I primi cinque periodi di civiltà

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 27.05.1908


 

Negli ultimi tempi dell’Atlantide, le zone più occidentali di quel continente erano andate sommergendosi nel mare, mentre l’Europa andava assumendo gradualmente la sua attuale configurazione; frattanto nell’Asia vasti territori dell’attuale Siberia erano ancora sommersi dalle acque, mentre le zone asiatiche meridionali erano già presenti, sia pure ancora diversamente configurate da oggi.

 

Le masse meno evolute della popolazione atlantica si associarono in parte a quel nucleo che emigrò verso oriente: alcuni si fermarono prima, altri si spinsero anche più in là del nucleo suddetto. Ma anche l’antica popolazione dell’Europa ebbe in gran parte questa origine: da masse emigrate dall’Atlantide e stabilite in questi territori. In quelle migrazioni si incontrarono poi anche altre popolazioni, emigrate in tempi precedenti, provenienti da altre zone dell’Atlantide, persino dall’antica Lemuria, che si erano dirette in Asia. Cosicché nell’Europa e nell’Asia andarono stabilendosi popolazioni dotate, anche spiritualmente, nei modi più diversi.

Quella piccola frazione, guidata dalla grande individualità spirituale a cui abbiamo accennato, si stabilì nel centro dell’Asia e vi coltivò la più alta spiritualità che fosse possibile in quei tempi. Da quel nucleo di civiltà si dipartirono correnti di civiltà dirette verso le più disparate regioni della Terra e i popoli più diversi.

 

La prima corrente di civiltà si diresse verso l’India, dove si formò, sotto l’influsso dell’irradiazione spirituale di quella grande individualità, ciò che chiamiamo la civiltà paleo-indiana. Non si tratta della civiltà di cui ci rimangono le vestigia nei meravigliosi libri dei Veda; né di ciò che più tardi per tradizione ha raggiunto i posteri. Tutta questa civiltà esteriore è stata preceduta da una civiltà più antica e molto più splendida, la civiltà degli antichi santi Risci, di quei grandi maestri che in epoca remotissima dettero all’umanità la prima civiltà post-atlantica.

 

Cerchiamo ora di trasferirci nell’anima di questa prima corrente di civiltà dell’età post-atlantica. Questa prima civiltà postatlantica fu realmente la prima civiltà religiosa dell’umanità. Le precedenti civiltà dell’Atlantide non furono civiltà religiose, in senso proprio.

La religione è in fondo una caratteristica dell’età post-atlantica.

Perché? Come vivevano dunque gli abitanti dell’Atlantide?

 

Per il fatto che la testa eterica si trovava ancora al di fuori della testa fisica, l’antica chiaroveggenza crepuscolare non era ancora del tutto scomparsa.

Quando nel sonno notturno l’uomo si trovava fuori del corpo fisico, egli poteva percepire ampiamente il mondo spirituale.

Mentre di giorno, quando s’immergeva nel suo corpo fisico, vedeva gli oggetti del mondo fisico, di notte era in grado di vedere fino a un certo punto le regioni del mondo spirituale.

Nella prima metà dell’epoca atlantica, quando l’uomo si destava al mattino, il suo corpo astrale si ritirava entro i corpi fisico ed eterico.

Gli oggetti del mondo fisico non possedevano ancora i contorni netti e distinti che hanno oggi.

Potete raffigurarvi l’aspetto che presentava allora il mondo terrestre esterno, se pensate a una città avvolta dalla nebbia, di sera, quando i fanali sono circondati da aure colorate e sfumate.

 

D’altra parte non c’era neppure quella netta distinzione fra la nostra chiara coscienza diurna e l’incoscienza notturna, quale si è venuta formando dopo l’epoca atlantica, il corpo astrale usciva sì di notte dal connesso col fisico e con l’eterico, ma poiché l’eterico rimaneva ancora in parte collegato con l’astrale, si avevano sempre dei riflessi del mondo spirituale: l’uomo poteva avere sempre una chiaroveggenza crepuscolare, si ambientava nel mondo spirituale, vedeva intorno a sé entità e fatti spirituali.

I sapientoni moderni dicono, parlando per esempio dei miti e delle saghe germaniche: ecco il frutto della fantasia popolare antichissima! Per loro, Wotan e Thor e gli altri dèi sarebbero personificazioni delle forze naturali, ecc. Sono state create intere teorie mitologiche, fondate a questo modo sulla « fantasia popolare ».

 

Vien fatto di pensare che questi dottissimi siano nati, come l’Homunculus del Faust di Goethe, in una storta, e non abbiano mai veduto un uomo vero! Infatti chi conosce veramente il popolo non riesce neppure a immaginare che si possa parlare di una siffatta « fantasia creatrice popolare ».

Quelle saghe mitologiche non sono altro che i residui di processi reali  che gli uomini di tempi remoti percepivano davvero chiaroveggentemente.

Quel Wotan è esistito davvero. Di notte l’uomo si aggirava per così dire fra gli dèi, nel mondo spirituale e ivi conosceva Wotan e Thor altrettanto bene quanto oggi conosce i suoi simili in carne ed ossa. Ciò che allora certe nature primitive percepirono ancora per molto tempo, con vaga chiaroveggenza, è diventato il contenuto delle saghe e dei miti, soprattutto di quelli germanici.

 

Gli uomini che trasmigrarono da occidente verso oriente e si stabilirono nelle regioni che più tardi costituirono la Germania, erano rimasti dotati (quale più, quale meno) d’un certo grado di chiaroveggenza che permetteva loro di vedere il mondo spirituale, almeno in certi periodi di tempo.

Mentre il sommo iniziato trasmigrò nel Tibet coi suoi discepoli e di lì inviò più tardi nell’India la prima colonia civilizzatrice, in Europa erano rimasti presso i diversi popoli altri iniziati che coltivavano lo spirituale entro i misteri. Per esempio c’erano i misteri druidici, dei quali oggi non si sa in genere più nulla, poiché ciò che se ne va dicendo è frutto di pura fantasia.

 

Ma è importante stabilire che quando a quei tempi si parlava dei mondi superiori, fra i druidi oppure fra le popolazioni delle regioni russe occidentali e di quelle scandinave dove fiorivano i misteri dei Drotti, c’era sempre un certo numero di persone che di questi mondi superiori aveva esperienza.

Quando si parlava di Wotan, o di quanto si era svolto fra gli dèi Baldur e Ilódur, non si parlava di cosa che fosse del tutto sconosciuta all’ascoltatore. Molti avevano ancora sperimentato essi stessi fatti del genere, in particolari stati di coscienza, oppure li aveva sperimentati il loro vicino al quale prestavano fede.

Ovunque ci si volgesse, in giro per l’Europa, c’era ancora un vivente ricordo di quanto era avvenuto nell’Atlantide. E che cos’era stato, sull’Atlantide? Si potrebbe definirlo una convivenza, una naturale convivenza dell’uomo col mondo spirituale, con ciò che oggi si chiama il cielo.

 

L’uomo entrava di continuo nel mondo spirituale e viveva in esso: in altre parole, non gli era affatto necessario che una religione particolare gli indicasse l’esistenza d’un mondo spirituale.

Che cosa significa religione?

Significa collegamento, collegamento del mondo fisico con quello spirituale. In quei tempi l’uomo non abbisognava per niente di un collegamento col mondo spirituale, poiché quest’ultimo era un mondo d’esperienza. Come nessuno è costretto a insegnarvi la fede nei fiori del campo, negli animali del bosco, poiché li vedete, così l’uomo d’Atlantide credeva agli dèi e agli spiriti, non per religione, ma perché li vedeva e sperimentava.

 

• Col progredire dell’umanità si venne instaurando la chiara coscienza di veglia diurna; questa coscienza diurna è la caratteristica dell’età postatlantica.

• L’uomo conseguì questa coscienza diurna di veglia sacrificando l’antica coscienza chiaroveggente.

• In avvenire egli sarà nuovamente dotato d’una coscienza chiaroveggente, in aggiunta alla normale coscienza di veglia.

 

Presso i nostri progenitori che abitavano l’Europa, nelle saghe e nei miti vivevano spesso in immagini i ricordi del tempo passato.

Ma in che cosa consisteva l’essenza dei più progrediti fra gli uomini di quei tempi?

Per quanto strano possa sembrare, i più progrediti fra tutti, quelli che la guida aveva condotto verso oriente, fino nel Tibet, erano più progrediti in quanto avevano più degli altri perduto l’antica coscienza di-chiaroveggenza trasognata.

In che cosa consiste infatti il progresso dalla quarta alla quinta epoca?

Consiste nel perdere l’antica chiaroveggenza, nell’acquistare la chiara coscienza di veglia.

 

Quel grande iniziato condusse lontano il suo piccolo gruppo d’uomini, affinché non dovessero vivere in mezzo a coloro che si trovavano tuttora al grado di coscienza degli antichi atlanti; per pervenire ai mondi superiori, gli uomini di quel piccolo gruppo dovevano già sottoporsi a una disciplina occulta artificiale.

Che cos’era rimasto dell’antica convivenza col mondo divino-spirituale, all’uomo dei primi tempi postatlantici? La nostalgia!

La porta dei mondi spirituali gli si era chiusa dinanzi, ma la nostalgia era rimasta. Nell’ascoltare le antiche saghe e tradizioni, lo stato d’animo dell’uomo dei primi tempi postatlantici poteva esprimersi così: « Ci fu un tempo in cui i nostri progenitori scorgevano il mondo spirituale e vivevano con gli spiriti e gli dèi, avendo diretto contatto con la realtà spirituale più profonda. Oh, se potessimo entrarci anche noi! » E da questa nostalgia prese le mosse il metodo d’iniziazione paleo-indiano scaturito appunto dal rimpianto per ciò che era andato perduto, e fondato sul temporaneo abbandono della chiara coscienza diurna per risalire agli stati di coscienza del passato.

 

Lo yoga è il metodo dell’iniziazione paleo-indiana che con la sua particolare tecnica ristabiliva artificialmente ciò che in via naturale era andato perduto per gli uomini.

• Raffiguratevi un uomo dell’Atlantide più antica, con la sua testa eterica notevolmente sporgente oltre la testa fisica.

• Quando poi usciva fuori dal connesso corporeo il corpo astrale, una gran parte della testa eterica rimaneva ancora collegata col corpo astrale, per cui le esperienze di quest’ultimo potevano imprimersi nel corpo eterico:  così diventava possibile il prendere coscienza delle proprie esperienze.

Quando poi verso la fine dell’età atlantica la parte eterica della testa si ritrasse entro i limiti della testa fisica, il corpo astrale ogni notte usciva del tutto dal corpo eterico.

 

• Nell’antica iniziazione si dovette perciò tentare di estrarre artificialmente il corpo eterico, di immergere cioè l’uomo in una specie di stato letargico, di sonno mortale, che durava tre giorni e mezzo, durante il quale il corpo eterico emergeva dal corpo fisico, se ne distaccava parzialmente: in questo modo le esperienze del corpo astrale potevano imprimersi entro l’eterico.

• Quando poi il corpo eterico veniva ricongiunto al corpo fisico, l’uomo era in grado di sapere ciò che aveva sperimentato nel mondo spirituale.

Questo era l’antico metodo dell’iniziazione yoga, mediante la quale l’uomo si sollevava per così dire dal mondo in cui era venuto a trovarsi, per riportarsi di nuovo nel mondo spirituale.

L’intonazione della civiltà scaturita da questa iniziazione è quella che ha trovato i suoi echi nella civiltà indiana posteriore. È lo stato d’animo che si esprime in questo atteggiamento: la verità e la realtà e l’essenza delle cose stanno esclusivamente nel mondo spirituale, in cui l’uomo penetra quando si sottrae al mondo fisico sensibile.

 

Adesso l’uomo si trova nei regni del mondo fisico, circondato com’è dal regno minerale, da quello vegetale e da quello animale; ma questi non sono la verità, ciò che qui circonda l’uomo non è altro che apparenza esteriore; la verità, egli l’ha perduta da tempi remoti ed ora vive in un mondo di apparenza, d’illusione, di maya!

Così il mondo fisico divenne per la civiltà paleo-indiana il mondo della maya.

Questo va inteso non come un’astratta teoria, ma come espressione dello stato d’animo dominante in quell’antica civiltà.

Per l’uomo paleo-indiano, se voleva essere particolarmente santo, il mondo della maya era privo di valore; questo mondo fisico per lui era pura illusione.

Il mondo reale esisteva quando egli si ritraeva da questo mondo fisico, quando per mezzo dello yoga egli tornava a vivere nel mondo in cui i suoi progenitori atlantici erano ancora vissuti.

 

Tuttavia, il senso dell’ulteriore evoluzione consiste nel fatto che l’uomo si abitui gradualmente a considerare nel suo giusto valore e secondo il suo significato il mondo fisico che gli viene assegnato come dimora nell’epoca postatlantica.

In confronto alla civiltà paleo-indiana rappresenta già un passo avanti il secondo periodo di civiltà, preistorico anch’esso, che noi però denominiamo paleo-persiano, dal nome del popolo che più tardi abitò quelle regioni. Anche in questo caso dunque non si tratta della civiltà persiana posteriore, di quella storica, bensì d’una civiltà preistorica.

Questo secondo periodo si distingue già molto notevolmente, quanto al suo stato d’animo fondamentale, al suo contenuto affettivo, dal periodo di civiltà paleo-indiano. Diventava sempre più difficile di trar fuori il corpo eterico, ma era pur sempre ancora possibile, e in qualche modo si continuò a praticarlo, fino alla venuta del Cristo Gesù.

 

Una cosa tuttavia avevano raggiunto, questi uomini della civiltà paleo-persiana: avevano cominciato ad apprezzare la maya, l’illusione. L’antico indiano si sentiva a suo agio quando gli riusciva di sottrarsi all’illusione; per il paleo-persiano, questa era divenuta campo di attività. È vero che essa gli appariva ancora come un avversario, però come qualcosa che andasse vinto, e da questo atteggiamento scaturì più tardi la lotta fra Ormazd e Arimane, nella quale l’uomo si univa agli dèi buoni contro le potenze avversarie impigliate nella materia. Così venne formandosi lo stato d’animo caratteristico di quel periodo di civiltà.

Neppure all’uomo paleopersiano questa realtà fisica era cara; tuttavia non la sfuggiva più, come aveva fatto il paleo-indiano, bensì la trasformava colla sua attività, considerandola un campo d’azione per il proprio lavoro, dove c’era qualcosa da superare. In questo secondo periodo s’era fatto un passo nella conquista del mondo fisico.

 

Venne poi il terzo gradino di civiltà, col quale andiamo sempre più avvicinandoci ai tempi storici. Nella scienza occulta lo definiamo come la civiltà caldeo-babilonese-assiro-egiziana. Tutte queste civiltà furono fondate da colonie emigrate sotto la guida di grandi capi. La prima colonia fondò la civiltà paleo-indiana; la seconda, la paleo-persiana; una terza corrente di civiltà si spinse ancora più oltre verso occidente, fondando il nucleo primordiale della civiltà caldeo-assiro-babilonese-egiziana.

Con ciò fu fatto un passo importante nella conquista del mondo fisico: questo appariva ancora all’uomo paleo-persiano come una massa informe che occorreva trasformare, se si voleva operare in essa, alleandosi con quelli che si ritenevano gli spiriti buoni della vera realtà spirituale. Nel periodo seguente si era divenuti più familiari con la realtà fisica.

 

Guardate ad esempio l’antica astronomia caldea, che appartiene alle creazioni più singolari e più grandi dello spirito umano nell’età postatlantica: potrete constatare che essa indaga il corso degli astri e le leggi del cielo. L’uomo paleo-indiano aveva ancora guardato al cielo, dicendosi: quale che sia il corso degli astri e quali le leggi che lo reggono, non vale la pena di indagarli! Agli uomini del terzo periodo di civiltà sembrava già molto importante penetrare con la mente quelle leggi.

Per l’antico egizio divenne perfino importante l’indagine delle condizioni terrestri, tanto che fu elaborata la geometria.

Si prese dunque a indagare la maya e nacque la scienza esteriore.

 

L’uomo studia i pensieri degli dèi e sente di dover creare un nesso fra la propria attività e ciò ch’egli ritrova impresso nella materia come scrittura degli dèi. Ben diverso da quello odierno risulterebbe il concetto dello stato politico a chi indagasse le caratteristiche della vita politica vigente presso i Caldei o gli Egizi. Infatti le persone poste a capo di quelle antiche formazioni statali erano dei sapienti che al tempo stesso conoscevano le leggi del corso degli astri, e si rendevano conto che tutto deve in qualche modo corrispondersi reciprocamente nell’universo. Avevano studiato il corso delle stelle e sapevano che deve esistere un’armonia fra quanto avviene in cielo e quanto in Terra. Secondo gli eventi celesti, essi prescrivevano ciò che avrebbe dovuto compiersi in Terra, nel corso del tempo.

 

Perfino nei primi tempi romani (cioè già nel quarto periodo di civiltà) si era ancora consapevoli che quanto avviene sulla Terra deve in qualche modo corrispondere a ciò che si rivela in cielo. Negli antichi misteri si conoscevano, agli albori d’una nuova civiltà, gli avvenimenti destinati a compiersi nel futuro per lungo tratto di tempo. Così ad esempio all’inizio della storia romana la sapienza dei misteri aveva insegnato: nei tempi che seguiranno al nostro dovranno compiersi i più diversi destini, e verranno fatti svolgere nella regione di Albalonga.

Per chi è in grado di leggere, risulta chiaro che qui si accennava a un’espressione profondamente simbolica, nel senso che la saggezza sacerdotale tracciava, per così dire, la civiltà dell’antica Roma. « Alba longa » era la lunga veste sacerdotale. In quelle antiche civiltà venivano dunque in questo modo « tracciate » (per usare un termine tecnico) le vicende della storia ventura.

 

Ci si diceva: dovranno susseguirsi sette epoche; si suddivideva l’avvenire secondo un ciclo settenario e si anticipavano le linee fondamentali della storia. Potrei mostrare facilmente che sotto le figure dei sette re di Roma, che stavano iscritti nei « libri sibillini » già agli albori della civiltà romana, si nascondevano profezie del divenire storico.

D’altra parte a quei tempi gli uomini si rendevano conto che quanto vi stava iscritto si sarebbe dovuto avverare: e in occasione di eventi importanti quei libri sacri venivano consultati. Ecco la ragione della venerazione e della segretezza da cui i libri sibillini erano circondati.

Così l’uomo del terzo periodo di civiltà, mediante la propria elaborazione, introdusse lo spirito nella materia, compenetrò di spirito il mondo esteriore. Innumerevoli testimonianze storiche di questa azione si nascondono nel divenire di questo terzo periodo, della civiltà assiro-babilonese-caldeo-egiziana.

 

• Il nostro periodo attuale può venire compreso solo tenendo conto delle importanti relazioni che lo collegano con quel terzo periodo.

 

Vorrei accennare a una di queste relazioni, per mostrare come le cose risultino mirabilmente connesse fra loro, per chi è in grado di guardare più a fondo e sappia che ciò che si chiama egoismo e principio utilitario ha raggiunto oggi il suo culmine.

Mai prima dei giorni nostri la civiltà era stata così egoista e priva di ideali, e tale essa diverrà sempre più nei prossimi tempi, poiché oggi lo spirito è completamente disceso entro la civiltà materiale.

L’umanità dovette esplicare inaudite forze spirituali nelle grandi invenzioni e scoperte moderne, soprattutto nel secolo decimonono.

 

Quanta forza spirituale sta nei telefoni, nei telegrafi, nelle ferrovie, ecc.! Quanta mai forza spirituale si trova materializzata, cristallizzata nelle relazioni commerciali estese su tutta la Terra! Quanta forza spirituale è stata necessaria, per giungere a che una somma di denaro possa venire pagata a Tokio, in base a un pezzo di carta scritto qui in Europa, a un assegno! Ci si può domandare: questa forza spirituale è stata spesa nel senso del progresso spirituale? Se si considera il problema nel modo giusto, si può rispondere: « Voi costruite sì le ferrovie, ma per trasportare quanto serve allo stomaco; e se le usate voi stessi, è per soddisfare i vostri bisogni ».

 

Che differenza fa, per la scienza dello spirito, se l’uomo si macina il grano con un paio di pietre, o se se lo procura da lontano, per mezzo del telegrafo, dei piroscafi, ecc.? È stata esplicata sì un’immensa forza spirituale, ma solo in senso strettamente personale. Che cosa sarà il senso di tutto quanto gli uomini si saranno in tal modo procacciato? Probabilmente non sarà antroposofia, cioè verità spirituale!

Se usano telegrafi e piroscafi, si tratterà in primo luogo di decidere quanto cotone si voglia trasferire dall’America all’Europa, o simili, cioè di qualcosa che si riferisce ai bisogni personali. E si è discesi perfino alle più basse profondità dei bisogni personali, della parte più materiale dell’individuo.

Eppure, un utilitarismo talmente egoistico doveva una volta avverarsi, perché così la riascesa si potesse compiere nel modo migliore, nel corso dell’intera evoluzione umana.

 

Ma che cosa era dunque accaduto, perché l’uomo tenesse talmente alla propria persona, com’è ch’egli si sente così fortemente quale singola persona, com’è che l’uomo oggi, nei confronti del mondo spirituale, si sente così radicato nella sua esistenza racchiusa fra la nascita e la morte?

Gli elementi più importanti per questo sviluppo furono preparati nel terzo periodo di civiltà quando si volle conservare oltre la morte la forma del singolo corpo fisico, nella « mummia », quando non si voleva a nessun costo lasciar dissolvere la forma del corpo e Io si imbalsamava.

Fu così che l’attaccamento alla persona singola s’impresse talmente nell’uomo che oggi, reincarnandosi, si manifesta come senso dell’individuo.

 

Che oggi sia tanto forte il sentimento dell’individuo è una conseguenza del fatto che nel periodo egizio si mummificavano i corpi.

A questo modo tutto si ricollega nell’evoluzione umana.

Gli egizi imbalsamavano i corpi dei defunti affinché gli uomini del quinto periodo possedessero la più forte coscienza della propria persona.

Esistono davvero dei profondi misteri nell’evoluzione dell’umanità!

Vedete dunque come gli uomini scendono sempre più a fondo entro la maya, compenetrando la materia con ciò che l’uomo può conquistare.

 

Nel quarto periodo, quello greco-latino, l’uomo comincia col proiettare nel mondo esterno la propria natura interiore.

Vedete come in Grecia l’uomo obiettivizzi se stesso nella materia, nelle forme: egli occulta la sua propria forma nelle figure delle divinità elleniche.

Con Eschilo si manifesta nell’arte drammatica il fatto che l’uomo vuol valorizzare artisticamente la propria individualità: egli stesso scende sul piano fisico e crea un’immagine di se stesso.

 

E nella civiltà romana  l’uomo crea, nelle istituzioni dello stato, un’immagine di se stesso.

È prova del peggiore dilettantismo il voler far risalire ciò che oggi vien chiamato giurisprudenza a tempi anteriori all’età romana.

Ciò che esisteva prima era qualcosa di completamente diverso, quanto al concetto stesso, dal diritto, dal « jus »: infatti, prima di Roma, non esisteva ancora il concetto giuridico dell’uomo, il concetto dell’uomo quale individuo esteriore.

Nella Grecia antica c’era la « polis », la piccola città-stato, di cui il singolo si sentiva come un elemento costitutivo.

 

L’uomo odierno troverebbe difficoltà a ritrovarsi in quella coscienza dell’età greca. Nella civiltà romana si penetra così a fondo nel mondo fisico che la personalità singola appare anche giuridicamente, nel cittadino romano. Così ogni cosa progredisce a grado a grado; e avremo modo di constatare come la personalità umana si delinei sempre più chiaramente e con ciò conquisti sempre più il mondo fisico.

 

L’uomo s’immerge sempre più a fondo nella materia.

La nostra civiltà è la prima dopo quella dell’età greco-romana, cioè la quinta dell’epoca postatlantica.

La quarta civiltà, quella greco-romana, è quella di mezzo; e proprio in quella il Cristo Gesù appare sulla Terra.

Questo evento venne preparato nel corso della terza civiltà postatlantica, poiché ogni cosa nel mondo deve venir preparata adeguatamente.

Nel corso della terza civiltà venne preparato quello che doveva svolgersi, quale massimo evento della storia terrestre, nel corso del quarto periodo: proprio nel periodo greco-romano, in cui gli uomini erano talmente progrediti come individui da proiettare se stessi fuori, sul piano fisico, raffigurando i loro dèi sotto l’aspetto umano.

 

Nell’età greca, l’uomo si crea con l’arte un mondo divino a immagine e somiglianza di lui stesso.

E nello stato politico ripete questa espressione dell’individuo.

L’uomo era disceso fino alla comprensione della materia, fino alle nozze della maya con lo spirito.

È il momento in cui l’uomo giunge anche alla comprensione dell’individuo.

Comprenderete quindi che proprio quello era il tempo in cui si poteva comprendere il Dio come apparizione personale, quello in cui anche lo spirito appartenente alla Terra progredì fino alla persona.

Ed ecco quindi, alla metà dell’epoca postatlantica, il Dio stesso si manifesta come uomo, come singola personalità.

 

Possiamo proprio dire: ciò che avvenne nell’età greca, quando l’uomo creò in quelle opere d’arte una riproduzione di se stesso, ci appare come un’immagine piena di significato.

E quando poi nel passaggio dalla civiltà ellenica a quella romana, vediamo sfilarci dinanzi i grandi tipi umani della romanità, è come se i simulacri degli dèi greci fossero discesi dai loro piedestalli e s’aggirassero, avvolti nella toga! Par proprio di vederli!

• Così l’uomo era progredito, dai tempi in cui si sentiva parte integrante della divinità, fino a sentirsi quale individualità propria.

• A questo punto egli poteva comprendere come individualità perfino la divinità stessa ch’era discesa sulla Terra e abitava fra gli uomini, incarnata.