Gli esercizi spirituali

O.O. 9 – Teosofia – (Il sentiero della conoscenza)


 

Esercizi di dedizione spirituale piena di abnegazione

 

• Chi voglia intraprendere il sentiero della conoscenza superiore

deve esercitarsi a potere in ogni momento spegnere se stesso con tutti i suoi pregiudizi.

• Nella misura in cui si spegne, le cose si riversano in lui.

• Solo alti gradi di questa dedizione piena di abnegazione

ci danno la possibilità di accogliere i fatti spirituali superiori che da ogni parte ci circondano.

• Questa facoltà può essere coltivata in sé in modo cosciente.

 

Proviamo per esempio ad astenerci da ogni giudizio sulle persone che ci circondano.

• Facciamo tacere in noi la norma dell’attrazione o della repulsione,

della stupidità o dell’intelligenza che siamo soliti applicare,

e tentiamo di capire gli uomini senza quella norma, semplicemente quali sono.

 

I migliori esercizi potranno essere fatti su persone verso cui proviamo antipatia.

Si reprima con vigore tale antipatia e si lasci agire senza preconcetti su di noi tutto ciò che essi fanno.

• Oppure, trovandoci in un ambiente che suscita in noi giudizi,

si reprimano i giudizi e ci si apra senza preconcetti alle impressioni.

 

Si lasci che le cose e gli eventi parlino, anziché parlare noi di essi.

Si estenda questa disciplina anche al mondo dei nostri pensieri.

Si reprima in noi ciò che forma questo o quel pensiero

e si lasci che solo ciò che è fuori produca i pensieri.

 

Solo quando siano fatti con la più rigorosa serietà e costanza, questi esercizi conducono alla conoscenza superiore. Chi li tiene in poco conto nulla sa del loro valore. Chi è esperto di queste cose, sa che la dedizione e l’assenza di preconcetti sono veri generatori di forza. Come il calore prodotto nella caldaia si trasforma nella forza motrice della locomotiva, così gli esercizi di dedizione spirituale piena di abnegazione si trasformano nell’uomo in forza di percezione dei mondi spirituali.

Mediante questi esercizi l’uomo si rende ricettivo per tutto quanto lo attornia. Alla facoltà di accogliere le cose deve però accompagnarsi quella della giusta valutazione. Finché si resta inclini a sopravvalutare se stessi a scapito di ciò che ci circonda, ci si sbarra l’adito alla conoscenza superiore.

 

Chi di fronte a ogni cosa e evento del mondo si abbandona alla gioia o al dolore che essi gli recano,

è ancora schiavo di questa sopravvalutazione,

poiché dalla sua gioia e dal suo dolore egli nulla apprende intorno alle cose, ma soltanto intorno a se stesso.

• Se provo simpatia verso una persona, non sento all’inizio che il mio rapporto verso di lei.

• Se faccio dipendere il mio giudizio, la mia condotta unicamente da tali sentimenti di piacere e di simpatia,

metto in primo piano il mio carattere personale, lo impongo al mondo.

 

Mi voglio inserire nel mondo quale sono

e non accoglierlo liberamente lasciando che si esplichi secondo le forze che vi operano.

In altre parole: non sono tollerante se non verso ciò che si accorda col mio carattere.

Contro tutto il resto esercito una forza respingente.

• Finché siamo impigliati nel mondo sensibile,

esercitiamo un’azione particolarmente respingente contro tutte le influenze che non sono di natura sensibile.

 

Lo studioso deve sviluppare in sé la facoltà di comportarsi

riguardo alle cose e agli uomini secondo i loro caratteri, rispettando il valore, l’importanza di ciascuno.

 

Simpatia e antipatia, piacere e dispiacere devono assumere tutt’altro ufficio.

• Non si tratta di sradicarli, di rendersi insensibili alla simpatia e all’antipatia.

• Al contrario, quanto più si sviluppa la facoltà di non far subito seguire

ad ogni sentimento di simpatia o di antipatia un giudizio o un’azione, tanto più si affina la nostra sensibilità.

• Apprenderemo che simpatie e antipatie rivestono un carattere più elevato,

quando si sappia frenare il carattere che già è in noi.

 

Anche l’oggetto più antipatico di primo acchito ha qualità nascoste;

le rivela quando non si agisce secondo il proprio sentimento egoistico.

• Chi si è educato in questo senso sviluppa per tutto una più delicata sensibilità che non altri,

poiché non si lascia indurre all’insensibilità dalla sua stessa natura.

• Ogni inclinazione ciecamente seguita smussa la facoltà di vedere le cose nella giusta luce.

• Seguendo le nostre inclinazioni ci spingiamo per così dire a forza attraverso l’ambiente,

invece di aprirci ad esso e di sentirlo nel suo valore.

 

Indipendenza dalle mutevoli impressioni del mondo esteriore

Quando l’uomo non contrappone più a ogni gioia o dolore, a ogni simpatia o antipatia

una sua risposta o una sua azione egoistica,

diviene anche indipendente dalle mutevoli impressioni del mondo esteriore.

Il piacere che una cosa ci dà ci rende subito dipendenti da essa, ci perdiamo nella cosa.

 

Chi secondo le mutevoli impressioni si perda ora nel dolore, ora nella gioia,

non può percorrere il sentiero della conoscenza spirituale.

Egli deve accogliere imperturbabile gioia e dolore.

• Cessa allora di smarrirvisi e in compenso comincia a comprenderli.

 

Un piacere al quale mi abbandono consuma il mio essere nell’istante dell’abbandono.

Devo però valermi del piacere soltanto per arrivare per suo tramite

alla comprensione di ciò che mi procura piacere.

 

L’essenziale non è che una cosa mi dia piacere:

devo sperimentare il piacere e per suo tramite la natura della cosa.

Il piacere deve annunciarmi soltanto che nella cosa

risiede una proprietà capace di suscitare il piacere.

Devo imparare a conoscere quella proprietà.

 

Se mi fermo al piacere, se lascio che s’impadronisca interamente di me,

sono soltanto io ad esplicarmi in esso;

ma se il piacere mi offre l’agio di sperimentare una proprietà della cosa,

mediante tale esperienza arricchisco la mia vita interiore.

 

Per chi indaghi,

piacere e dispiacere, gioia e dolore

devono essere l’occasione di imparare dalle cose.

Egli non si rende in tal modo insensibile al piacere e al dispiacere,

ma si solleva al di sopra di essi perché gli rivelino la natura delle cose.

 

Chi progredisca in questa direzione, impara quali maestri siano la gioia e il dolore.

Sentirà all’unisono con ognuno degli esseri, e così riceverà la rivelazione della loro interiorità.

Chi investiga non si limiti mai a dire: come soffro, oppure: come gioisco.

Dirà invece: così parla il dolore, così parla la gioia!

Egli si apre perché la gioia e il dolore del mondo esterno agiscano su di lui.

 

Nell’uomo si sviluppa così un modo del tutto nuovo di porsi di fronte alle cose.

Prima egli faceva seguire questa o quell’azione a questa o quell’impressione,

soltanto perché le impressioni gli procuravano piacere o dispiacere.

Ora però fa che piacere e dispiacere siano inoltre per lui

organi attraverso i quali le cose gli dicono quel che esse sono, secondo la loro natura.

 

Da semplici sentimenti che erano, piacere e dispiacere diventano in lui

organi di senso con cui percepisce il mondo esterno.

• Come l’occhio non agisce quando vede qualcosa, ma fa agire la mano,

• così in chi indaga spiritualmente piacere e dispiacere,

in quanto adoperati quali mezzi di conoscenza, nulla determinano,

si limitano a ricevere le impressioni: e quel che è stato appreso

mediante le impressioni di piacere e dispiacere determina l’azione.

 

Se l’uomo coltiva in tal modo piacere e dispiacere,

essi edificano nella sua anima gli organi adatti a percepire il mondo animico.

• L’occhio serve al corpo solo in quanto trasmette impressioni sensorie:

piacere e dispiacere si trasformeranno in occhi animici

se cesseranno di esser fine a se stessi e cominceranno a rivelare all’anima l’anima altrui.

 

Disciplinare il proprio pensare

Con le qualità indicate, chi persegue la conoscenza si mette in grado di far agire su di sé quel che realmente esiste nel suo ambiente senza l’influenza perturbatrice delle proprie qualità. Deve però anche inserirsi nell’ambiente spirituale in modo giusto. Quale essere pensante è infatti cittadino del mondo spirituale. Potrà esserlo in modo giusto solo se durante la conoscenza spirituale darà ai suoi pensieri un corso conforme alle eterne leggi della verità, alle leggi del mondo spirituale, poiché solo così quel mondo potrà agire su di lui e rivelargli le sue realtà.

 

L’uomo non perviene alla verità solo abbandonandosi ai pensieri che di continuo attraversano il suo io, poiché allora i pensieri prendono un corso che è loro imposto dal sorgere nella natura corporea. Sregolato e confuso appare il mondo dei pensieri di chi si abbandoni a un’attività spirituale che sia anzitutto condizionata dal suo cervello corporeo. Allora un pensiero si affaccia, scompare, è cacciato da un altro. Chi segua il discorso di due persone, chi senza partito preso esamini se stesso, può farsi un’idea di questa massa di pensieri vaganti come fuochi fatui. Finché ci si dedica ai soli compiti della vita sensibile, il corso disordinato dei pensieri verrà sempre rettificato dai fatti della realtà. Per quanto confusi siano i miei pensieri, la vita quotidiana impone alle mie azioni le leggi della realtà.

Anche se l’immagine che mi faccio di una città è quanto mai caotica, quando voglio andar da qualche parte, devo tuttavia conformarmi ai fatti esistenti. Il meccanico può entrare nella sua officina con la più confusa ridda di pensieri: le leggi delle sue macchine lo ricondurranno però a regolarsi nel modo giusto.

 

Nel mondo sensibile i fatti esercitano sempre la loro rettifica sul pensiero.

Se mi faccio una falsa rappresentazione di un fenomeno fisico oppure della forma di una pianta,

la realtà mi viene incontro e rettifica il mio pensare.

Tutto è diverso, se considero il mio nesso con i campi superiori dell’esistenza.

Questi mi si rivelano soltanto se penetro nel loro mondo con un pensiero già rigorosamente disciplinato.

 

Là il pensiero mi deve dare l’impulso giusto, sicuro, altrimenti non troverò la via adeguata,

poiché le leggi spirituali che si esplicano in quei mondi

non sono condensate fino alla condizione fisico-sensibile

e non esercitano quindi su di me la costrizione caratterizzata.

• Sarò in grado di seguire quelle leggi

solo a patto che abbiano affinità con quelle che io stesso porto, come essere pensante.

• Qui devo essere io stesso la guida sicura.

 

Chi persegue la conoscenza deve quindi rigorosamente disciplinare il proprio pensare.

I suoi pensieri devono gradatamente perdere del tutto l’abitudine di seguire il corso usuale. In tutto il loro andamento devono assumere il carattere interiore del mondo spirituale. Egli deve in questo senso potersi osservare e avere il dominio di sé. In lui un pensiero non deve tener dietro a un altro a capriccio, ma solo in modo conforme al rigoroso contenuto del mondo del pensiero. Il passaggio da un pensiero a un altro deve corrispondere alle severe leggi del pensiero. Quale pensatore, l’uomo deve in un certo senso presentare un’immagine costante di quelle leggi. Tutto quanto non deriva da quelle leggi deve essere da lui vietato al corso dei suoi pensieri. Se gli si affaccia un pensiero prediletto, deve respingerlo, qualora disturbi il corso ordinato della riflessione. Deve reprimerlo se un sentimento personale vuole imporre ai suoi pensieri una direzione che non sia loro inerente.

 

Platone esigeva da quelli che volevano far parte della sua scuola che prima studiassero matematica. La matematica infatti, con le sue leggi esatte che non si adeguano al corso quotidiano dei fenomeni sensibili, è una buona preparazione per chi cerca la conoscenza. Chi vuol progredire nella conoscenza deve liberarsi di ogni arbitrio personale, di ogni elemento disturbatore: si prepara al suo compito superando con la volontà ogni automatica attività arbitraria del pensare. Impara a seguire unicamente le esigenze del pensiero. Così deve imparare a procedere in tutta l’attività pensante posta al servizio della conoscenza spirituale. La stessa vita del pensiero deve essere un’immagine delle conclusioni e dei puri giudizi matematici. Ovunque si trovi egli deve sforzarsi di pensare così.

 

Fluiscono allora in lui le leggi del mondo spirituale che gli passano davanti senza lasciar traccia finché il suo pensare presenta il carattere abituale, confusionario. Un pensare ordinato lo conduce da sicuri punti di partenza alle verità più nascoste. Questi accenni non vanno però presi in senso unilaterale.

Sebbene lo studio della matematica costituisca un’ottima disciplina del pensiero, si può arrivare a un pensare puro, sano e pieno di vita anche senza di essa.

 

Chi cerca la conoscenza deve proporsi quel che si prefigge per il suo pensiero e anche per la sua azione. Libera da ogni influenza perturbatrice della persona, essa dovrà poter seguire le leggi della nobile bellezza e dell’eterna verità. Queste leggi devono potergli dare la direzione. Se chi cerca la conoscenza intraprende una cosa perché l’ha riconosciuta giusta e il suo sentimento personale non ne trae soddisfazione, non deve abbandonare per questo la via intrapresa. Né deve persistere in essa perché gli piace, se scopre che non concorda con le leggi dell’eterna bellezza e della verità.

 

Nella vita quotidiana gli uomini si lasciano determinare all’azione

da quanto li soddisfa personalmente e porta loro frutto.

• Così essi impongono agli eventi del mondo la direzione della loro personalità.

• Non attuano la verità contenuta nelle leggi del mondo spirituale,

ma le esigenze del loro arbitrio personale.

 

Si agisce nel senso del mondo spirituale solo seguendo le sue leggi.

Dalle azioni che scaturiscono semplicemente dalla persona

non nascono forze che possano offrire una base alla conoscenza spirituale.

 

Chi cerca la conoscenza non può limitarsi a domandare: che cosa mi porta frutto? come avrò un buon successo? ma deve anche poter domandare: che cosa ho riconosciuto come bene? La rinuncia ai frutti personali derivanti dall’azione e la rinuncia ad ogni arbitrio sono le gravi leggi che deve prefiggersi. Seguirà allora le vie del mondo spirituale, e le leggi di quel mondo compenetreranno tutto il suo essere. Si affrancherà così da ogni costrizione del mondo sensibile, e il suo uomo spirituale si solleverà dall’involucro sensibile. Così egli progredisce in spiritualità, così si spiritualizza.

Non si può dire: a che mi giovano tutti i propositi di seguire le leggi del vero, mentre forse sono in errore su che cosa è vero?

 

Importa lo sforzo, il proposito.

Anche chi sbaglia trova nello sforzo anelante alla verità una forza che lo storna dalla falsa strada. Se sbaglia, tale forza lo afferra e lo riconduce sulla giusta via. Già l’obiezione: potrei anche sbagliare, è una sfiducia dannosa e mostra che l’uomo non ha fiducia alcuna nella forza del vero, poiché l’importante è appunto che egli non presuma di fissare le mete partendo dal suo punto di vista egoistico, ma che si abbandoni con abnegazione e lasci che lo spirito gli segni la direzione.

 

Non l’egoistica volontà umana può imporre le sue leggi al vero, ma il vero stesso deve dominare nell’uomo,

deve compenetrare tutto l’essere e farne un’immagine delle eterne leggi del mondo spirituale.

L’uomo deve imbeversi delle leggi eterne per irradiarle nella vita.

Chi cerca la conoscenza deve poter controllare rigorosamente, oltre al suo pensiero, anche la sua volontà.

 

• Così, in tutta modestia e senza presunzione, diverrà un messaggero del mondo del vero e del bello,

e come tale ascenderà a far parte del mondo spirituale.

• Salirà così di gradino in gradino evolutivo, poiché la vita spirituale

non può essere raggiunta con la sola contemplazione, ma deve essere sperimentata.

 

Se chi cerca la conoscenza osserva le leggi qui indicate, le sue esperienze animiche che si riferiscono al mondo spirituale assumeranno un carattere del tutto nuovo. Egli non si limiterà più a vivervi, ed esse non avranno più un’importanza solo per la sua vita. Si trasformeranno in percezioni animiche dei mondi superiori.

Nella sua anima i sentimenti di piacere e dispiacere, di gioia e dolore, diverranno organi dell’anima, come nel suo corpo gli occhi e le orecchie non vivono soltanto per sé, ma quasi rinnegando se stessi lasciano che le impressioni esterne li attraversino.

 

Così il cercatore della conoscenza acquista la tranquillità e la sicurezza dell’anima che sono necessarie per compiere indagini nel mondo spirituale. Una grande gioia non lo farà più solo esultare, ma potrà annunciargli qualità del mondo che prima gli erano sfuggite. Lo lasceranno tranquillo e, attraverso la tranquillità, gli si riveleranno i caratteri di ciò che suscita la gioia. Un dolore non lo riempirà soltanto di afflizione, ma potrà anche palesargli i caratteri di ciò che provoca il dolore.

 

Come l’occhio nulla reclama per sé, ma indica all’uomo la direzione da seguire,

così gioia e dolore condurranno con sicurezza l’anima per la sua via.

• Questo è lo stato di equilibrio dell’anima che deve essere conseguito da chi cerca la conoscenza.

 

Quanto meno gioia e dolore si esauriranno nelle onde che si sollevano nella nostra vita interiore,

tanto meglio si trasformeranno in occhi capaci di vedere il mondo soprasensibile.

Finché si vive in balia della gioia e del dolore,

non si arriva alla conoscenza per loro tramite.

 

Quando per mezzo della gioia e del dolore si impara a vivere,

quando ci si stacca col proprio sentimento personale, essi si trasformano in organi di percezione:

allora si vede, si conosce per loro tramite.

• Sarebbe errato credere che si diventi aridi, insensibili alla gioia e al dolore.

 

Gioia e dolore esistono nel ricercatore della conoscenza,

ma quando egli indaga nel mondo spirituale esistono in una forma mutata: sono diventati “occhi e orecchie”.

 

Finché viviamo col mondo in un nesso personale,

anche le cose ci rivelano solo ciò che le collega alla nostra persona: è la loro parte effimera.

• Se ci stacchiamo da ciò che è effimero in noi,

e col sentimento di noi stessi, col nostro “io”, viviamo in ciò che è durevole,

le parti transitorie del nostro essere fanno da mediatrici,

e attraverso loro si rivela ciò che è appunto l’imperituro, l’eterno delle cose.

 

Questo nesso fra l’eterno che è in lui e l’eterno che è nelle cose, deve poter essere stabilito da chi cerca la conoscenza. Già prima di intraprendere esercizi simili a quelli descritti, e anche dopo averli intrapresi, egli deve rivolgere la mente a ciò che è imperituro.

 

• Se osservo una pietra, una pianta, un animale, un uomo,

devo ricordare che in ciascuno di questi esseri si esprime un principio eterno.

• Devo potermi domandare: che cosa vive di durevole nella pietra transitoria, nell’uomo che è mortale?

che cosa sopravvivrà alla transitoria manifestazione sensibile?

 

Non si creda che questo voler dirigere lo spirito verso l’eterno spenga la facoltà di osservare con dedizione e interesse le qualità della vita quotidiana, e ci allontani dalla immediata realtà. Al contrario. Ogni foglia, ogni insetto ci riveleranno misteri innumerevoli quando li osserveremo non solo con l’occhio, ma, attraverso l’occhio, con lo spirito. Ogni scintillio, ogni sfumatura di colore, ogni suono diverranno vivi per i sensi, saranno percepibili, e nulla andrà perduto; ma a ciò che essi rivelano si aggiungerà una vita nuova, infinita. Chi non sappia osservare con gli occhi anche le minime cose, avrà solo pensieri pallidi e anemici, non già una visione spirituale.

 

Tutto dipende da l’atteggiamento a cui perveniamo a questo riguardo. Il risultato dipende dalle nostre facoltà. Dobbiamo far quello che è giusto e affidare tutto il resto all’evoluzione. Da principio dobbiamo contentarci di rivolgere la nostra mente all’imperituro. Se lo facciamo, la conoscenza dell’imperituro ci si schiuderà appunto per questo. Dobbiamo attendere, finché ci sia data, e lo sarà al momento giusto a chiunque attenda con pazienza e lavori.

 

L’uomo si accorge in breve della possente trasformazione che si verifica in lui per effetto di questi esercizi. Egli impara a vedere ogni cosa come futile o importante secondo il nesso che essa ha con l’eterno. Perviene a una valutazione del mondo diversa da quella che aveva prima. Il suo modo di sentire sviluppa un’altra relazione con tutto l’ambiente. L’effimero non lo attrae più solo di per sé come lo attraeva prima, ma diviene per lui anche parte e simbolo dell’eterno; egli impara ad amare l’eterno che vive in ogni cosa. Esso gli diviene familiare come prima lo era l’effimero. Ma nemmeno così l’uomo si allontana dalla vita, non fa che imparare a stimare ogni cosa nel suo giusto valore. Neanche le futilità della vita gli passeranno davanti senza traccia, ma il ricercatore dello spirito non si smarrirà più in esse, bensì le riconoscerà nel loro valore limitato. Le vedrà nella giusta luce. E un cattivo ricercatore chi vuole soltanto vagare fra le nuvole e perdere così la sua vita. Chi persegue veramente la conoscenza, dalla vetta che ha raggiunto saprà porre ogni cosa al suo posto con visione chiara e giusto sentimento.

Gli si apre così la possibilità di non seguire più soltanto le imprevedibili influenze del mondo sensibile, che spingono la sua volontà ora in una direzione ora in un’altra.

 

Con la conoscenza ha osservato l’essenza eterna delle cose. Grazie alla trasformazione del suo mondo interiore ha in sé la facoltà di percepire l’essenza eterna. Per chi cerca la conoscenza, assumono inoltre un’importanza speciale i seguenti pensieri.

Quando egli trae il motivo dell’azione da se stesso, sa di trarlo dall’essenza eterna delle cose, perché le cose esprimono in lui tale loro essenza. Agisce quindi nel senso dell’ordine eterno del mondo traendo dall’eterno che vive in lui la direzione da imprimere all’azione. Sa così di non essere più soltanto condotto dalle cose, ma di condurle egli stesso secondo le leggi ad esse inerenti, le stesse che sono divenute leggi del proprio essere.

 

L’agire partendo dall’interiorità può essere soltanto un ideale a cui si aspira. Il raggiungimento di tale meta è assai lontano, ma chi cerca la conoscenza deve vedere chiaramente questa via. È la sua volontà verso la libertà, poiché la libertà è agire partendo da se stessi, ed è lecito agire partendo da se stesso solo a chi derivi i moventi dall’eterno. Chi si comporta altrimenti agisce per motivi diversi da quelli inerenti alle cose. Si oppone all’ordine universale, e ne dovrà essere vinto. In altri termini, non potrà da ultimo attuarsi ciò che egli prescrive alla propria volontà; non può divenire libero. L’arbitrio del singolo essere si annulla attraverso gli effetti delle sue azioni.

Chi riesce ad agire in questo modo sulla vita interiore avanza di gradino in gradino nella conoscenza dello spirito. Come frutto dei suoi esercizi certe cognizioni del mondo soprasensibile si rivelano alla sua percezione spirituale. Egli apprende il vero senso delle verità intorno a quel mondo e ne avrà conferma grazie alla sua stessa esperienza.

 

Raggiunto questo gradino, gli si presenta un’esperienza a cui si arriva solo per questa via. In un modo il cui senso gli si può chiarire solo ora, le “grandi potenze spirituali che guidano l’umanità” gli conferiscono l’iniziazione. Diventa “discepolo della saggezza”.

Quanto meno ci si immaginerà che l’iniziazione consista in un rapporto esteriore umano, tanto più sarà giusta l’idea che se ne avrà. Qui può essere appena accennato a che cosa avviene ormai nel discepolo: ha una nuova patria e diviene così un abitatore cosciente del mondo soprasensibile. La fonte della conoscenza spirituale fluisce ora in lui da una regione più alta.

 

La luce della conoscenza non gli risplende più da fuori,

ma lui stesso è posto nel punto da cui sgorga quella luce.

 

In lui gli enigmi del mondo s’illuminano di luce nuova.

Non parla più con le cose create dallo spirito, ma con lo stesso spirito creatore.

 

Nei momenti della conoscenza spirituale, la sua vita personale esiste ancora come simbolo cosciente dell’eterno. Svaniscono i dubbi che ancora potevano sorgere in lui riguardo allo spirito, poiché dubitare può soltanto chi sia ingannato dalle cose sul conto dello spirito che vi opera.

Poiché il “discepolo della saggezza” colloquia con lo spirito stesso, scompare in lui anche ogni falsa immagine che se n’era fatta prima.

 

La falsa immagine in cui ci si rappresenta lo spirito è superstizione. L’iniziato è al di sopra di ogni superstizione, perché conosce quale sia il vero aspetto dello spirito, l’affrancamento dai pregiudizi della persona, del dubbio e della superstizione è il contrassegno di chi, sul sentiero della conoscenza, sia salito al grado di discepolo.

 

L’identificazione dell’individuo con la vita universale dello spirito, non va confusa con un annientamento dell’individuo stesso nel “tutto”. Una tale scomparsa non avviene quando l’individuo abbia percorso una vera evoluzione. Allora continua a sussistere come individuo nella relazione che stabilisce col mondo spirituale. Non viene sopraffatto; si determina bensì un suo più alto sviluppo. Volendo trovare un simbolo per l’unione dello spirito singolo col tutto, non si deve scegliere quello di vari circoli che coincidano in uno e in esso scompaiano, ma quello di molti circoli, ciascuno dei quali abbia una ben determinata gradazione di colore. Tali circoli diversamente colorati si sovrappongono, ma ogni singola gradazione rimane inalterata nella sua essenza. Nessuno di essi perde la pienezza della propria forza.

 

Qui non sarà descritto ulteriormente il “sentiero della conoscenza”.

Nei limiti del possibile, è descritto nella mia Scienza occulta che costituisce il seguito di questo libro.

Quel che è detto qui intorno al sentiero della conoscenza, per un’errata interpretazione può assai facilmente indurre a vedervi raccomandate condizioni animiche che allontanino dall’esperienza diretta, gioiosa e attiva dell’esistenza. A questo proposito va fatto notare come l’atteggiamento dell’anima che la rende capace di sperimentare direttamente la realtà dello spirito non può essere esteso a tutta la vita come un’esigenza generale.

 

Il ricercatore dello spirito può riuscire a portare la sua anima al necessario distacco dalla realtà sensibile, senza che tale distacco lo renda in generale estraneo al mondo.

D’altra parte bisogna pure riconoscere che la conoscenza del mondo spirituale, non solo quella conseguita attraverso il “sentiero”, ma anche quella ottenuta afferrando le verità scientifico-spirituali col sano intelletto scevro di pregiudizi, conduce anche a un modo di vita più altamente morale, a una più vera comprensione dell’esistenza sensibile, alla sicurezza nella vita e alla sanità interiore dell’anima.