I 4 punti di vista degli evangelisti corrispondono a 4 tipi di iniziazione

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 12.09.1910


 

La complicata entità del Cristo Gesù è presentata sotto quattro aspetti diversi. Tutti e quattro gli evangelisti parlano dunque del Cristo nella persona di Gesù di Nazaret; ma ognuno di essi è in certo senso costretto ad attenersi al proprio punto di partenza, da cui ha ricavato la visione chiaroveggente necessaria per poter descrivere quell’entità tanto complicata. Rappresentiamoci bene questa situazione, perché la nostra anima possa veramente compenetrarsene.

 

• Matteo è costretto a concentrare la sua attenzione sulla nascita del Gesù salomonico e a stabilire come siano state preparate le forze del corpo fisico e dell’eterico; tiene presente come quegli involucri siano stati abbandonati da Zaratustra, il quale trasferisce nel Gesù del vangelo di Luca quanto egli ha acquistato vivendo fino allora nei corpi fisico ed eterico del Gesù salomonico. A questo punto l’autore del vangelo di Matteo deve tracciare i destini di ciò che in un primo tempo non aveva menzionato.

 

Però egli tiene d’occhio soprattutto l’elemento dal quale aveva preso le mosse fin dall’inizio, cioè i destini di quanto è trapassato, con le sue esperienze e le sue acquisizioni, dal Gesù salomonico a quello natanico. Egli non si occupa tanto delle caratteristiche intrinseche del corpo astrale e dell’io del Gesù di Luca, quanto di ciò che proviene dal «suo» Gesù. E quando poi descrive l’essere solare disceso, si concentra principalmente sulle facoltà che Gesù potè acquisire per aver sviluppato il proprio corpo fisico e l’eterico nel Gesù salomonico. Queste facoltà erano naturalmente ancora presenti nel Cristo, e l’autore del vangelo di Matteo osserva con particolare precisione questa parte del Cristo Gesù che per lui era la più importante.

 

• L’autore del vangelo di Marco concentra sin dall’inizio la sua attenzione sullo spirito solare che discende dal cielo. Egli non prende in considerazione alcun essere terrestre: per lui la personalità presente nel corpo fisico non è che il mezzo per esprimere lo spirito solare che ha operato in quel corpo. Perciò egli mette in evidenza i fatti accessibili alla sua osservazione, cioè l’azione delle forze solari. Molte cose risultano pertanto uguali in Matteo e in Marco, pur essendo diversi i rispettivi punti di vista. Matteo sottolinea i caratteri degli involucri corporei e mostra come si esplichino negli anni successivi le facoltà acquisite nei primi dodici anni.

 

Nella sua descrizione egli procede in modo da mettere in evidenza il modo in cui operano quelle facoltà. Invece l’autore del vangelo di Marco si vale letteralmente della persona fisica di Gesù solo per mostrare quanto può compiere sulla Terra lo spirito solare. Questo atteggiamento si rispecchia anche nei particolari. Per comprendere i Vangeli in ogni loro particolare, occorre tener conto che lo sguardo di ognuno degli evangelisti è rivolto a quegli aspetti su cui fin dall’inizio egli lo ha diretto.

• L’autore del vangelo di Luca osserverà dunque in modo speciale quanto ha importanza per lui: il corpo astrale e il veicolo dell’io. Perciò egli mette in rilievo ciò che Gesù compie, non in quanto personalità fisica esteriore, ma in quanto alberga un corpo astrale che è veicolo di sentimenti e sensazioni. Infatti anche il corpo astrale è portatore di forze creative: da esso fluisce ogni pietà, ogni carità. E il Cristo Gesù fu l’essere misericordioso che troviamo descritto in Luca, proprio perché aveva il corpo astrale del Gesù natanico. Ecco perché Luca dirige il suo sguardo fin dall’inizio sulla misericordia del Cristo Gesù, su tutto quanto il Cristo potè effettuare proprio per merito di quel corpo astrale.

 

• L’autore del vangelo di Giovanni, poi, dirige il suo sguardo su ciò che di più sublime può operare sulla Terra: sull’interiorità dello spirito solare portata sulla Terra per il tramite di Gesù. Anche Giovanni si cura poco della vita fisica del Cristo, ma tiene d’occhio l’elemento più alto, il puro logos solare, mentre il Gesù fisico non è per lui altro che il meno per seguire l’operato del logos solare in seno all’umanità. Il suo sguardo continua a seguire ciò su cui si è affissato fin da principio.

 

Durante il sonno, noi uomini guardiamo al nostro corpo fisico e al nostro corpo eterico. In questi due involucri esteriori vivono tutte le forze provenienti da entità divino- spirituali che da milioni di anni hanno lavorato all’edificazione del tempio costituito dal corpo fisico. In questo tempio noi uomini siamo vissuti sin dall’epoca lemurica, peggiorandolo sempre più; ma in origine esso ci è stato trasmesso, attraverso l’evoluzione di Saturno, del Sole e della Luna, e in esso vivevano ed operavano nature divine.

Guardando al nostro corpo fisico, possiamo veramente dire che si tratta di un tempio preparato per noi dagli dèi, i quali ce lo hanno voluto edificare con la materia solida.

Il corpo eterico poi è qualcosa che contiene certo le sostanzialità più sottili dell’entità umana, ma l’uomo non può percepirle perché ne è impedito dagli influssi luciferici e arimanici. Nel corpo eterico vive anche ciò che è affine al Sole; in esso risuona quanto operava come armonia delle sfere, l’elemento divino percepibile dietro all’esistenza meramente fisica.

 

Possiamo dunque affermare che nel corpo eterico vivono divinità elevate, e precisamente quelle che sono affini alle divinità solari. Constatiamo dunque che nel corpo fisico e nel corpo eterico si devono riconoscere gli elementi più perfetti del nostro essere. Quando li abbandoniamo nel sonno e si sono staccati da noi, essi sono compenetrati dall’azione di esseri divini.

 

• L’autore del vangelo di Matteo, che sin dall’inizio aveva concentrato la sua attenzione sul corpo fisico di Gesù di Nazaret, dovette continuare a tener d’occhio il corpo fisico anche nel Cristo Gesù. Sennonché il corpo fisico materiale non esisteva più, poiché era stato abbandonato al dodicesimo anno; invece la sua componente divina, le forze divine inerenti al corpo fisico erano passate nel corpo fisico del Gesù natanico. Il corpo fisico di Gesù di Nazaret era così perfetto proprio perché aveva ricevuto le forze provenienti dal corpo del Gesù salomonico.

 

Osserviamo dunque l’autore del vangelo di Matteo mentre contempla Gesù morente sulla croce.

Ricordiamoci che il suo sguardo era stato sempre rivolto con particolare intensità su ciò che era suo compito descrivere,

su quello ch’era stato il punto di partenza della sua narrazione.

 

Lo spirito abbandona adesso il corpo fisico e con ciò anche gli elementi divini presenti in esso.

L’autore del vangelo di Matteo dirige lo sguardo

alla separazione della interiorità del Cristo Gesù dall’elemento divino ch’è nella natura fisica,

e trasforma le antiche parole, da sempre pronunciate negli antichi misteri

quando, durante l’iniziazione, la natura spirituale dell’uomo usciva dal corpo fisico

per poter contemplare il mondo spirituale: «Mio dio, mio dio, quanto mi hai glorificato!»

 

Matteo trasforma queste parole, mentre si concentra sul corpo fisico, scrivendo:

«Dio mio, dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).

Su quel particolare momento, su quell’abbandono concentra dunque la sua attenzione l’autore del vangelo di Matteo.

 

• L’autore del vangelo di Marco invece descrive la discesa delle forze dell’aura solare,

descrive il congiungersi del corpo dell’essere solare col corpo eterico di Gesù di Nazaret.

Alla morte sulla croce il corpo eterico del Cristo Gesù

si trova nella stessa condizione in cui si trova durante il sonno il nostro corpo eterico.

Come per noi nel sonno le forze esteriori sono coinvolte nell’uscita,

così uscirono pure allo stesso modo nella morte fisica di Gesù.

Ecco perché in Marco (15,34) troviamo le stesse parole che in Matteo.

 

• L’autore del vangelo di Luca anche nel momento della morte del Cristo Gesù

volge lo sguardo all’elemento sul quale lo aveva concentrato fin dall’inizio, cioè sul corpo astrale e sul veicolo dell’io.

Per questa ragione egli non ci riferisce quelle stesse parole di Gesù.

Egli si concentra soprattutto sui fatti che riguardano il corpo astrale:

quel corpo astrale che in quell’istante esplica la più alta compassione, l’amore più alto.

Perciò egli riferisce le parole: «Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno» (Le 23,34).

 

Sono parole d’amore che possono scaturire solo dal corpo astrale che l’autore del vangelo di Luca ci addita fin dal suo inizio. E dal corpo astrale, che l’evangelista Luca segue fino all’ultimo, scaturisce la più sublime espressione di umiltà e di dedizione, nelle parole: «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio» (Le 23,46).

 

  Giovanni infine parla di ciò che ha origine dal Sole, ma che gli uomini devono attuare nell’ordinamento terrestre:

il senso stesso dell’ordinamento terrestre, fondato nella parola dare.

Perciò Giovanni pone soprattutto attenzione all’azione ordinatrice che il Cristo esercitò dalla croce sul Golgota.

Egli ci descrive come in quel momento il Cristo fondi una fratellanza più alta di quella fondata sulla consanguineità.

 

Le fratellanze più antiche si fondavano sul sangue.

Maria è la madre di Gesù, la madre che il bambino aveva avuto come madre carnale.

Il Cristo Gesù fonda una fratellanza d’amore che unisce anima ad anima, indipendentemente dal sangue.

 

Al discepolo da lui amato egli non dà perciò una madre secondo la carne, ma dà secondo lo spirito la propria madre.

Rinnovando in tal modo legami antichi che erano andati perduti all’umanità nei primordi,

risuonano dalla croce le parole: «Questo è tuo figlio» e «Questa è tua madre» (Gv 19,26-27).

Un ordine nuovo che fonda nuove comunità:

questo è il senso dell’etere della vita che nella vita mette ordine e che grazie all’azione del Cristo fluisce sulla Terra.

 

Così alla base di tutto quanto narrano gli evangelisti sta un unico evento, l’evento del Cristo. Ma ognuno di loro parla dal punto di vista che ha adottato sin dall’inizio, perché ognuno degli evangelisti doveva volgere il proprio sguardo chiaroveggente verso le realtà che egli era preparato a percepire; per questo non prestava attenzione agli altri aspetti di quell’evento.

 

Dobbiamo quindi constatare che quell’evento universale non deve apparirci contraddittorio per il fatto di essere stato descritto da quattro aspetti diversi; al contrario, solo riunendo i quattro diversi aspetti possiamo aspirare a comprenderlo. Troveremo allora perfettamente naturale che le parole della cosiddetta confessione di Pietro (che abbiamo ricordata nella conferenza precedente) possano trovarsi solo nel vangelo di Matteo, e comprenderemo perché non possano trovarsi negli altri Vangeli.

 

Marco descrive il Cristo come forza solare, come forza cosmica che agisce sulla Terra in forma nuova; descrive cioè la maestosa forza dell’aura solare nei suoi effetti elementari.

 

Il vangelo di Luca, tutto rivolto all’interiorità del Cristo Gesù, ne delinea essenzialmente il corpo astrale, l’individualità umana singola, e come essa viva per sé. Infatti nel corpo astrale l’uomo vive per sé, esplicando la propria più profonda identità. Nei riguardi del corpo astrale l’uomo non ha tendenza a formare comunità; la forza formatrice di comunità, la forza per cui l’uomo entra in rapporto con altri uomini, risiede nel corpo eterico. Luca perciò non ha alcuna ragione, nessuna occasione di parlare della fondazione di una nuova comunità. Tanto meno poi ne ha occasione l’evangelista che ci parla dell’io del Cristo, cioè l’autore del Vangelo di Giovanni.

 

Invece l’autore del vangelo di Matteo ci descrive il Cristo Gesù in quanto uomo; egli ha quindi una ragione specifico per parlarci anche dei rapporti che nascono come conseguenze umane dell’incarnazione di Dio. I rapporti fondati dal Dio fra gli uomini, e che si possono definire una «comunità», un tutto organico, dovettero essere descritti dall’evangelista che parla del Cristo Gesù sotto il suo aspetto più umano; egli infatti ha diretto sin dall’inizio il suo sguardo sull’azione esplicata dal Cristo come uomo, in virtù delle forze del suo corpo fisico e del corpo eterico.

 

Se riusciremo a Comprendere intimamente questa realtà, troveremo naturale che le tanto discusse parole «Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa» (16,18) si trovino solo nel vangelo di Matteo. Se si esaminano le interminabili discussioni dei teologi moderni delle tendenze più diverse, relativa a quel passo del vangelo di Matteo, troviamo sempre addotte strane ragioni particolari per l’accettazione o il rifiuto di quelle parole: mai troviamo una comprensione approfondita del loro senso.

 

Chi le respinge, lo fa perché sono sostenute dalla comunità esteriore della Chiesa cattolica che su di asse ha fondato la propria organizzazione esteriore. Può darsi che in tal modo quelle parole siano state male interpretate; ma ciò non dimostra affatto che esse siano state interpolate solo per favorire la Chiesa cattolica. Chi combatte quel passo del vangelo, in fondo non sa addurre argomenti ben precisi in contrario, perché non vede come quelle parole siano state snaturate. Gli esegeti si trovano allora in una situazione imbarazzante. Un tale ad esempio sostiene che il vangelo di Marco sia il più antico dei quattro; sarebbero poi seguiti i vangeli di Matteo e di Luca, in certo modo copiati e ampliati da quello di Marco. Così si spiegherebbero le aggiunte che gli autori (e ricopiatori) dei vangeli di Matteo e Luca avrebbero introdotto nel testo originario. In particolare, all’autore del vangelo di Matteo sarebbe venuto in mente, per appoggiare la Chiesa, di introdurre le parole «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa».

 

È certo vero che la tradizione scritta non sempre è sufficiente per accertare l’autenticità di questo o quel passo evangelico, perché spesso i testi più antichi sono lacunosi. Ma nel caso del passo in questione del vangelo di Matteo, bisogna riconoscere che esso fa parte del patrimonio più sicuro dei Vangeli; non esiste neppure la minima possibilità filologica di metterne in dubbio l’autenticità.

Molti passi dei Vangeli sono veramente incerti, dal punto di vista della tradizione testuale; ma nessuna incertezza filologica esiste per le parole: «Tu sei il Cristo, il figlio del dio vivente» e le altre: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa».

Del resto, nessuno muove obiezioni filologiche, poiché non esiste alcun testo che lo consenta. Qualcuno può aver sperato che dai manoscritti evangelici scoperti di recente si potessero suffragare obiezioni a quel passo; ma proprio in quei testi il passo in questione non è leggibile, perché il manoscritto è lacunoso. Questo almeno è quanto risulta all’indagine filologica. Naturalmente bisogna fidarsi di quanto riferiscono coloro che quei manoscritti hanno veduto.

 

Di quel passo non si può quindi neppure affermare che si tratti di una trascrizione errata; anche per la scienza filologica quelle parole sono autentiche, e si può comprendere benissimo perché esse lo sono, in base a tutto il carattere del vangelo di Matteo.

 

Qui il Cristo Gesù ci viene descritto proprio come uomo; e con questa chiave riesce facile comprendere il vangelo di Matteo in tutte le sue parti. Si potranno comprendere anche le parole che il Cristo Gesù dice ai suoi discepoli e ad altri ascoltatori a lui meno vicini.