Dopo la morte l’uomo ha necessità di strapparsi dalle forze lunari

O.O. 215 – Filosofia, Cosmologia e Religione – 15.09.1922


 

Ciò che l’anima umana sperimenta nella coscienza ordinaria durante l’esistenza terrena

si esprime nel pensare, nel sentire e nel volere.

• Lo sfondo vero e reale del pensare, del sentire e del volere va però ricercato (come ho mostrato in questi giorni)

nell’organismo astrale dell’uomo e nella entità del suo io.

 

Abbiamo veduto infatti che

• la parte pensante dell’anima si trova in un certo rapporto con l’organizzazione della testa,

• mentre la parte senziente sta in un rapporto un po’ differente

con la organizzazione ritmica dell’uomo, col ritmo della respirazione,

della circolazione sanguigna e con altri processi ritmici dell’essere umano.

• La parte dell’anima umana legata al volere si trova in una connessione

assai meno stretta con l’organismo umano eterico e con quello fisico.

 

Studiando il modo in cui la parte pensante dell’anima è connessa con l’organizzazione del capo, si scopre che essa è per così dire interamente affidata a quest’ultima: si è in certo qual modo trasformata nell’organizzazione della testa.

L’organizzazione della testa rappresenta una copia fisica ed eterica della parte pensante dell’anima, sì che quando durante lo stato di veglia l’uomo pensa veramente, non si può in fondo scorgere il processo del pensare: bisogna ricercarlo nella sua riproduzione entro i processi fisici ed eterici del cervello e del rimanente sistema nervoso.

Appunto perciò l’anatomia e la fisiologia del cervello sono il vero dominio di questa parte fisica della conoscenza dell’anima, in quanto nella struttura del cervello e quindi anche nei processi che vi si svolgono possiamo chiaramente riconoscere le immagini riprodotte di ciò che avviene nel pensare.

 

Non altrettanto la parte senziente dell’anima è affidata e confluisce nell’organismo fisico ed eterico.

Di essa potremmo dire:

• ora è completamente immersa nella respirazione, nella circolazione sanguigna,

sì da sottrarsi alla veggenza immaginativa e alla ispirazione;

• ora invece si vede che la parte senziente dell’anima si sottrae a questi processi fisiologici,

diventa autonoma e possiede una propria attività configuratrice di forme.

La parte senziente dell’anima si infila dunque per così dire nella circolazione, ne esce fuori, vi si infila di nuovo e così via.

 

 In modo del tutto diverso si comporta la parte dell’anima deputata al volere.

Essa non è impegnata nell’organismo fisico ed eterico, né continuamente, né alternativamente,

ma grazie alle proprie forze essa in fondo si tiene separata

dalla parte fisica e da quella eterica dell’organismo umano.

Essa possiede una propria esistenza autonoma, grazie alle proprie forze; queste le consentono

di rimanere entro la sfera animica e spirituale, e ivi rimarrebbe, qualora non avvenisse nulla d’altro.

Potremmo dire: nella parte volitiva dell’anima

la sfera animica rimane animico-spirituale anche durante la vita terrena.

 

• Se mediante la intuizione si riesce a scorgere ciò che di propriamente reale si trova dietro alla parte volitiva dell’anima, si può studiare, osservandola, l’entità animico-spirituale permanente dell’uomo.

Esiste però anche una specie di contatto della volontà con l’organismo fisico, un efflusso del volere entro l’organismo, che però non è né continuo, come per la parte pensante dell’anima, né ritmicamente alterno come per la parte senziente.

Esso ha luogo in questo modo: se per esempio la parte pensante della nostra anima concepisce mediante l’organizzazione della testa un pensiero che per il suo contenuto sia la causa di un atto di volontà, non avviene la stessa cosa di quando si pensa semplicemente.

 

Quando si riflette sulle cose del mondo, senza sfociare in un atto di volontà, viene impegnata solo l’organizzazione della testa; essa va incontro a un processo di distruzione, o almeno alla tendenza alla dissoluzione, al morire, nel modo che ho descritto ieri.

• Quando invece si concepisce il pensiero di volere qualcosa, l’attività spettante alla parte pensante dell’anima si estende dall’organizzazione della testa al sistema del ricambio e al sistema delle membra dell’uomo.

Quando una persona concepisce un pensiero che rappresenta un’intenzione volitiva, mediante l’intuizione si percepisce un’attività astrale penetrante nell’organizzazione umana del ricambio, o addirittura in quella degli arti; in queste condizioni il processo di demolizione (catabolismo) non ha luogo solamente nell’organizzazione del capo, ma anche in quella del ricambio o delle membra.

 

• Questo tipo di pensieri provoca dei processi distruttivi.

• Per effetto di tali processi distruttivi l’elemento reale che sta a fondamento della parte volitiva dell’anima

si effonde nell’organismo del ricambio e delle membra,

compensando ciò che il pensiero ha demolito, ricostruendo ciò che dal pensiero è stato demolito.

 

Vorrei mostrare come stanno le cose, esprimendomi in modo molto evidente.

Io concepisco il pensiero di sollevare il mio braccio; tale pensiero penetra dall’organizzazione della testa in quella del braccio, provocandovi un processo distruttivo, catabolico. Si potrebbe chiamarlo anche un processo di combustione; qualcosa va distrutto nell’ambito dell’organizzazione del mio braccio.

La parte dell’organismo astrale corrispondente alla sfera volitiva dell’anima affluisce anch’essa e riedifica quello che è andato distrutto.

 

È in questo processo di riedificazione che si compie il movimento del braccio.

Ciò che è stato bruciato viene ricostituito

ed è in tale ricostituzione che si compie il vero e proprio atto di volontà.

• Ora, nella parte dell’organismo astrale che sta a base degli impulsi volitivi dell’anima umana

è veramente contenuta anche l’entità dell’io,

sì che ogni volta che avviene un atto di volontà si esplica anche l’io.

 

Osservando come l’uomo esplica la sua volontà, si assiste dunque all’affluire, per effetto di una motivazione, dell’organismo astrale e dell’io entro gli organismi fisico ed eterico. • Ciò avviene anche quando si esplica una volizione che non renda necessario il movimento di un arto, ma che lo completi soltanto, o che sia solo un desiderio un po’ intenso. Anche in questi casi avviene qualcosa di simile, ma allora vengono permeati dalla parte volitiva reale dell’anima parti molto più interne dell’organismo umano.

Come si vede, è possibile studiare molto esattamente l’esplicarsi della volontà, ma occorre la conoscenza della vera natura animica e spirituale dell’uomo. Senza tale conoscenza non si può studiare la parte volitiva dell’anima e neppure giungere all’entità dell’io, perché quest’ultima si mostra solo in un pallido riflesso nel pensare, si manifesta nel sentire come un impulso, e possiede la sua vera realtà (per l’esistenza terrena) solo nel volere.

 

Prescindendo da questo tipo di volizione dovuta a un motivo,

la realtà che corrisponde nell’organismo umano alla volontà

è un continuo tendere verso l’organizzazione fisica.

 

• Nella parte volitiva dell’anima si desidera per così dire incoscientemente

di rivestirsi dell’organismo umano del ricambio e delle membra.

Se poi si presta un’attenzione approfondita a quello che ho descritto adesso, attraverso questa parte volitiva dell’anima si getta lo sguardo in certe profondità della vita animica umana, in certi processi dell’anima che sono quanto mai nascosti alla coscienza ordinaria.

 

Ho già spiegato che tutti i processi di edificazione e di distruzione che si svolgono nell’organismo rimangono del tutto preclusi alla coscienza ordinaria.

Oltre a queste attività dell’anima legate ai comuni impulsi volitivi, esistono però anche altri processi incoscienti nella natura umana, che sono ben reali pur non raggiungendo mai durante l’esistenza terrena la soglia della coscienza.

Ecco di che cosa si tratta.

 

Abbiamo veduto ieri che nella parte senziente dell’anima avviene di continuo una valutazione dell’uomo morale e spirituale.

Ciò che ne affiora alla coscienza, sotto forma di moti della coscienza morale o come giudizi del proprio comportamento, nella sfera subcosciente è un’attività molto significativa e incisiva.

 

L’uomo valuta nel proprio organismo animico subcosciente ogni cosa che fa,

ma la valutazione rimane confinata appunto al subcosciente.

 

Nella parte volitiva dell’anima avviene però anche qualcosa d’altro. A questo livello vediamo che

nel corso della vita terrena il corpo astrale e l’io (che corrispondono a quella sfera volitiva)

edificano con le forze cosmiche astrali e dell’io un’entità interiore dell’uomo,

la quale ha una sua vita ottusa, oscura.

 

È proprio così: mentre noi valutiamo interiormente le nostre proprie facoltà,

facciamo nascere un essere astrale che dimora in noi e cresce sempre più.

• Esso contiene ora come dati di fatto quei giudizi morali,

• mentre la parte senziente dell’anima si limita a effettuare la valutazione, quasi come un processo ideale,

ovvero (a seconda dell’epoca in cui il fatto è accaduto) come un ricordo ideale subcosciente.

 

Dopo l’evento, nella parte volitiva avviene qualcosa di più: il giudizio «ho commesso una cattiva azione» diventa in noi un essere: un essere che è proprio una valutazione divenuta reale dell’uomo in attività.

In questa parte volitiva dell’anima si trova dunque qualcosa che rimane, e che esisteva già prima che l’uomo fosse disceso dal mondo animico-spirituale giù in un organismo fisico-eterico.

 

• L’eco di tale realtà agisce nella parte spirituale dell’anima,

nel senso di edificare un nuovo organismo umano,

condizionato appunto dalla attività di quella parte spirituale nell’esistenza preterrena.

 

Durante la vita terrena la parte spirituale viene impedita dalla presenza dell’organismo fisico:

la sua attività non può svolgersi, perché si urta per così dire continuamente agli spigoli e alle pareti dell’organismo fisico: però come tendenza rimane presente.

In tale tendenza si inserisce la realtà che ho appena descritta: quell’essere che rappresenta il giudizio realizzato dell’uomo morale e spirituale.

 

Portiamo dunque in noi un essere nel quale confluiscono

• l’impulso a formare un nuovo organismo    • e la valutazione morale realizzata.

• Quando la nostra esistenza terrena fisica giunge al suo termine,

portiamo quell’essere oltre la soglia della morte.

 

Dalla mia esposizione è emerso che nell’organismo umano sono continuamente presenti forze costruttive e distruttive, forze che portano morte e forze che ravvivano, che ottundono o che risvegliano.

Dobbiamo scorgere nella parte pensante dell’anima forze deprimenti, nella parte volitiva forze risveglianti.

Questa lotta fra morte e vita ci accompagna durante tutta la nostra vita terrena: quando la concludiamo,

• noi portiamo in un mondo spirituale il risultato elaborato incoscientemente delle nostre qualità morali.

 

Da tutte le considerazioni svolte in questi giorni risulta che

nel momento in cui l’uomo attraversa la soglia della morte,

la sua coscienza che di solito era solo una coscienza terrena,

si amplia per diventare coscienza cosmica.

 

Come qui in Terra l’uomo penetra in un organismo fisico, sentendosi delimitato dalla pelle in tale organismo,

così egli penetra invece nelle vastità del cosmo, quando passa per la morte.

Ciò che di solito ha fuori e intorno a sé, diventa ora il suo contenuto;

la sua coscienza acquista il carattere di coscienza cosmica.

 

Nasce allora la domanda: come si manifesta la valutazione dell’uomo morale, quando egli, dopo la morte,

ha assunto quella coscienza cosmica e aspira a formare un nuovo organismo fisico ed eterico?

 

Prima di poter rispondere a questa domanda, debbo ancora caratterizzare alcuni aspetti del corso della vita terrena, in base alle condizioni che ho descritte.

Abbiamo visto che nell’organismo umano ha luogo una continua distruzione e riedificazione; questa continua alternativa si verifica durante l’intero corso della vita fra la nascita e la morte.

 

• In quanto siamo entità animiche pensanti dobbiamo demolire,

• in quanto siamo esseri animati dalla volontà dobbiamo edificare;

• e in quanto siamo esseri dotati della facoltà di sentire

compiamo un’alternanza di demolizione e ricostruzione.

 

Dunque il pensare, il sentire e il volere che si presentano nell’interiorità dell’anima umana sono un distruggere e un rinascere, un alterno giuoco fra l’uno e l’altro.

Tali processi dell’organismo umano sono straordinariamente complicati e diversi in ogni età della vita: sono diversi nel bambino e nell’adulto.

 

In particolare è importante che educatori e maestri siano in grado di conoscere l’organismo umano fondandosi sopra una conoscenza spirituale dell’uomo, dal punto di vista di quei processi alterni di tipo distruttivo e di tipo costruttivo, e del continuo trapassare degli uni negli altri. Può infatti educare e istruire nel modo giusto solo chi conosce come agiscano nell’organismo infantile le forze edificatrici e quelle distruttrici, e quale influsso si possa esercitare su di loro mediante l’educazione e l’istruzione.

 

Eccone un solo esempio. Fa molta differenza se si fanno imparare a memoria a un bambino dei testi nella misura opportuna, oppure se lo si fa in eccesso, sì da affaticare eccessivamente la memoria. Dato il modo in cui oggi si considera l’alterno giuoco dei processi costruttivi e distruttivi di cui si è parlato, si potrebbe credere che un errore di quel genere influisca soltanto sulla organizzazione animica del bambino. Ma non è questo il caso.

Se un bambino è obbligato a imparare troppo a memoria, esso forma in modo irregolare dei pensieri-ricordi che si inseriscono nell’organizzazione della testa: provocano però delle irregolarità, in quanto si estendono a pensieri indirizzati verso la volontà, e quindi anche nell’organismo del ricambio e delle membra. Può accadere di aver educato in modo sbagliato un bambino, riguardo alla sua memoria, e che tale errore si manifesti sotto forma di cattiva digestione e di disturbi del ricambio, solo all’età di trenta o quarant’anni, e anche dopo.

Cito questo esempio solo perché è di comune osservazione. Le cose sono molto complicate; in realtà un vero educatore, partendo dalla conoscenza spirituale dell’uomo, può misurare e apprezzare tutta la portata di quello che egli intraprende per la natura fisica e per l’anima di un bambino.

 

Una pedagogia vera e reale può fondarsi soltanto sopra una conoscenza dell’uomo che tenga conto dell’organismo fisico, dell’anima e dello spirito, e che sia in grado anche di percepire e valutare l’azione scambievole di queste tre parti della organizzazione complessiva dell’uomo.

In seno al nostro movimento antroposofico è stata elaborata appunto una tale pedagogia; essa sta realizzandosi nella Scuola Waldorf di Stoccarda e anche qui a Dornach, come corsi sperimentali di perfezionamento. Va però detto ben chiaro che la scienza quale è generalmente intesa oggi non può mai fondare una vera pedagogia, e che perciò una pedagogia nuova diventa possibile solo mediante un approfondimento antroposofico della vita scientifica.

 

Il giuoco alterno dei processi costruttivi e distruttivi, dell’interpenetrarsi di attività demolitrici e ricostruttive nell’organismo umano complessivo si palesa inoltre allo sguardo veggente anche nei singoli organi, in un modo o nell’altro, a seconda se una persona sia più o meno sana o ammalata.

Si impara a conoscere la malattia nelle sue singole manifestazioni solo osservando il modo come nell’organismo umano intero, o in un organo qualunque, o in un gruppo di organi, prendano il sopravvento processi di demolizione (e così l’organismo tende a indurirsi), oppure processi costruttivi (e in tal caso l’organismo tende a esplicare una vitalità proliferante).

 

Si può anche imparare come certi processi di tipo distruttivo si infiltrino in modo irregolare nei processi costruttivi, compenetrandoli di prodotti del ricambio non elaborati, o simili. In breve, come per l’educatore è importante l’osservazione nel bambino di questi processi costruttivi e distruttivi normali, così è altrettanto importante per chi si occupa dell’uomo ammalato lo studio di quei processi in condizioni abnormi.

Ora se si esamina a fondo il mondo fisico circostante, nei suoi diversi regni, il minerale, il vegetale e in parte anche nel regno animale, si scopre che ogni cosa è compenetrata da nascosti elementi spirituali e animici.

Possiamo ad esempio trovare in una pianta qualsiasi delle forze costruttive che, preparate adeguatamente e introdotte nell’organismo umano, sono capaci di opporsi ai processi distruttivi di tipo abnorme, patologico.

Si trovano cioè in natura dei rimedi per quei processi distruttivi o costruttivi abnormi, ma il rapporto fra i rimedi e la malattia può essere riconosciuto solamente se si è in grado di osservare l’organismo umano nel modo che si è detto.

 

Si può procedere in vari modi, di fronte a un organismo ammalato: si possono somministrargli rimedi esterni, oppure si può in vario modo trattarlo come di solito non si tratta l’organismo sano, o come esso non tratta se stesso, sia che in uno di questi modi si prendano i provvedimenti adeguati, sia che si applichi l’euritmia curativa che noi abbiamo elaborata. In tutti i casi mediante il nostro intervento ci proponiamo di riportare l’equilibrio nei processi costruttivi esuberanti o nei processi distruttivi operanti in misura eccessiva.

Si può dunque comprendere come la medicina fondata solo sulla scienza esteriore debba essere completata e ampliata da ciò che risulta alla veggenza spirituale, alla conoscenza dell’organizzazione totale dell’uomo.

La scienza esteriore, nelle sue branche dedicate all’anatomia e alla fisiologia, è in grado di giudicare solo sugli aspetti esterni dell’organizzazione umana; e analogamente essa può trovare soltanto mediante dei tentativi esteriori il nesso fra una malattia e un eventuale rimedio.

 

L’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione riescono a vedere contemporaneamente il nesso interno fra l’essenza di un processo morboso e un possibile farmaco o un procedimento curativo; in tal modo la terapia empirica che procede solo per tentativi viene sostituita da una terapia razionale, fondata sulla conoscenza dell’uomo e dei processi curativi.

Anche tutto questo può qui venire esposto solo nel modo più sommario; ma basta per mostrare come nella conoscenza antroposofica che siamo impegnati a sviluppare, si trovi anche il punto di partenza per un ampliamento sia della patologia, sia della terapia secondo i punti di vista da me esposti. Del resto queste cose hanno già assunto forma pratica in seno al nostro movimento.

Nei nostri istituti terapeutici a Stoccarda e qui ad Arlesheim non si fa del dilettantismo medico. La medicina odierna viene da noi pienamente riconosciuta e anche applicata: ma i suoi frutti vengono arricchiti da ciò che può essere apportato da una conoscenza spirituale.

 

Ancor oggi certi critici che vogliono fondarsi solo sulla scienza esteriore affermano che sia puerile ciò che la scienza dello spirito antroposofica pretende di dire sulla malattia e sul processo di guarigione.

Certo, un tale giudizio è ben comprensibile da parte di chi vuol pensare e lavorare solo secondo i metodi della scienza esteriore. Va però detto che quelle persone non hanno alcuna idea di come stanno veramente le cose, quando parlano di «puerilità», e che i risultati dell’anatomia, della patologia e della scienza terapeutica fondate, sulle osservazioni esteriori, non rappresentano che il fondamento per quanto (proprio nel campo della medicina) può scaturire dalla conoscenza spirituale.

A certi critici vorrei replicare (ma non in senso spregiativo): se c’è qualcosa che sotto certi aspetti si potrebbe chiamare infantile è proprio la medicina che pretende di fondarsi solo sui dati dei sensi; ma non intendo usare il termine «infantile» in senso spregiativo, bensì accennare soltanto al fatto che quelle conoscenze possono venire integrate da ciò che la conoscenza spirituale può dire sull’uomo nella sua totalità.

 

Ove si rifletta su queste cose, si capirà che è necessario entrare in molti particolari, se si vogliono veramente conoscere le attività dell’organismo eterico, di quello astrale e dell’io dell’uomo nella vita fisica.

 

Con la morte l’uomo depone l’organismo fisico, esso gli sfugge.

Si verifica allora una condizione nella quale l’uomo non porta più con sé il corpo fisico,

ma in cui l’entità dell’io e l’organismo astrale portano ancora con sé l’organismo eterico.

 

Ho già esposto come l’organismo eterico dell’uomo non sia separato con limiti netti dal complesso dell’etere cosmico: dall’etere cosmico fluiscono continuamente delle correnti entro l’organismo eterico umano e continuamente ne fuoriescono.

Ecco perché nel momento in cui l’uomo attraversa la porta della morte, avendo ancora con sé il proprio organismo eterico, la sua coscienza si apre sulle vastità eteriche del cosmo, mentre d’altra parte egli sente ancora come cosa propria l’organismo eterico che si è appena distaccato da quello fisico.

In tale condizione l’uomo è interamente aperto alle esperienze eteriche del cosmo, le quali talora si raccolgono per la sua coscienza nella esclusiva esperienza del proprio organismo eterico.

 

Appena varcata la soglia della morte, l’uomo rimane in certo senso sopraffatto dalla coscienza cosmica che gli si schiude. A questo punto lo sguardo non è ancora diretto su quella entità che si forma in noi e rappresenta la realizzazione delle valutazioni morali dell’uomo.

Noi portiamo certo attraverso la porta della morte quell’entità spirituale-morale che era venuta inserendosi nel nostro organismo astrale, ma nei primissimi tempi dopo la morte ne percepiamo ben poco; infatti in quella fase siamo del tutto rivolti (dal cosmo e verso il cosmo) al corso della vita terrena testé conclusa, poiché esso rappresenta di fatto il contenuto del corpo eterico.

 

Per un certo tempo noi guardiamo indietro, al corso della vita terrena appena conchiusa.

Il corso della vita si manifesta subito dopo la morte nel suo aspetto interiore,

come l’ho descritto nei giorni scorsi dal punto di vista della coscienza immaginativa.

Questa condizione dura però solamente alcuni giorni, e precisamente dura circa quanto, in ogni singolo individuo,

le esperienze fatte durante il giorno sono capaci di stimolare dei sogni: la durata varia nei diversi individui.

 

Nella formazione dei sogni si verifica infatti sempre un nesso con le esperienze del giorno appena finito, oppure a quelle del penultimo o del terzultimo.

E come sogniamo qualcosa che si riferisce al giorno passato, ma il contenuto del sogno è collegato con altre esperienze precedenti, così anche queste esperienze più lontane emergono nel sogno.

Sogniamo per esempio di aver parlato ieri con qualcuno, e questa esperienza del giorno precedente entra ancora nel sogno in modo diretto; ma con quella persona abbiamo parlato di qualcun altro che magari non avevamo veduto da dieci anni e poi mai più. Siccome questa esperienza lontana si era intessuta nel nostro colloquio, ecco che sogniamo le cose più strane anche di quest’altra persona.

 

Se si studiassero seriamente i sogni, tali esperienze della vita di sogno sarebbero conosciute. La cosa è però diversa da uomo a uomo. C’è chi sogna soltanto ciò ch’è avvenuto il giorno prima; un altro sogna cose vissute due giorni prima, un altro ancora ricorda nel sogno anche cose di tre o quattro giorni prima.

E la durata del tempo in cui, dopo la morte, ci si trova ancora nel corpo eterico corrisponde

alla diversa durata di quella possibilità di rivivere nel sogno gli eventi dei giorni passati.

Potrei caratterizzare questo fatto anche in modo diverso: la durata di quel periodo dopo la morte coincide con la durata del tempo in cui un dato individuo è capace di resistere al sonno, in cui riesce a mantenersi desto per giorni e notti di seguito. C’è chi si addormenta perché non ha dormito una sola notte; altri possono resistere al sonno per due o tre giorni. Altrettanto dura l’esperienza che l’uomo ha dopo la morte di trovarsi ancora nel suo corpo eterico.

 

Poi però accade che si venga sempre più afferrati dalla nostra coscienza che si è adattata al mondo eterico cosmico. Siccome il nostro organismo eterico ora non è rigorosamente separato dal mondo eterico cosmico, esso si espande in quest’ultimo. E se quando ci si sente nell’eterico cosmico si getta lo sguardo sul proprio corpo eterico, esso ci appare già più ampio.

Così si procede; alla fine non abbiamo più l’organismo eterico,

e penetriamo col nostro organismo astrale nel cosmo e nella nostra coscienza cosmica.

 

• A questo punto emerge nell’uomo l’entità di cui ho parlato,

che è la valutazione realizzata della sua qualità morale spirituale. Ci si sente portatori di questo essere.

Si è una miscela di quello che di noi si effonde nel cosmo e di qualcosa che le esperienze dopo la morte ci costringono a incontrare sempre di nuovo: l’essere che in realtà rappresenta il nostro risultato morale, la somma delle nostre azioni.

 

A questo punto, dalla coscienza cosmica acquisita agiscono continuamente le forze pareggiatrici: perciò nasce una fortissima tendenza a contrapporre l’azione giusta a tutto quanto di sbagliato, di stolto si è fatto nella vita terrena. Perciò nel prosieguo della vita nel mondo delle anime (che ho menzionato ieri) ci si immerge sempre più in un ritmo che si svolge fra le qualità spirituali-morali dell’uomo e le qualità del cosmo.

In tale ritmo si forma una forte tendenza a sperimentare nuovamente la possibilità di creare dei pareggi, dei compensi, per quanto di immorale o comunque di errato si è fatto.

Si forma ad esempio la tendenza a compiere un’azione di pareggio nella vita terrena successiva, nei riguardi di chi è stato da noi in qualche modo danneggiato o offeso. In altre parole, così si forma il germe del destino che attraversa le successive vite terrene.

 

• Al tempo stesso però la pura coscienza cosmica risulta molto offuscata, annebbiata, dal fatto che portiamo in noi questa componente: per tutta la durata del passaggio attraverso il mondo delle anime l’anima umana deve rimanere appunto in uno stato di coscienza relativamente offuscata.

Infine però le si presenta la necessità di penetrare nel regno degli spiriti, dove potrà liberarsi dall’entità che abbiamo più volte menzionata; ivi essa potrà vivere per un certo tempo puramente nel cosmo, che è «amorale», nel quale non possiamo portare nulla di quanto abbiamo sperimentato nel mondo delle anime, come risultato morale o immorale della nostra vita.

 

Si può tentare di descrivere il passaggio dall’esperienza animica alla esperienza spirituale dopo la morte, dal punto di vista della vita terrena dell’uomo.

• Fintanto che l’uomo attraversa il mondo delle anime, sperimentando cioè il ritmo che si svolge fra l’elemento cosmico e quello spirituale-morale che era stato presente nella sua pregressa vita terrena, sperimentando il reciproco impatto fra queste due realtà, per tutto quel tempo l’uomo rimane come legato da una forte inclinazione verso la sua ultima vita terrena. Infatti, l’entità che ha portato con sé e che rappresenta le sue qualità morali-spirituali, è derivata dalla sua ultima vita terrena.

L’uomo è ancora attaccato con le tendenze della sua anima a quella vita, e solo quando si è liberato interiormente da quella attrazione può procedere alla pura esperienza del cosmo: qui le entità spirituali possono vivere insieme a lui in modo che dalle loro forze egli possa ricavare per sé le forze atte ad elaborare la parte spirituale cosmica del successivo organismo fisico umano.

 

Quanto ho detto ora vale dal punto di vista della vita terrena dell’uomo.

Si possono però descrivere gli stessi fenomeni dal punto di vista della coscienza e dell’esperienza cosmica.

Dopo che l’uomo ha deposto il suo corpo eterico e mentre nel suo io e nel suo organismo astrale

continuano ancora a vivere (nel modo che ho caratterizzato) le sue tendenze rivolte alla vita terrena,

egli è interiormente compenetrato dalle forze spirituali lunari che pervadono il cosmo.

 

Di queste forze lunari ho già dovuto parlare mentre descrivevo lo stato di sonno;

adesso le incontriamo nuovamente nell’esistenza che segue la vita terrena dell’uomo.

 

Le forze lunari hanno sempre la proprietà

di mettere o di voler mettere l’uomo in una certa connessione con l’esistenza terrena.

Lì, dopo la morte, esse si estrinsecano

cercando di impedire all’uomo di uscire dalla sfera dell’esistenza terrena.

 

Egli ha deposto il suo corpo fisico, ma pure vuol ritornare nell’esistenza terrena: ciò dipende dal fatto che le forze lunari del cosmo lo compenetrano.

Naturalmente il consueto pensare terreno è cessato, poiché è legato all’organizzazione della testa del corpo fisico: e nell’organizzazione della testa era fluito l’uomo, qual’era prima di scendere sulla Terra.

 

Con la deposizione dell’organismo umano fisico

cessa di funzionare ciò che in fondo era stato effettuato solo in modo materiale.

Pertanto l’uomo non è più un essere legato alla Terra in modo diretto, ma lo è indirettamente,

in quanto continuano ad agire in lui le forze lunari.

Esse provocano in lui ancora per molto tempo dopo la morte la tendenza a ritornare alla esistenza terrena:

a quell’esistenza terrena durante la quale egli è andato preparando l’essere che ora contiene racchiuso in sé.

 

Senonché dopo la morte l’uomo ha necessità di strapparsi dalle forze lunari, di superarle,

di liberarsi interiormente dalle forze lunari che irrompono in lui ed esercitano su di lui la loro azione.

 

Tali forze mantengono nell’uomo una specie di continuo ricordo cosmico delle forze ritmiche: vale a dire che esse gli rievocano sempre di nuovo, in inspirazioni ed immaginazioni, quanto avviene nei moti dei pianeti e nei rapporti fra i pianeti e le stelle fisse.

Invece esse tendono a impedire che l’uomo faccia l’esperienza delle entità spirituali la cui immagine riprodotta si trova nelle costellazioni delle stelle fisse.

Ora l’uomo sta davanti alla necessità di penetrare in un mondo puramente spirituale, ma non vi può penetrare fintanto che agiscono su di lui le forze lunari.

Egli deve sperimentare il cosmo non solo come lo contempla, per così dire, dal lato dell’esistenza fisica, ma anche dal lato opposto.

 

Si raggiunge di fatto questa condizione quando si sviluppa una coscienza puramente spirituale, cosmica: a questo punto l’uomo viene a trovarsi in certo qual modo alla periferia del cosmo.

E come noi qui ci troviamo al centro e guardiamo da ogni parte verso il cosmo, in quella condizione guardiamo spiritualmente verso l’interno del cosmo, dalla sua periferia.

Allora però non vediamo le riproduzioni fisiche delle diverse entità spirituali, ma guardiamo le entità spirituali stesse.

 

Naturalmente non è in senso spaziale che guardiamo dalla periferia verso il cosmo. Come qui guardiamo verso il cosmo da un certo punto di osservazione, così là guardiamo verso l’interno da un’intera superficie sferica. Ma questa è ancora un’espressione spaziale! In realtà la nostra visione è qualitativa; noi guardiamo verso il cielo delle stelle fisse, ma lo guardiamo dal di fuori.

Fra la morte e una nuova nascita dobbiamo proprio raggiungere questa indipendenza dal mondo fisico in cui si svolge la nostra esistenza terrena.

 

• In modo del tutto diverso penetravano in quel mondo gli uomini nei tempi che precedettero il mistero del Golgota,

da come vi penetrano ora, dopo il mistero del Golgota.

 

L’evento del Cristo segna una svolta nella evoluzione dell’umanità terrestre;

per chiudere queste mie considerazioni, mi propongo quindi di parlare ancora di come avviene l’ingresso

della parte animico-spirituale dell’uomo nel mondo spirituale, per effetto dell’evoluzione cristiana.

 

L’uomo deve lasciare indietro, nella sfera lunare, l’entità che rappresenta la sua valutazione morale,

prima di penetrare nel mondo spirituale propriamente detto: cioè prima di pervenire alla convivenza

con altre anime umane non incarnate e che si trovano dunque in una condizione simile alla sua

(a dire il vero egli vive con quelle anime già prima); ma soprattutto prima di giungere a convivere

con le altissime entità spirituali la cui immagine fisica si trova nelle costellazioni delle stelle fisse.

 

Egli deve penetrare senza quell’entità nella regione che non è la regione lunare, ma la regione delle stelle:

in questa egli riceverà dalla convivenza con altre entità spirituali della specie più elevata le forze grazie alle quali

potrà ormai veramente elaborare la parte spirituale di quello che sarà l’organismo fisico venturo.

 

Nei tempi precedenti il mistero del Golgota, gli antichi iniziati parlavano così a coloro che volevano ascoltarli, quando spiegavano il modo in cui per l’umanità d’allora si compiva il passaggio al regno spirituale propriamente detto:

• quando dopo la morte vi tocca di passare dal mondo delle anime al regno degli spiriti, voi dovete abbandonare nella sfera lunare ciò che contribuisce a formare il destino, in base alle vostre azioni buone o cattive. Ma le vostre forze umane non sono sufficienti ad effettuare il passaggio dalla sfera lunare alla sfera stellare. Perciò interviene per voi l’alto essere solare di cui il Sole fisico è l’immagine.

E come la vostra vita esteriore si svolge sotto l’influsso della luce fisica e del calore fisico del Sole, così dopo la morte la vostra entità si vale dell’alto essere solare: esso vi libera dal vostro nucleo di destino e vi accoglie nella sfera stellare dove, con l’aiuto della vostra guida solare, potrete elaborare la parte spirituale del vostro futuro organismo fisico.

Dopo avere operato a sufficienza sotto la sua guida nella sfera spirituale per la formazione del vostro organismo fisico, potrete nuovamente ritornare verso l’esistenza terrena: in questo ritorno vi accoglierà di nuovo anche la sfera lunare, nella quale ritroverete l’entità carica di destino che avete portato oltre la soglia della morte, dopo la vita terrena precedente.

Ad essa vi ricongiungerete e potrete ora dominarla in modo ben diverso, dopo avere preparato insieme all’alto essere solare la parte spirituale del vostro nuovo organismo fisico: potrete congiungere quel nucleo di destino con le forze che in voi tenderanno verso l’organismo fisico terreno. Così attraverserete di nuovo la sfera lunare. Segue poi l’ingresso nella vita terrena, quale l’ho descritto nelle considerazioni passate.

 

Gli iniziati contemporanei del mistero del Golgota, e quelli che vissero nei tre o quattro secoli successivi, potevano dire ai loro discepoli: la forma che l’organismo fisico umano va assumendo nella vita terrena elabora sempre più l’io. L’uomo va però perdendo la forza di penetrare nella regione in cui l’alto essere solare potrebbe fargli da guida nelle regioni stellari spirituali.

Perciò il Cristo è disceso sulla Terra e vi ha compiuto il mistero del Golgota.

 

La forza che l’anima umana acquista se si congiunge nel sentimento al mistero del Golgota, agisce dopo la morte

ed è questa forza a strappare l’anima dal suo nucleo di destino e dalla sfera lunare:

è per l’influsso postumo-del suo incontro col Cristo durante la vita terrena

che ora l’anima forma il suo futuro organismo fisico insieme agli altri esseri del mondo stellare:

essa poi ritrova quel nucleo di destino, ritornando verso la Terra,

e in esso sta racchiusa la tendenza a conformare il destino nella vita terrena successiva.

 

La forza che l’anima umana ha accolto dall’impulso del Cristo è quella che la rende capace di attraversare nuovamente nel giusto modo il regno dello spirito e di accogliere nel giusto modo il nucleo formatore del suo destino.

Chi parla oggi fondandosi sulla scienza dell’iniziazione, deve aggiungere ancora quanto segue: sì, è l’impulso del Cristo a operare dopo la morte.

 

Per la sua azione l’uomo si sottrae alla sfera lunare, penetra nelle sfere stellare e solare, nelle quali può lavorare, grazie agli impulsi che gli sono dati dagli esseri spirituali del mondo stellare, e preparare la formazione dell’organismo fisico per la sua successiva esistenza terrena.

Dalla sfera lunare egli si distacca però grazie alle forze accumulate nel suo io, se si è accostato all’entità del Cristo e al mistero del Golgota.

Egli si libera dalla sfera lunare per poter operare anche in quella stellare in modo che, quando riattraverserà la sfera lunare e vi incontrerà il proprio nucleo di destino, possa inserirselo con un atto di libertà spirituale.

Egli dovrà dirsi che l’evoluzione generale può svolgersi nel giusto modo solo se l’uomo si incorpora quel suo nucleo di destino, e se nelle successive vite terrene saprà creare il necessario pareggio alle proprie azioni, nel destino che avrà egli stesso preparato.

 

Questo è l’essenziale nella rinnovata esperienza della sfera lunare dopo la morte:

• che nell’esistenza cosmica esiste un momento in cui l’uomo

congiunge in modo autonomo il suo destino, il suo karma, con la propria entità in via di progresso.

E la controimmagine terrena di questa azione compiuta nel mondo sovraterrestre è la libertà umana,

il senso di libertà durante l’esistenza terrena.

 

La retta comprensione dell’idea del destino e il perseguirla fin su nei mondi spirituali non porta a una filosofia deterministica, ma a una vera filosofia della libertà, come io stesso ho creduto di dover mostrare tanti anni fa, nel mio libro intitolato appunto La filosofia della libertà.

Così l’uomo riporta con sé dalla sua vita nelle regioni spirituali dopo la morte, inseriti nel suo organismo e collegati col suo destino cosmico, gli effetti della compenetrazione con le entità spirituali, sperimentata da lui nel regno dello spirito.

 

Facendo in sé l’esperienza del Cristo, l’uomo dei tempi nostri può sperimentare la libertà,

e in rapporto con la libertà l’esperienza di essere compenetrato dalla divinità.

Qui sulla Terra l’esperienza di essere compenetrati da Dio può essere il riflesso

di ciò che abbiamo incontrato durante il passaggio dal mondo stellare alla sfera lunare e nella sfera lunare stessa.

 

La scienza dello spirito va conquistando una conoscenza di tutte queste cose, mediante esercizi della volontà che portano l’anima al livello della intuizione.

In tempi più antichi l’intuizione veniva conseguita, seguendo le indicazioni degli iniziati d’allora, prevalentemente mediante esercizi ascetici che mortificavano l’organismo fisico. Mortificando e indebolendo l’organismo fisico esteriore, la volontà, che di solito si esplica solo nella tendenza verso l’organismo fisico, non fa che esplicarsi con tanta maggiore energia.

Per effetto dell’ascetismo, l’organismo fisico viene mortificato in modo che alla volontà riesce sempre più difficile di manifestarsi attraverso quello. La volontà viene per così dire ricacciata indietro, e quanto più difficile le riesce di vivere immergendosi nell’organismo fisico, tanto più riesce a penetrare nel mondo spirituale, e così elabora le intuizioni.

Sono questi gli effetti che venivano provocati dall’ascetismo; ma è a torto che l’ascetismo antico viene continuato nei tempi nuovi.

 

Dopo il mistero del Golgota il corpo fisico umano ha assunto una forma per la quale esso non potrebbe più sopportare una ascesi suscettibile di conseguire i successi desiderabili. Mediante quel tipo di ascesi l’uomo moderno indebolirebbe il suo organismo fisico fino al punto che non potrebbe sviluppare nel giusto modo la coscienza dell’io, che è proprio il suo compito attuale. In tal caso l’uomo non potrebbe mai pervenire alla coscienza della libertà; né potrebbe congiungersi con l’impulso del Cristo in modo giusto, cioè in libertà.

Perciò gli esercizi della volontà debbono essere fatti in modo da non deprimere il corpo fisico, come avveniva nell’antichità; essi debbono invece rafforzare le facoltà puramente animico-spirituali dell’uomo, sì che non il corpo si sottragga all’anima, ma sia l’anima a penetrare sempre più nei mondi spirituali.

• Non sono diventate differenti solo le nozioni che gli antichi iniziati dovevano trasmettere ai loro discepoli sulle esperienze fra morte e nuova nascita, ma anche quelle relative agli esercizi che l’uomo deve intraprendere, per giungere a una conoscenza che porti al mondo soprasensibile.

 

L’asceta antico non poteva pervenire alla regale coscienza della libertà che l’uomo moderno deve conseguire grazie alla sua attuale organizzazione.

Ma non poteva neppure più incontrare fra la morte e la nascita l’alto essere solare che si occupava di lui; ciò che in un passato ancora più lontano l’essere solare offriva all’uomo dopo la morte, oggi (dopo che il Cristo ha compiuto il mistero del Golgota) l’uomo stesso può compierlo, e riceverne forze per eseguire poi, dopo la morte, quello che è necessario alla sua evoluzione.

Così con l’ingresso del cristianesimo nell’evoluzione dell’umanità la coscienza religiosa si è modificata: essa infatti è l’eco terrestre di ciò che l’uomo deve sperimentare fra la morte e una nuova nascita, quando è compenetrato dalla divinità.

Proprio la moderna scienza dell’iniziazione ci porta sempre a una comprensione approfondita del cristianesimo.

 

Si può dunque parlare di un rinnovamento della coscienza religiosa, dovuto all’approfondimento antroposofico, come nei giorni scorsi si è parlato di un rinnovamento della filosofia trasformata in conoscenza filosofica vivente, e come abbiamo parlato di un approfondimento della cosmologia grazie all’accoglimento di quanto può essere conosciuto dei mondi superiori mediante l’intuizione e l’ispirazione.

Per tutta l’umanità l’approfondimento antroposofico potrà riuscire di vantaggio, anche per il rinnovamento della coscienza religiosa, la quale solo così diventa una piena coscienza cristiana.

 

L’antroposofìa vorrebbe contribuire alla giusta evoluzione ulteriore del cristianesimo, non perché essa stessa voglia diventare una nuova religione, ma in quanto vuole aiutare l’esplicazione della religione cristiana, sorta per effetto del mistero del Golgota.

La religione cristiana possiede la forza di evolversi ulteriormente, e l’antroposofia vorrebbe interpretare rettamente questo fatto e contribuire giustamente a tale evoluzione.

 

Ho tentato così, in queste conferenze, di mostrare come dall’antroposofia dovrebbero venir fecondate la filosofia, la cosmologia e la conoscenza religiosa.

Naturalmente la conoscenza della religione non è religione.

 

La religione può essere vissuta anche abbandonandosi solo con l’animo, col sentimento, a ciò che offre la conoscenza fondata sulla intuizione; e con il sentimento si può comprenderlo. Così da un rinnovamento della conoscenza della religione può scaturire un nuovo approfondimento della vita religiosa.

Nei pochi giorni di questo ciclo di conferenze ho potuto accennare solo in modo sommario a tutti questi problemi. Naturalmente in queste cose si penetra completamente, solo imparando a conoscere anche i particolari. In tal modo diverse cose che nei giorni scorsi hanno dovuto rimanere allo stato di abbozzo, avrebbero potuto essere esposte in tutte le loro sfumature; solo così il quadro sarebbe potuto risultare completo.