I° – Tre periodi distinguono le vite fra la morte e una nuova nascita

O.O. 26 – Massime antroposofiche – Lettera del 25.01.1925 (Parte – I°) – massime n° 147-149


 

Nella lettera precedente abbiamo esaminato il complesso della vita umana

in modo da volgere lo sguardo dell’anima al succedersi delle vite terrene.

Un altro punto di vista, atto ad illuminare ancora più chiaramente ciò che il primo ci ha manifestato,

sarà di considerare le vite successive fra la morte e una nuova nascita.

 

Anche qui ci si mostra che il contenuto di queste vite, nella sua forma attuale, risale soltanto fino ad un dato punto dell’evoluzione della terra. Tale contenuto attuale è invero determinato dal fatto che l’uomo trasferisce attraverso la porta della morte la forza interiore dell’autocoscienza conquistata nella vita sulla terra. Grazie a ciò l’uomo viene a trovarsi come un’individualità completa anche di fronte agli esseri divino-spirituali nella cui cerchia egli entra.

 

Così non era in un periodo precedente. Allora l’uomo non era ancora avanzato nello sviluppo della sua autocoscienza. La forza conseguita sulla terra non bastava ad effettuare il distacco dal mondo divino-spirituale fino al punto da conferirgli un’esistenza individuale fra la morte e una nuova nascita. Allora l’uomo non viveva più nel seno degli esseri divino-spirituali, ma era tuttavia inserito nell’orbita della loro attività in modo che il suo volere era essenzialmente il loro volere, non il suo.

 

Questo periodo è stato preceduto da un altro nel quale, guardando indietro, non incontriamo affatto l’uomo nella sua presente costituzione animico-spirituale, ma troviamo il mondo degli esseri divino-spirituali in seno ai quali vi è l’uomo quale germe. Quegli esseri sono i principati (archai).

E nel riandare a ritroso la vita di un uomo, non incontriamo solo un essere divino-spirituale, ma tutti gli esseri appartenenti a quella gerarchia.

In quegli esseri divino-spirituali vive la volontà che l’uomo divenga. La volontà di tutti partecipa al divenire di ogni singolo uomo. La loro collaborazione corale ha per mèta universale la creazione della figura umana perché l’uomo vive nel mondo divino-spirituale, ancora non formato.

 

Può forse sembrare strano che per un solo uomo operi tutto il coro degli esseri divino-spirituali. Ma già prima avevano spiegato così la loro azione creativa, attraverso le evoluzioni della Luna, del Sole e di Saturno, le gerarchie di exusiai, dynameis, kyriotetes, troni, cherubini e serafini, affinché l’uomo divenisse.

Quella specie di precursore dell’uomo che si formò prima su Saturno, Sole e Luna, non aveva ancora una figura unitaria. In alcuni di quegli esseri pre-umani prevaleva il sistema delle membra, in altri il sistema del torace, in altri ancora il sistema della testa. Erano beninteso veri uomini; qui vengono chiamati esseri pre-umani solo per distinguerli dallo stadio successivo in cui il confluire equilibrato di tutti i sistemi appare nella figura umana. In quegli esseri pre-umani la differenziazione va anche più oltre: si può parlare di uomini in cui prevalgono o il cuore, o i polmoni, o altro.

 

La gerarchia delle archai considera suo compito l’introdurre nella figura umana generale

tutti quegli esseri pre-umani, la cui vita animica pure corrispondeva a quella loro struttura unilaterale.

 

Le archai ricevono l’uomo dalle mani degli exusiai. Questi, nel pensiero, avevano già creato un’unità dalla pluralità umana. Ma per gli exusiai tale unità era ancora una figura ideale, una figura di pensiero universale. Le archai ne formarono la figura eterica, ma in modo che essa contenesse già le forze atte a produrre la figura fisica.

 

Un quadro possente ci si rivela contemplando quei processi.

L’uomo è l’ideale degli dèi, la mèta degli dèi.

• Ma il riconoscerlo non può essere per l’uomo fonte di orgoglio o presunzione,

perché a lui è lecito attribuirsi, come generato da sé,

solamente ciò che nelle sue vite terrene egli ha fatto di sé con la sua autocoscienza.

• E questo, espresso in proporzioni cosmiche, è ben poca cosa

di fronte a ciò che, come base del suo proprio essere,

gli dèi, dal macrocosmo che sono gli dèi stessi, hanno creato come microcosmo, vale a dire l’uomo stesso.

 

Gli esseri divino-spirituali stanno nel cosmo gli uni di fronte agli altri.

Di ciò è espressione visibile la configurazione del cielo stellato.

Essi vollero creare in una unità, come uomo, ciò che essi sono, in quanto così riuniti.

 

Per ben comprendere

ciò che la gerarchia delle archai compì quando creò coralmente la figura umana,

si deve considerare che esiste una differenza considerevole

fra questa figura e il corpo fisico dell’uomo.

 

Corpo fisico è ciò che si svolge nell’essere umano fisicamente e chimicamente.

Questo avviene per l’uomo attuale entro la figura umana.

• Ma questa, per sé stessa, è in tutto e per tutto spirituale.

 

Dovrebbe compenetrarci di solennità lo scorgere, nel mondo fisico e con sensi fisici,

un ente spirituale come figura umana.

• Chi è dotato di veggenza spirituale vede nella figura dell’uomo

una vera immaginazione che è discesa nel mondo fisico.

 

Per vedere delle immaginazioni, occorre passare dal mondo fisico nel mondo spirituale più vicino.

Così facendo ci si accorge come la figura umana sia affine a quelle immaginazioni.

Lo sguardo animico dell’uomo, se osserva retrospettivamente la vita fra morte e nuova nascita,

come primo periodo trova questo sorgere della figura umana.

E insieme scopre allora quale profonda relazione esista fra l’uomo e la gerarchia delle archai.

 

In questo periodo si può già parlare di un accenno di differenziazione

fra la vita sulla terra e la vita tra la morte e una nuova nascita.

La gerarchia delle archai lavora infatti al divenire della figura umana in periodi ritmici.

In un dato periodo dirige più verso il cosmo extraterrestre i pensieri che guidano le volontà del singolo.

In un altro periodo guarda giù verso la terra.

• E dalla collaborazione fra quello che viene stimolato dal cosmo extraterrestre e dalla terra,

viene a formarsi la figura umana; essa è così l’espressione del fatto che l’uomo è insieme

essere della terra ed essere del cosmo extraterrestre.

 

La figura umana, quale è qui descritta come creazione della gerarchia delle archai,

non comprende però soltanto i contorni esteriori dell’uomo

e la conformazione della superficie delimitata dalla sua pelle,

ma comprende anche la configurazione delle forze inerenti al suo portamento,

alla sua facoltà di movimento adattata alle condizioni terrestri,

e alla facoltà di adoperare il suo corpo come mezzo di espressione per la sua interiorità.

 

Che l’uomo possa inserirsi in posizione eretta nelle condizioni dovute alla gravità della terra, che in quelle condizioni egli possa mantenersi in equilibrio muovendosi liberamente, che egli possa strappare alle forze di gravità braccia e mani, adoperandole in libertà, questo ed altro ancora che è sì all’interno, ma pure dipende dalla conformazione, tutto questo l’uomo deve alla creazione della gerarchia delle archai.

Tutto questo viene preparato nella vita che anche per il detto periodo possiamo chiamare fra morte e nuova nascita. E vi viene preparato in modo che nel terzo periodo, nell’epoca presente, l’uomo abbia egli stesso la facoltà di lavorare a questa sua conformazione per la vita terrena, durante la sua vita fra morte e nuova nascita.

 


 

 

147Anche le vite fra la morte e una nuova nascita palesano tre periodi.

In un primo periodo l’uomo vive del tutto nella gerarchia delle archai.

Da queste viene preparata la sua successiva figura umana per il mondo fisico.

 

148Le archai preparano così l’essere umano

ad esplicare più tardi la libera autocoscienza,

perché quest’ultima può svilupparsi soltanto in esseri

i quali possono manifestarla per un intimo impulso dell’anima,

attraverso la figura che vien creata qui.

 

149Così sì vede come i germi delle qualità e delle forze dell’umanità,

che si rivelano nella nostra epoca,

vengano predisposti in epoche da gran tempo trascorse,

e come il microcosmo germogli dal macrocosmo.