Il cammino dell’uomo verso l’alto

O.O. 112 – Il Vangelo di Giovanni in relazione agli altri 3 – 25.06.1909


 

Supponiamo che un uomo si incammini sul sentiero della conoscenza spirituale in una sua incarnazione, che faccia cioè degli esercizi (dei quali parleremo in seguito) che rendono l’anima sempre più spirituale, sempre più ricettiva per lo spirito, e che la conducono verso l’istante in cui potrà far nascere l’io superiore immortale, quello che può guardare nel mondo spirituale.

 

Prima di giungere a quel momento l’uomo attraversa molte esperienze. Non bisognerà però immaginarsi che l’uomo possa affrettare qualcosa nei riguardi dello spirito. La via deve essere percorsa con pazienza e costanza.

Supponiamo dunque che un uomo inizi una simile evoluzione. La sua meta è la nascita dell’io superiore; ma egli giunge soltanto fino ad un dato punto, arriva a determinati gradini che precedono la nascita dell’io superiore. L’uomo muore, e poi rinasce.

 

Due casi possono verificarsi quando rinasce un uomo che in una precedente incarnazione

ha attraversato una determinata educazione spirituale.

• Egli può sentire il bisogno di cercarsi di nuovo un maestro,

per farsi insegnare come riacquistare rapidamente ciò che prima aveva imparato,

e come raggiungere i gradini superiori successivi;

• oppure, per una ragione qualsiasi, egli non cerca tale via.

Anche in tal caso la sua vita sarà spesso diversa da quella di un altro uomo.

 

A chi ha già percorso parte del sentiero della conoscenza, la vita di per se stessa porterà qualcosa che si rivelerà come risultato dell’altezza di conoscenza già raggiunta nell’incarnazione precedente. Egli sperimenterà diversamente, e le esperienze gli faranno impressioni diverse che agli altri uomini. Attraverso tali esperienze egli riacquisterà ciò che aveva conseguito con i suoi sforzi nella sua passata incarnazione.

 

Nell’incarnazione precedente egli aveva dovuto sforzarsi per progredire di gradino in gradino. Nella vita successiva in cui per così dire la vita stessa gli porta una ripetizione di quello cui prima aveva aspirato, in certo qual modo ciò gli si presenta dall’esterno; può darsi che egli sperimenti in tutt’altra forma i risultati dell’incarnazione precedente.

Può succedere che già nell’infanzia un avvenimento qualsiasi faccia su tutta la sua anima una tale impressione da risvegliare in lui le forze che aveva fatte proprie nell’incarnazione precedente.

 

Supponiamo che un tale uomo abbia conseguito in un’incarnazione un determinato gradino di evoluzione della saggezza. Nell’incarnazione seguente egli rinasce bambino come ogni altro. Ma verso i sette o gli otto anni deve sopportare qualche grave dispiacere. Ciò ha l’effetto sulla sua anima di far risorgere in essa tutta la saggezza che egli aveva conquistata; egli si trova così di nuovo al gradino che già prima aveva raggiunto, e può proseguire verso il prossimo.

 

Supponiamo inoltre che egli si sforzi ora di superare altri gradini. Muore un’altra volta. Nella prossima incarnazione potrà verificarsi la stessa cosa; gli si potrà nuovamente presentare un avvenimento esteriore che lo metterà alla prova, e farà risorgere anzitutto ciò che egli aveva elaborato nella penultima incarnazione, poi quello che aveva raggiunto nell’ultima; in seguito potrà salire di un gradino più in alto.

Da ciò potete rilevare che si può comprendere la vita di un uomo siffatto, che abbia già superato diversi gradini dell’evoluzione, soltanto se si tien conto di quello che ora è stato esposto.

 

Per esempio vi è un gradino che si raggiunge abbastanza presto, quando ci si avvia sul sentiero della conoscenza: è il gradino del cosiddetto «uomo senza patria», dell’uomo che si è elevato al di sopra di tutti i pregiudizi dell’ambiente che immediatamente lo attornia, che si è liberato da tutto ciò che lo teneva avvinto con ogni legame possibile al suo ambiente. Non per questo egli dovrà perdere ogni sentimento di pietà; anzi potrà sentire più pietà di prima. Ma occorre che egli si liberi dal legame del suo ambiente.

 

Supponiamo il caso che quest’uomo muoia dopo essere arrivato a guadagnarsi una determinata indipendenza e libertà. Egli rinasce, e può darsi che relativamente presto gli si presenti un’esperienza che farà risorgere in lui il sentimento della libertà e dell’indipendenza. Di solito questo succede per il fatto che l’individuo in questione perde il padre o altra persona alla quale è legato; oppure che il padre si comporta male con lui, lo ripudia o qualcosa di simile.

 

Questo ci viene narrato fedelmente dalle leggende dei diversi popoli, perché a questo riguardo i miti e le leggende popolari sono davvero più sapienti della scienza odierna. Dappertutto troverete il motivo del padre che dà ordine di abbandonare il bambino; questi viene raccolto da pastori, nutrito, allevato e quindi ricondotto alla sua missione (Chitone, Romolo, Remo). Perché potesse risorgere ciò che essi avevano assimilato nelle incarnazioni precedenti, occorreva per così dire che essi vi arrivassero dopo che la loro patria li aveva traditi. Anche la leggenda dell’abbandono di Edipo appartiene a questo genere.

 

Potete anche immaginare che quanto più un uomo è progredito — sia al gradino della nascita dell’io superiore, o sia anche più in alto — tanto più ricca di esperienze dovrà essere la sua vita, affinché egli possa arrivare a qualche esperienza nuova, non ancora avuta nel passato.

 

Chi ha dovuto incarnare in sé quell’essere possente che chiamiamo il Cristo, non poteva naturalmente assumere questa missione in un’età qualsiasi della sua vita; occorreva per questo che egli si maturasse gradatamente. Nessun uomo normale avrebbe potuto assumere una missione simile. Doveva essere un uomo che, attraverso molte vite, avesse raggiunto alti gradi d’iniziazione.

 

La cronaca dell’akasha ci racconta fedelmente quello che dovette succedere. Essa ci narra che un’individualità lavorò intensamente nel corso di molte vite per giungere a poco a poco fino ad alti gradini dell’iniziazione. Quindi rinacque e attraversò nell’incarnazione terrestre delle esperienze che furono di preparazione. Ma nell’essere che si era incarnato viveva un’individualità che era già arrivata ad alti gradini; era un iniziato che a una successiva età della sua vita era destinato ad accogliere l’individualità del Cristo.

Le esperienze che quest’iniziato attraversa sono innanzi tutto ripetizioni dei gradini delle sue iniziazioni precedenti. In questo modo viene a risorgergli nell’anima tutto ciò a cui essa si era innalzata nel passato.

 

Noi sappiamo che l’uomo è costituito da corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale ed io. Sappiamo però anche che, nel corso della vita dell’uomo, con la nascita fisica nasce soltanto il corpo fisico; che poi fino al settimo anno il corpo eterico è circondato da una specie di involucro materno eterico; e che col settimo anno, con la seconda dentizione, questo involucro materno eterico viene abbandonato, come quello materno fisico quando il corpo fisico nasce nel mondo fisico.

Più tardi, con la pubertà, viene abbandonato in modo analogo un involucro astrale, e nasce il corpo astrale. A un dipresso col ventunesimo anno nasce l’io, ma anch’esso soltanto gradatamente.

 

Dopo aver visto la nascita del corpo fisico, quella del corpo eterico verso i sette anni, del corpo astrale dai quattordici ai quindici anni, dobbiamo tener conto anche di una nascita analoga dell’anima senziente, dell’anima razionale e dell’anima cosciente; e cioè con i ventun anni nasce l’anima senziente, coi ventotto l’anima razionale, e press’a poco coi trentacinque l’anima cosciente.

 

Ora vedremo che l’entità del Cristo non poteva incarnarsi in un uomo terrestre,

non poteva trovarvi posto, prima che fosse nata interamente l’anima razionale.

 

L’entità del Cristo non poteva dunque incarnarsi nell’iniziato nel quale è poi nata, prima che questi avesse ventotto anni. Questo ci vien mostrato anche dall’indagine spirituale. L’entità del Cristo penetrò fra i ventotto e i trentacinque anni nell’individualità che si presentò sulla terra quale grande iniziato e sviluppò gradatamente, sotto lo splendore e la luce della sua grande entità, tutto ciò che l’uomo sviluppa di solito senza quello splendore e quella luce: vale a dire il corpo eterico, il corpo astrale, l’anima senziente e l’anima razionale.

 

Possiamo così dire che fino a quest’età, in colui che era destinato a diventare il portatore del Cristo, abbiamo dinanzi a noi un grande iniziato il quale attraversa gradatamente le esperienze che finalmente fanno risorgere in lui tutto ciò che nelle incarnazioni passate egli aveva sperimentato ed elaborato come conquiste dei mondi spirituali.

 

Allora gli si presenta la possibilità di dirsi: «Ora sono giunto al punto da sacrificare tutto quello che ho. Non voglio più essere un io indipendente; mi offro come portatore del Cristo. Egli deve dimorare in me e d’ora innanzi essere in me tutto!».

 

Il momento nel quale il Cristo si incarna in un’individualità terrestre viene indicato da tutti i quattro Vangeli. Anche se altrimenti hanno delle differenze, il momento in cui il Cristo per così dire penetra nel grande iniziato, viene indicato nei quattro Vangeli: è il battesimo di Giovanni.

 

•  Nell’istante che lo scrittore del Vangelo di Giovanni indica così chiaramente,

dicendo che lo Spirito è disceso sotto forma di colomba e si è riunito a Gesù di Nazareth,

abbiamo la nascita del Cristo;

allora nasce il Cristo nell’anima di Gesù di Nazareth, come un io nuovo e superiore.

•  Fino allora un altro io, quello di un grande iniziato, si era sviluppato fino alla maturità necessaria per quell’evento.

E chi doveva nascere nell’entità di Gesù di Nazareth?

 

Ieri lo abbiamo già indicato: doveva ora discendere ed incarnarsi in Gesù di Nazareth

il Dio che esisteva fin dal principio,

che per così dire si era trattenuto nel mondo spirituale perché l’umanità potesse intanto evolversi.