Gli effetti del triplice evento cristico nell’epoca postatlantica

O.O. 149 – Cristo e il mondo spirituale – La ricerca del santo Gral – 31.12.1913


 

Sommario: Gli effetti del triplice evento cristico nell’epoca postatlantica. La cronologia nella concezione del mondo di Zaratustra; l’astrologia nei misteri egizi e caldaici; la meteorologia nel periodo greco-romano. L’elemento geologico presso i profeti ebrei.

 

Ieri abbiamo preso in considerazione il modo in cui era stato preparato ciò che dovette aver luogo col mistero del Golgota, a favore dell’evoluzione terrena dell’umanità. In quel contesto abbiamo parlato delle tre compenetrazioni di un essere delle gerarchie superiori da parte del Cristo, scoprendo poi nella meravigliosa figura dell’Apollo greco un’eco dell’evento compiutosi verso la fine dell’epoca atlantica, quasi come un remotissimo preannuncio del mistero del Golgota stesso.

 

Dovremo adesso indagare in che modo abbia operato nell’evoluzione dell’umanità quell’impulso che vi penetrò in modo tanto misterioso. A tal fine è necessario esaminare il carattere fondamentale delle concezioni del mondo che si sono manifestate nell’epoca postatlantica, come riflessi, come echi di quel triplice intervento del Cristo che si può considerare in certo senso conchiuso alla fine dell’epoca atlantica.

 

Cerchiamo dunque di approfondire i caratteri essenziali delle concezioni sorte nell’epoca postatlantica. Nella loro formazione va tenuto conto del fatto che nelle anime umane operavano gli effetti di tutti gli eventi che ho descritti nella conferenza precedente. Le concezioni del mondo delle civiltà postatlantiche sono quasi immagini riflesse del triplice evento cristico nelle anime umane. Da questo punto di vista, per ciò che riguarda il primo periodo di civiltà postatlantico, basteranno poche parole, in quanto lo abbiamo caratterizzato spesso in altre prospettive. Qui vorrei soltanto dire che quella prima civiltà postatlantica è stata la più spirituale fra tutte quelle succedutesi fino ad oggi; tuttavia va rilevato che quanto viveva nelle anime dei santi risci e dei loro seguaci non era ancora tanto compenetrato dai misteri descritti nella conferenza precedente.

 

La prima concezione del mondo postatlantica che ci si presenta come un effetto diretto del triplice intervento del Cristo è quella che sorse per gli impulsi dati da Zaratustra. A questo punto sono costretto a osservare che di necessità dovrò usare parole che suonano astratte, aride o addirittura pedantesche, per l’uso che se ne fa oggi. Ma per quanto si cerchi, nel linguaggio non abbiamo a disposizione termini diversi. Vorrei quindi fare appello alle anime dei miei ascoltatori, perché sentano nelle parole che userò qualcosa di infinitamente più spirituale del significato che la scienza moderna attribuisce loro di solito. Dal punto di vista che ci interessa in questo momento, vorrei chiamare la concezione di Zaratustra una concezione improntata alla « cronologia ». Al disopra delle entità di Ahura Mazdao e di Arimane, la concezione zaratustriana vede Zeruana akarana; l’azione del tempo. Non si tratta però del tempo astratto, quale lo concepiamo oggi, ma del tempo concepito come un essere vivente sovrapersonale. Infatti dall’essere che dobbiamo chiamare « tempo », la concezione di Zaratustra vede scaturire i reggitori del tempo: per prime, le entità spirituali che sono simbolizzate nello spazio cosmico dallo zodiaco: gli amshaspand. Per mezzo del loro numero di sei (e per mezzo del dodici, se si aggiungono i loro antipodi), essi regolano gli ized, che sono in numero da ventotto a trentuno.

 

Questi sono spiriti di rango inferiore, servitori del sommo essere del tempo, e regolano i giorni nel mese. La coscienza zaratustriana scorgeva la mirabile armonia che opera con le sue forze nell’universo e che si simbolizza nel numero, in tutti i rapporti e le combinazioni possibili fra il 28-31 e il 12. Essa percepiva chiaramente tutto ciò che fluisce e percorre il cosmo per il fatto che nella immensa orchestra universale gli strumenti suonano in quei rapporti numerici. Questo la concezione zaratustriana considerava l’elemento ordinatore e armonizzatore nell’universo.

 

A questi rapporti vorrei qui soltanto accennare. Per il fatto che ciò che crea e allo stesso tempo consuma, che accoglie le successive concezioni del mondo (digerendole per così dire spiritualmente e portandole avanti verso altri livelli), per il fatto che la concezione zaratustriana considera il « tempo » qualcosa di vivo e di sovrapersonale, proprio per tutto questo ci è lecito definire « cronologia » quella concezióne del mondo, usando il termine in senso più spirituale del suo uso comune, e pensando anche al dio Crono, il reggente del tempo.

 

Giungiamo poi al terzo periodo postatlantico, durante il quale, come abbiamo già detto ieri, le anime venivano stimolate al sapere dalle entità che operavano negli astri; qui il mistero universale non veniva più scorto a livello delle entità del tempo, operanti sul piano soprasensibile, ma si penetrava già nell’esistenza materiale, per esempio nel corso visibile delle stelle e nella loro scrittura celeste, attribuendo a questi fattori l’attività armonizzante e melodizzante della vita universale. Questa concezione del mondo si potrebbe chiamare astrologia; essa fa seguito alla cronologia. Tutte le rivelazioni dell’autentica cronologia zaratustriana, tutte quelle dell’autentica astrologia dei misteri egizio-caldaici, scaturivano dalla segreta opera spirituale del triplice evento cristico, precedente la grande catastrofe atlantica.

 

Che cosa venne poi nella civiltà greca, ovvero nel periodo greco-romano? Quello che sto per dire adesso non vale solo per il mondo greco e per quello romano, ma anche per tutte le rimanenti regioni europee. Nella conferenza precedente ho cercato solamente di chiarire il dato di fatto con un singolo caso, ma la cosa vale per tutto l’occidente.

Torniamo per un momento a considerare come i Greci venerassero Apollo, questo riflesso attenuato del bambino Gesù natanico, quale era stato verso la fine dell’epoca atlantica. Abbiamo visto che Apollo giungeva al suo oracolo di Delfi provenendo dal nord, dal paese degli Iperborèi. Per bocca della Pizia egli enunciava ai Greci le cose più importanti durante l’estate. Venuto l’autunno, egli ritornava nel suo paese iperboreo. Abbiamo messo in rapporto queste migrazioni di Apollo con il corso del Sole; poiché è il Sole spirituale a rivelarsi attraverso Apollo, esso migra verso nord quando il Sole fisico va verso il sud. I miti rivelano la loro profonda saggezza, quando li osserviamo alla luce del vero occultismo. Eppure non era la vista del Sole a simbolizzare per i Greci il loro Apollo; nell’adorare Apollo, il greco antico non guardava…veramente al Sole, come al suo simbolo stellare esteriore.

Apollo non è dio solare, nel senso che il Sole visibile fosse il suo simbolo: i Greci attribuivano questo ruolo a Helios che regolava il corso celeste del Sole. Infatti, anche prendendo in considerazione l’aspetto fisico, l’azione del Sole sugli uomini e sull’esistenza terrestre in genere non si esplica soltanto mediante l’influsso diretto dei suoi raggi; il Sole esercita la sua azione prima nell’aria e nell’acqua, nei vapori, anche in quei vapori che abbiamo descritti come emergenti dal baratro della Fonte Castalia e avvolti a mo’ di drago intorno alle montagne sovrastanti: di quel drago che sarebbe stato ucciso dall’analogo greco di San Giorgio.

Il Sole opera in tutti gli elementi, e dopo avere attraversato e compenetrato gli elementi terrestri, agisce poi sull’uomo tramite i suoi servitori che chiamiamo gli spiriti elementari. Lo spirito solare opera vivendo negli elementi, e in Apollo i Greci scorgevano appunto questa attività.

 

Apollo era per loro il dio del Sole, ma non identico a quell’Helios che guidava intorno al cielo il carro solare, regolando le ore del giorno. Guardando ad Apollo, il greco guardava agli effetti solari nell’atmosfera: questo tipo di attività riceveva da lui il nome spirituale di Apollo. Lo stesso vale per molte divinità ed esseri spirituali che ritroviamo presso i popoli dell’occidente. Potrei nominarne parecchie, ma mi limiterò a ricordare Wotan che galoppa nella tempesta seguito dalle sue schiere selvagge.

 

Che cosa era dunque diventata nel quarto periodo postatlantico la concezione del mondo dipendente dal triplice intervento del Cristo, di cui era un’eco? Ancora una volta dovrò usare un termine pedantesco, arido: all’astrologia era seguita la « meteorologia ». Dunque: cronologia, astrologia, meteorologia. Solo che per intendere rettamente questi termini, dobbiamo metterli in rapporto con la parola logos!

 

Mentre tutto ciò irrompeva nel mondo occidentale, l’intera civiltà postatlantica ricevette anche un altro impulso, qualcosa di diverso ch’era un’eco del triplice evento cristico proveniente da tutt’altra direzione. Questo quarto elemento che irruppe per così dire in parallelo con la meteorologia propria del quarto periodo postatlantico, devo definirlo ancora una volta con un termine arido e pedantesco: quello di « geologia »; ma anche qui, in senso non disgiunto dal concetto di logos! Dove incontriamo questa geologia?

 

Non si potranno mai comprendere i veri segreti dell’antica civiltà ebraica, se non la si considererà come geologia, nel senso particolare che vogliamo attribuire al nostro modo di prenderla ora in considerazione. Come ci si presenta al principio la schiera degli Elohim, come ci si presenta il dio Jahve? Egli vuole formare l’uomo con quanto è tratto dalla Terra stessa, vuole conferire un nuovo involucro, e precisamente un involucro di terra, a ciò che proveniva dalle passate evoluzioni di Saturno, del Sole e della Luna. Jahve è proprio il dio che forma l’uomo con la terra, cioè con le forze e gli elementi della Terra. In questo senso l’antica sapienza ebraica, in quanto professava il dio Jahve, dovette diventare geologia. Geologia si può anche chiamare la dottrina dell’uomo fatto dalle forze della Terra.

 

Nel nome stesso del primo uomo ci si presenta subito il carattere « geologico » dell’antica dottrina ebraica: Adam, l’uomo di terra. Questo è l’aspetto importante che non bisogna perdere di vista: la concezione che dell’anima ebbero tutti gli altri popoli (diciamo i popoli della concezione « meteorologica ») ci parla in modo diverso sulla formazione dell’uomo. Per esempio la concezione greca ci mostra Prometeo che plasma l’uomo; sopravviene Pallade Atena e dalle altezze spirituali opera la congiunzione dell’uomo con la scintilla dello spirito. Prometeo poi forma l’anima a mo’ di farfalla.

 

Il dio Jahve forma l’uomo di terra, ed essendo egli, Jahve, divenuto il signore della Terra, insuffla dalla propria sostanza nell’uomo l’anima vivente. Così Jahve si congiunge mediante il proprio àlito con la forma di terra da lui plasmata. Egli vuole vivere nel suo figlio, nel suo soffio vitale, in Adamo e nei suoi discendenti, i figli della Terra, gli esseri per i quali il dio Jahve considerò suo compito plasmare un involucro di terra. A questo punto possiamo cercare di procedere oltre e di esaminare tutto quanto troviamo trasmesso dall’antichità ebraica nella Bibbia.

 

Sappiamo che la Terra sviluppa certe forze; un Goethe, un Giordano Bruno e altri ancora confrontarono tali forze con quelle della inspirazione e dell’espirazione nell’uomo. La Terra sviluppa dunque certe forze, quasi di inspirazione e di espirazione, che producono l’alta e la bassa marea, l’elevarsi e l’abbassarsi del livello dell’acqua, anche forze interne della Terra, che sono poi le stesse che condizionano il moto della Luna intorno alla Terra. Queste forze terrestri ci si presentano spesso nei loro effetti sulle acque.

 

Nella Bibbia troviamo menzionato il diluvio universale come un altro evento importante dopo la creazione di Adamo, l’uomo di terra. Se poi procediamo fino al tempo di Mosè, troviamo ancora registrate tutta una serie di attività terrestri. Mosè percuote la roccia con la sua verga, ed acqua scaturisce dalla terra. Mosè sale sul monte: sono pure attività terrestri quelle che si manifestano proprio su quella montagna. Infatti dobbiamo considerare quel monte come un vulcano, o almeno di natura vulcanica. Non si tratta del Sinai che si considera di solito; si tratta essenzialmente di un’attività terrestre: la colonna di fuoco entro la quale si trova Mosè è qualcosa di simile al fenomeno che si vede nelle solfatare di Pozzuoli e dintorni, dalle quali s’innalza del fumo quando si mette fuoco a un pezzo di carta; anche dalla montagna di Mosè erompe un’attività tellurica, un fumo ardente.

 

Gli antichi ebrei scorgevano sempre dei simboli nell’attività della Terra; così essi erano preceduti dalla colonna di nubi o da quella di fuoco. Potremmo prendere in considerazione numerosi particolari, trovando ovunque che lo spirito della Terra agisce là dove Mosè parla delle rivelazioni di Jahve: la predicazione di Mosè è per così dire « geologia ». Non si comprenderà mai la profondissima diversità della concezione ebraica da quella greca, senza tener conto che quest’ultima è « meteorologia », e quella ebraica è « geologia ».

Il greco antico concepisce tutto quanto sente svilupparsi intorno a sé

come connesso con le forze provenienti dal cosmo ed effuse negli elementi terrestri,

nell’ambiente aereo che circonda la Terra.

• Invece tutto quello da cui si sente circondata la concezione ebraica

è legato alle forze della Terra, alle forze che dalla Terra si svolgono verso l’alto.

• Perfino le sofferenze del popolo ebraico provengono dal carattere desertico,

legato dunque alla Terra e alle sue attività.

•  La geologia percorre l’intero destino del popolo ebraico;

è « geologia » la fecondità della Terra che, annunciata dai suoi esploratori, lo attira nella Terra promessa.

 

Paolo sa perfettamente che la coscienza della connessione con lo spirito della Terra è un effetto postumo dell’evento cristico pre-terrestre; infatti Paolo sottolinea che fu il Cristo a precedere gli Ebrei nelle colonne di nubi o di fuoco, e che fece scaturire l’acqua dalla roccia nel deserto.

 

Se poi passassimo dalla Bibbia alle ricche raccolte di leggende del popolo ebraico, le troveremmo tutte compenetrate dalla « geologia » alla quale abbiamo accennato. In una di esse ci viene narrato che quando Jahve creò l’uomo di terra, inviò i suoi angeli in ogni direzione, per raccogliere tutti i colori terrestri dalle diverse parti della Terra e mescolare ogni sorta di terre per formare l’involucro di Adamo. Oggi diremmo che Gèova fece in modo di porre l’uomo sulla Terra come il fiore più bello, come il coronamento della creazione terrestre.

 

• Si può dire che per i Caldei, per gli Egizi, per gli zaratustriani, per i Greci e i Romani, e per i popoli del centro e del nord d’Europa, la parte più importante dell’uomo è quella che proviene dal mondo spirituale.

• Per gli Ebrei, invece, la parte più importante è ciò che sta in rapporto con la Terra e le sue forze. Jahve si sente come il dio che compenetra spiritualmente la Terra.

• Abbiamo dunque mostrato che si deve considerare come uno degli eventi più importanti del quarto periodo postatlantico questo aggiungersi della « geologia » alla « meteorologia »; e ciò si esprime mirabilmente nella sua controparte spirituale, nel profetismo ebraico antico.

 

A che cosa aspiravano veramente quei profeti? Cerchiamo di penetrare proprio nell’intimo delle anime dei profeti, di Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele, Gioele, Giona e Zaccaria: a che cosa aspiravano?

Se si osservano senza preconcetti le anime dei profeti ebrei, si trova che essi si sforzano in fondo di mettere in risalto una certa forza dell’anima umana, reprimendo invece un’altra forza, ricacciandola per così dire nel fondo della vita psichica.

Abbiamo già veduto che nei dipinti di Michelangelo i profeti sono sempre raffigurati come assorti in profonda meditazione, sorretti da una pace interiore; le loro anime mostrano di essere unite in profondità con quanto è eterno.

 

In contrasto con tali atteggiamenti, Michelangelo raffigura le sibille agitate dagli elementi terrestri, come quella scarmigliata dal vento che le mette in disordine anche la veste azzurrognola; è sotto l’azione del vento che essa emette la sua profezia. Un’altra ci si presenta afferrata da un ardore interno: scorgiamo il fuoco, l’elemento terreno del fuoco esprimersi nel singolare gesto della mano.

Come abbiamo già indicato in precedenza, le sibille della Sistina sembrano vivere entro le forze che irrompono nell’anima direttamente dall’ambiente degli elementi terrestri che le circonda.

 

Ora, i profeti dell’antico giudaismo volevano respingere tali forze sibilline che suggono per così dire nell’anima lo spirito degli elementi terrestri e lo portano ad espressione. Leggendo l’intera storia dei profeti senza opinioni preconcette, si può scoprire che la sua disciplina portava l’antico profeta a soggiogare in se stesso il tratto sibillino, a impedirgli di manifestarsi.

 

Apollo trasforma il carattere sibillino della Pizia immergendosi egli stesso nella Sibilla e parlando per suo tramite.

Anche i profeti tendono a sopprimere l’elemento sibillino nelle loro anime,

coltivando solo ciò che opera nella chiara forza dell’io:

quell’io che è collegato con la Terra, che le appartiene e che è la contro-immagine spirituale dell’elemento geologico.

L’eterno si manifesta nell’io in calma pacatezza,

quando tacciono gli elementi sibillini, e cessa ogni agitazione interiore,

quando regna la pace interiore che scorge il fondo dell’eterno: questo è quanto i profeti ebrei volevano sviluppare,

e i loroannunci profetici dovevano scaturire da uno stato d’animo

teso a ricercare nell’anima ciò che massimamente corrisponde alla « geologia ».

 

Nelle travolgenti parole di quei profeti risuona l’eco dell’elemento geologico, e perfino le profezie mancate rivelano che l’elemento geologico è proprio dei profeti. Il senso primo del loro annuncio è di un regno futuro che dovrà però essere visibilmente legato alla Terra e destinato a succedere al « regno » attuale, un cielo in Terra: qui si manifesta la loro stretta connessione con la « geologia ».

Questo elemento geologico degli antichi profeti fluisce anche nei primi tempi del cristianesimo, in quanto si attendeva il prossimo ritorno del Messia, nel senso ch’egli avrebbe dovuto discendere dalle nuvole e fondare sulla Terra un regno terreno.

• Si potrà comprendere ciò che risplende nell’antica civiltà ebraica solo tenendo conto di questo elemento per così dire geologico. La nostalgia dei profeti, il contenuto del loro insegnamento, era proprio la soppressione dell’elemento sibillino, di tutto ciò che fa sprofondare l’anima in abissi subcoscienti, mentre favorivano tutto quello che vive nell’io.

Tutti gli altri popoli ebbero con i loro dèi rapporti diversi da quelli che gli Ebrei ebbero col loro Jahve. I rapporti degli altri popoli con i loro dèi erano un’eco dei rapporti esistiti fra l’uomo e gli spiriti delle gerarchie superiori, durante le fasi pre-terrestri di Saturno, dell’antico Sole e dell’antica Luna.

 

Il popolo ebraico era invece destinato a elaborare particolarmente

ciò che potè svilupparsi durante il periodo della Terra.

Ma come si esprime un rapporto che l’io crea da se stesso col suo dio?

Non come un’ispirazione (per effetto della quale anche la sfera morale avrebbe potuto manifestarsi come una diretta compenetrazione dell’anima da parte delle forze divine), ma come un comandamento.

 

Solo nel popolo ebraico incontriamo la forma del comandamento, quale la troviamo nel decalogo di Mosè. Anche se la scienza ritiene di aver dimostrato l’esistenza di leggi più antiche dei dieci comandamenti (come ad esempio il codice di Hammurabi*, ma non posso entrare qui in particolari), solo presso il popolo ebraico incontriamo per la prima volta quella forma di comandamenti, per cui l’io si trova direttamente di fronte a Dio, dal quale riceve la norma, il comandamento in modo da dovervi obbedire per intima volontà dell’io stesso.

 

Così pure solo presso il popolo ebraico troviamo che Dio stringe un patto col popolo. Le altre divinità agiscono per mezzo di forze che hanno sempre a che fare con la sfera subcosciente dell’anima. Ricordiamo ancora una volta come Apollo operasse per tramite della Pizia, e come doveva prepararsi l’anima che ascendeva verso l’oracolo di Delfi, perché il dio potesse parlarle: Apollo si esprimeva attraverso la vita psichica della Pizia immersa nel subcosciente.

 

A questo si contrappone il dio Jahve che parla nei suoi comandamenti, che stringe un patto col suo popolo, e che si rivolge direttamente all’io dell’anima. Subito i profeti inveiscono, quando (come spesso accadde) gli Ebrei cedono agli influssi dei popoli pagani. Le forze subcoscienti non dovevano penetrare nel popolo ebraico, tutto doveva rimanere fondato sul patto stretto con Dio, sul principio dei comandamenti. Di questo i profeti si preoccupavano massimamente.

Tentiamo ora di gettare uno sguardo retrospettivo su quanto abbiamo voluto illuminare finora, tenendo conto di ciò che risulta alle conoscenze soprasensibili.

Nella conferenza precedente sono stati trattati i tre interventi del Cristo, avvenuti nell’epoca lemurica e in quella atlantica. Abbiamo veduto come il Cristo abbia compenetrato per tre volte l’entità che più tardi comparve come il fanciullo Gesù natanico, senza che però tale entità si fosse propriamente incarnata in un corpo terrestre, bensì fosse rimasta nei mondi spirituali.

 

Seguendo a fondo quegli eventi, bisogna dire che quanto si compì allora nell’Atlantide fluì più tardi verso l’oriente. Elia per esempio fu uno dei profeti; ma in che modo si comporta Elia da profeta? Egli serve il dio Jahve, mentre nella sua anima vive l’eco del triplice antico evento cristico. Nella sua anima vive questa conoscenza: in quanto profeta di Jahve, io devo soprattutto annunciare che in Jahve vive il Cristo che più tardi compirà il mistero del Golgota; che vivono in lui gli effetti scaturiti dal terzo evento, verso la fine dell’epoca atlantica.

 

Elia annunciava un Jehova compenetrato dal Cristo;

Cristo viveva già in Jehova, nel dio Jahve, ma vi si trovava come un riflesso di se stesso.

• Come la luce lunare riflette quella del Sole, così Jahve rifletteva l’entità che poi visse nel Cristo.

Cristo stesso rifletteva la propria realtà nel dio Jahve.

 

Ma un messaggero quale fu Elia operò nella scìa degli effetti del triplice evento cristico; Elia precorse per così dire l’entità del Gesù natanico che si spostava spiritualmente da occidente verso oriente, per compenetrare le successive civiltà e per nascere infine come uno dei due bambini Gesù. Tutti i popoli sentivano oscuramente come un preannunzio ciò che fluiva in sovrabbondanza dalla sfera della « meteorologia », soprattutto quando questa veniva sfiorata dalla sfera della « geologia ».

 

Ci troviamo di fronte al fatto singolare che, proprio nel luogo che assunse poi tanta importanza per lo sviluppo del cristianesimo, avvenne uno di tali eventi premonitori. Nei più diversi posti del vicino oriente, ma anche in Europa, si celebravano delle festività che preannunciavano l’avvento del Cristo, il mistero del Golgota. Il culto di Adonide e quello di Attide sono stati a ragione interpretati come preannuncio profetici dell’evento del Golgota.

 

Se però le osserviamo attentamente, vediamo che tutte quelle festività raffiguravano ancora l’evento futuro in veste per così dire meteorologica. Il dio che viene ucciso e poi risorge, in forma di Adonide, non è concepito come se fosse incarnato in un corpo umano, ma si tratta di un’immagine; l’immagine dell’essere angelico che alla fine dell’epoca atlantica era stato compenetrato dal Cristo nelle altezze spirituali e che più tardi divenne il bambino Gesù natanico.

Nei culti di Adonide e di Attide si celebrava il destino del bambino Gesù natanico.

 

Fu un karma della storia universale (e si potrebbe anche scavare più a fondo nel significato di queste parole) il fatto che nel luogo dove il Vangelo pone con ragione la nascita del bambino Gesù, a Betlemme, si celebrasse in precedenza un culto di Adonide. Betlemme era uno dei luoghi in cui si celebrava quel culto. Molte volte vi era stata celebrata la morte e la risurrezione di Adonide. Per creare l’atmosfera propizia veniva evocato questo ricordo: c’era una volta nelle altezze spirituali un essere che allora apparteneva ancora alla gerarchia degli angeli, che più tardi sarebbe disceso sulla Terra come bambino Gesù natanico, e che verso la fine dell’epoca atlantica era stato compenetrato dal Cristo.

 

Nella festa di Adonide si celebrava appunto quanto era avvenuto in quel remoto passato, per armonizzare il pensare, il sentire e volere umani.

E proprio a Betlemme, esattamente nel luogo dove venivano celebrate le festività per Adonide, avvenne la nascita del bambino Gesù natanico.

Ecco che nelle parole delle sacre Scritture si scoprono delle strane consonanze.

 

Dopo avere cercato il triplice evento del Cristo, quell’evento sovraterreno che per tre volte precedette il mistero del Golgota, non vediamo forse il Cristo spostarsi da occidente (dall’Atlantide) verso oriente, verso il luogo dove si compirà il mistero del Golgota? non vediamo come egli abbia inviato un messaggero davanti a sé, già con Elia, del quale sappiamo che riapparirà nella sua successiva incarnazione come Giovanni Battista? e di questo ultimo non ci viene forse detto, in parole dal suono mirabile: Egli ha inviato davanti a sé il suo angelo perché lo annunciasse?

 

Sono parole che valgono sia per Giovanni sia per Elia, ma per Elia anche meglio. Parlando in altre occasioni di Elia, ho infatti avuto modo di esporre come in realtà egli non fosse mai veramente disceso a incarnarsi sulla Terra, ma come avesse quaggiù solo un rappresentante per il tramite del quale egli operava. Tenendo conto di ciò, le parole sull’angelo precursore si adattano ancor meglio a Elia che a Giovanni. Tali messaggeri (angelo significa appunto messaggero) erano sempre messaggeri del Cristo che si era trasferito dal lontano occidente verso l’oriente.

 

L’elemento che presso il popolo ebraico era per così dire di natura geologica doveva ora compenetrarsi dell’essere spirituale che abbiamo appreso a conoscere in questi giorni nella sua specifica attività per la Terra. La « geologia » doveva in certo senso venire compenetrata dal Cristo; bisognava sentire in modo nuovo lo spirito della Terra, imparando in certo senso a scioglierlo dalla Terra.

 

Questo però non era possibile senza l’intervento di una forza capace appunto di sciogliere lo spirito della Terra dalle forze propriamente terrestri ed è proprio quanto avvenne quando l’aura della Terra fu compenetrata dalle forze del Cristo, trasformando così la Terra stessa. Il Cristo fece il suo ingresso nelle forze scatenate dal dio Jahve e ne trasformò la natura in qualcosa di nuovo.

Tenendo conto di questo, comprendiamo ora una cosa particolare: comprendiamo perché l’alloro fosse considerato l’attributo di Apollo.

Per chi studi la botanica valendosi anche dei dati scientifico-spirituali, l’alloro (o lauro) è una pianta strettamente connessa con le condizioni meteorologiche: esso è interamente plasmato e edificato dalle condizioni meteorologiche.

 

Un’altra pianta invece è molto più strettamente congiunta con la Terra ed è per così dire l’espressione delle condizioni geologiche. Occorre sentire veramente l’olio che compenetra l’intera pianta dell’ulivo, occorre sentire stimolate le forze elementari della propria anima dal fatto che nell’ulivo attecchisce nel modo migliore l’innesto di un germoglio estraneo: si sentirà allora che l’ulivo è come interamente compenetrato dall’olio che ha origine nella terra. Si sente pulsare nell’olio la forza penetrante dell’elemento terrestre.

 

A questo punto possiamo ricordarci di un tema al quale accennai nella seconda di queste conferenze: Paolo, chiamato a creare il ponte fra l’antichità ebraica e il cristianesimo, fra geologia e cristologia. Come abbiamo ricordato, l’attività di Paolo si esplicò nella zona dell’ulivo.

 

Se ora ascoltiamo Apollo entro i vapori emergenti dal baratro montano, mediante i quali egli commuove la Pizia a pronunciarsi in saggezza sui destini umani, possiamo anche sentire le forze elementari che irradiano dall’ulivo nel suo ambiente e in cui si inserisce la forza elementare dell’anima di Paolo: possiamo sentirle nelle sue parole. Paolo s’immerge per così dire nella « geologia », per sentire la forza elementare dell’ulivo nell’aura dell’albero stesso, per farsi ispirare da quest’aura nella cui zona geologica egli svolge la sua attività.

 

Oggi si leggono le cose in modo troppo astratto e si crede che anche i pensieri espressi dagli autori antichi siano collegati tra loro in modo astratto, esclusivamente cerebrale, come molte asserzioni di autori più recenti. Non si pensa che tutte le forze dell’anima, e non solo l’intelletto e la ragione, possano essere profondamente collegate con ciò che dà la sua impronta a un certo territorio.

 

Alla sfera d’azione di Paolo fu l’ulivo a dare la sua impronta. Quasi volesse innalzare fino alla sua altezza l’antica « geologia » ebraica, egli (ispirato dalle forze dell’ulivo) espresse pensieri importantissimi sui rapporti esistenti fra gli uomini ricolmi di Cristo e gli uomini lontani da Cristo. Ascoltiamo le singolari parole di Paolo, considerandole non in modo astratto, ma come qualcosa che ha radici elementari nella sua anima, come parole plasmate dalle profondità elementari della sua anima, mediante la quale egli vuol mettere in rapporto i cristiani di origine pagana con gli Ebrei:

• « Lo dico a voi, gentili, che in quanto io sono apostolo dei gentili io mi sforzo di fare onore al mio ministero eccitando a emulazione qualcuno della mia stirpe e salvandone alcuni.

 

Se infatti la loro riprovazione fu riconciliazione del mondo, che sarà la loro ammissione, se non la vita dai morti? E se le primizie sono sante, santa è pure la massa, e se la radice è santa, sono santi anche i rami. E se pure alcuni rami sono stati tagliati, e tu, o ulivo selvatico, sei stato innestato nel loro posto e sei divenuto partecipe della radice e del succo dell’ulivo, non ti vantare contro i rami. Se t’insuperbisci, ricordati che non tu sostieni la radice, ma la radice sostiene te. Tu potresti dire: quei rami furono tagliati perché io fossi innestato. Bene, sono stati tagliati a causa dell’incredulità, mentre tu stai saldo per la fede. Non insuperbirti però, ma temi piuttosto che Dio, che non ha risparmiato i rami naturali, non risparmi neppure te. Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti e la bontà verso di te, se ti atterrai alla bontà; altrimenti anche tu sarai reciso. E anche quelli, se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati, perché Dio è potente per innestarli di nuovo. Infatti, se tu sei stato tagliato dall’ulivo per sua natura selvatico e innestato contrariamente alla tua natura in un ulivo buono, quanto più essi che vi appartengono per natura, saranno innestati sul loro proprio ulivo. »

 

Così parlava l’uomo di cui vedremo prossimamente in che modo egli abbia ricavato dalla « geologia » ebraica ciò che aveva da dire: come egli abbia grandiosamente creato l’immagine per il pensiero che voleva esprimere, traendola dalla forza elementare che sale dalla terra per operare nell’ulivo.