III – La vita terrena del Cristo nel senso del Quinto Vangelo

O.O. 148 – Il Quinto vangelo – 03.10.1913


 

Sommario: Gli Apostoli del Cristo Gesù, sperimentarono un certo risveglio dal momento in cui inizia la cosiddetta Pentecoste. La vita terrena del Cristo nel senso del Quinto Vangelo. Il battesimo di Giovanni nel Giordano assomiglia a una concezione. Tra il battesimo e il Golgota quella del Cristo è da considerarsi come una vita embrionale. La morte di Gesù è da intendersi come la nascita terrena del Cristo e il periodo di 40 giorni trascorso a impartire insegnamenti ai discepoli come la durata della sua effettiva vita terrena. Dobbiamo poi intendere l’evento che vien descritto come l’Ascensione e la successiva effusione dello spirito, come quello che per l’uomo è l’ingresso nei mondi spirituali dopo la morte. Invece di andare in un devacian, in un mondo spirituale, come fa l’uomo dopo la morte, l’entità del Cristo offrì il sacrificio di disporre il suo cielo sulla Terra, di cercarlo in Terra. Quanto venne sperimentato tra il battesimo di Giovanni e la Pentecoste, dovette venir sperimentato per trasformare l’entità celeste del Cristo nell’entità terrena del Cristo. A partire dalla Pentecoste, l’entità del Cristo è sulla Terra presso le anime umane, prima non era presso le anime umane sulla Terra. L’evento della Pentecoste nel senso del Quinto Vangelo. I misteri persiani o di Mitra. Quanto nel tempo antico poteva essere raggiunto da pochi singoli, venne raggiunto come un evento naturale nei giorni della Pentecoste da coloro che erano Apostoli del Cristo. Mentre prima le anime umane avevano dovuto salire verso il Cristo, il Cristo stesso era ora disceso verso gli Apostoli. L’esistenza terrestre del Cristo è sorta dalla profondissima sofferenza che eccede ogni capacità umana di immaginare che cosa sia il soffrire. Sofferenza senza giustificazione karmica, sofferenza non meritata, sofferenza innocente! La vita del Cristo Gesù non portava con sé alcun karma, e nemmeno ne creò del nuovo. Nei tre anni della sua vita terrena lo spirito del Cristo inizialmente ebbe solo un collegamento tenue con il corpo di Gesù con il quale si legò in modo sempre più stretto col trascorrere del tempo e l’entità del Cristo divenne etericamente sempre più simile al corpo fìsico di Gesù di Nazareth. Poco alla volta il Dio divenne uomo. L’entità del Cristo vide consumarsi il proprio contenuto divino mentre, come entità eterica, diveniva sempre più simile al corpo di Gesù di Nazareth, tanto simile da poter sentire la paura come la sente un uomo. Il Cristo divenne uomo, e svanirono in lui le forze spirituali miracolose del Dio. Dalla pienezza della potenza divina, fino all’impotenza: questo fu il percorso della passione del Dio, un cammino di infinita sofferenza per il Dio divenuto uomo. Quella sofferenza generò però lo Spirito che alla Pentecoste si riversò sugli Apostoli. Da quel dolore nacque l’amore cosmico onnioperante.

 

Quando ieri ho detto che le personalità, che si designano di solito come gli Apostoli del Cristo Gesù, sperimentarono un certo risveglio dal momento in cui inizia la cosiddetta Pentecoste, non si deve con questo stimare che quello di cui parlo oggi, come del contenuto del Quinto Vangelo, sia stato come ora lo racconto presente allora nella piena coscienza degli Apostoli stessi. Quando però la coscienza chiaroveggente penetra nelle loro anime, vi ritrova quelle immagini. Vivevano allora negli Apostoli stessi, non tanto come immagini, direi piuttosto come vita, come esperienze dirette, come sentimenti e facoltà dell’anima.

 

Quello poi che gli Apostoli poterono dire, che seppe affascinare in quei tempi perfino i greci dando impulso a ciò che chiamiamo l’evoluzione del cristianesimo, le facoltà dell’anima, le forze dell’anima che portavano in loro fiorirono dalla forza vivente del Quinto Vangelo che in essi viveva.

Essi poterono parlare come parlarono, poterono agire come agirono, perché portavano viventi nelle loro anime i fatti che noi ora decifriamo come Quinto Vangelo, anche se non raccontarono i fatti stessi negli stessi termini con i quali adesso si deve raccontare il Quinto Vangelo.

Essi avevano infatti accolto, come attraverso un risveglio, la fecondazione da parte dell’amore cosmico onnioperante, e sotto l’impressione di tale fecondazione continuarono ad agire.

 

Quel che agiva in loro

era ciò in cui il Cristo si era trasformato dopo il mistero del Golgota;

e qui giungiamo al punto in cui dobbiamo parlare della vita terrena del Cristo nel senso del Quinto Vangelo.

 

Non è facile trovare parole atte ad esprimere quello che si deve dire in maniera comprensibile per l’attuale capacità di comprensione, ma possiamo avvicinarci a questo massimo segreto della Terra con l’ausilio di vari concetti e idee che ci sono già familiari grazie ai nostri studi di scienza dello spirito.

Se vogliamo comprendere l’essere del Cristo, dobbiamo applicare (in forma alquanto cambiata) all’entità del Cristo alcuni concetti che già abbiamo dalle esposizioni della scienza dello spirito.

 

Per arrivare a una certa chiarezza, prendiamo lo spunto

da quello che generalmente si chiama il battesimo di Giovanni nel Giordano.

• Esso si presenta nel Quinto Vangelo, per la vita terrena del Cristo,

come qualcosa che nell’uomo terreno assomiglia alla concezione.

• Possiamo comprendere la vita del Cristo, a partire da quell’evento e fino al mistero del Golgota,

paragonandola alla vita del germe umano nel corpo della madre; è in certo modo una vita embrionale

quella che l’entità del Cristo percorre tra il battesimo di Giovanni e il mistero del Golgota.

 

• Dobbiamo intendere il mistero del Golgota, cioè la morte di Gesù, come la nascita terrena del Cristo;

dobbiamo quindi cercare la sua effettiva vita terrena dopo il mistero del Golgota,

allorché il Cristo fu in relazione con gli Apostoli, come ho accennato ieri,

mentre essi si trovavano in un altro stato di coscienza.

• Questo avvenne dopo la vera nascita dell’entità del Cristo;

per l’entità del Cristo dobbiamo poi intendere

l’evento che vien descritto come l’Ascensione e la successiva effusione dello spirito,

come quello che per l’uomo è l’ingresso nei mondi spirituali dopo la morte.

 

Dobbiamo poi comparare l’ulteriore vita del Cristo nella sfera della Terra

a partire dall’Ascensione o dalla Pentecoste,

con quello che l’anima umana prova nel cosiddetto devacian o mondo spirituale.

 

• Vediamo dunque che nel Cristo abbiamo un’entità di fronte alla quale

dobbiamo mutare completamente tutti i concetti che altrimenti

abbiamo acquisito per la successione delle condizioni della vita umana.

• Dopo il corto intermezzo che si chiama di solito tempo di purificazione o kamaloka,

l’uomo passa nel mondo spirituale, per prepararsi alla successiva vita terrena.

 

• Dopo la sua morte l’uomo trascorre cioè una vita spirituale;

dopo la Pentecoste, l’entità del Cristo visse il suo immergersi nella sfera della Terra

come un’esperienza paragonabile a quella che per l’uomo è il passaggio nel mondo spirituale.

• Invece di andare in un devacian, in un mondo spirituale, come fa l’uomo dopo la morte,

l’entità del Cristo offrì il sacrificiodi disporre il suo cielo sulla Terra, di cercarlo in Terra.

• Per usare le espressioni correnti, l’uomo abbandona la Terra per cambiare la sua dimora con il cielo;

il Cristo abbandonò il cielo per scambiare questa sua dimora con la Terra.

 

Prego di considerare questo fatto nella giusta luce, per connettervi la sensazione e il sentimento di che cosa avvenne grazie al mistero del Golgota e all’entità del Cristo, in che cosa consistette il suo vero sacrificio, quello cioè di abbandonare le sfere spirituali, per vivere con la Terra e con l’uomo sulla Terra stessa, allo scopo di portare avanti gli uomini e l’evoluzione sulla Terra per mezzo dell’impulso conferitole.

 

Già questo dice che questa Entità non faceva parte della sfera terrestre

prima del battesimo di Giovanni nel Giordano,

che essa immigrò cioè dalla sfera sopraterrestre nella sfera terrestre.

Quanto venne sperimentato tra il battesimo di Giovanni e la Pentecoste,

dovette venir sperimentato per trasformare l’entità celeste del Cristo nell’entità terrena del Cristo.

 

È un mistero di sconfinata grandezza quello che si esprime dicendo:

a partire dalla Pentecoste, l’entità del Cristo è sulla Terra presso le anime umane,

prima non era presso le anime umane sulla Terra.

• Ciò che l’entità del Cristo percorse tra il battesimo di Giovanni e la Pentecoste,

avvenne affinché la dimora di un Dio nei mondi spirituali potesse venir cambiata con la dimora nella sfera terrena.

• Ciò avvenne affinché l’entità divino-spirituale del Cristo potesse assumere la figura

che le era necessaria per vivere da allora in poi in comunione con le anime umane.

 

Perché si sono dunque compiuti gli eventi di Palestina?

Affinché l’entità divino-spirituale del Cristo potesse assumere la figura che le occorreva

allo scopo di vivere in comunione con le anime umane sulla Terra.

Con questo si afferma nel contempo che l’evento di Palestina è unico, come ho già spesso indicato:

è la discesa nella sfera terrestre di un’Entità superiore, non terrena, è il suo rimanere unita con la sfera terrena

finché sotto il suo influsso quest’ultima non abbia subito l’adeguata trasformazione.

• L’entità del Cristo è dunque da quel tempo attiva sulla Terra.

 

Se ora vogliamo comprendere appieno l’evento della Pentecoste nel senso del Quinto Vangelo,

dobbiamo prendere in aiuto i concetti che abbiamo elaborato nella scienza dello spirito.

 

Avevamo fatto presente che nei tempi antichi vi erano state iniziazioni entro i misteri,

mediante le quali l’anima umana veniva elevata a partecipare alla vita spirituale.

L’essenza dei misteri precristiani vien particolarmente in evidenza nei cosiddetti misteri persiani o di Mitra.

In essi si contavano sette gradi di iniziazione.

 

 

Per i primi quattro gradi, oggi basti dire che l’uomo

veniva gradualmente introdotto sempre più in profondità nell’esperienza spirituale;

nel quinto grado l’uomo raggiungeva la facoltà di una coscienza allargata

che lo abilitava a divenire un protettore spirituale dell’intero popolo al quale apparteneva.

Per questo gli si attribuiva il nome del popolo corrispondente.

Quando in quegli antichi misteri qualcuno era iniziato al quinto grado,

aveva una determinata partecipazione alla vita spirituale.

 

Da un ciclo di conferenze che io tenni proprio qui, sappiamo già

che i popoli della Terra sono guidati da entità delle gerarchie spirituali cui diamo il nome di Arcangeli.

L’iniziato al quinto grado veniva appunto elevato nella sfera di queste entità, così da partecipare alla loro vita.

Gli iniziati al quinto grado erano necessari al cosmo,

e a questo scopo vi era appunto in Terra l’iniziazione a questo grado.

 

Quando una personalità del genere veniva iniziata nei misteri e percorreva tutte le esperienze animiche interiori, accogliendo il contenuto animico corrispondente al quinto grado, l’Arcangelo del popolo cui quell’iniziato apparteneva guardava giù alla sua anima e vi leggeva, come noi leggiamo in un libro che ci comunica cose che noi dobbiamo sapere, affinché possiamo compiere una data azione.

 

Gli Arcangeli leggevano nell’anima degli iniziati al quinto grado

quel che occorreva a un popolo, quanto gli era necessario;

si devono perciò creare in Terra iniziati del quinto grado,

affinché gli Arcangeli possano compiere giustamente la loro opera di guida.

• Questi iniziati sono dunque i mediatori tra le effettive guide dei popoli, gli Arcangeli, e i popoli stessi.

• Essi trasferiscono in alto, nella sfera degli Arcangeli, quanto vi occorre

affinché il popolo possa venir guidato nel modo giusto.

Come poteva venir conseguito questo quinto grado negli antichi tempi precristiani?

 

Certamente non quando l’anima umana rimaneva entro il corpo. L’anima doveva essere estratta dal corpo, e l’iniziazione consisteva appunto nell’estrarre l’anima dal corpo. Mentre era fuori dal corpo l’anima sperimentava una condizione che le trasmetteva il contenuto che ho appunto descritto. L’anima doveva abbandonare la Terra, doveva ascendere al mondo spirituale per raggiungere quanto doveva.

 

Quando veniva raggiunto il sesto grado dell’antica iniziazione, il grado di eroe solare,

si attivava nell’iniziato non solo quanto era necessario

per guidare, dirigere e condurre un popolo, ma qualcosa di superiore.

• Osservando l’evoluzione di tutta l’umanità sulla Terra,

vediamo che i popoli si formano e poi scompaiono, che si trasformano:

come i singoli uomini, anche i popoli nascono e muoiono.

• Ma ciò che un popolo opera per la Terra, deve venir sempre conservato per tutta l’evoluzione dell’umanità.

 

Un popolo non deve solo venir diretto e guidato, ma il lavoro terreno che il popolo stesso produsse deve venir continuato al di là del popolo stesso.

A questo scopo devono provvedere gli spiriti che sono di un grado al di sopra degli Arcangeli, gli Spiriti del tempo, ed essi avevano bisogno degli iniziati del sesto grado, degli eroi solari.

In ciò che infatti viveva nell’anima di un eroe solare gli esseri dei mondi superiori potevano leggere che cosa il lavoro di un popolo portava nel lavoro di tutto il genere umano.

 

Così si potevano guadagnare le forze che trasmettevano nel modo giusto il lavoro di un popolo nel lavoro di tutta l’umanità; su tutta la Terra veniva portato quanto viveva nell’eroe solare.

Come l’iniziato al quinto grado nei misteri doveva uscire dal suo corpo per sperimentare quanto era necessario, così chi doveva diventare un eroe solare, doveva uscire dal suo corpo ed eleggere realmente a sua dimora il Sole stesso mentre appunto era fuori dal suo corpo.

Queste son cose che appaiono come favole alla coscienza dei nostri tempi, forse anche come una pazzia. In merito vale però anche il detto di Paolo: la saggezza per gli dèi è spesso follia per gli uomini.

 

L’eroe solare viveva dunque per il tempo della sua iniziazione

insieme all’intero sistema solare: il Sole era la sua dimora,

come l’uomo normale vive sulla Terra che è il suo pianeta.

Come intorno a noi ci sono monti e fiumi, così durante il tempo della sua iniziazione,

stavano intorno all’eroe solare i pianeti del sistema solare.

Durante la sua iniziazione l’eroe solare era rapito sul Sole.

 

Negli antichi misteri ciò si poteva ottenere solo al di fuori del corpo. Quando poi si rientrava nel proprio corpo, ci si ricordava di quanto si era sperimentato fuori di esso e lo si poteva applicare come forza d’azione per l’evoluzione e la salvezza di tutta l’umanità. Gli eroi solari abbandonavano cioè il loro corpo durante l’iniziazione, e dopo essersi colmati di quelle forze, rientravano nel loro corpo. Dopo il loro rientro, avevano nell’anima forze capaci di trasferire il lavoro di un popolo nell’evoluzione di tutta l’umanità.

 

Che cosa sperimentavano gli eroi solari durante i tre giorni e mezzo della loro iniziazione, mentre essi erravano, così possiamo dire, non sulla Terra, ma sul Sole?

Sperimentavano la comunione con il Cristo che prima del mistero del Golgota non era ancora sulla Terra. Tutti gli antichi eroi solari erano ascesi così nella sfera solare, perché nei tempi antichi solo là si poteva sperimentare la comunione con il Cristo. Da quella sfera, alla quale dovevano ascendere gli antichi iniziati durante la loro iniziazione, il Cristo è disceso sulla Terra.

 

Possiamo quindi affermare che quanto nel tempo antico poteva essere raggiunto da pochi singoli,

venne raggiunto come un evento naturale nei giorni della Pentecoste da coloro che erano Apostoli del Cristo.

Mentre prima le anime umane avevano dovuto salire verso il Cristo, il Cristo stesso era ora disceso verso gli Apostoli.

 

In certo modo essi erano divenuti tali da portare in sé

il medesimo contenuto che gli antichi eroi solari avevano avuto nelle loro anime.

• La forza spirituale del Sole si era riversata nelle anime di quegli uomini,

e d’allora in poi continuò ad agire nell’evoluzione dell’umanità.

• Affinché ciò potesse avvenire, affinché una forza del tutto nuova potesse discendere sulla Terra,

dovette compiersi l’evento in Palestina, il mistero del Golgota.

 

Ma da che cosa è sorta l’esistenza terrestre del Cristo?

Essa è sorta dalla profondissima sofferenza che eccede ogni capacità umana di immaginare che cosa sia il soffrire.

Per acquisire in merito i giusti concetti, conviene eliminare alcuni ostacoli derivanti dall’attuale forma di coscienza.

Devo perciò fare alcune interpolazioni per spiegare il Quinto Vangelo.

 

È uscito da poco un libro del quale vorrei raccomandare la lettura, perché deriva dalla penna di un uomo assai ricco di spirito, ma che può dimostrare a quali assurdità in fatto di cose spirituali possono giungere uomini pur ricchi di spirito. Parlo del libro La mort di Maurice Maeterlinck.

Tra le numerose insensatezze che vi sono contenute, vi è anche l’asserzione che l’uomo, una volta morto, non possa più soffrire, in quanto sarebbe allora uno spirito privo di corpo fisico, e uno spirito non potrebbe soffrire, solo il corpo potrebbe farlo.

Dunque Maeterlinck, uomo di spirito, si illude che solo l’elemento fisico possa soffrire, che perciò un morto non possa soffrire; egli non si accorge del fenomenale e incredibile nonsenso che vi è nell’asserire che il corpo fisico, consistente di forze fisiche e di sostanze chimiche, sia il solo a soffrire. Come se la sofferenza fosse legata a sostanze e forze fisiche!

 

Ma esse non soffrono affatto; se lo facessero, dovrebbe soffrire anche una pietra.

Il corpo fisico non può soffrire; quello che soffre è invece lo spirito, l’elemento animico.

 

Oggi siamo giunti al punto che anche sulle cose più semplici gli uomini si fanno pensieri che sono il contrario di ogni buon senso. D’altra parte non vi potrebbero essere le sofferenze del kamaloka se la vita spirituale non fosse passibile di sofferenze. La sofferenza del kamaloka consiste appunto nel sentirsi privato del corpo fisico.

 

Chi è dell’opinione che lo spirito non possa soffrire,

non potrà mai formarsi la giusta idea dell’infinita sofferenza patita dal Cristo durante gli anni in Palestina.

Prima però di parlarne, devo rendere attenti su dell’altro:

dobbiamo considerare che con il battesimo di Giovanni nel Giordano uno Spirito discese sulla Terra,

che da allora in poi visse per tre anni in un corpo terreno nel quale subì poi la morte sul Golgota;

uno Spirito che, prima del battesimo di Giovanni nel Giordano,

era vissuto in condizioni del tutto differenti da quelle terrestri.

 

Che cosa significa questo?

Parlando antroposoficamente, significa che quello Spirito non aveva alcun karma terreno,

e prego di considerarne il significato: uno Spirito visse tre anni nel corpo di Gesù di Nazareth,

e percorse quella vita sulla Terra, senza avere nella sua anima un karma terreno.

• Di conseguenza le esperienze e le prove terrene che il Cristo ebbe

assumono un significato del tutto diverso da quello delle esperienze subite da un’anima umana.

 

Quando noi soffriamo, quando subiamo questa o quella vicenda, sappiamo che la sofferenza è basata sul karma.

Per lo Spirito del Cristo non era così:

egli doveva sperimentare per tre anni vicende terrene senza che alcun karma pesasse su di lui.

Che cosa significava per lui?

Sofferenza senza giustificazione karmica, sofferenza non meritata, sofferenza innocente!

 

Il Quinto Vangelo è il vangelo antroposofico e ci mostra che i tre anni di vita del Cristo

furono l’unica vita in un corpo umano ad essere vissuta senza karma,

una vita alla quale non è applicabile il concetto di karma in senso umano.

 

Ma l’ulteriore osservazione di questo Vangelo ci insegna a conoscere ancora un altro aspetto di quei tre anni di vita. L’abbiamo infatti considerata come una vita embrionale che non produsse nemmeno nuovo karma e non si caricò di alcuna colpa.

 

Dunque sulla Terra venne vissuta una vita di tre anni

che non era determinata da alcun karma e nemmeno produsse alcun karma.

• Bisogna accogliere nel loro senso più profondo tutti questi concetti e queste idee,

al fine di procurarsi le basi per la giusta comprensione

per quel straordinario evento di Palestina, altrimenti realmente inspiegabile.

• Molto bisogna radunare per la sua comprensione,

perché quante spiegazioni contraddittorie furono date e come fu poi frainteso!

• E tuttavia suscitò un impulso dopo l’altro nell’evoluzione dell’umanità!

 

Non sempre si prendono queste cose nel loro significato più profondo. Verrà il giorno in cui se ne parlerà in tutt’altro modo, quando cioè si sarà penetrato nelle sue immani profondità quello a cui oggi abbiamo solamente alluso, dicendo che ci troviamo qui di fronte a una vita di tre anni che fu vissuta senza karma.

Quante volte si passa senza riflettere davanti a cose che sono veramente molto significative! Certo qualcuno conosce un libro uscito nel 1863: La vita di Gesù di Ernest Renan. Lo si legge senza badare al suo aspetto più significativo. Forse in avvenire ci si meraviglierà che tanta gente abbia letto questo libro, senza avvertirne il lato strano. Lo strano del libro è che esso è una via di mezzo, un miscuglio fra un’esposizione elevata e un romanzaccio. Forse si considererà in avvenire una massima stranezza tale mescolanza.

 

Si provi a leggere con questa coscienza La vita di Gesù di Ernest Renan, si legga che cosa egli fa del Cristo, che per lui è naturalmente soprattutto Gesù: ne fa un eroe che all’inizio ha molte buone intenzioni, ne fa un grande benefattore dell’umanità, che viene poi come affascinato dall’entusiasmo popolare e cede sempre più di fronte a ciò che il popolo vuole e desidera, a quanto esso volentieri vuol sentir dire.

Ernest Renan applica in grande stile al Cristo quello che in piccolo avviene spesso a noi. Quando la gente vede qualcosa che si diffonde, per esempio la scienza dello spirito, e poi applica a chi la insegna questa critica: all’inizio aveva intenzioni senz’altro buone, ma poi vennero i suoi cattivi seguaci, che lo adularono e lo corruppero; cadde allora nell’errore di dire quello che gli ascoltatori gradivano di udire.

 

Così il Renan tratta della vita del Cristo; non si perita dal presentare la resurrezione di Lazzaro come una sorta di inganno che il Cristo Gesù permise per creare un buon mezzo di agitazione. Non si perita dal prospettare il Cristo Gesù come in uno stato di esaltazione passionale che lo fa cadere sempre di più nell’istinto popolare! Sono così mescolati brani da romanzaccio con descrizioni elevate, pure contenute nel libro.

Lo strano è che un sano sentire, a dir poco, dovrebbe spaventarsi quando trova descritto un essere che all’inizio nutre le migliori intenzioni, ma alla fine cade in istinti del volgo e permette che si faccia ogni sorta di frodi. Pure il Renan non sembra affatto spaventato, ma anzi dedica espressioni affascinate a questa personalità; è invero assai curioso, ma è un esempio di quanto grande sia l’inclinazione delle anime umane per il Cristo, anche se non lo comprendono.

 

Si arriva al punto che il Renan fa della vita del Cristo un romanzaccio, e tuttavia non trova bastanti parole di ammirazione per indirizzare l’attenzione degli uomini verso di lui. Tali cose sono possibili solo nei confronti di un’Entità che entra nella evoluzione della Terra come il Cristo. Se il Cristo fosse vissuto come lo descrive il Renan, molto karma si sarebbe creato durante i tre anni di vita del Cristo sulla Terra.

 

Ci potremmo convincere nei prossimi giorni che una simile descrizione deve frantumarsi,

perché riconosceremo che la vita del Cristo Gesù non portava con sé alcun karma,e nemmeno ne creò del nuovo.

Questo è il messaggio del Quinto Vangelo.

 

Possiamo dunque paragonare l’evento sul Giordano, che indichiamo come il battesimo di Giovanni,

a un concepimento umano.

Il Quinto Vangelo ci conferma che le parole che si trovano nel vangelo di Luca sono l’esatta versione di quelle che allora avrebbe potuto udire una persona evoluta e chiaroveggente che avesse ascoltato l’espressione cosmica del mistero che allora ebbe luogo. Le parole che allora risuonarono dal cielo, dicevano realmente: « Questo è il mio Figlio amatissimo, oggi l’ho generato. » Queste sono le parole del vangelo di Luca, e questa è anche la versione esatta dell’evento che allora si produsse: la generazione, la concezione del Cristo nell’entità della Terra. Questo avvenne nel Giordano.

Non consideriamo per ora in quale personalità terrena si sia calato lo spirito del Cristo col battesimo di Giovanni. Ne parleremo nei prossimi giorni. Limitiamoci oggi a dire che venne un Gesù di Nazareth, per offrire il corpo all’entità del Cristo.

 

Secondo quanto possiamo leggere con lo sguardo chiaroveggente,

il Quinto Vangelo ci dice che l’entità del Cristo non si legò completamente al corpo di Gesù di Nazareth,

che nel momento iniziale del suo pellegrinaggio terreno, essa ebbe solo un collegamento lasso con quel corpo.

Non era il legame che corre nell’uomo comune tra corpo e anima, così che questa dimora completamente nel corpo,

ma avveniva che ogni qual volta fosse stato utile, l’entità del Cristo poteva abbandonare il corpo di Gesù di Nazareth;

mentre allora il corpo di questi restava in qualche luogo quasi in stato di sonno,

l’entità del Cristo si recava spiritualmente dove fosse necessario.

 

 

Il Quinto Vangelo ci mostra che non sempre, quando l’entità del Cristo apparve agli Apostoli, era presente anche il corpo di Gesù di Nazareth, ma che spesso avvenne che il corpo di Gesù di Nazareth era rimasto in qualche luogo, e solo lo spirito, quello appunto di Cristo, era apparso agli Apostoli.

Ma era apparso in modo che essi potessero scambiare l’apparizione spirituale con il corpo di Gesù di Nazareth; essi notavano sì una certa differenza, ma era tanto piccola, da non poterla sempre osservare con chiarezza.

 

Ciò non risulta molto nei quattro Vangeli, ma il Quinto Vangelo ce lo dice chiaro.

Gli Apostoli non potevano sempre distinguere nettamente:

ora abbiamo davanti a noi il Cristo nel corpo di Gesù di Nazareth,

oppure abbiamo il Cristo solo nella sua entità spirituale.

La differenza non era sempre evidente, ed essi non sempre sapevano quali dei due casi fosse.

 

Essi ritenevano per lo più che quell’apparizione (ma non ci riflettevano più di tanto) fosse il Cristo Gesù, vale a dire lo spirito del Cristo, per quanto essi sapevano riconoscerlo nel corpo di Gesù di Nazareth.

Avvenne poi che nei tre anni della sua vita terrena lo spirito del Cristo si legasse in modo sempre più stretto al corpo di Gesù di Nazareth, e quindi l’entità del Cristo divenne etericamente sempre più simile al corpo fìsico di Gesù di Nazareth.

Si consideri che qui si verificò un’altra differenza tra l’entità del Cristo e quello che avviene nel corpo dell’uomo solito.

 

In questo caso possiamo dire che l’uomo solito è un microcosmo,

cioè un piccolo ritratto dell’intero macrocosmo,

perché quanto si esprime nel corpo fisico dell’uomo,

quello che diviene l’uomo sulla Terra, è il riflesso del grande cosmo.

 

Per l’entità del Cristo si ebbe il caso inverso:

l’Entità solare macrocosmica si formò secondo la figura del microcosmo umano,

si restrinse e condensò, si compresse sempre più, per divenire sempre più simile al microcosmo umano.

Avvenne cioè il contrario di quello che si ha nell’uomo solito.

 

All’inizio della vita terrena del Cristo, subito dopo il battesimo nel Giordano,

il collegamento con il corpo di Gesù di Nazareth era lasso al massimo,

cioè l’entità del Cristo era ancora del tutto fuori dal corpo di Gesù di Nazareth,

e perciò l’azione del Cristo nel suo muoversi sulla Terra era del tutto sopraterrena:

compiva guarigioni che non si possono compiere con alcuna forza umana; parlava alla gente con un’efficacia divina.

Come se si vincolasse da sé al corpo di Gesù di Nazareth, l’entità del Cristo operava come entità del Cristo sopraterreno.

 

Ma sempre di più si rendeva simile al corpo di Gesù di Nazareth, si comprimeva,

stringendosi sempre più nella condizione terrena, facendo sì che scemasse sempre più la forza divina.

Tutto questo sperimentò l’entità del Cristo mentre andava assomigliando al corpo di Gesù di Nazareth:

un’evoluzione che era in certo senso discendente.

L’entità del Cristo dovette sentire come la potenza e la forza divina gli sfuggiva sempre più

mentre diveniva simile al corpo di Gesù di Nazareth.Poco alla volta il Dio divenne uomo.

 

Come chi tra infiniti tormenti vede consumarsi sempre di più il proprio corpo,

così l’entità del Cristo vide consumarsi il proprio contenuto divino mentre,

come entità eterica, diveniva sempre più simile al corpo di Gesù di Nazareth,

tanto simile da poter sentire la paura come la sente un uomo.

 

Il fenomeno è descritto anche dagli altri Vangeli

nell’episodio della salita del Cristo Gesù con gli Apostoli al Monte degli ulivi,

durante la quale l’entità del Cristo nel corpo di Gesù di Nazareth ebbe sulla fronte il sudore della paura.

Fu questa l’umanizzazione, il farsi sempre più uomo del Cristo, il farsi simile al corpo di Gesù di Nazareth.

Nella misura in cui l’entità eterica del Cristo

diveniva sempre più simile al corpo di Gesù di Nazareth, il Cristo divenne uomo,

e svanirono in lui le forze spirituali miracolose del Dio.

 

Vediamo ora l’intero cammino di passione del Cristo, che iniziò nel momento in cui, poco dopo il battesimo di Giovanni nel Giordano, Egli guarì gli ammalati e scacciò i dèmoni mediante le sue forze divine, quando gli uomini stupiti per aver visto il potere del Cristo, dissero: nessun essere ha finora compiuto sulla Terra cose simili.

Era il tempo in cui l’entità del Cristo era ancora poco simile al corpo di Gesù di Nazareth. Il cammino inizia con l’assistere stupito degli ammiratori presenti ai miracoli, e si compie là dove l’entità del Cristo è divenuta tanto simile al corpo di Gesù di Nazareth, da non aver più la capacità, mediante appunto il corpo infermo di Gesù di Nazareth al quale si era assimilata, di rispondere alle domande di Pilato, di Erode e di Caifa.

 

Tanto simile era divenuta al corpo di Gesù di Nazareth, che si andava indebolendo ed era sempre più infermo, che alla domanda del sommo sacerdote dei Giudei: hai tu detto che distruggerai il Tempio e lo ricostruirai in tre giorni? l’entità del Cristo, entro il fragile corpo di Gesù di Nazareth non disse parola e restò muta, e muta rimase davanti a Pilato che chiedeva: hai tu detto di essere il Re dei Giudei?

Ecco quale fu il cammino della passione dal battesimo nel Giordano fino all’impotenza. Poco dopo la stessa folla che aveva guardato stupefatta le forze sopraterrene miracolose dell’entità del Cristo, sostò non più ammirata attorno a Lui, ma davanti alla croce, beffandosi dell’impotenza del Dio divenuto uomo, con le parole: se sei un Dio, discendi dalla croce; hai aiutato gli altri, ora salva te stesso!

 

Dalla pienezza della potenza divina, fino all’impotenza: questo fu il percorso della passione del Dio,

un cammino di infinita sofferenza per il Dio divenuto uomo

cui si aggiunse il dolore per l’umanità giunta agli estremi cui si trovava al tempo del mistero del Golgota;

era pure il tempo del massimo sviluppo intellettuale dell’umanità stessa, come ho accennato ieri.

 

Quella sofferenza generò però lo Spirito che alla Pentecoste si riversò sugli Apostoli.

Da quel dolore nacque l’amore cosmico onnioperante

che al battesimo nel Giordano discese dalle sfere celesti ultraterrene nella sfera terrena,

che si fece simile all’uomo, simile a un corpo umano,

che percorse l’infinita sofferenza, quale nessun pensare umano può immaginare,

che sperimentò il momento della massima impotenza divina,

per generare l’impulso che riconosciamo nella successiva evoluzione dell’umanità come l’impulso del Cristo.

 

Queste sono le cose sulle quali dobbiamo fissare la nostra attenzione,

se vogliamo comprendere il senso profondo e il pieno significato dell’impulso del Cristo,

come dovrà venir compreso in un tempo futuro dell’umanità, che occorrerà all’avvenire dell’uomo,

affinché egli possa progredire sul suo sentiero evolutivo.