Il corpo elementare o eterico

O.O. 12-16-17 – Sulla via dell’Iniziazione – (Seconda meditazione)


 

Per effetto dell’idea che l’anima deve farsi del fatto della morte, essa può trovarsi in totale incertezza sulla sua propria natura. Ciò si verificherà, se essa crede di non poter conoscere nessun mondo diverso da quello dei sensi e solamente quello che l’intelletto è in grado di saperne.

La vita ordinaria dell’anima volge lo sguardo verso il corpo fisico; vede il corpo passare, dopo la morte, nel complesso della natura che non partecipa in alcun modo a ciò che, prima della morte, l’anima sperimenta come propria esistenza.

 

A dir vero essa può sapere (grazie alla precedente meditazione) che durante la vita il corpo fisico sta verso di lei nello stesso rapporto che dopo la morte; ma ciò non la porta che a riconoscere l’autonomia interiore della propria esperienza fino alla morte.

È l’osservazione del mondo esterno a mostrarle ciò che dopo la morte avviene del corpo fisico. Per l’esperienza interiore non esiste un’osservazione analoga.

 

La vita dell’anima, così com’è, non può dirigere lo sguardo oltre il limite della morte.

• Se l’anima non è in grado di farsi delle idee che si estendano

al di là del mondo dal quale il corpo viene accolto dopo la morte,

allora non ha neppure la possibilità di scorgere,

al di là della morte, nei riguardi dell’anima, altro che il vuoto del nulla.

• Perché le cose fossero diverse, l’anima dovrebbe percepire il mondo esterno

con mezzi differenti dai sensi e dall’intelletto ad essi legato.

 

I sensi appartengono al corpo e con esso vengono annientati.

• Ciò che essi dicono non può portare ad altro che al risultato della prima meditazione,

il quale consiste solo nel fatto che l’anima può confessare a se stessa quanto segue:

tu sei legata al tuo corpo che è soggetto a leggi naturali,

le quali hanno con te lo stesso rapporto di tutte le altre leggi di natura.

 

• Per effetto di quelle leggi tu sei parte del mondo esterno,

e quanto esso s’interessi di te, puoi vederlo nel modo più chiaro,

se osservi ciò che fa del tuo corpo dopo la morte.

 

• Per la vita esso ti dà dei sensi e un intelletto, i quali ti impediscono di scorgere

ciò che avverrà della tua esperienza animica dopo la morte.

 

Questa confessione può portare solo a due risultati.

• O si soffocherà ogni ulteriore ricerca sull’enigma dell’anima, rinunciando ad ogni conoscenza in proposito;

• oppure si compiranno certi sforzi  

per conseguire mediante l’esperienza animica interiore ciò che il mondo esterno ci nega.

Tali sforzi possono rendere l’esperienza interiore

più forte, più energica di quanto sia nell’esistenza ordinaria.

 

Nella vita ordinaria l’uomo possiede una certa forza delle proprie esperienze interiori, della sua vita di sentimento e di pensiero. Per esempio produce un certo pensiero ogni volta che se ne presenti un’occasione interna o esterna. Si può però scegliere un qualsiasi pensiero fra tutti gli altri, e ripensarlo sempre di nuovo, riviverlo intensamente, senza un’occasione speciale. Si può farne ripetute volte l’unico oggetto della propria esperienza interiore. E mentre lo si fa, si possono tener lontane tutte le impressioni esterne e tutti i ricordi che tenderebbero a emergere nell’anima. Si può fare di una tale completa ed esclusiva dedizione a certi pensieri, o anche a sentimenti, una regolare attività interiore.

 

Perché questo genere di esperienza interiore porti a risultati veramente importanti, occorre però praticarla secondo certe leggi sperimentate, che vengono specificate dalla scienza della vita spirituale.

Parecchie di queste leggi sono indicate nel mio libro L’iniziazione.

 

Procedendo in tal modo si ottiene un rafforzamento dell’esperienza interiore: essa per così dire si consolida. Si può apprendere che cosa ne risulti, osservando se stessi, purché l’attività interiore sopra descritta venga proseguita per un tempo sufficientemente lungo. Nel maggior numero dei casi occorre certo molta pazienza, prima che si presentino risultati persuasivi. Chi non è disposto a esercitare per anni tale pazienza, non raggiungerà niente di speciale.

Qui è possibile citare un solo esempio di tali risultati.

 

Essi sono di vario genere; e l’esempio che verrà citato è adatto a far proseguire la via di meditazione di cui è stata iniziata la descrizione.

Un uomo può esercitare a lungo il rafforzamento della sua vita animica, che abbiamo menzionato. Forse egli non farà nessuna esperienza che lo porti a pensare del mondo in modo diverso da come era abituato a pensarlo. Può darsi però che a un certo momento avvenga quanto segue. Naturalmente, ciò che sto per descrivere non si verificherà in modo identico in persone diverse; ma chi cerca di farsi un’idea di una esperienza del genere, può dire di aver chiarito l’intero campo di cui si sta parlando.

 

Può presentarsi un momento in cui l’anima si sperimenta interiormente in modo del tutto diverso dal consueto. Per lo più, all’inizio avverrà che dal sonno l’anima si ravvivi come per un sogno; ma subito risulterà che quell’esperienza non è paragonabile ai sogni ordinari. Ci si ritrova del tutto estraniati dal mondo dei sensi e dell’intelletto, eppure si sperimenta allo stesso modo come nell’esistenza ordinaria si sperimenta il mondo esterno durante la veglia.

 

Si è portati a rappresentarsi l’esperienza, e si ricorre a concetti che si hanno anche nella vita ordinaria; ma si sa con esattezza di sperimentare cose diverse da quelle alle quali normalmente si riferiscono quei concetti. I concetti vengono considerati solo come mezzi di espressione per un’esperienza che non si era mai avuta prima, e che si sa essere impossibile nell’esistenza ordinaria.

Ci si sente come circondati da ogni lato da bufere temporalesche: si odono tuoni e si percepiscono lampi. Si sa di trovarsi nella camera di una casa. Ci si sente compenetrati da una forza prima ignota.

 

Poi si crede di scorgere delle crepe nei muri circostanti. Si è spinti a dire a se stessi, o a qualcuno che si crede di aver vicino: ora le cose si fanno serie; il fulmine attraversa la casa, mi colpisce, mi sento colpito da esso, mi dissolve.

Quando poi si è svolta una serie di rappresentazioni come queste, l’esperienza interiore ritorna allo stato d’animo ordinario. Ci si ritrova in sé, col ricordo delle esperienze appena compiute.

 

Se questo ricordo è vivido e fedele come ogni altro, consente anche di formarsi un giudizio su quella esperienza. Si sa allora in modo diretto di aver provato qualcosa che non si può provare mediante alcuno dei sensi corporei, né del comune intelletto. Si sente infatti che la descrizione ora fatta, e che si può esporre a se stessi o ad altri, non è che un mezzo per esprimere l’esperienza. L’espressione è certo un mezzo per intendersi sulla cosa, ma con questa non ha nulla in comune.

Si sa che per quella esperienza non occorre nessuno dei propri sensi.

 

Chi volesse parlare di una recondita attività dei sensi o del cervello, non conosce quell’esperienza nel suo vero aspetto. Si limita alla descrizione che parla di fulmini, tuoni, crepe nei muri, e crede perciò che l’anima non abbia sperimentato altro che echi dell’esistenza ordinaria. Deve cioè considerare l’esperienza per una visione, nel senso ordinario della parola. Non gli è possibile di pensare diversamente.

Ma non considera che chi descrive una tale esperienza, con le parole fulmine, tuono, crepe nei muri intende soltanto delle immagini di ciò che ha sperimentato, senza confonderlo con le immagini stesse.

 

È vero che gli sembra di percepire realmente quelle immagini; ma in questo caso egli non si comporta verso l’apparizione del lampo come quando ne vede uno coi propri occhi.

Per lui la visione del lampo è solo qualcosa che in certo senso si stende sopra la vera esperienza: attraverso il lampo egli scorge qualcosa del tutto diverso, qualcosa che non può venire sperimentato nel mondo esterno sensibile.

 

Perché si possa formulare un giudizio esatto, occorre che dopo una esperienza del genere l’anima si comporti verso il mondo esterno in modo completamente normale. Essa deve poter confrontare con precisione la sua particolare esperienza con il modo di sperimentare il mondo esterno ordinario.

Chi già nella vita solita ha la tendenza a lasciarsi trascinare a ogni sorta di esaltazioni, è poco idoneo a un tale giudizio. Quando si tratti di giudicare in modo verace e valido esperienze come queste, le cose andranno tanto meglio, quanto più normale e vorremmo dire più freddo è il senso di realtà del soggetto. Ci si può fidare di se stessi, quanto a esperienze soprasensibili, solo se nei confronti del mondo ordinario si è certi di affrontare eventi e cose in modo chiaro, così come sono.

 

Se si sono così adempiute tutte le condizioni necessarie, e se si ha ragione di ritenere di non essere stati vittime di una comune visione, allora si sa di avere sperimentato qualcosa senza che il corpo abbia servito da mediatore dell’osservazione. Si è osservato qualche cosa senza il corpo, direttamente valendosi dell’anima rafforzata in se stessa.

Si è acquistata la rappresentazione di un’esperienza fatta al di fuori del proprio corpo.

 

È chiaro che in questo campo si possono dare norme per distinguere fantasticherie e illusioni da vere osservazioni fatte fuori dal corpo, proprio nello stesso senso in cui si possono dare per l’ambito della percezione sensoriale esterna.

Può accadere che qualcuno abbia una vivace fantasia gustativa e che già al solo pensiero d’una limonata abbia una sensazione simile a quella provocata da una limonata vera. Ma l’insieme della situazione reale dimostrerà la differenza tra i due casi. Lo stesso vale per le esperienze fatte al di fuori del corpo. Per giungere in questo campo a pensieri interamente convincenti, bisogna familiarizzarsi con esso in modo sano, acquistando la facoltà di osservare i rapporti fra le esperienze, per correggere l’una con l’altra.

 

• Mediante un’esperienza come quella ch’è stata descritta,

si è acquistata la possibilità di osservare ciò che appartiene al proprio sé,

non solo per mezzo dei sensi e dell’intelletto, cioè degli strumenti corporei.

 

• Del mondo, a questo punto, non soltanto

si conosce qualcosa di diverso da ciò che tali strumenti consentono di conoscere,

ma si conosce anche in modo diverso.

• Ed è questo che più importa.

 

Un’anima che sta attraversando una trasformazione interiore

si convince sempre di più che nel mondo dei sensi

gli opprimenti problemi dell’esistenza non possono essere risolti,

proprio perché i sensi e l’intelletto

non sono in grado di penetrare abbastanza in profondità.

 

Le anime che si trasformano in modo da poter fare esperienze al di fuori del corpo

possono penetrare più a fondo.

Le comunicazioni che esse possono fare sulle loro esperienze

contengono ciò che può risolvere gli enigmi dell’anima.

 

Ora, un’esperienza che si compie al di fuori del corpo è di natura del tutto diversa da quella che si compie nel corpo. Questo fatto sarà lumeggiato dal giudizio che si può dare dell’esperienza descritta, dopo il ripristino del normale stato di veglia, e se il ricordo ne è rimasto abbastanza vivo e chiaro.

 

L’anima sente il corpo dei sensi come staccato dal resto del mondo,

percependolo come appartenente solo a se stessa.

• Non succede così con le esperienze che si fanno in sé e di sé fuori del corpo;

qui ci si sente uniti con tutto quanto possiamo chiamare mondo esterno.

 

• Ciò che si trova nel nostro ambiente viene sentito unito a noi stessi,

come nella vita dei sensi la propria mano.

• In quelle condizioni, non esiste indifferenza del mondo esterno

nei confronti di un mondo interiore dell’anima.

Ci si sente pienamente congiunti con ciò che si può chiamare il mondo

e le cui attività attraversano in modo evidente il nostro essere.

 

Non v’è netto confine tra mondo interiore e mondo esterno;

tutto l’ambiente di quest’ultimo appartiene all’anima che compie l’osservazione,

come le due mani del corpo appartengono alla testa fisica.

• Eppure si può parlare di una parte di questo mondo esterno,

che appartiene al proprio sé più del restante ambiente,

come si parla della testa quale organo autonomo, in confronto alle mani o ai piedi.

L’anima chiama corpo suo una parte del mondo esterno.

 

• L’anima che compie esperienze al di fuori di questo corpo,

può con altrettanta ragione considerare come appartenente a lei stessa

una parte del mondo esterno non sensibile.

• Se l’uomo procede fino all’osservazione di tale sfera,

che gli è accessibile al di là del mondo sensibile,

può affermare che gli appartiene un corpo non percepibile ai sensi.

 

• Tale corpo può essere chiamato corpo elementare, o eterico;

ma usando il termine «eterico», occorre evitare di riferirsi

alla tenue sostanza che la fisica chiama «etere».

 

• Come la semplice riflessione sul rapporto dell’uomo con il mondo naturale esterno

fornisce la corretta rappresentazione, aderente ai fatti, del corpo fisico,

• così la peregrinazione dell’anima in campi percepibili al di fuori del corpo dei sensi,

conduce a riconoscere un corpo elementare o eterico o corpo di forze plasmatrici.