Il corpo fisico
O.O. 12-16-17 – Sulla via dell’Iniziazione – (Prima meditazione)
Quando l’anima,
attraverso i sensi e la sua attività di rappresentazione, è rivolta ai fenomeni del mondo esterno,
se riflette correttamente su di sé non può affermare di essere lei stessa
a percepire quei fenomeni o a sperimentare gli oggetti del mondo esterno.
• Infatti, fintanto che è rivolta al mondo esterno, essa non sa nulla di se stessa.
In realtà è la luce solare, riflessa dagli oggetti nello spazio in manifestazioni multicolori,
che sperimenta sé nell’anima.
Se poi l’anima si rallegra per qualcosa, nel momento di quel suo rallegrarsi è gioia essa stessa, per quanto ne sa.
È la gioia stessa a sperimentarsi nell’anima.
• L’anima è tutt’uno con la propria esperienza del mondo;
essa non sperimenta sé
come qualcosa che si rallegri, che provi ammirazione, diletto o timore.
• È gioia, ammirazione, diletto o timore.
• Soltanto se l’anima fosse sempre disposta a riconoscere questa condizione,
le apparirebbero nella giusta luce i momenti
in cui essa si ritrae dall’esperienza del mondo esterno e contempla se stessa.
• Quei momenti apparirebbero come una vita di genere del tutto speciale,
assolutamente non paragonabile alla vita psichica ordinaria.
• Con questo genere speciale di vita
cominciano ad affacciarsi alla coscienza gli enigmi dell’esistenza animica:
enigmi che in fondo sono la sorgente di tutti gli altri enigmi del mondo.
• Il mondo esterno e il mondo interiore si presentano allo spirito umano
quando per un tempo più o meno lungo
l’anima cessa di identificarsi col mondo esterno e si ritira nella solitudine della propria esistenza.
• Questo ritirarsi non è un processo semplice, che si compie una volta
e che poi si potrebbe magari ripetere allo stesso modo.
• Si tratta invece dell’inizio di una peregrinazione in mondi prima sconosciuti.
• Una volta che si sia cominciata questa peregrinazione,
ogni passo compiuto diventa l’occasione per compierne un altro:
ne costituisce anche la preparazione, in quanto
solo un passo compiuto rende l’anima capace di compiere i successivi.
• E ad ogni passo si apprende qualcosa di più sulla risposta al seguente problema:
che cos’è l’uomo, nel vero senso della parola?
Si schiudono mondi che sono nascosti alla visione ordinaria della vita;
eppure in essi soltanto si trova ciò che può rivelare la verità anche su tale modo di considerarla.
Pur se nessuna risposta è esauriente, definitiva,
le risposte acquisite mediante l’intima peregrinazione dell’anima
vanno oltre tutto quanto possono offrire i sensi esteriori e l’intelletto ad essi collegato.
• E l’uomo ha bisogno di questo quid diverso:
egli si accorge che ciò è vero, purché rifletta veramente su se stesso.
In un primo momento, per questa peregrinazione
occorrono delle riflessioni sobrie e fredde;
esse costituiscono il sicuro punto di partenza per penetrare ulteriormente
nelle regioni soprasensibili, delle quali, in ultima analisi, importa all’anima.
• Molte anime vorrebbero risparmiarsi questo punto di partenza
e penetrare subito nel soprasensibile.
Un’anima sana però,
anche se in un primo tempo ha evitato per avversione una tale riflessione,
pure più tardi l’accetterà, perché, qualunque sia l’esperienza soprasensibile
che si possa aver conseguita partendo da un altro punto,
soltanto una riflessione come quella che verrà ora esposta offre una base sicura.
• Nella vita dell’anima possono venire momenti in cui essa dice a se stessa:
devi poterti sottrarre a tutto quanto ti può offrire il mondo esterno,
se non vuoi farti strappare una confessione incompatibile con la vita,
cioè di non essere altro che un controsenso che sperimenta se stesso.
• Ciò che percepisci là fuori, esiste senza di te; senza di te esisteva, e senza di te esisterà.
Perché i colori sentono se stessi in te, dato che il tuo sentire potrebbe non avere significato per essi?
perché le sostanze e le forze del mondo esterno formano il tuo corpo?
• Esso assurge a vita dando luogo alla tua manifestazione esteriore.
• Il mondo esterno si configura in te.
• Tu scopri di aver bisogno di questo corpo,
perché senza i tuoi sensi, che esso solo può formare in te,
a tutta prima non potresti sperimentare nulla in te.
• Senza il tuo corpo saresti vuoto, dato come sei in un primo momento.
• Esso ti conferisce pienezza interiore e contenuto.
A questo punto possono sorgere tutte le considerazioni
senza le quali non può sussistere un’esistenza umana,
se in certi momenti che vengono per ognuno
non si vuol cadere in una contraddizione insopportabile.
Il corpo attualmente vive in modo da essere l’espressione delle esperienze dell’anima.
I suoi processi sono tali che l’anima vive per tramite di esso e in esso sperimenta se stessa.
Non sarà sempre così.
• Ciò che vive nel corpo sarà un giorno sottoposto a leggi del tutto diverse da ora,
da quando tutto si svolge per me, per l’esperienza della mia anima.
Sarà soggetto alle leggi che regolano il comportamento delle sostanze e delle forze nella natura esterna,
leggi che non hanno più nulla in comune con me e con la mia vita.
Il corpo al quale vado debitore della mia esperienza animica,
verrà accolto nel processo generale dell’universo
e vi si comporterà in modo da non avere più nulla in comune con ciò che sperimento in me.
Una tale considerazione può far sperimentare interiormente tutto l’orrore del pensiero della morte, senza che a questa impressione si mescolino i sentimenti puramente personali che abitualmente sono connessi nell’anima con quel pensiero.
Per effetto di questi sentimenti non è facile che, nei confronti del pensiero della morte, si determini lo stato d’animo calmo e sereno, ch’è necessario all’attività conoscitiva.
È ben naturale che l’uomo voglia acquistare conoscenza della morte e di una vita dell’anima che sia indipendente dalla dissoluzione del corpo.
Il suo atteggiamento nei riguardi dei relativi problemi è, più di ogni altra cosa, idoneo a turbare la visione oggettiva e a far accettare per valide certe risposte che sono suggerite dal desiderio.
Senonché in campo spirituale non si può conseguire nessuna vera conoscenza, se non si è disposti, con totale imparzialità, ad accettare altrettanto volentieri il «no» quanto il «sì».
Basterà osservarsi coscienziosamente per rendersi conto con piena chiarezza di non essere disposti ad accogliere con la stessa equanimità la cognizione che con la morte del corpo si estingue anche la vita psichica, e l’altra, che parla della persistenza dell’anima dopo la morte.
Vi sono certamente persone che credono con piena sincerità all’annientamento dell’anima con la dissoluzione della vita del corpo, e che informano la loro vita a un tale pensiero. Eppure anche di queste si può affermare che con i loro sentimenti non affrontano spassionatamente questo pensiero.
È vero che esse non si lasciano trascinare dallo sgomento dell’annientamento fino a far prevalere il desiderio della sopravvivenza sulle ragioni della conoscenza, che per loro parlano chiaro. In tal senso, i pensieri di persone siffatte sono spesso più oggettivi di quelli di coloro che, senza rendersene conto, si persuadono o si lasciano persuadere che vi siano argomenti a favore della sopravvivenza, perché nel fondo delle loro anime arde appunto il desiderio di tale sopravvivenza.
Eppure la prevenzione non è minore fra i negatori dell’immortalità: è soltanto diversa.
Alcuni di loro si fanno una certa idea di ciò che significa vita ed esistenza; e per effetto di quell’idea giungono a concepire determinate condizioni, senza le quali la vita non sarebbe possibile.
Dal loro modo di concepire l’esistenza risulta ora che le condizioni della vita animica non possono più sussistere quando il corpo viene a mancare.
Costoro non si accorgono di essersi prima formata una certa opinione di come dovrebbe necessariamente essere la vita, e che l’unica ragione per cui non possono credere che la vita continui dopo la morte è l’impossibilità di concepire un’esistenza priva del corpo, impossibilità scaturita dall’opinione che si erano formata.
La loro obiettività di pensiero non è certo condizionata dai loro desideri, ma dalle opinioni di cui non riescono a liberarsi. In questo campo esistono poi molte altre prevenzioni; non si possono addurre che singoli esempi di tutto ciò che esiste di questo genere.
Il pensiero che il corpo, nei cui processi si esplica l’anima, cadrà un giorno in balìa del mondo esterno, soggiacendo a leggi del tutto estranee all’esperienza interiore, presenta il fatto della morte in un modo che nessun desiderio, nessun interesse personale debbano di necessità intromettersi in tale contemplazione: questa esperienza può anzi condurre a un problema di conoscenza puro e impersonale.
Ne risulterà presto il sentimento che il pensiero della morte non è importante per se stesso, ma in quanto può gettar luce sulla vita.
Si dovrà pervenire all’opinione
che l’enigma della vita può essere risolto penetrando nell’essenza della morte.
Il fatto stesso che l’anima desideri la propria sopravvivenza dovrebbe in ogni caso indurla alla diffidenza nei riguardi di tutte le opinioni relative a tale sopravvivenza. Infatti, perché gli eventi del mondo dovrebbero preoccuparsi di ciò che l’anima sente? Essa potrebbe, secondo le sue esigenze, trovare insensato il fatto di accendersi dalla sostanza del suo corpo e poi spegnersi di nuovo, come una fiamma che si sprigioni da un materiale combustibile. Ma anche se ciò apparisse insensato, potrebbe essere ugualmente vero.
Quando l’anima volge lo sguardo al corpo, deve tener conto soltanto di ciò che esso le può mostrare. Osservandolo, sembra che in natura agiscano leggi che portino le sostanze e le forze in un certo giuoco di rapporti reciproci, che tali leggi dominino il corpo e dopo un certo tempo lo inseriscano di nuovo nel sistema dei rapporti universali.
Ora, questa idea si può rigirare come si vuole: potrà anche essere utilizzabile scientificamente, ma di fronte alla realtà vera essa si rivela assolutamente impossibile.
Si potrà ritenere che essa soltanto sia scientificamente chiara e spassionata, e che tutto il resto non sia che fede soggettiva: certo, si può pensarlo. Ma se si è realmente spregiudicati, non si può considerarla valida; ed è questo che importa.
Non si tratta di ciò che l’anima, per la sua natura, sente come necessario, ma di quanto ci rivela il mondo esterno dal quale il corpo è tratto. Il mondo esterno, dopo la morte, accoglie in sé le sostanze e le forze del corpo, e queste soggiacciono allora a leggi del tutto indifferenti a ciò che avviene nel corpo umano durante la vita. Tali leggi (che sono di natura fisica e chimica) si comportano nei riguardi del corpo non diversamente che nei riguardi di qualsiasi altro oggetto inanimato del mondo esterno.
È impossibile pensare che questo comportamento indifferente del mondo esterno nei confronti del corpo umano abbia inizio solo con la morte e che esso non sussista già durante la vita.
• Non è considerando la vita che si può farsi un’idea del modo in cui il mondo esterno prende parte al corpo umano; occorre invece ragionare così:
tutto ciò che in te è il veicolo dei tuoi sensi,
il mediatore di processi grazie ai quali vive la tua anima,
tutto ciò viene trattato, dal mondo che percepisci, nel modo che ti risulta
da una concezione che si spinga oltre i confini della tua vita;
da una concezione che tenga conto del tempo in cui non disporrai più
di tutto ciò in cui tu attualmente sperimenti te stesso.
Qualunque altra concezione sul rapporto fra il mondo esterno sensibile e il corpo
si rivela insostenibile di fronte alla realtà, per la sua stessa natura.
• D’altra parte,
il pensiero che solo dopo la morte
si renda evidente la reale partecipazione del mondo esteriore al corpo umano,
non entra in conflitto con nessuna vera esperienza né del mondo esterno, né di quello interiore.
L’anima non trova nulla d’insopportabile nel pensiero che le sue sostanze e le sue forze soggiacciano a processi del mondo esterno che non hanno nulla a che fare con la sua propria vita.
Se essa si pone spassionatamente di fronte alla vita, l’anima non può trovare nel suo profondo nessun desiderio proveniente dal corpo che le renda sgradevole il pensiero della dissoluzione dopo la morte.
Insopportabile diventerebbe solo l’idea che le sostanze e le forze ritornate al mondo esterno portino con sé l’anima che sperimenta se stessa. Tale idea sarebbe insopportabile come qualunque altra che non scaturisse in modo naturale dall’osservazione del mondo esterno.
L’attribuire al mondo esterno una partecipazione all’esistenza del corpo diversa da quella che ha dopo la morte, è un pensiero che dovrebbe essere tirato fuori dal nulla.
In quanto pensiero insensato, esso dovrebbe sempre cozzare contro la realtà, mentre è perfettamente sana l’idea che il mondo esterno partecipa al corpo durante la vita esattamente come dopo la morte.
Pensando in questo modo, l’anima si sente perfettamente in accordo con la manifestazione dei fatti; può sentire, con questa rappresentazione, di non trovarsi in disaccordo con i dati di fatto che parlano per se stessi e ai quali non bisogna aggiungere nessun pensiero artificioso.
Non sempre si presta attenzione al bell’accordo, che regna fra il sano e naturale sentire dell’anima e la manifestazione della natura.
Ciò potrebbe sembrare così evidente da non meritare alcuna attenzione; eppure questo fatto apparentemente privo di significato è illuminante.
• Il pensiero che il corpo vada dissolto negli elementi non ha nulla d’insopportabile;
• è invece assurdo l’altro pensiero, che la stessa cosa avvenga anche per l’anima.
Vi sono molte ragioni umane personali che lo fanno apparire assurdo, ma non devono essere prese in considerazione dall’osservazione oggettiva. L’accettazione completamente impersonale di quanto insegna il mondo esterno ci mostra però che anche durante la vita esso non partecipa all’anima in modo diverso che dopo la morte.
È probatorio il fatto che questo pensiero si palesa come necessario e che resiste a tutte le obiezioni che gli si possono sollevare. Chi lo pensa del tutto coscientemente, lo sente come certezza diretta. In verità però, pensa a questo modo tanto chi crede nell’immortalità, quanto chi la nega.
I negatori affermeranno bensì che nelle leggi operanti sul corpo dopo la morte siano comprese anche le condizioni dei suoi processi durante la vita; ma sbagliano, quando credono di potersi veramente raffigurare che queste leggi stiano col corpo, in quanto portatore dell’anima, in un rapporto differente durante la vita e dopo la morte.
Intrinsecamente possibile è soltanto l’idea che anche quel particolare complesso di forze che si manifesta nel corpo sia, nei confronti del corpo (inteso come portatore dell’anima), altrettanto indifferente quanto il complesso di forze che opera nel corpo morto. Tale indifferenza non esiste per l’anima, bensì per le sostanze e le forze del corpo.
L’anima sperimenta se stessa nel corpo; il corpo però vive col mondo esterno, in esso, per mezzo di esso, e non concede alla sfera animica un valore determinante diverso da quello dei processi del mondo esterno. Bisogna riconoscere che per il moto del sangue nel corpo, il caldo e il freddo dell’ambiente esterno hanno altrettanta importanza, quanto possono averne la paura o la vergogna, che hanno sede nell’anima.
In un primo tempo si sentono dunque operare in noi le leggi del mondo esterno in quello specialissimo complesso che si manifesta come organizzazione del corpo umano. Si sente il corpo come una parte del mondo esterno, ma si rimane estranei all’insieme della sua connessione interna.
La scienza esteriore spiega attualmente in parte come le leggi del mondo esterno si attuino in quell’entità particolarissima che si presenta come il corpo umano; quanto al futuro, si può sperare che tale conoscenza progredisca sempre più. Ma tale conoscenza progrediente non è in grado di modificare in nulla il modo di pensare dell’anima sul proprio rapporto col corpo. Al contrario, essa dovrà mostrare sempre più chiaramente che le leggi del mondo esterno stanno nello stesso rapporto con l’anima, sia prima sia dopo la morte.
È illusione attendersi che, col progresso della scienza naturale, dalle leggi del mondo esterno possa risultare in che modo i processi del corpo siano i mediatori della vita dell’anima.
S’imparerà a conoscere sempre meglio che cosa accade nel corpo durante la vita, ma i relativi processi si riveleranno sempre tali che l’anima li sente estranei a se stessa, come quelli che si svolgono nel corpo dopo la morte.
Perciò il corpo deve apparire entro il mondo esterno come un complesso di forze e di sostanze sussistente per se stesso e suscettibile di essere spiegato per se stesso, in quanto parte di quel mondo esterno.
La natura produce la pianta e poi la dissolve.
Essa domina il corpo umano e lo lascia perire, entro il proprio sistema.
• Se l’uomo si mette di fronte alla natura con questo atteggiamento,
può dimenticare se stesso e tutto quanto è in lui,
e sentire il proprio corpo come un elemento del mondo esterno aggregato a lui.
• Se concepisce in questo modo il suo rapporto con se stesso e con la natura,
allora sperimenta su di sé ciò che si può chiamare il proprio corpo fisico.