Fattori interni ed esterni nel destino umano.

O.O. 235 – Nessi karmici Vol. I – 01.03.1924


 

Sommario: Fattori interni ed esterni nel destino umano. Disposizione a salute e malattia. Nessi di destino delle amicizie.

 

Parlando di singoli fatti karmici, occorre anzitutto distinguere

• fra quelli che ci muovono incontro nella vita dall’esterno

• e quelli che emergono dalla nostra interiorità.

 

Il destino dell’uomo è determinato dalla combinazione dei più diversi elementi:

• dalla sua costituzione fisica ed eterica,

• dalle simpatie e antipatie che, per la sua costituzione astrale e il suo io,

può portare incontro al mondo, e che egli stesso può suscitare,

• e inoltre dalle svariatissime condizioni e limitazioni in cui può venir a trovarsi durante la vita.

 

Tutto questo determina il suo destino nei singoli momenti e in tutto l’insieme della sua esistenza.

Tenterò ora di dedurre il destino complessivo dell’essere umano dall’esame dei singoli elementi che lo compongono.

 

Prenderemo le mosse da fattori che si esplicano dalla sua stessa interiorità e in primo luogo da un fattore che sotto molti riguardi è decisivo: la disposizione alla salute o alla malattia, e quello che sta alla base di tale disposizione e che si esplica nella forza fisica e psichica per l’adempimento dei suoi compiti.

 

Per giudicare in modo giusto questi elementi occorre però superare molti pregiudizi dell’epoca nostra. Occorre saper guardare all’essere originario dell’uomo, e intendere che cosa significhi in realtà dire che l’uomo, nella sua più profonda essenza, discende nell’esistenza fisica terrena dai mondi spirituali.

 

È noto che il concetto di ereditarietà è ormai penetrato fin nel campo dell’arte, della poesia. Se un tale compare nel mondo con date qualità, ci si domanda subito da chi le abbia ereditate, e se un altro è predisposto a malattia, subito se ne cercano le cause ereditarie.

 

Simile ricerca è certo giustificata, ma nel modo di condurla

si prescinde in realtà dall’uomo, se ne prescinde completamente.

Non si guarda al suo vero essere e a come esso si sviluppi.

Si dice che l’uomo è anzitutto il figlio dei suoi genitori, il discendente dei suoi antenati.

 

Certo, tale discendenza è palese, e la somiglianza di una persona con i suoi ascendenti

trapela nella sua fisionomia e forse ancor più nel modo di comportarsi. Ma si va oltre.

Si vede che l’uomo trae il proprio organismo fisico da quanto gli trasmisero i suoi ascendenti;

egli ha in sé il suo organismo fisico, ma si bada molto, moltissimo a questo punto.

 

Si tralascia però di osservare che con la nascita riceviamo certo il nostro organismo fisico dai genitori,

ma oggi si hanno concetti del tutto falsi su che cosa sia tale organismo fisico.

Al momento della seconda dentizione, non solo il bambino sostituisce i denti ereditati con altri,

ma in quel momento della vita umana, per la prima volta, rinnova la sua intera organizzazione.

 

Vi è davvero una radicale differenza

fra quel che il fanciullo va diventando nell’ottavo e nel nono anno di età

e quel che egli era stato nel terzo e nel quarto.

Aveva ereditato la costituzione che aveva nel terzo e nel quarto anno; gliela avevano trasmessa i genitori.

 

Quel che va diventando e che s’affaccia per la prima volta nell’ottavo e nel nono,

proviene invece in sommo grado da quanto egli ha portato seco dal mondo spirituale.

Volendo delineare quello che sta alla base di tutto ciò in uno schema

(che urterà certo gli uomini del nostro tempo), si deve dire:

• con la nascita l’essere umano riceve in certo senso un modello

sul quale plasmerà la sua forma umana (verde nel disegno seguente).

 

Tale modello gli è dato dai suoi ascendenti, e da esso egli svilupperà ciò che diverrà più tardi (rosso nel disegno)

e che sarà un risultato di quanto ha portato seco dai mondi spirituali.

• Per quanto possa apparire irritante a un uomo dei nostri tempi

il quale viva del tutto sotto l’influsso dell’odierna cultura, si deve dire che i primi denti del bambino, ereditati,

gli servono come modello per l’elaborazione dei secondi,

elaborazione che si effettuerà in conformità delle forze recate dal mondo spirituale. Lo stesso è dell’intero organismo.

 

A questo punto si potrebbe domandare: perché ci occorre un modello? perché non possiamo attirare direttamente con le nostre forze le sostanze necessarie alla formazione del corpo fisico e formarlo senza che sia necessaria la discendenza, come si verificava in altri momenti dell’evoluzione terrestre, e come si verifica per quelle occorrenti alla formazione del corpo eterico che attiriamo direttamente dall’etere cosmico? perché non possiamo adunare anche la materia fisica e formare il nostro corpo fisico senza la discendenza fisica?

 

Per il pensiero odierno un simile quesito è naturalmente stolto, assurdo, ma ci si può chiedere: in rapporto alla stoltezza vale davvero la teoria della relatività, sebbene attualmente questa venga solo applicata ai fenomeni di moto, e ci si limiti a dire che la percezione non può discernere se siamo noi, assieme con il corpo sul quale ci troviamo, a muoverci oppure si muova il corpo che sta accanto a noi?

 

Tale problema emerse con chiarezza quando la teoria copernicana sostituì quella più antica. Sebbene venga attualmente solo applicata ai fenomeni di moto, la teoria della relatività (la quale, entro certi limiti, è sicuramente giusta) ben può applicarsi alla stoltezza: supponiamo ad esempio due persone, ognuna delle quali pensa che l’altra è pazza. Si tratta di vedere quale lo sia davvero!

Di fronte ai fatti del mondo spirituale, il quesito: perché abbiamo bisogno noi di un modello? va dunque realmente sollevato, e alcune antiche concezioni vi diedero già risposta alla loro maniera.

Solo in tempi come i nostri che non considerano più la morale come un elemento costitutivo dell’ordine del mondo, ma in essa vogliono unicamente ravvisare una convenzione umana, tali quesiti non vengono posti. Più antiche concezioni li ponevano, e vi davano anche risposta.

 

In origine, asserivano quelle antiche concezioni,

• l’uomo era predisposto a formarsi il proprio corpo fisico dalla sostanza terrena,

come si forma il proprio corpo eterico dalla sostanza eterica universale.

• Egli soggiacque però all’influsso luciferico e arimanico,

perdette così la facoltà di formare da sé il proprio corpo fisico, e dovette riceverlo per via di discendenza.

• Secondo le antiche concezioni,

il fatto di entrare in possesso di un corpo fisico per via di ereditarietà è conseguenza del peccato originale,

e questo è il vero, profondo significato del peccato originaleaver dovuto assoggettarsi all’ereditarietà.

 

Ai nostri tempi occorre anzitutto conquistare i concetti necessari a poter prendere tali quesiti sul serio,

e poi trovare le relative risposte.

Nel corso della sua evoluzione terrena, l’uomo non conserva in verità

la forza per la quale era stato predisposto prima degli influssi luciferici e arimanici,

e perciò, quando entra nell’ambito delle condizioni terrene,

egli non può plasmare il proprio corpo da sé, ma ha bisogno di uno stampo,

di quello stampo che cresce con lui nei primi sette anni della vita.

 

Siccome il bambino plasma se stesso in conformità di quello stampo,

è ben naturale che anche più tardi qualche traccia ne sopravviva in lui.

• Chi però, lavorando su se stesso, dipende in tutto e per tutto dal modello terreno,

se così mi è lecito dire, dimentica quanto ha recato dai mondi spirituali.

• Chi invece attraverso le sue vite passate, si sia conquistata maggior forza interiore,

resterà indipendente da esso, e si potrà notare come appunto

nel secondo periodo di vita fra la seconda dentizione e la pubertà, egli si trasformi sensibilmente.

 

Il compito di una buona scuola consisterà nel promuovere lo sviluppo

di quello che l’essere umano porta con sé dai mondi spirituali entro la vita terrena fisica,

e che conserverà più o meno come caratteri ereditari secondo che avrà più o meno saputo superarli.

Tutte le cose hanno il loro lato spirituale.

 

Nei primi sette anni, il corpo umano è semplicemente come un modello sul quale regolarsi.

Può accadere che le forze spirituali di un individuo soggiacciano al modello, e allora egli dipenderà totalmente da esso,

oppure saprà mettere in azione le forze che vogliono trasformare il modello

e questo suo lavoro si manifesterà esteriormente.

Non si tratta difatti solo di lavoro sul modello originario;

questo anzi si separa, per così dire si squama, cade come cadono i primi denti (il chiaro nel disegno).

 

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In realtà, il corpo infantile tutt’intero cade.

• Da un lato agiscono le forme e le forze che consolidano il modello,

• dall’altro lato l’essere umano vuole esprimere quel che ha recato seco dal mondo spirituale.

Ne consegue una lotta nei primi sette anni della vita.

Vista sotto l’aspetto spirituale, tale lotta si rivela come la causa delle malattie infantili.

Le malattie infantili sono l’espressione di quella lotta interiore.

• Anche più tardi nell’adulto possono naturalmente comparire malattie analoghe.

 

Questo accade ad esempio, se nei primi sette anni egli non è riuscito a trionfare del modello; in tali casi può sorgere in età più avanzata l’impulso a liberarsi di quanto è rimasto karmicamente in lui. A 28 o 29 anni può sopravvivere una ribellione interiore contro il modello, un cozzarvi contro, e quella lotta si esprimerà in una malattia infantile.

Chi abbia occhio per tali cose può vedere come, dopo il settimo o l’ottavo anno, in certi fanciulli si esplichi con forza un mutamento: cambia la fisionomia, cambiano i gesti.

Non se ne vedono le cause, e poiché sulla base delle opinioni generali si attribuisce oggi un immenso valore all’ereditarietà, tali mutamenti hanno perfino dato luogo a certe frasi fatte.

 

Quando un bimbo tocca gli 8 o i 9 anni, e ad un tratto in lui si palesa qualche manifestazione nuova che ha una base nella sua costituzione organica, il padre dice: questo però non lo ha da me. E la madre replica: da me meno ancora! Tali giudizi traggono naturalmente origine dal generale modo di pensare adottato, secondo cui i figli ereditano tutto dai loro ascendenti.

D’altro lato capita anche di vedere bambini che dopo i sette anni vanno sempre più assomigliando ai loro genitori. Per spiegarlo occorre considerare con tutta serietà la discesa dell’uomo nel mondo fisico.

La psicanalisi ha davvero prodotto sinistri e orrendi frutti. Nella letteratura psicanalitica possiamo infatti leggere che ogni figlio è inconsapevolmente innamorato della propria madre, e ogni figlia del proprio padre, e che da ciò derivano veri conflitti nelle zone inconsce dell’anima.

Si tratta beninteso di interpretazioni da dilettanti.

 

Vero è però che, già prima di scendere nell’esistenza terrena, il bambino è innamorato dei suoi genitori, che scende verso di loro perchè gli piacciono. Occorre naturalmente distinguere fra il giudizio che gli uomini fanno intorno alla vita mentre sono sulla Terra e quello che ne fanno tra la morte e la rinascita.

Quando l’antroposofia era agli inizi venne una volta fra di noi una signora la quale, sentendo parlare delle ripetute vite terrene, disse che non le garbavano; il rimanente dell’antroposofia le piaceva, le ripetute vite terrene no, e non voleva partecipare, ne aveva abbastanza di una. Vi erano anche allora fra di noi soci ben intenzionati, ed essi cercarono in tutti i modi di spiegare a quella signora che l’idea delle ripetute vite terrene è giusta e che tutti vi hanno parte. Ella non poteva ritrovarsi. Chi cercò di persuaderla per un verso e chi per un altro. Quella signora poi partì, e due giorni dopo mi scrisse una cartolina dichiarando che non voleva proprio rinascere sulla Terra.

 

In un caso simile, chi vuol semplicemente esporre la verità tratta dai mondi spirituali, deve dire: può certo darsi che, mentre è quaggiù, a qualcuno la prospettiva di ridiscendere sulla Terra non garbi, ma questo non conta. Attraverso la morte, l’uomo entra nei mondi spirituali e vuol farlo. La sua rinascita dipenderà poi dal giudizio che egli farà al riguardo quando si sarà spogliato del corpo. Allora il giudizio sarà diverso. Gli apprezzamenti che si fanno durante la vita terrena, e quelli del tempo fra la morte e la rinascita sono completamente diversi: tutto il modo di giudicare cambia.

Se qui sulla Terra diciamo a un giovane ch’egli si è scelto il padre, in certi casi potrà forse rispondere: ma come mi sarei scelto da me un padre che mi ha tanto picchiato?

In realtà se lo è proprio scelto perché, prima di scendere sulla Terra, aveva un modo di vedere diverso; pensava che le busse gli avrebbero fatto assai bene. Non lo dico per scherzo, è da intendersi con la massima serietà.

 

L’uomo si sceglie i genitori anche per la loro figura, si prefigge di assomigliare a loro.

Non dunque per ereditarietà egli vien loro in effetti ad assomigliare,

ma in virtù delle forze spirituali animiche portate dal mondo spirituale.

• Che proprio nel secondo periodo della vita certi bambini vadano assomigliando sempre più ai loro genitori,

non è una confutazione di quanto fu detto prima,

sia che si traggano gli elementi del proprio giudizio dalla scienza spirituale sia da quella fisica.

 

In tali casi quei bambini si sono realmente prefissi quella somiglianza.

Il fatto è che per tutto il tempo fra morte e rinascita l’uomo,

unitamente alle anime di altre persone morte e ad esseri dei mondi spirituali,

lavora su quanto gli darà la possibilità di costruire il proprio corpo.

• Quel che vive nel subcosciente viene di solito sottovalutato.

 

Quali uomini terreni siamo molto più saggi nel subcosciente che non nella coscienza normale, e la figura che con l’ausilio del modello ereditato sviluppiamo nel secondo periodo della vita, e che ci accompagnerà per il resto dell’esistenza, viene realmente elaborata partendo da saggezza universale.

 

Se un giorno si saprà quanto poco della sua sostanza corporea l’essere umano trae dai cibi

e quanto di più vi concorra quello che egli accoglie in condizioni di estrema sottigliezza dall’aria e dalla luce,

allora si sarà anche meglio disposti a credere che nel secondo settennio

il fanciullo edifica il proprio corpo attingendo alle forze e sostanze del mondo circostante,

libero da ogni condizione ereditaria.

 

Il primo corpo che riceviamo è davvero solo un modello

e nel secondo periodo della nostra vita esso non esiste più né come sostanza né come forza.

• Il rapporto con i genitori diviene psichico-morale nel secondo periodo della vita

e quello di ereditarietà fisica dura solo nel primo periodo, fino al settimo anno.

 

Si incontrano a volte persone che hanno un vivo interesse per tutto il mondo che le circonda. Esse osservano le piante, osservano gli animali, prendono viva parte a tutto il mondo visibile, la sublimità del cielo stellato suscita in loro interesse, partecipano con tutta l’anima alle manifestazioni del mondo fisico.

La vita interiore di chi prova un così caldo interesse per il cosmo fisico è diversa da quella di chi passa davanti alle cose con indifferenza, con una certa flemma interiore.

 

Sotto questo aspetto vi è davvero un’estesa gamma di caratteri umani! Ecco ad esempio un uomo che ha fatto un breve viaggio, parliamo con lui ed egli ci descrive con infinito amore e fin nei minimi particolari la città in cui è stato. Attraverso il suo vivace interesse, ce ne possiamo fare una piena immagine. Da tale estremo si può scendere a quello opposto, come mi accadde una volta quando incontrai due anziane signore che da Vienna s’erano recate a Presburgo. Presburgo è una bella città, ed esse ne erano appena tornate. Domandai la loro impressione e se fosse loro piaciuta. Null’altro mi seppero dire, se non che sulla spiaggia avevano visto due bassotti! Bassotti ne avrebbero potuti vedere anche a Vienna, senza doversi recare a Presburgo. Tuttavia non avevano veduto altro!

Certe persone attraversano così il mondo. Fra i due estremi esistono poi tutte le gradazioni possibili di interesse che si può avere per il mondo fisico visibile.

 

Prendiamo qualcuno che abbia scarso interesse per quanto di fisico lo attornia. Egli si cura forse ancora di quel che concerne direttamente il suo corpo; vuole ad esempio sapere se in un dato luogo si mangi bene o male, ma i suoi interessi non vanno oltre. La sua anima resta povera. Egli non porta il mondo in sé; quando perciò varca le porte della morte porta seco ben poco di quanto gli splendette incontro dagli oggetti del mondo. In conseguenza di quella sua povertà interiore, gli riuscirà difficile cooperare con gli esseri spirituali con cui si trova dopo la morte; perciò non svilupperà forza, energia, ma debolezza e una specie di impotenza animica per la costruzione del suo futuro corpo fisico. Il modello ereditato agirà fortemente su di lui; la lotta contro di esso si esprimerà in ogni sorta di malattie infantili, tuttavia quella debolezza permarrà.

 

Si costruirà un corpo fragile, esposto a ogni tipo di mali. L’interesse spirituale animico di una vita si trasforma così karmicamente nelle condizioni di salute di quella successiva. Le persone che per così dire scoppiano di salute, ebbero nella precedente esistenza vivo interesse per il mondo visibile. A questo riguardo esercitano un marcatissimo influsso certi particolari fatti.

 

Dal più al meno oggi è arrischiato parlarne, ma le connessioni karmiche possono solo venir capite quando si sia disposti ad accogliere la conoscenza di tali fatti particolari. Ad esempio anche nei tempi in cui le anime ora incarnate già vissero sulla Terra esisteva la pittura e vi erano persone cui la pittura non interessava. Ci sono anche ora persone alle quali è indifferente avere alla parete una mostruosità pittorica o un quadro dipinto bene; ve ne furono anche nel tempo in cui le persone che oggi vivono si trovavano in una precedente incarnazione. Ebbene, io non ho mai incontrato nessuno dal volto simpatico, che avesse un’espressione simpatica sul volto il quale, nella precedente vita, non avesse amato la pittura!

 

Le persone con un’espressione antipatica sul volto (e questo pure influisce sul karma, ha un’importanza per il destino) erano sempre quelle che erano passate ottuse e indifferenti davanti ai dipinti.

Ma le cose vanno anche oltre. Vi sono uomini che per tutta la vita e anche durante vite precedenti non hanno mai sollevato lo sguardo alle stelle, che ignorano dove sia la costellazione del Leone, oppure dell’Ariete o del Toro, che non si interessano a nulla in tal campo. Esse rinasceranno con un corpo floscio; pur se avranno avuto genitori atti a trasmettere loro come modello un corpo vigoroso, quello che essi stessi poi si edificheranno sarà floscio, privo di vigore.

 

Tutto lo stato di salute di un uomo in una data vita potrebbe in tal modo venir ricollegato all’interesse

che nella vita precedente egli ebbe per il mondo esterno preso in senso largo.

 

Persone che oggi per esempio non abbiano assolutamente interesse per la musica, alle quali essa è indifferente, rinasceranno con l’asma o con malattie polmonari o predisposte all’asma o a malattie polmonari. Ciò che in vita viene sviluppato nell’anima in virtù dell’interesse per il mondo sensibile, si manifesta in quella successiva nella predisposizione corporea alla salute o all’infermità.

A questo punto si osserverà forse che la conoscenza di simili fatti può togliere ogni attrattiva per la successiva vita terrena.

 

Sarebbe però anche qui un giudizio scaturito dalla coscienza terrena, e questa non è davvero l’unica, perché la vita fra morte e rinascita è di assai maggior durata che non la vita terrena. Se quaggiù qualcuno è rimasto ottuso di fronte a taluni aspetti del mondo circostante, ne consegue per lui l’incapacità di lavorare in certe zone tra morte e rinascita; egli varca le porte della morte con le conseguenze di quel disinteresse. Poi prosegue dopo la morte, ma non potrà avvicinarsi ad alcuni esseri spirituali; questi gli rimarranno estranei perché a lui stesso mancherà la capacità di avvicinarli. Anche alcune anime umane alle quali era stato unito sulla Terra gli rimarranno estranee.

Questa condizione durerebbe eternamente, rappresenterebbe come un’eternità di pena infernale, se nulla intervenisse a mutarla.

 

• La determinazione di ridiscendere sulla Terra per sentire anche attraverso infermità fisiche quello che nel mondo spirituale era stata incapacità, rappresenta l’unico pareggio, la sola cura. Fra morte e rinascita, tale cura è desiderata, perché allora si ha il senso della propria impotenza, e lo si ha in maniera da sentire che, nella successiva esistenza fra morte e rinascita, il dolore sofferto sulla Terra si trasformerà in una spinta che permetterà di conquistare quanto prima era stato trascurato.

 

Si può quindi dire che in sostanza l’uomo porta karmicamente dal mondo spirituale nel mondo fisico

le condizioni di salute e di malattia.

Se però si tiene presente che il karma non si esplica solo come pareggio, bensì anche come preparazione,

e che certe cose possono quindi presentarsi per la prima volta,

non si riferirà ogni condizione di salute o di malattia di una vita fisica alle precedenti vite.

 

Quello però che si presenta dall’intimo come predisposizione a malattia o salute,

è davvero determinato karmicamente nel modo prima descritto.

Il mondo riesce solo comprensibile se si è in grado di vedere oltre la vita terrena;

di per se stessa la vita terrena non lo spiega.

 

Se da queste interiori condizioni karmiche, dalle quali dipende l’organizzazione umana, vogliamo passare ad altre più esteriori, potremo di nuovo partire da un campo della vita che tocca l’essere umano molto da vicino.

Consideriamo per esempio quello che può essere fortemente connesso con le condizioni psichiche di malattia e di salute nei rapporti con gli altri.

 

Supponiamo che in gioventù qualcuno abbia avuto un amico. Fra i due si sviluppa una vera amicizia, un profondo affetto. La vita poi li separa, così che entrambi, o forse specialmente uno di loro, ricorda con rimpianto l’antica amicizia. Questa però non può ricostituirsi, per quanto spesso quelle due persone tornino a incontrarsi. Se riflettiamo sulle conseguenze che l’interruzione di un’amicizia giovanile può talvolta avere sul destino, dovremo dirci che una tale interruzione può influire profondamente sul destino di una persona.

Di queste cose si dovrebbe parlare quanto meno possibile su base teorica; un discorso teorico non serve a nulla. In sostanza si dovrebbe unicamente parlarne o per conoscenza diretta o su quanto ci è stato riferito da altri che vi abbiano direttamente partecipato e il cui racconto appaia plausibile, comprensibile. Stabilire teorie non ha alcun valore, ma se, attraverso la percezione spirituale si tenta di comprendere quel che si cela dietro un’amicizia giovanile troncata, si arriva di solito a scoprire che

coloro i quali, dopo essere stati amici in gioventù, si erano separati,

nella vita precedente erano stati amici in più tarda età.

 

Supponiamo dunque che due persone siano state legate d’amicizia fino ai vent’anni e che poi la loro amicizia si sia spezzata; risalendo con la conoscenza spirituale alla loro precedente vita, si troverà che anche allora erano state amiche, ma dal ventesimo anno in poi. Si tratta di un caso interessante che spesso si presenta, seguendo le cose con la scienza dello spirito.

Esaminando i casi con precisione si scopre che il desiderio di sapere come fosse da giovane la persona con cui si è stretta amicizia in età più tarda, conduce realmente nella successiva esistenza a diventarle amica in gioventù. La si era conosciuta da adulta nella vita precedente, e si ha l’impulso nell’anima di conoscerla anche da giovane. Non si può più farlo in una vita, e lo si fa nella successiva.

 

Se dunque in uno o in entrambi gli amici vi è l’impulso a conoscere l’altro qual era prima del loro incontro, quell’impulso varca le porte della morte e si sviluppa nel mondo spirituale. Ivi si verifica allora come un fissare lo sguardo verso la giovinezza di quella persona e non si genera l’impulso ad esserle vicini anche più tardi. Si spezza così l’amicizia giovanile predisposta da quanto l’anima aveva sperimentato prima di tornar sulla Terra.

Si tratta assolutamente di un caso reale, accaduto nella vita. Sorge però il quesito: come era stata nella precedente esistenza l’amicizia che aveva fatto sorgere il desiderio di ritrovare in una nuova vita terrena la stessa persona nella sua giovinezza?

 

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Qualcosa di particolare deve essere accaduto perché l’impulso ad avvicinarla non si esplichi nel desiderio di continuare a stare vicini anche in età adulta. In tutti i casi che mi sono noti, se le persone in questione fossero state unite anche in seguito, se la loro amicizia non si fosse interrotta, esse si sarebbero venute a noia perché, nella vita precedente, la loro amicizia era stata troppo egoistica. L’egoismo dell’amicizia di una vita trova la sua vendetta karmica nella perdita di quell’amicizia nella vita successiva. Tale è la complessità delle cose! Si ha però un filo conduttore per la comprensione quando si vedono due persone vivere ciascuna per conto proprio, per esempio fino a venti anni, e poi diventare amiche ( I nel disegno).

 

Di solito a tale immagine corrisponde nella vita seguente la condizione rappresentata da II nel disegno, quella cioè di un’amicizia interrotta. Simili casi sono assai frequenti, come in genere è frequente che nella loro configurazione le singole vite si completino a vicenda.

Assai spesso avviene che, quando verso la metà della vita incontriamo una persona che influirà molto sul nostro destino, l’abbiamo già avuta accanto a noi al principio e alla fine dell’esistenza in un’incarnazione precedente. Ciò vale naturalmente solo in via generica, e non in tutti i casi. Se dunque in un’incarnazione si è trascorso il principio e la fine dell’esistenza con una persona, nella vita successiva la si incontrerà verso la metà dell’esistenza.

 

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Oppure accade di essere per destino uniti con qualcuno nell’età infantile; questo significa di regola che nella precedente vita si era stati uniti con quella stessa persona poco prima della morte. Riflessi analoghi appaiono sovente nelle concatenazioni karmiche.