziato per definire un oggetto è ciò che costituisce la sua reale entità fisica, quel che si può pesare e calcolare. Dei colori, dei suoni e così via egli dirà: “Sì, esternamente avviene qualcosa che ha pure a che fare con peso e numero”.

 

Del fenomeno del colore dirà: “All’esterno vi sono movimenti oscillatori i quali producono una traccia nell’uomo che la definisce colore se viene distinta dall’occhio, suono se viene distinta dall’orecchio e così via”. In realtà si potrebbe dire che con tutti questi elementi – colore, suono, caldo, freddo – lo scienziato non sa da che parte cominciare. Egli li considera qualità di ciò che si lascia classificare con la bilancia, con criteri di misura o di calcolo. In un certo senso i colori aderiscono agli oggetti, il suono scaturisce dall’elemento fisico da cui fluiscono anche il caldo o il freddo. Si dice: quell’oggetto che è dotato di peso ha il colore rosso, oppure è rosso.

 

Nella condizione fra l’addormentarsi e il risveglio, con l’io e il corpo astrale le cose sono diverse, non vi sono oggetti giudicabili secondo misura, numero e peso. Non vi sono cose secondo il criterio terreno di misura, numero e peso. Quando dormiamo non abbiamo attorno a noi nulla che si possa pesare, benché appaia strano, non abbiamo intorno a noi nulla che si possa contare o misurare direttamente.

Durante il sonno l’io e il corpo astrale non hanno la possibilità di applicare alcun criterio di misura.

 

Se posso esprimermi così, vi sono percezioni dei sensi che fluttuano libere, che liberamente s’intrecciano.

Solo che nell’attuale momento della sua evoluzione,

l’uomo non ha la capacità di percepire il rosso che fluttua liberamente,

il libero intessere delle onde sonore e così via.

 

Per descrivere schematicamente la cosa, si potrebbe dire così:

qui sulla terra abbiamo oggetti solidi, ponderabili (violetto nel disegno)

a cui in un certo senso aderiscono il rosso, il giallo, tutto quel che i sensi percepiscono nei corpi.

Quando noi dormiamo, il giallo, il rosso sono entità che fluttuano liberamente,

sciolte dalla condizione di pesantezza, libere di muoversi e di tessere.

Lo stesso avviene con il suono: non la campana risuona, ma è il suono che tesse.

 

 

Quando andiamo in giro, vediamo qualcosa e lo accogliamo; solo in tal caso è davvero una realtà, altrimenti potrebbe anche essere un’illusione ottica. Deve esservi il peso. Per questo si è tanto inclini a considerare un’illusione ottica qualcosa che si vede sul piano fisico ma di cui non si può sperimentare il peso (come i colori dell’arcobaleno). Aprendo oggi un libro di fisica, vi si trovano spiegazioni che parlano di illusione ottica; quale elemento reale si vedono le gocce di pioggia. Allora vengono tracciate linee che non corrispondono per nulla a ciò che esiste, ma che immaginiamo attraversino lo spazio, e le chiamiamo raggi. I raggi però non esistono affatto, si dice quindi: l’occhio li proietta lassù. La proiezione viene oggi applicata in fisica in modo molto singolare. Riprendo dunque l’esempio precedente: vediamo un oggetto rosso; per convincerci che non si tratta di un’illusione ottica, lo raccogliamo e il suo peso è garanzia di realtà.

 

 

Chi diventa cosciente nell’io e nel corpo astrale usciti dal corpo fisico e da quello eterico, coglie infine che vi è qualcosa in quel libero fluttuare e tessere di colori e suoni; ma è diverso: questo fluttuare così libero tende a perdersi nelle lontananze dell’universo. E l’opposto del peso: le cose terrene tendono verso il centro della terra (v. disegno di pag. 40, frecce verso il basso), le altre tendono libere verso l’alto, verso lo spazio cosmico (nel disegno le frecce verso l’alto).

Anche in quel caso vi è però qualcosa di simile a una misura.

 

Supponiamo infatti avere una rosea nuvoletta circondata da un’imponente massa gialla.

Si può misurare, ma non con il metro: con il rosso che riluce con più forza si misura qualitativamente il giallo che riluce più debolmente. Così come il metro ci dice che qualcosa misura cinque metri, qui il rosso ci dice: “Se io mi espandessi, starei cinque volte nel giallo. Mi devo allargare, ingrandire per diventare anch’io giallo”. Qui le misurazioni avvengono in questo modo.

 

 

Ancora più difficile è aver chiaro in questo campo che cosa significhi contare, perché sulla terra contiamo per lo più mele o piselli che stanno con indifferenza gli uni accanto agli altri. E abbiamo sempre la sensazione, passando dall’uno al due, che in realtà a quell’uno poco importi di aver accanto anche un due. Nella vita umana avviene altrimenti; capita talvolta” che l’uno dipenda dal due; e questo già sconfina nell’elemento spirituale. In aritmetica è sempre indifferente per le suddivisioni ciò che vi si unisce. In questo caso non è così.

Se in qualche punto (vedi disegno) vi è un uno di un determinato tipo, ne consegue che ve ne possano essere altri tre o cinque a seconda delle circostanze. L’uno ha sempre un’intrinseca relazione con l’altro; qui il numero è una realtà.

 

Quando si inizia ad avere coscienza dello stato in cui io e corpo astrale si sono distaccati,

si arriva a distinguere qualcosa di simile a misura, numero e peso, ma in senso opposto.

 

Quando chi guarda e ascolta in quel mondo non vede più soltanto rossi e gialli e suoni che galleggiano e vorticano, ma comincia a sperimentarvi un ordine nelle cose, può in seguito percepire le entità spirituali che si realizzano in quel libero fluttuare di percezioni dei sensi. Allora giungiamo al vero e proprio mondo spirituale, alle entità spirituali che vivono ed operano.

 

Come qui sulla terra penetriamo nel vivere ed operare delle realtà terrene determinandole con la bilancia, il metro, il calcolo, così appropriandoci della pesantezza puramente qualitativa, che è il contrario del peso, che indica la volontà di espandersi senza peso nello spazio cosmico, della misurazione del colore mediante il colore e così via, giungiamolo alla comprensione delle entità spirituali.

Esse compenetrano anche tutto ciò che si trova fuori, nei regni della natura.

 

Con la coscienza di veglia, l’uomo vede solo la parte esteriore dei minerali, delle piante, degli animali,

ma quando dorme si trova nell’elemento spirituale che vive in tutti gli esseri della natura.

Quando poi, al risveglio, ritorna in sé, l’io e il corpo astrale conservano in un certo senso una simpatia,

un’affinità per le cose esterne, spingendo alla conoscenza del mondo.

Se l’essere umano non avesse un’organizzazione predisposta per il sonno,

non conoscerebbe un mondo esterno.

 

Naturalmente non ha alcuna importanza che si soffra di insonnia;

infatti non ho detto “se l’uomo non dormisse”, ma “se l’uomo non avesse un’organizzazione predisposta al sonno”.

Si tratta della disposizione a qualcosa.

Infatti ci si ammala se si soffre d’insonnia, perché la nostra natura non vi si adatta.

Le cose stanno così: l’uomo può giungere al mondo esterno, a una concezione di esso,

proprio perché, dormendo, rimane in ciò che si trova nel mondo esterno quale egli lo definisce durante la veglia.

 

Il rapporto dell’uomo con il sonno ci dà il concetto terreno di verità. In che senso?

Definiamo verità riuscire a riprodurre, a sperimentare correttamente dentro di noi un elemento esterno.

Ma per questo abbiamo bisogno del processo del sonno, senza il quale non avremmo alcun concetto di verità.

Possiamo dunque dire che della verità siamo debitori allo stato di sonno.

Per una completa dedizione alla verità delle cose, è necessario trascorrere un certo periodo della vita in mezzo ad esse.

Le cose ci dicono qualcosa di se stesse solo perché durante la notte noi siamo, con la nostra anima, in mezzo a loro.

 

Del tutto diversa è la fase di sogno.

Come ho descritto nel breve ciclo di conferenze tenuto durante il congresso dei delegati,

il sogno è affine al ricordo, alla vita dell’anima, a tutto ciò che vive di solito nella memoria.

Quando il sogno è libero, fluttuante mondo di suoni e di colori, siamo ancora per metà fuori dal nostro corpo.

Quando vi ritorniamo del tutto, le forze che si manifestano vivendo e tessendo nel sogno diventano forze di ricordo.

 

Nel sogno non distinguiamo più allo stesso modo noi dal mondo esterno che qui coincide con la nostra interiorità,

viviamo allora simpatia e antipatia tanto intensamente da non sperimentare più le cose come simpatiche o antipatiche:

simpatia e antipatia stesse si mostrano in forma di immagini.

Se non avessimo la possibilità di sognare e se la forza del sogno non continuasse nella nostra interiorità,

non avremmo la bellezza. Abbiamo disposizione per la bellezza solo perché possiamo sognare.

 

Per l’esistenza quotidiana possiamo dire:

• siamo debitori alla forza del sogno se abbiamo una memoria;  • per la vita artistica le dobbiamo la bellezza.

Lo stato di sogno è dunque legato alla bellezza.

Il modo in cui sperimentiamo o creiamo una cosa bella è molto simile alla forza tessente e operante del sogno.

 

Nell’esperienza o nella creazione del bello, ci comportiamo, usando proprio solo il corpo fisico, in modo simile a come ci comportiamo quando siamo fuori dal nostro corpo fisico oppure uniti a metà con esso nei sogni.

Vi è infatti fra sognare e vivere nella bellezza solo una sottile distanza.

 

Solo perché nell’attuale epoca materialista gli uomini sono strutturati in modo tanto grossolano, essi non notano questo salto, tanta poca coscienza vi è dell’intero significato della bellezza. Nel sogno ci si deve necessariamente abbandonare per sperimentare quel libero fluttuare e tessere. Quando in libertà, secondo il libero arbitrio interiore si vive quella distanza, non si ha più la sensazione che sia come nel sogno: è la stessa esperienza, solo che ora si applicano le forze del corpo fisico.

 

Gli uomini di oggi rifletteranno a lungo su che cosa pensavano gli antichi quando parlavano di “caos”.

Vi sono molte definizioni di caos, ma in realtà lo si può descrivere solo dicendo:

• quando l’uomo raggiunge uno stato di coscienza in cui ha termine l’esperienza del peso, delle misure terrestri,

e le cose iniziano a diventare per metà leggere, ma non si innalzano ancora verso l’universo,

tendono alla linea orizzontale, all’equilibrio;

• quando si dissolvono i confini rigidi  e, non solo con il corpo fisico ma con la costituzione animica del sogno,

si inizia a vedere l’indeterminatezza tessente dell’universo, allora si scorge il caos.

 

Il sogno è semplicemente l’oscuro e fluttuante accostarsi del caos all’uomo.

In Grecia si aveva ancora la percezione che in realtà non si poteva rendere bello il mondo fisico.

Il mondo fisico è appunto necessità naturale: è come è. Si può rendere bello solo ciò che è caotico.

 

Quando si trasforma il caos in cosmo, allora appare la bellezza; caos e cosmo sono quindi concetti intercambiabili.

Non si può creare il cosmo, cioè il mondo bello, partendo dalle cose terrene, ma solo dal caos, dando forma al caos.

Quel che si fa con le cose terrene è una semplice imitazione nella materia del caos che è stato plasmato.

 

È il caso di tutte le opere d’arte.

In Grecia, dove la cultura dei misteri aveva ancora un certo influsso,

si aveva un’immagine molto viva del rapporto fra caos e cosmo.

 

Passando però per tutti quei mondi

• quello del sonno in cui l’uomo non è cosciente, • quello del sogno in cui è cosciente solo a metà

e cercando ovunque, non si trova il bene.

 

Le entità che vi si trovano, sono fin dall’antichissima origine della loro esistenza predestinate ad essere piene di saggezza. Si trova in loro saggezza operante, tessente; si trova bellezza in loro. Ma non ha alcun senso parlare di bontà considerando quelle entità che noi esseri terreni impariamo a conoscere, a trovare.

 

Si può parlare di bontà solo quando vi è una distinzione fra mondo interiore e mondo esterno,

così che il bene del mondo spirituale può seguire oppure no.

Come lo stato di sonno è della verità, quello di sogno della bellezza,

lo stato di veglia è della bontà, è destinato al bene.

• Stato di sonno: verità                 • Stato di sogno: bellezza, caos                  • Stato di veglia: bene

 

Questo non contraddice ciò che ho detto in questi giorni e cioè che quando si lascia la terra e si arriva al cosmo,

si è anche indotti a lasciar cadere i concetti terrestri per parlare di ordine morale dell’universo.

 

Nella sfera spirituale l’ordine morale dell’universo è preordinato, necessitato come sulla terra la causalità,

solo che qui la predeterminazione, l’essere determinato in sé sono per l’appunto spirituali.

Dunque non vi è alcuna contraddizione.

 

Per quanto riguarda la natura umana ci deve esser chiaro che

• se vogliamo avere l’idea della verità dobbiamo riferirci allo stato di sonno,

• se vogliamo avere l’idea della bellezza dobbiamo riferirci allo stato di sogno,

• se vogliamo l’idea del bene allo stato di veglia.

 

L’essere umano quindi, quando è sveglio,

non dà un’impronta al suo organismo fisico ed eterico secondo la verità, ma secondo il bene.

È necessario quindi arrivare ad una giusta idea di bene.