Il cammino exoterico verso il Cristo attraverso i Vangeli e l’Eucarestia

O.O. 131 – Da Gesù a Cristo – 13.10.1911


 

«Come trova il singolo uomo la possibilità di accogliere in sé gradatamente

ciò che è derivato dalla risurrezione del Cristo? ».

• Se vogliamo rispondere a questa domanda dobbiamo distinguere anzitutto due cose.

 

Quando il cristianesimo penetrò come religione nel mondo, esso non era solo una religione per gli uomini che aspirassero alla via occulta, cioè per gli uomini che attraverso qualsiasi via spirituale volessero avvicinarsi al Cristo, ma era una religione che doveva essere adatta per tutti gli uomini, che doveva poter essere accolta da tutti gli uomini.

Perciò non si deve credere

che occorresse uno speciale sviluppo occulto o esoterico per trovare la via verso il Cristo.

 

• Dobbiamo dunque esaminare anzitutto una delle vie verso il Cristo, la via exoterica

che qualsiasi anima, qualsiasi cuore ha potuto trovare nel corso del tempo.

• Da questa poi dobbiamo distinguere l’altra via,

quella che finora, fino ai tempi nostri, si schiudeva a un’anima che volesse seguire esotericamente il cammino,

che non volesse dunque cercare il Cristo semplicemente per la via esteriore,

ma che lo volesse cercare per mezzo di uno sviluppo delle forze occulte.

• Dobbiamo quindi distinguere la via del piano fisico e la via dei mondi soprasensibili.

 

Nessuno dei passati secoli è stato tanto poco chiaro riguardo alla via esteriore exoterica verso il Cristo, quanto il secolo diciannovesimo. Il corso del secolo decimonono, a sua volta, è stato più chiaro nella sua prima metà che nella seconda.

• Si potrebbe dire che gli uomini si siano sempre più allontanati dalla conoscenza della via verso il Cristo.

A questo riguardo gli uomini che seguono il pensiero moderno non si fanno più un’idea giusta di come le anime, per esempio ancora nel secolo diciottesimo, potessero seguire la via verso l’impulso del Cristo, e come perfino nella prima metà del secolo diciannovesimo esistesse una certa possibilità di trovare l’impulso del Cristo come qualcosa di reale.

 

Soprattutto nel secolo diciannovesimo la via verso il Cristo è andata perduta per gli uomini.

E lo si può comprendere, se si considera che

ci troviamo veramente al punto di partenza di un nuovo cammino verso il Cristo.

• Abbiamo spesso parlato della nuova via che si è aperta alle anime, per così dire del rinnovarsi dell’evento del Cristo.

 

Nell’evoluzione dell’umanità avviene sempre così: si deve cioè verificare una specie di punto più basso prima che arrivi una nuova luce. Così anche l’allontanamento dai mondi spirituali, quale si è presentato nel secolo diciannovesimo, riesce naturale di fronte al fatto che il secolo ventesimo, appunto nel modo peculiare già spesso descritto, segna l’inizio di un’epoca completamente nuova per la vita spirituale degli uomini.

A volte, perfino a chi già si sia un poco familiarizzato con la scienza dello spirito, sembra che il movimento spirituale come noi l’abbiamo sia qualcosa di completamente nuovo.

 

Se prescindiamo dall’arricchimento che il movimento spirituale ha avuto negli ultimi tempi in occidente, per il fatto che le idee della reincarnazione e del karma vi sono fluite, se prescindiamo dal fluire dell’insegnamento delle ripetute vite terrene e del loro significato per l’intera evoluzione umana, dobbiamo dire che per il resto le vie che conducono nel mondo, spirituale sono molto simili alle nostre vie teosofiche, e non rappresentano affatto qualcosa di nuovo per l’evoluzione dell’umanità occidentale.

L’uomo che però cerca di penetrare nei mondi spirituali per la via odierna della teosofia si trova alquanto estraneo al modo in cui per esempio la teosofia veniva coltivata nel secolo diciottesimo.

Proprio in queste regioni, nel Baden e soprattutto nel Wurtemberg, la teosofia veniva molto praticata nel secolo diciottesimo.

 

Mancava però ovunque una visione illuminata dell’insegnamento delle ripetute vite terrene, e per questo l’intero campo del lavoro teosofico ne rimaneva in certo modo offuscato. Anche la visione di colorò che potevano penetrare profondamente con lo sguardo nei nessi occulti, e principalmente anche nel rapporto del mondo con l’impulso del Cristo, rimaneva offuscata dalla mancanza di un insegnamento giusto intorno alle ripetute vite terrene.

Ma da tutto il campo della concezione cristiana del mondo e della vita cristiana si levò sempre una specie di anelito teosofico. Tale aspirazione teosofica esercitava ovunque la sua azione, anche nelle vie esteriori exoteriche degli uomini che non potevano raggiungere altro che una vita esteriore in comune, per esempio nelle comunità cristiane o in altre simili.

 

Possiamo vedere quanto la tendenza teosofica compenetrasse l’aspirazione cristiana, citando per esempio i nomi di Bengel e Oetinger, attivi nel Wurtemberg; se teniamo conto che ad essi mancava l’idea delle ripetute vite terrene, in tutta l’opera loro arrivarono assolutamente, anche con concezioni superiori, al massimo cui si può arrivare sull’evoluzione dell’umanità in quanto l’impulso del Cristo le appartiene.

Se teniamo conto di questo dobbiamo dire che la direttiva fondamentale della vita teosofica è sempre esistita. Vi è quindi molto di vero in quello che scrisse Richard Rothe, professore presso la vicina Università di Heidelberg, nella prefazione di un libro pubblicato nel 1847 proprio su diversi argomenti teosofici del secolo diciottesimo.

Egli dice: • « Difficilmente si riconosce presso gli antichi teosofi che cosa voglia in sostanza la teosofia, ma non meno chiaramente risulta che la teosofia, sulla via finora seguita, non può arrivare a nessuna esistenza scientifica, e perciò anche a nessuna azione di qualche importanza. Sarebbe però molto affrettato voler dedurre da questo fatto che essa sia un fenomeno scientificamente non giustificato ed effimero. La storia ce ne dà la chiara prova. Essa ci narra che questo fenomeno misterioso non ha mai potuto affermarsi, ma nondimeno sempre di nuovo si è riaffacciato e anzi, attraversò la catena di una tradizione che mai si spegne, vien conservato nelle forme più diverse ».

 

Bisogna pensare che chi scriveva questo negli anni quaranta del secolo diciannovesimo, poteva conoscere la teosofia solo nel modo in cui essa gli era giunta da alcuni teosofi del secolo diciottesimo. E bisogna pur riconoscere che quanto veniva trasmesso non si poteva indubbiamente rivestire con le forme della nostra scienza; perciò era anche difficile credere che la teosofia di allora potesse penetrare in circoli più estesi.

Se facciamo astrazione da ciò,

ci dovrà apparire tanto più importante questa voce che dagli anni quaranta del secolo diciannovesimo ci dice:

• « L’importante, quando la teosofia sia diventata vera e propria scienza

e abbia ottenuto dei risultati chiaramente determinati,

è che questi diventino a poco a poco convinzione generale o diventino popolari,

e vengano così ereditati, come verità universalmente valide,

da coloro che non possono seguire le vie lungo le quali esse sono state scoperte,

e per le quali soltanto potevano venir scoperte ».

 

Segue poi un atteggiamento pessimistico nei riguardi della teosofia che oggi non possiamo più condividere, perché chi si ritrova nell’atteggiamento odierno della scienza dello spirito acquisterà la convinzione che la teosofia, con il suo metodo di azione, può diventar popolare per moltissima gente. Perciò tale pessimismo deve soltanto incoraggiarci.

Rothe dice più oltre: « Però questo riposa nel grembo dell’avvenire e non possiamo precorrere gli avvenimenti; per ora rallegriamoci della bella descrizione del caro Oetinger, che troverà certamente buona accoglienza in una vasta cerchia di lettori ».

 

Così vediamo come in un certo senso la teosofia sia stata una pia speranza degli uomini

che, dal secolo diciottesimo, sapevano ancora qualcosa dell’antica teosofia.

• Poi indubbiamente la corrente della vita teosofica

venne sopraffatta dalle tendenze materialistiche del secolo diciannovesimo

e soltanto per mezzo di ciò che possiamo ora accogliere in noi come, alba dei nuovi tempi

torneremo nuovamente ad accostarci alla vera vita spirituale,

ora però in una forma che può essere abbastanza scientifica

in modo che in sostanza ogni cuore e ogni anima potrà comprenderla.

 

Nel secolo diciannovesimo è andata del tutto perduta la comprensione per qualcosa che per esempio i teosofi del secolo diciottesimo ancora comprendevano pienamente e che essi chiamavano allora il « senso centrale ».

Di Oetinger per esempio, che fu attivo qui vicino a Murrhardt, sappiamo che fu per qualche tempo seguace di un uomo molto semplice in Turingia; i discepoli di quest’uomo sapevano che egli possedeva quello che si chiamava il senso centrale.

 

Che cosa era il « senso centrale » per quei tempi?

Era ciò che si presenta in ogni uomo oggi quando, con serietà e ferrea energia,

segue le norme tracciate anche nel mio libro Iniziazione.

 

In sostanza questo e non altro possedeva quell’uomo semplice della Turingia (si chiamava Vòlker ), e quello che egli elaborò in una teosofia molto interessante per il suo tempo, esercitò un’influenza su Oetinger.

Come è difficile per gli uomini del presente familiarizzarsi con l’idea che un approfondimento teosofico ci è effettivamente tanto vicino, e che tale approfondimento ha una letteratura molto vasta, anche se sepolta nelle biblioteche e presso gli antiquari, così è altrettanto difficile accogliere in genere l’evento Cristo come un fatto obiettivo.

 

Quanto si discusse in proposito nel secolo diciannovesimo! In breve tempo non è possibile registrare le innumerevoli opinioni e i vari giudizi emessi nel secolo diciannovesimo sul Cristo Gesù. Se ci si dà la pena di esaminare un certo numero di tali opinioni sul Cristo Gesù, tanto laiche quanto teologiche, si incontra difficoltà ad avvicinare i giudizi del secolo diciannovesimo su questo argomento a quelli dei tempi in cui dominavano migliori tradizioni.

Nel secolo diciannovesimo fu perfino possibile considerare grande teologo chi era ben lontano persino dall’ammettere che un Cristo obiettivo fosse penetrato nella storia del mondo e vi avesse agito.

 

Qui arriviamo alla domanda:

• quale nesso con il Cristo può trovare chi non segua alcuna via esoterica, ma rimanga soltanto nel campo exoterico?

Finché si è dell’idea, propria anche ad alcuni teologi del secolo diciannovesimo,

che l’evoluzione umana è qualcosa

• che può svolgersi puramente nell’interiorità dell’uomo

• e che per così dire nulla ha da fare con il mondo esteriore del macrocosmo,

non si può in genere arrivare a nessun apprezzamento obiettivo del Cristo Gesù.

 

Si arriva a ogni specie di idea grottesca, mai però ad un nesso con l’evento del Cristo.

Se l’uomo crede di poter arrivare all’ideale umano più elevato, adatto all’evoluzione terrestre,

per semplice via animica interiore, per mezzo di una specie di autoredenzione,

non sarà possibile un nesso col Cristo obiettivo.

• Si potrebbe anche dire: non appena il pensiero della redenzione

è per l’uomo qualcosa a cui si può rispondere per via psicologica, non vi è nesso con il Cristo.

 

• Chi però penetra più profondamente nei segreti del mondo troverà ben presto che,

se l’uomo crede di poter arrivare all’ideale più alto della sua esistenza terrestre

soltanto per mezzo di se stesso, soltanto per mezzo dell’evoluzione interiore,

• egli spezza del tutto il proprio nesso col macrocosmo;

• egli avrà allora il macrocosmo dinanzi a sé come una specie di natura,

• avrà l’evoluzione animica interiore accanto al macrocosmo come qualcosa che scorre parallelo ad esso,

ma non potrà trovare un rapporto fra i due.

 

• Questo è appunto l’aspetto terribilmente grottesco dell’evoluzione nel secolo diciannovesimo,

e cioè che vengono separati, divisi in due microcosmo e macrocosmo

che invece richiedono di conservare un nesso fra loro.

• Se questo non fosse avvenuto, non sarebbero potuti nascere tutti i malintesi che sono legati

ai nomi di « materialismo teoretico » da un canto, e di « idealismo astratto » dall’altro.

 

Si pensi che la scissione fra microcosmo e macrocosmo fece sì

che gli uomini, poco attenti alla vita interiore dell’anima,

arrivassero ad attribuire la vita interiore dell’anima e la corporeità esteriore

al macrocosmo, facendo scorrere tutto in processi materiali.

• Gli altri, resisi conto che vi è una vita interiore, caddero a poco a poco in astrazioni

riguardo a tutto ciò che in conclusione ha significato soltanto per l’anima umana.

 

Se ci si vuol rendere chiaramente conto di questo difficile problema, occorre ricordare qualcosa di molto importante che gli uomini imparavano nei misteri.

Chiediamoci quanti uomini credono oggi, nell’intimo della loro coscienza, che se pensano a qualcosa, se hanno per esempio un cattivo pensiero riguardo a un’altra persona, ciò non ha in fondo alcuna importanza per il mondo esteriore; il pensiero è soltanto in loro.

 

Sarebbe diversa l’importanza se si desse uno schiaffo: allora sarebbe un fatto del piano fisico; l’altro è un semplice sentimento, o un semplice pensiero.

Oppure, procedendo, quanti uomini vi sono che, mentendo oppure cadendo in peccato o in errore, dicono: « È qualcosa che si svolge nell’anima umana », mentre se per esempio una pietra cade dal tetto affermano: « È qualcosa che si svolge fuori ».

 

Sulla base di una comprensione superficiale sarà facile di far capire che, quando una pietra cade dal tetto oppure cade magari nell’acqua, provoca nell’acqua delle onde che si allargano; ogni cosa ha cioè delle conseguenze che si estendono segretamente, ma quel che si svolge nell’anima di un uomo è isolato da tutto il resto.

Gli uomini hanno perciò potuto credere che sia soltanto una questione riguardante l’anima, per esempio il peccare, l’errare e poi il rimediarvi.

 

Su di una tale coscienza dovrebbe agire in modo grottesco quello che è stato presentato negli ultimi due anni, almeno davanti a una gran parte di noi. Intendo ricordare la scena del dramma rosicruciano La porta dell’iniziazione dove Capesius e Strader entrano nel mondo astrale e viene mostrato come ciò che essi pensano, dicono e sentono non sia senza importanza per il mondo obiettivo, per il macrocosmo, ma come vengano invece sprigionate delle tempeste negli elementi.

 

Agli uomini odierni sembra follia pensare che l’effetto di un pensiero sbagliato

possa scatenare anche l’azione di forze distruttrici nel macrocosmo.

Nei misteri veniva però chiaramente mostrato che se, per esempio, qualcuno mente o cade in errore,

si ha un vero processo reale che non riguarda noi soli.

 

Esiste perfino un proverbio: « I pensieri non pagano dazio », perché appunto non si vede la barriera daziaria quando nascono i pensieri. Essi appartengono però al mondo obiettivo, non sono semplicemente vicende dell’anima.

 

Il discepolo dei misteri vedeva che quando si dice una menzogna,

si ha nel mondo soprasensibile l’oscuramento di una determinata luce,

che quando si compie un atto poco amorevole

il fuoco della propria insensibilità brucia qualcosa nel mondo spirituale,

che, con gli errori, si spegne della luce nel macrocosmo.

 

Questo era l’effetto che veniva mostrato al discepolo attraverso l’evento obiettivo:

come mediante l’errore venisse spento qualcosa sul piano astrale e sorgesse la tenebra,

e come un’azione non amorevole agisse come un fuoco che consuma e distrugge.

 

Nella vita exoterica l’uomo non sa che cosa si svolge attorno a lui.

Egli è veramente come lo struzzo e deve conficcare il capo nella sabbia,

poiché non vede gli effetti che tuttavia esistono.

Gli effetti dei sentimenti esistono, e diventavano visibili per gli occhi soprasensibili,

quando per esempio l’uomo veniva condotto nei misteri.

 

Ma davvero soltanto nel secolo diciannovesimo poteva accadere che si dicesse:

• « Tutti i peccati commessi dall’uomo, tutte le debolezze esistenti in lui, sono soltanto sue vicende personali;

la redenzione deve verificarsi attraverso un evento nell’anima.

Perciò il Cristo può essere soltanto un evento interiore dell’anima ».

 

Ciò che è necessario perché non solo l’uomo trovi la sua via verso il Cristo,

ma soprattutto perché non spezzi il suo nesso con il macrocosmo,

è la conoscenza che, se si cade in errore o in peccato,

si hanno degli eventi oggettivi e non soggettivi, si verifica qualcosa fuori nel mondo.

 

Dal momento in cui l’uomo diventa cosciente

che con il suo peccato e il suo errore accade qualcosa di oggettivo;

dal momento in cui sa che quanto egli fa e muove da lui

esercita un’azione che non è più in relazione con lui,

ma che è collegata con l’intero corso obiettivo dell’evoluzione del mondo,

egli abbraccia con lo sguardo l’intero corso dell’evoluzione del mondo,

e non potrà più dire che rimediare a quel che egli ha provocato

sia soltanto una vicenda interiore che riguarda l’anima.

 

Vi sarebbe una possibilità che avrebbe perfino un buon significato,

ed è quella di considerare ciò che porta l’uomo all’errore e alla debolezza,

e che ve lo ha portato attraverso le successive vite terrene,

non come una vicenda interiore di una singola vita, ma come una vicenda del karma.

 

Ma non è possibile che un evento, che non è storico e non appartiene all’umanità,

come per esempio l’influenza luciferica nell’antica epoca lemurica,

possa venir nuovamente eliminato dal mondo per virtù di un evento umano.

 

Attraverso l’influsso luciferico venne dato all’uomo il grande beneficio di poter diventare uomo libero;

ma d’altro canto egli è rimasto esposto all’errore,

alla possibilità di allontanarsi dalla via del bene e del giusto, anche dalla via del vero.

 

Quel che si è verificato nel corso delle incarnazioni riguarda il karma.

Ma tutto ciò che dal macrocosmo si insinua nel microcosmo, ciò che le forze luciferiche diedero all’uomo

è qualcosa di cui l’uomo, da solo, non può venire a capo. Per pareggiarlo occorre un fatto oggettivo.

 

In breve, poiché l’errore o il peccato commessi non sono soltanto soggettivi,

l’uomo deve sentire che un fatto semplicemente soggettivo nell’anima non è sufficiente per attuare la redenzione.

Chi è perciò convinto della obiettività dell’errore, capirà, pure immediatamente l’obiettività dell’atto di redenzione.

• Non si può affatto presentare l’influsso luciferico come un fatto obiettivo

senza contrapporvi al contempo l’atto che lo ha compensato: l’evento del Golgota.

 

In ultima analisi, come antroposofi si ha la scelta soltanto fra due possibilità.

 

• Si può basare tutto sul karma: allora naturalmente,

per tutto ciò che l’uomo stesso ha procurato, si ha senz’altro ragione;

ci si trova però costretti a prolungare arbitrariamente la ripetizione delle vite

tanto nel futuro quanto nel passato, e non si arriva a una fine, né nel futuro, né nel passato.

Tutto gira sempre come una ruota.

 

• L’altra idea dell’evoluzione invece, ed è l’aspetto che dobbiamo afferrare,

ritiene che vi siano state le varie evoluzioni di Saturno, Sole e Luna, del tutto differenti dall’esistenza terrestre,

che per la prima volta nell’esistenza terrestre si sia verificato

quel genere di ripetizione di vite terrene che conosciamo,

e che l’influsso luciferico si sia verificato come un evento unico;

tutto questo dà un vero contenuto a quella che si chiama concezione antroposofica.

• Ma essa non è concepibile senza l’obiettività dell’evento del Golgota.

 

Se consideriamo i tempi precristiani, e da un altro aspetto questo è già stato detto, gli uomini erano in certo senso diversi. Quando discesero dai mondi spirituali nelle incarnazioni terrene, gli uomini portarono seco una determinata quantità di elementi della sostanza divina. Questa sostanzialità divina si andò esaurendo gradatamente mentre l’uomo penetrava nelle incarnazioni terrene, ed era esaurita al tempo degli eventi di Palestina.

Nei tempi precristiani, riflettendo per così dire sulle proprie debolezze, gli uomini avevano perciò sempre sentito che quanto di meglio essi avevano proveniva veramente dalla sfera divina dalla quale erano discesi. Essi ancora sentivano gli ultimi effetti dell’elemento divino.

 

Questo era però esaurito quando Giovanni Battista diceva:

• « Trasformate la vostra concezione del mondo perché i tempi sono cambiati;

ora non potrete più innalzarvi allo spirito come nel passato, perché non è più possibile vedere nell’antica spiritualità.

Cambiate il vostro modo di vedere e accogliete l’Entità divina che vuol dare nuovamente agli uomini

ciò che essi dovettero perdere a seguito della loro discesa ».

 

Si potrà cercare di negarlo se si vuol pensare in modo astratto,

ma non lo si potrà negare se molto concretamente si vuol considerare la storia esteriore,

ché l’intero modo di sentire degli uomini si è trasformato nel tempo che segna la svolta

dall’evo antico al nuovo, e il confine è segnato dall’evento di Palestina.

Gli uomini cominciarono a sentirsi abbandonati dopo che l’evento di Palestina si era verificato.

 

Essi si sentirono abbandonati quando si accostavano ai problemi più importanti ché si riferivano alla parte intima e più concreta dell’anima; per esempio quando si chiedevano che cosa sarebbe avvenuto di loro nell’insieme dell’universo se avessero varcato la soglia della morte con una quantità di azioni non compensate.

Si affacciò allora a quegli uomini un pensiero che indubbiamente poteva esser sorto dall’aspirazione dell’anima, ma che poteva essere soddisfatto soltanto se l’anima umana arrivava alla concezione che era vissuto un Essere entrato nell’evoluzione dell’umanità, che a lui ci si poteva appoggiare, che nel mondo esteriore, dove non era possibile andare, operava per il pareggio delle azioni umane, che egli aiutava a portar rimedio a quanto era stato guastato dall’influsso luciferico.

 

Il senso di abbandono e il senso di trovarsi protetti da una forza obiettiva

penetrò nell’umanità, assieme al sentimento che il peccato è una forza reale, un fatto obiettivo.

E vi penetrò anche l’altro sentimento che vi è legato: che la redenzione è un fatto obiettivo,

qualcosa che il singolo uomo non può provocare, perché non egli ha evocato l’influsso luciferico,

e che la può procurare soltanto chi agisce nei mondi in cui Lucifero opera coscientemente.

 

Tutto ciò che qui ho descritto con parole tratte dalla scienza dello spirito

non esisteva come concetto, come conoscenza, ma era nei sentimenti e nelle sensazioni;

esisteva nei sentimenti la necessità di volgersi verso il Cristo.

• C’era poi naturalmente per quegli uomini la possibilità

di trovare nelle comunità cristiane la via per approfondire tutti quei sentimenti.

 

• In ultima analisi, nel tempo in cui aveva perduto il suo nesso originario con gli dèi,

che cosa trovava l’uomo quando guardava la materia?

 

In seguito alla discesa dell’uomo nella materia,

sempre più andò perduta la vista dello spirituale e di ciò che è fisicamente divino nell’universo.

• I residui dell’antica chiaroveggenza ancora esistenti andarono gradatamente perduti,

e in certo modo la natura venne sdivinizzata.

• Un mondo semplicemente materiale si stendeva davanti agli uomini, e

di fronte a tale mondo materiale l’uomo non poteva conservare la fede

che un Principio-Cristo fosse in esso obiettivamente operante.

 

Così sarebbe indubbiamente un’assurdità pensare che il Cristo abbia un posto nell’immagine del mondo dei pensatori materialistici, nell’idea formatasi per esempio nel secolo diciannovesimo secondo cui l’universo che all’origine della nostra terra sia un agglomerato dalla nebulosa primordiale di Kant-Laplace, e che poi la vita sia sorta sui singoli pianeti; il che ha condotto da ultimo ad immaginare l’intero mondo come una collaborazione di atomi.

Di fronte a una tale immagine del mondo l’entità del Cristo non si può sostenere; di fronte a una tale immagine del mondo non si può in genere sostenere niente di spirituale. Dobbiamo anzi capire che qualcuno sostenga quel che ho letto la volta scorsa: che credere alla risurrezione costringerebbe a distruggere tutta l’immagine che ci si fa del mondo.

 

Questa immagine del mondo che a poco a poco si è andata formando mostra soltanto che,

per lo studio esteriore della natura e con quel modo di pensare sulla natura esteriore,

è sparita la possibilità di immedesimarsi nell’essere vivente dei fatti naturali.

 

Se parlo in questo modo, non è per fare della critica negativa. Doveva succedere che una volta la natura venisse sdivinizzata e spogliata di spiritualità, perché l’uomo potesse concepire l’assieme di idee astratte necessarie per comprendere la natura esteriore, come è divenuto possibile nelle concezioni di Copernico, Keplero e Galileo.

L’umanità doveva afferrare la trama delle idee che ha condotto alla nostra epoca delle macchine. Ma d’altra parte era necessario che il nostro tempo avesse un compenso per quel che non poteva esservi nella vita exoterica, un compenso per il fatto della sopravvenuta impossibilità di trovare direttamente dalla terra la via alla spiritualità. Se infatti gli uomini avessero potuto trovare la via alla spiritualità, avrebbero dovuto trovare la via al Cristo, come la si troverà nei prossimi secoli. Vi doveva essere un compenso.

 

Il problema è ora: che cosa fu necessario per la via exoterica dell’uomo verso il Cristo, durante i secoli in cui si preparava gradatamente una concezione atomistica del mondo che doveva sempre più sdivinizzare la natura, e che andò crescendo fino al secolo diciannovesimo in una concezione della natura completamente sdivinizzata?

Occorrevano due cose.

Per due vie si poteva arrivare exotericamente alla visione spirituale del Cristo.

 

• Da un lato si poteva prospettare all’uomo la possibilità che indubbiamente non è vero che tutta la materia sia completamente estranea all’uomo interiore, all’intima spiritualità del singolo. Occorreva presentare all’uomo effettivamente la possibilità di capire che non è vero che nello spazio, ovunque appare la materia, vi sia soltanto materia. In quale modo ciò poteva avvenire?

Per una sola via poteva avvenire, e cioè occorreva trasmettere all’uomo qualcosa che al contempo fosse spirito e materia, qualcosa di cui egli dovesse sapere che è spirito, e di cui dovesse vedere che è materia.

 

• Doveva cioè rimanere una cosa vivente la trasformazione,

l’eternamente valida trasformazione dello spirito in materia e della materia in ispirito.

• Questo è accaduto per il fatto che l’eucarestia è stata conservata e coltivata

come una istituzione cristiana attraverso i secoli.

• Quanto più risaliamo nei secoli, da quando fu istituita l’eucaristia,

tanto meglio la troviamo capita nei tempi più antichi che ancora non erano materialistici.

 

Infatti, di fronte alle cose più alte, la prova che non vengono più comprese si mostra di regola nel fatto che se ne comincia a discutere. Vi sono appunto cose che, finché si comprendono, sono poco discusse; si comincia a discuterle quando più non si comprendono. Del resto generalmente le discussioni dimostrano che la maggior parte delle persone che vi partecipano non capiscono l’argomento in discussione. Così è avvenuto anche per l’eucaristia.

Finché si sapeva che l’eucaristia rappresenta la prova vivente che la materia non è semplicemente materia, ma che vi sono dei riti per mezzo dei quali lo spirito può venire aggiunto alla materia, finché si sapeva che questa compenetrazione dello spirito nella materia è un compenetrarsi del Cristo, così come viene espresso nell’eucaristia, questo fatto venne accettato senza discussione.

 

Dopo venne però il tempo in cui già sorgeva il materialismo, in cui più non si comprese che cosa sta a base dell’eucarestia, in cui si discusse se il pane e il vino fossero semplici simboli della divinità, o se vi fluisse realmente la forza divina; in breve sorsero tutte le discussioni che nacquero appunto al principio dell’età moderna; per chi però vede più profondamente, tutto ciò significa soltanto che l’originaria comprensione della questione era andata perduta.

Per gli uomini che volevano arrivare al Cristo l’eucaristia era un perfetto surrogato della via esoterica, quando non la potevano seguire; essi potevano così trovare nell’eucaristia una vera unione col Cristo. Ma tutte le cose hanno il loro tempo.

 

Certo, come è vero che nei riguardi della vita spirituale spunta un’èra del tutto nuova,

così è vero che la via verso il Cristo, che è stata giusta per molti secoli, lo sarà ancora per molti altri secoli.

Le cose si modificano a poco a poco,

ma ciò che prima era giusto si trasformerà gradatamente in qualcosa d’altro, quando gli uomini diventeranno maturi.

 

L’antroposofia deve agire per afferrare qualcosa di concreto e di reale nello spirito.

Per il fatto, per esempio, che con meditazioni, concentrazioni

e tutto ciò che impariamo quali conoscenze dei mondi superiori

gli uomini diventeranno maturi per vivere interiormente

non soltanto di semplici mondi di idee, non di semplici mondi di sentimenti astratti,

ma a compenetrarsi nella loro interiorità con l’elemento dello spirito,

per questo fatto essi sperimenteranno la comunione nello spirito;

in tal modo dei pensieri quali pensieri meditativi, potranno vivere nell’uomo,

e dall’interno produrranno proprio il medesimo effetto

che il simbolo dell’eucarestia, il pane consacrato, produceva dal di fuori.

 

Come il cristiano non evoluto poteva cercare mediante l’eucaristia la sua via verso il Cristo,

così il cristiano evoluto, che impara a conoscere la figura del Cristo mediante la progredita scienza dello spirito,

potrà elevarsi nello spirito a ciò che in futuro dovrà diventare anche una via exoterica per gli uomini.

• Ciò scorrerà come una forza che porterà all’uomo un ampliamento dell’impulso del Cristo.

Allora anche tutti i riti si trasformeranno e quel che prima avveniva con gli attributi del pane e del vino,

avverrà in futuro per mezzo di un’eucaristia spirituale.

• Rimarrà però l’idea dell’eucaristia, della comunione.

 

Occorre soltanto dare una volta la possibilità che determinati pensieri che ci pervengono grazie alle comunicazioni della scienza dello spirito, che determinati pensieri interiori e sentimenti interiori compenetrino e spiritualizzino sacralmente l’interiorità, come nel miglior senso dell’evoluzione interiore cristiana l’eucaristia ha spiritualizzato e cristianizzato l’anima umana. Quando questo sarà possibile, e lo sarà, noi avremo fatto un altro passo nell’evoluzione. Così verrà nuovamente fornita la prova reale che il cristianesimo è più grande della sua forma esteriore.

Non apprezza infatti al suo giusto valore il cristianesimo chi ritiene che esso sparirebbe, se le sue forme esteriori di un determinato tempo venissero eliminate.

 

• Il cristianesimo è giustamente apprezzato soltanto da chi è compenetrato dalla convinzione

che tutte le chiese che hanno coltivato l’idea del Cristo,

tutte le idee esteriori, tutte le forme esteriori sono temporanee e perciò transitorie,

ma che l’idea del Cristo continuerà a vivere nell’avvenire, sempre con nuove forme,

nei cuori e nelle anime degli uomini, per quanto poco tali forme oggi ancora si mostrino.

Così la scienza dello spirito ci insegna il significato

che l’eucaristia aveva effettivamente per la via exoterica nei tempi antichi.

 

• L’altra via exoterica era quella dei Vangeli.

Qui bisogna rendersi di nuovo conto di che cosa i Vangeli fossero per gli uomini negli antichi tempi. Non è molto lontano il tempo in cui si leggevano i Vangeli non come vennero letti nel secolo diciannovesimo, ma in modo da considerarli come una sorgente vivente, da cui qualcosa di sostanziale veniva trasmesso alle anime. Non erano letti neppure nel modo da me analizzato nella prima conferenza di questo ciclo, quando ho parlato di una via errata, ma venivano letti in modo che da fuori gli uomini si vedevano venire incontro ciò verso cui l’anima aspirava; l’anima trovava descritto il vero Redentore e sapeva che Egli certamente esisteva nell’universo.

 

Gli uomini capaci di leggere i Vangeli in quel modo già conoscevano la risposta di molti problemi che, alla gente tanto intelligente del secolo diciannovesimo, ora soltanto si affacciano come problemi. Basta ricordare quante volte, da persone molto intelligenti a cui la scienza e l’erudizione sembravano essere già cresciute fin sopra i capelli, è stato ripetuto sotto varie forme, nelle discussioni sul problema del Cristo Gesù, che con la concezione moderna del mondo non si può realmente conciliare l’idea del Cristo Gesù e gli eventi di Palestina.

 

Viene spiegato in modo apparentemente molto chiaro che, quando l’uomo ancora non sapeva che la terra è un corpo cosmico piccolissimo, si poteva credere che con la croce del Golgota sulla Terra si fosse verificato un evento nuovo e specialissimo.

Ma dopo che Copernico ha insegnato che la Terra è un pianeta come gli altri, si può forse ancora credere che il Cristo sia peregrinato verso di noi da un altro pianeta? Perché presumere, come si credeva, che la terra abbia una posizione così eccezionale?

 

Poi veniva adoperata questa immagine: da quando la concezione del mondo si è così allargata, sembrava che una delle rappresentazioni artistiche più importanti si fosse svolta non sopra un grande palcoscenico della capitale, ma sul piccolo palcoscenico di un teatro di provincia. Così apparivano agli uomini gli eventi di Palestina!

Poiché la Terra è un corpo cosmico così piccolo, quegli eventi apparivano come la rappresentazione di un grande dramma storico sul palcoscenico di un teatrino di provincia. E allora non lo si poteva credere, appunto perché la Terra è così piccola rispetto all’universo!

 

Tutto ciò sembra molto intelligente, ma non lo è affatto, perché il cristianesimo non ha mai affermato quello che qui viene apparentemente contraddetto. Il cristianesimo non fece sorgere l’impulso del Cristo in qualche luogo risplendente dell’esistenza terrestre, ma sempre venne considerato importante il fatto che il portatore del Cristo fosse nato in una stalla presso poveri pastori. Per collocarvi il Cristo la tradizione cristiana cercò non soltanto la piccola Terra, ma perfino l’angolo più recondito della Terra. Ai problemi delle persone così acute e intelligenti già era stato risposto dal cristianesimo fin dalla sua origine; ma le risposte che il cristianesimo stesso aveva dato non furono comprese, perché mancava ormai agli uomini la capacità di far agire sull’anima la forza vivente delle grandi e maestose immagini.

 

Nondimeno nelle sole immagini dei Vangeli, senza l’eucaristia e ciò che vi si ricollega (perché essa è al centro dell’intero culto cristiano e di altri culti) non avrebbe potuto essere trovata la via exoterica degli uomini verso il Cristo; i Vangeli non avrebbero potuto infatti diventare popolari a tal segno, se unicamente per mezzo loro la via verso il Cristo doveva diventare popolare.

Quando poi i Vangeli divennero popolari ne risultò in definitiva che ciò non era assolutamente un gran bene perché, con la popolarizzazione dei Vangeli, sorse al contempo il grande malinteso: il modo superficiale con cui sono stati interpretati e tutto ciò che il secolo diciannovesimo ne ha fatto; il che, sia detto obiettivamente, fu certo un gran male.

 

Credo che gli antroposofi potranno capire che dicendo « un gran male » non intendo affatto criticare né svalutare il diligente studio di ricerca nei lavori scientifici del secolo diciannovesimo, compresi tutti quelli di scienza naturale.

 

Ma proprio questo è tragico:

mentre cioè la scienza (e chi la conosce lo ammetterà), a causa appunto

della sua profonda serietà e della sua straordinaria attività e abnegazione,

non può che essere ammirata, essa ha nondimeno condotto

a una completa dispersione e distruzione di quel che voleva insegnare.

 

La futura evoluzione dell’umanità

sperimenterà come un evento particolarmente tragico della civiltà del nostro tempo

il fatto che si è voluto spiegare la Bibbia scientificamente,

per mezzo di una scienza infinitamente degna di ammirazione,

e che questo studio ci ha invece condotti a perdere la Bibbia stessa.

 

Così vediamo che in queste due direzioni viviamo exotericamente in un periodo di transizione

e che se si è afferrato lo spirito dell’antroposofia, le antiche vie devono trasformarsi.