Il cervello umano nel sogno diviene simile ad un organo sensoriale.

O.O. 197 – Contraddizioni nell’evoluzione dell’umanità – 08.11.1920


 

Sommario: Il cervello umano nel sogno. L’uomo animico-spirituale, da quando si addormenta a quando si risveglia.

 

Nelle nostre considerazioni di oggi vogliamo prendere le mosse da dati di fatto dell’essere umano, per trovare, poi, la strada verso alcune linee guida della storia universale.

 

Abbiamo osservato, dai punti di vista più vari, quella trasformazione ritmica delle condizioni umane che si svolge nell’arco delle ventiquattro ore, con l’alternanza di sonno e veglia. Oggi voglio far riferimento a quanto c’è alla base di questa alternanza di sonno e veglia da un punto di vista che non abbiamo ancora esaminato a fondo.

 

Noi sappiamo che l’uomo è un essere tripartito.

Consideriamo l’organizzazione del capo dell’uomo come una parte di questo essere tripartito. Quest’organizzazione del capo dell’uomo è fatta in modo che la struttura degli organi di senso si rivolga direttamente al mondo esteriore. Più all’interno si trova, poi, la vera e propria struttura cerebrale. Noi sappiamo che un tale approccio è solo approssimativo. Infatti, non possiamo semplicemente spezzettare le persone in sezioni di natura spaziale; deve essere ben chiaro che anche se l’organizzazione neurosensoriale è concentrata principalmente nella testa, nel capo, essa tuttavia si prolunga spazialmente nell’intero essere umano. Tutto quello che possiamo dire a questo proposito vale anche per l’uomo nella sua totalità. Ci concentriamo sulla testa, sul capo, l’area principale dove queste cose sono raggruppate. Vale a dire l’organizzazione dei sensi verso l’esterno e quella cerebrale verso l’interno.

La domanda ora è: che cosa avviene nell’organizzazione dei sensi e in quella cerebrale quando l’uomo passa dalla condizione – a voi certamente nota, quantomeno esteriormente – della veglia a quella dello stato di sonno?

 

Sapete bene che l’organizzazione dei sensi cessa di esercitare la propria attività. L’organizzazione cerebrale può anche venir indagata mediante ciò che, in qualche modo, fornisce dei lumi agli uomini sulla condizione di sonno, vale a dire la vita di sogno.

Se osservate, dunque, questa vita di sogno, dovrete consentire sul fatto che essa vi permette innanzitutto la visione di un tipo di ambiente che è, per certi versi, simile al mondo esteriore dei sensi, ha in sé immagini di questo mondo esteriore dei sensi.

 

L’uomo nella coscienza di veglia sa molto bene di avere nella vita di sogno immagini il cui modello, in qualche modo, si trova nel mondo esteriore dei sensi. E quando l’uomo osserva con maggiore attenzione il proprio mondo del sogno, quando lo esamina in modo del tutto spregiudicato, si rende conto che le immagini oniriche sono collegate tra di loro, si richiamano a vicenda e sono determinate da rapporti reciproci, e che ciò è analogo ai rapporti reciproci e al vicendevole collegamento che esiste nella vita di veglia, nella quale vi sono pensieri con meno immagini.

Ora, mentre si può affermare che l’uomo, nel pensiero senza immagini della vita di veglia, ha un dominio completo sui suoi pensieri ed esercita con la volontà un’azione sui collegamenti dei pensieri tra loro, non avviene lo stesso per le immagini oniriche.

 

Le immagini oniriche si ordinano autonomamente. L’uomo subisce tale ordinamento. Ma se si esaminano la forma e il modo in cui queste immagini oniriche si dispongono, si scopre che è come se gli eventi del pensiero ordinario fossero rarefatti, si svolgessero, in qualche misura, senza intervento della volontà. Nella vita onirica si possono anche seguire con precisione i residui sia della vita dei sensi sia quelli della vita del pensiero.

 

Da tutto ciò che emerge da quest’osservazione della vita onirica – qualcosa cui poi la scienza dello spirito può fornire un grado di piena certezza – ci si può rendere conto che il cervello umano – che è in un certo modo la base della vita di pensiero – deve avere subito un cambiamento rispetto allo stato di veglia. Infatti, nello stato di veglia, le connessioni di pensiero sono effettivamente da noi determinate mediante la volontà, mentre ciò non avviene nella vita di sogno. Inoltre, i sensi sospendono la loro attività, e nella vita di sogno abbiamo solo gli echi della vita dei sensi in forma d’immagini. Abbiamo dunque una vita dei sensi rarefatta. Oggi vogliamo domandarci quali cambiamenti subisca il cervello umano in questa situazione.

 

Se guardate alla questione in modo spregiudicato, dovrete concordare con quanto sostiene la scienza dello spirito, vale a dire che il cervello, nel sogno, diviene simile ad un organo sensoriale. Un organo di senso cattura le immagini del mondo esterno. Elabora anche, almeno in una certa misura, queste immagini. Ma nel modo in cui il semplice organo di senso si rivolge al mondo esteriore è assente il volere. Se vi concentrate sul rivolgersi al mondo esteriore da parte degli organi di senso e poi lo confrontate con il sognare, vi accorgerete che il cervello, come veicolo del sogno – per favore vogliate supporre per un momento, come pura ipotesi, che il cervello sia il veicolo del sogno – è diventato simile a un organo sensoriale. Addirittura più organo di senso di quanto lo sia durante lo stato di veglia, anche perché nello stato di veglia non lo è per nulla, visto che è del tutto privo delle caratteristiche degli organi di senso.

 

Da qui a comprendere come stiano le cose con il sonno completamente privo di sogni il passo è breve. Il sogno è, infatti, una via di mezzo tra la vita di veglia e il sonno. Se, dunque, nel sogno il cervello prende ad assomigliare all’organo di senso, ebbene, questa somiglianza sarà ancora maggiore nel sonno.

 

Ora, l’uomo non è in grado, nella sua costituzione attuale, di utilizzare quest’organo di senso nella vita normale. Ma c’è stato un tempo nell’evoluzione umana in cui l’uomo era perfettamente capace di usare il cervello come un organo di senso. Eppure ogni volta, tra l’addormentarsi e il risveglio, il cervello diviene in un certo modo un organo di senso.

 

Sappiamo dove va l’uomo vero e proprio, l’uomo animico-spirituale, da quando si addormenta a quando si risveglia. Egli è nel mondo esterno. Ora, qui non vogliamo metterci a descrivere come sia questo mondo esterno, ma vogliamo solo essere chiari sul fatto che l’uomo, come essere animico-spirituale, si trova naturalmente in un mondo esterno animico-spirituale.

 

L’ambiente che siamo in grado di vedere solo come mondo fisico, dal risveglio fino a quando ci addormentiamo, di cui non conosciamo le parti spirituali-animiche, è quello stesso, nella sua dimensione spirituale-animica, in cui si trova l’uomo, nello stato tra l’addormentarci ed il risveglio, come essere animico-spirituale. Egli sperimenta se stesso – inconsapevolmente per il suo attuale stato di coscienza animica — in quest’ambiente animico-spirituale.

 

Ora, quest’ambiente animico-spirituale in cui l’uomo si trova

era il mondo reale del tempo da cui proviene la saggezza primordiale del genere umano.

 

Se guardiamo indietro all’epoca cui abbiamo già tante volte rivolto il nostro sguardo, di cui risuonano gli echi nei Veda, nella filosofia Vedanta, insomma, nelle concezioni del mondo sapienziali, nelle rivelazioni della saggezza dell’antico Oriente, ebbene, allora ci troviamo davanti a quello che questa primordiale umanità dell’antico Oriente ha sperimentato proprio in quello stato tra l’addormentarsi e il risvegliarsi nel mondo esterno.

 

E per tale umanità le cose erano tali

che il cervello, durante il sonno, era ancora, in effetti, una sorta di organo di senso.

Tuttavia era un organo di senso che non consentiva di percepire le cose e contemporaneamente di pensare.

 

L’uomo antico-orientale poteva percepire ciò che viveva tra l’addormentarsi e il risveglio nel mondo animico-spirituale. Ciò si rifletteva in una certa misura nel suo cervello, che era divenuto organo di senso. Lui, però, non era in grado contemporaneamente anche di pensare. Doveva, per così dire, aspettare il tempo della veglia per poter pensare quello che aveva percepito là.

 

E c’è persino un segno esteriore del fatto che le cose stavano come le ho appena descritte. Provate una volta a tornare indietro, magari fino agli ultimi residui dell’antica cultura orientale. Vi accorgerete che quest’antica cultura sapienziale dell’Oriente è completamente strutturata in modo che essa descrive il cosmo sensibile, ma, in un certo senso, contemplato spiritualmente.

 

Quella che oggi non è che una caricatura, l’astrologia, era una saggezza vivente in quei tempi antichi. Ciò che le stelle e il cielo notturno rivelavano, ciò che era oscurato alla vista dal risveglio all’addormentarsi, costituisce gran parte della base di quanto quest’antica saggezza orientale è stata portatrice.

 

E questo era ciò che l’uomo sperimentava tra addormentarsi e il risveglio.

Egli era nel mondo esterno,

e viveva in modo animico-spirituale il suo rapporto con il mondo delle stelle.

 

E quando si svegliava, il suo cervello tornava nuovamente indietro, dallo stato di organo sensoriale a quella che era già un po’ più simile alla condizione del nostro cervello attuale, solo che questo cervello era ancora tale che l’uomo poteva ricordare quello che aveva vissuto durante il sonno solo durante la veglia.

 

E quello che ricordava balenava come un’immaginazione istintiva. Mentre quest’uomo antico orientale viveva la sua vita quotidiana, poteva distogliere l’attenzione interiore da ciò che lo circondava nel mondo dei sensi ed era in grado di rivolgerla a quanto, proiettandosi come un’illuminazione interiore in poderose immagini dinanzi alla sua anima, costituiva il ricordo di quanto egli aveva vissuto durante la notte. E queste erano le primordiali immaginazioni orientali, successivamente riconoscibili, in forma sbiadita, nell’ancora magnifico testo dei Veda e nella saggezza e poesia del Vedanta.

 

Come apparivano esse all’uomo in quell’epoca? In quegli antichi tempi non si parlava ancora di una descrizione dell’uomo come quella che oggi forniscono l’anatomia o la fisiologia, secondo le quali alla base di tali immaginazioni vi sarebbe stata la percezione sensibile dell’uomo esteriore.

 

L’uomo percepiva se stesso come un essere animico-spirituale

in tutto ciò che sperimentava, tra l’addormentarsi e il risveglio, nel mondo esteriore.

• Sperimentava il cosmo come entità animico-spirituale

e se stesso come un essere animico-spirituale nel cosmo animico-spirituale.

E come percepiva se stesso? Egli si percepiva come il modello di se stesso.

 

Vi prego di fare attenzione al contenuto in queste parole.

Quando l’uomo vedeva le immagini di ciò che aveva sperimentato nel sonno, egli si percepiva come modello di se stesso, e poteva dirsi: “Il mio modello si presenta così e così. In questo modello, ad esempio, vi sono certi schemi per il mio capo, per quanto esso contiene, per i polmoni, il fegato, e così via”. L’uomo non sentiva di consistere, come l’odierna anatomia e fisiologia sostengono, negli organi di percezione esterni. Si percepiva, invece, come un modello che crea questi organi di senso esterni.

 

L’uomo percepiva se stesso in un certo senso come un essere divino-spirituale,

come il modello divino-spirituale dell’uomo terrestre.

L’uomo terreno quindi non lo interessava particolarmente;

egli era interessato al proprio modello celeste-spirituale.

 

Attraverso tutto questo insieme di esperienze, poi, giungeva a qualcos’altro.

Giungeva a riconoscere che questo modello celeste-spirituale era, in realtà, lui stesso

prima del concepimento e della nascita come essere umano fisico.

 

Pertanto, attraverso questa particolare condizione,

esistente durante la primordiale epoca antico-orientale,

l’uomo percepiva se stesso come uomo celeste-divino,

ma, allo stesso tempo, si sentiva come un uomo ancora non disceso sulla Terra.

 

E che l’uomo si sentisse come “l’essere che era prima della sua esistenza fisico-terrestre” è di fondamentale importanza per le antiche culture orientali. La sua coscienza di ciò era, sì, qualcosa d’istintivo, ma aveva, come risultato, il fermo riconoscimento dell’esistenza pre-terrena, della discesa da un mondo spirituale in quello fisico-sensibile.

 

Questa è la caratteristica dimenticata delle antiche religioni orientali;

• queste religioni parlavano apertamente dell’esistenza prenatale,

del fatto che la vita sulla Terra è una prosecuzione di una esistenza celeste.