Genealogie di Gesù nel Vangelo di Luca e in quello di Matteo

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 06.09.1910


 

Chiunque leggendo nel vangelo di Luca il capitolo nel quale sono enumerate le generazioni da cui discende Gesù, si convincerà senz’altro che l’intenzione dell’autore di quel vangelo concorda con quanto abbiamo detto nella conferenza precedente.

 

È stato mostrato che

• come l’essenza di una forma divina dovette compenetrare il corpo fisico e l’eterico del Gesù salomonico,

• così pure una forza divina dovette compenetrare il corpo astrale e l’io

della personalità che conosciamo come il Gesù della linea natanica, quello di cui ci parla il vangelo di Luca.

 

Qui vien detto chiaramente che

l’ereditarietà doveva scorrere in linea diretta attraverso tutte le generazioni,

a partire da un’epoca in cui l’uomo non era ancora entrato per la prima volta

in un’incarnazione fisica sul piano terrestre.

 

Vediamo infatti come il vangelo di Luca faccia risalire la genealogia del suo Gesù fino a Adamo, fino a Dio.

 

Ciò significa che per poter scoprire quel principio originario nel corpo astrale e nell’io del Gesù natanico

occorre risalire fino a una condizione dell’essere umano in cui questo

non era ancora stato accolto entro un’incarnazione materiale, terrestre,

in quanto non era ancora disceso dall’esistenza divino-spirituale: dimorava ancora in grembo alle sfere spirituali,

là dove possiamo definire l’uomo come un essere appartenente alla divinità, un essere divino.

 

In base a tutte le considerazioni antroposofiche sviluppate finora, dobbiamo appunto tener d’occhio quel periodo dell’antica epoca lemurica, nel quale l’uomo non si era ancora incarnato negli elementi terrestri, ma viveva in una sfera divino-spirituale.

 

Il vangelo di Luca fa realmente risalire la genealogia del suo Gesù

fino ai tempi in cui l’uomo era ancora di natura divina e non aveva ancora subito l’influsso luciferico.

 

Quelli fra i grandi misteri antichi che portavano i loro discepoli alla conoscenza iniziatica dei grandi segreti del cosmo , si proponevano di portare l’uomo al di là di tutto quanto è terrestre, o meglio, al di là di ciò che l’uomo è divenuto per effetto dell’esistenza terrestre.

Volevano insegnare a contemplare il mondo non come lo si scorge mediante gli strumenti che gli sono stati preparati nel corso dei tempi, in seguito all’influsso luciferico.

 

Uno dei maggiori problemi che si poneva il discepolo dei misteri era questo:

come si presenta l’universo alla visione chiaroveggente,

una volta che ci si sia liberati dalla percezione legata al corpo fisico e a quello eterico,

che ci si sia liberati da ogni influenza terrestre?

 

In una tale condizione si trovava l’uomo in modo naturale, prima di compiere la sua prima incarnazione terrestre,

prima di essere diventato «l’Adamo di terra», per esprimerci secondo la Bibbia e secondo il vangelo di Luca.

 

Sono dunque soltanto due le condizioni

in cui l’uomo può essere ciò che fa di lui un essere divino-spirituale:

• una è l’altissima iniziazione nei massimi misteri;

•l’altra non si può realizzare in una qualsiasi epoca terrestre,

ma esisteva a un gradino elementare dell’esistenza umana,

prima della discesa dell’uomo divino in Terra, nell’epoca lemurica;

prima cioè di quello che la Bibbia chiama «l’uomo di terra»,

poiché «Adamo» significa appunto l’uomo terrestre,

che non è di natura divino-spirituale, ma si è rivestito degli elementi terrestri.

 

A questo punto, qualcuno potrebbe osservare che dopo tutto vengono elencate solamente settantasei generazioni, o (se vogliamo) gradini dell’esistenza. Anche nel vangelo di Matteo ci si potrebbe stupire di trovare menzionate solo quarantadue generazioni da Abramo a Cristo; e si potrebbe calcolare che questa cifra non corrisponde al numero degli anni che di solito si attribuiscono a una generazione.

 

A tale obiezione occorre però rispondere che per i tempi più antichi

è giusto calcolare periodi più lunghi per la durata di una generazione, per esempio nei tempi precedenti il re Davide.

Per accordarci almeno approssimativamente con i dati storici,

non dobbiamo calcolare la durata di tre generazioni successive

(per esempio quelle di Abramo, di Isacco e di Giacobbe) con i criteri validi oggi:

per quelle tre generazioni dovremmo calcolare una durata di circa trecentoquindici anni.

• Questo è un dato che risulta anche all’indagine occulta.

 

Ancora molto maggiore è la durata di una singola generazione nei tempi più antichi,

mettiamo da Adamo ad Abramo.

Nella serie delle generazioni successive ad Abramo

risulta abbastanza evidente a chiunque che la loro durata singola va considerata più lunga;

infatti ai patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe si attribuisce nella Bibbia già un’età relativamente avanzata,

quando nasce loro il primo erede.

 

Se oggi si calcola in media in trentatrè anni la durata di una generazione, gli autori del vangelo di Matteo

attribuirono con ragione a una singola generazione una durata di circa settantacinque-ottant’anni.

Dobbiamo però sottolineare il fatto che nel vangelo di Matteo

i nomi che si susseguono da Abramo in giù si riferiscono a personalità singole.

 

Ma da Abramo in su, e prendendo in considerazione i nomi che troviamo elencati nel vangelo di Luca,

questi non si riferiscono più a uomini singoli.

A tale proposito dobbiamo assolutamente accennare a qualcosa di ben preciso,

anche se può apparire inverosimile alla mentalità materialistica odierna.

 

Quella che attualmente chiamiamo la nostra memoria,

la continuità della nostra coscienza, il ricordo dell’unitarietà della nostra persona,

per l’uomo normale risale oggi di solito fino ai primi anni dell’infanzia.

L’uomo moderno scopre che, ripercorrendo a ritroso nella memoria la propria vita,

a un certo punto il ricordo si spezza.

 

C’è chi si ricorda di un’età più lontana, altri solo di anni più recenti;

ma in ogni caso la nostra memoria è limitata alla singola vita personale,

anzi non l’abbraccia neppure tutta, dalla nascita in poi.

 

Ricordiamo ora quelle che furono le caratteristiche umane in tempi antichi, le facoltà dell’anima, le condizioni di coscienza; ricordiamo che nell’evoluzione umana vi furono epoche nelle quali una certa chiaroveggenza costituiva la condizione normale della coscienza umana.

Non ci stupiremo più, allora, di apprendere che per quelle epoche (neppure tanto remote) le condizioni della memoria erano del tutto diverse da quelle che divennero in seguito; è un fatto che l’indagine occulta è in grado di confermare.

 

Risalendo dunque ai tempi che nella Bibbia vengono menzionati come quelli di Abramo,

si ritrova uno stato di coscienza, e in particolare una memoria

completamente differente da quelle più recenti.

Risalendo poi da Abramo addirittura fino all’epoca atlantica e prima ancora,

dobbiamo riconoscere che la memoria era realmente qualcosa del tutto diverso da come è oggi.

 

Prima di tutto non ci si ricordava soltanto, come adesso, delle esperienze personali fatte in una singola vita,

ma si aveva un ricordo anche di eventi precedenti la nascita,

e di eventi riguardanti il padre, l’avo e così via per una serie di generazioni;

solo più tardi la memoria andò restringendosi a tempi più brevi e poi a una singola vita umana.

 

Anche il significato dei nomi di persona va compreso, per quei tempi più remoti, in modo del tutto diverso (e meriterebbe anzi uno studio particolare il modo in cui nell’antichità si attribuivano i nomi alle persone): il nome proprio aveva un senso ben diverso da quello che oggi noi gli attribuiamo.

Le nozioni che in proposito si ricavano dalla moderna filologia sono in realtà di natura veramente dilettantesca. In passato, l’uso dei nomi in genere era ben diverso. Non ci si sarebbe sognati di designare così, esteriormente, una cosa o una persona con un dato nome, come avviene oggi.

 

In quei tempi, il nome era qualcosa che possedeva una propria essenza

e aveva un rapporto intrinseco con l’essere o la cosa a cui si riferiva

e di cui doveva esprimere nei suoni il carattere interiore.

Il nome doveva allora essere un’eco dell’essenza stessa dell’oggetto a cui si riferiva.

 

Di ciò il nostro tempo non ha neppure più una vaga idea, altrimenti non potrebbero pubblicarsi libri come la Critica del linguaggio di Fritz Mauthner, dove si tien conto in modo pregevole di tutta la critica recente sui problemi del linguaggio, ma si ignora del tutto quello che conta per le lingue dell’antichità.

 

In epoche remote il nome non veniva riferito all’uomo singolo nella sua vita personale,

ma a quanto la memoria custodiva, cosicché il nome era usato per tutto il tempo al quale si estendeva il ricordo.

Noè ad esempio non è un singolo uomo: il nome Noè significa

che prima un certo individuo si ricorda della sua propria vita,

poi al di là della sua nascita ricorda anche la vita del padre, del nonno e così via, fintanto che la memoria regge.

 

E il medesimo nome veniva usato per una tale serie di uomini, collegati dal filo della memoria.

• Lo stesso vale per nomi come quelli di Adamo, di Set o di Enoch,

nomi che valevano per tutte le personalità che venivano collegate dalla memoria retrospettiva.

• Quando dunque in un’età molto antica si diceva che qualcuno si chiamava Enoch,

questo significa: in una certa personalità, figlia di un’altra, denominata diversamente,

si forma un nuovo filo della memoria: a quel punto, egli non ricordava più le personalità precedenti.

 

Ma questo nuovo filo della memoria non si spezzava con la morte di quella prima personalità chiamata Enoch,

bensì si tramandava di padre in figlio, di figlio in nipote, finché poi si inaugurava un altro, nuovo filone di memoria.

E si usava il medesimo nome fintanto che la memoria durava.

• Quando dunque si parla ad esempio di Adamo, sono molti diversi individui che vengono indicati,

nella serie delle generazioni successive.

 

Naturalmente il vangelo di Luca cita i nomi nel senso che ora abbiamo spiegato.

Esso intende dire: noi dobbiamo seguire l’essenza della forza divino-spirituale

che si è immersa nell’io e nel corpo astrale del Gesù natanico,

fin lassù, quando per la prima volta l’uomo s’immerse in un’incarnazione terrestre.

 

Troviamo dunque nel vangelo di Luca dapprima nomi di singoli individui.

Poi però, risalendo oltre Abramo, giungiamo ad epoche nelle quali la memoria durava più a lungo,

e qui troviamo riunito anche in un unico nome

ciò che attraverso personalità diverse si perpetuava, quasi come un io, per mezzo della memoria.

 

In questo modo riuscirà più facile considerare come distribuiti in epoche lunghissime i settantasette nomi elencati nel vangelo di Luca, considerarli estesi fino al momento in cui l’entità divino-spirituale dell’uomo si incarnò per la prima volta in un corpo umano fisico materiale.

 

Ma vi è anche dell’altro che bisogna cercare in quella lista di nomi e di generazioni:

il fatto che nei misteri maggiori il discepolo riusciva, attraverso settantasette gradini,

a purificare la sua anima da tutto quanto l’umanità aveva accolto in sé durante l’esistenza terrestre;

e così conseguiva quella condizione che oggi è possibile solo se l’uomo

si libera dal corpo e impara a vivere nel corpo astrale e nell’io.

 

In questa condizione egli può effondersi nel cosmo

da cui la Terra stessa ebbe origine, in tutto l’universo circostante.

A quel punto il discepolo ha raggiunto l’essenza di quella stessa forza divina

che penetrò nel corpo astrale e nell’io del Gesù natanico.

 

Nel Gesù natanico doveva presentarsi ciò che l’uomo ha ricevuto non dalla Terra, ma dal cielo.

Perciò il vangelo di Luca ci descrive l’entità divino-spirituale

che ha impregnato il corpo astrale e l’io del Gesù natanico.

 

Il vangelo di Matteo invece descrive la forza divina che da quel lato operò in Abramo,

perché potesse formarsi l’organo interno atto a creare la coscienza di Jahvé.

D’altro lato si tratta della medesima entità che agì per quarantadue generazioni nel corpo fisico e nell’eterico,

concentrandosi in un’unica linea ereditaria.