Il Kamaloka

O.O. 119 – Macrocosmo e microcosmo – 19.03.1910


 

Mentre dunque il cadavere fisico già prima è stato espulso ed è ritornato alle sue sostanze e forze fisiche,

ora viene spremuto fuori il corpo eterico o vitale,

che si ripartisce in quel mondo che noi chiamiamo eterico,

che è di nuovo un nulla per chi si limita a vedere e pensare in modo materialistico,

ma che intesse tutto e vive per coloro i cui occhi spirituali sono aperti.

 

Però, di quel corpo eterico o vitale spremuto

resta indietro qualcosa che si può definire un’essenza,

un estratto di tutto ciò che è stato sperimentato.

 

Le esperienze dell’ultima esistenza fra nascita e morte, concentrate per così dire in un germe,

rimangono d’ora in poi unite con quanto costituisce l’uomo.

Dunque il risultato condensato dell’ultima vita continua a esistere.

 

Che cos’ha l’uomo in sé nel corso ulteriore della sua vita dopo la morte?

Egli trattiene ciò che chiamiamo “portatore del suo Io”, ciò che in genere chiamiamo “Io”; ma questo Io è avvolto dapprima da quanto abbiamo caratterizzato come terzo elemento dell’entità umana dopo il corpo fisico e il corpo eterico o vitale, cioè il corpo astrale.

Potremmo dire che il corpo astrale dell’uomo è il portatore del piacere e della sofferenza,

della gioia e del dolore, degli istinti, delle brame e delle passioni.

Di tutto ciò che durante il giorno sussulta dunque attraverso la nostra anima come piacere e sofferenza, come istinti, brame e passioni, di questo è portatore il corpo astrale; ed ogni notte l’Io e il corpo astrale abbandonano il corpo fisico e il corpo eterico o vitale dell’uomo, i quali rimangono nel letto durante il sonno.

 

• Adesso, dopo la morte,

abbiamo l’Io e il corpo astrale uniti con quell’essenza vitale di cui, appunto,

abbiamo potuto dire è stata estratta come frutto o germe dal corpo eterico o vitale.

• Con tali componenti del proprio essere, l’uomo intraprende poi

il cammino attraverso il cosiddetto mondo animico.

 

Se vogliamo comprendere quanto ci rivela lo sguardo spirituale dell’uomo su quel mondo, dobbiamo innanzitutto renderci conto che è questo corpo astrale il portatore di tutto ciò che è piacere, desiderio, interesse alle cose intorno a noi.

 

Sì, il corpo astrale è il portatore di ogni piacere e brama, di ogni dolore e sofferenza,

anche delle brame più basse, delle brame che sono connesse ad esempio con la nostra alimentazione.

 

Il corpo fisico è una struttura di forze e leggi fisiche e chimiche.

Non è esso a sentire desiderio e piacere verso qualche cibo e genere voluttuario, ma il corpo astrale.

Il corpo fisico offre solo gli strumenti con cui noi possiamo ottenere tali piaceri che hanno luogo nel corpo astrale.

 

Chi abbia conservato un concetto del fatto che questo corpo astrale dell’uomo sia qualcosa di reale, qualcosa di vero, non solamente una funzione, un risultato della cooperazione dei processi fisici e chimici, non si meraviglierà anche se vien detto che al momento della morte, quando il corpo fisico è deposto, il corpo astrale non perde subito il desiderio dei piaceri. Di fatto non lo fa.

Prendiamo il caso estremo di un uomo che nella vita fosse un buongustaio, che abbia avuto piacere del mangiare appetitoso. Che cosa è insorto per lui con la morte? Egli ha perso la possibilità, poiché ha abbandonato gli strumenti fisici, di procurarsi i piaceri nel suo corpo astrale. Ma la brama di questi vi è rimasta. La conseguenza è che l’uomo d’ora in poi riguardo a questi piaceri è nella stessa situazione, anche se per altri motivi, in cui sarebbe all’incirca se nella vita fisica fosse in un luogo dove bruciasse di sete e non vi fosse nulla, a perdita d’occhio, per poterla placare. Dopo la morte il corpo astrale arde dalla sete, poiché non c’è più l’organo fisico per soddisfarla. Gli strumenti sono deposti, ma la brama di questi piaceri è rimasta nel corpo astrale. Ne consegue che l’uomo d’ora in poi sia nella stessa condizione riguardo ai piaceri: il corpo astrale ne soffre una sete ardente. Nel corpo astrale ci sono ancora tutti quegli istinti, brame e passioni che possono essere soddisfatti solo con gli strumenti fisici. Perciò è comprensibile, semplicemente partendo da questa logica considerazione, ciò che il ricercatore dello spirito deve dire a riguardo:

 

• «L’essere umano, dopo aver deposto il suo corpo eterico o vitale,

attraversa un periodo in cui, per quel che concerne il suo essere più intimo,

deve disabituarsi a tutti i desideri e a tutte le brame

che possono essere soddisfatti soltanto dagli strumenti fisici del corpo fisico».

Questo è il periodo della catarsi, della purificazione, nel quale

devono essere sradicati dal corpo astrale tutti i desideri verso qualsiasi cosa

che può essere procurata all’uomo solamente mettendone in attività gli strumenti fisici.

 

Troveremo comprensibile che, di nuovo a seconda dell’individualità dell’uomo, sia diverso il periodo di tempo che deve essere attraversato al fine di questa purificazione, di questo sradicamento delle brame che assecondano solo il mondo fisico. L’uomo però attraversa anche questo periodo in modo da non calcolarlo solo in base ai giorni, bensì, secondo le indagini della scienza dello spirito, da occupare pressappoco un terzo della vita nel mondo fisico che s’è svolta fra nascita e morte.

 

Per chi è in grado di guardare in profondità è comprensibile il fatto che il tempo della purificazione occupi approssimativamente un terzo del periodo della vita. Se abbracciamo con lo sguardo la vita umana troviamo che questa vita fra nascita e morte si divida chiaramente in tre terzi. Il primo di questi è fatto apposta a che i talenti e le capacità dell’essere umano che con la nascita entrano nell’esistenza si facciano largo, per così dire, attraverso gli ostacoli del mondo fisico. Sussiste una specie di vita in salita nel primo terzo. L’uomo prende gradualmente possesso quale essere spirituale dei suoi organi fisici. Poi arriva il terzo della vita successivo che dura pressappoco dai 21 fino ai 42 anni mediamente. Il primo dura fino a 21 anni. Questo secondo terzo esige lo sviluppo di tutte quelle forze che l’uomo può elaborare per il fatto che con la sua interiorità, col suo elemento animico, entra in interazione con il mondo esteriore.

 

A questo punto egli ha già gli organi del suo corpo fisico e di quello eterico o vitale plasticamente configurati, non ha più nessun ostacolo riguardo ad essi. Egli è adulto.

Il suo elemento interiore entra in diretto rapporto col mondo esteriore. Questo dura così a lungo, fino a quando l’essere umano deve cominciare a consumare di nuovo i suoi corpi fisico ed eterico o vitale, e ciò succede per il tempo rimanente della sua vita. Allora l’uomo succhia a poco a poco da quanto ha plasmato plasticamente nella sua gioventù.

 

Abbiamo potuto rilevare che esiste un meraviglioso rapporto tra gioventù e vecchiaia. Se durante quel periodo in cui l’essere umano interiore configura in modo plastico gli organi dell’uomo, questi si impossessa di certe qualità, se in quel tempo, nell’anima, domina diversi sentimenti di collera, se attraversa quello che noi chiamiamo sentimento della devozione, allora, come effetto, questo emerge proprio nell’ultimo terzo della vita. Passa nel terzo intermedio come in una corrente nascosta. E quanto noi chiamiamo “collera dominata” compare nella vecchiaia come giusta benevolenza; così nel superamento dell’ira vi sta l’origine, la causa della benevolenza. E dalla disposizione alla devozione che nutriamo nell’età giovanile, viene alla fine della vita quella qualità che ravvisiamo in quelle persone che possono presentarsi in una comunità, e senza dire molto, hanno un effetto come di benedizione.

 

La vita dell’uomo è chiaramente divisa in tre terzi.

Nel primo terzo l’uomo lavora per il suo corpo fisico, nell’ultimo lo logora di nuovo; in quello centrale l’elemento animico è per così dire abbandonato a se stesso. A questo periodo intermedio deve anche corrispondere, come può sembrare comprensibile, il periodo di purificazione dopo la morte. Lì l’anima è libera dal corpo fisico e dal corpo eterico o vitale, e sta col suo ambiente spirituale in un rapporto simile a quello del secondo terzo della vita.

 

Ciò che il ricercatore dello spirito è in grado di vedere, possiamo rendercelo logicamente comprensibile se gettiamo uno sguardo sulla vita abituale. Possiamo capire che il periodo di tempo indicato sia un numero medio, per cui il tempo della purificazione per un uomo sarà più lungo, per l’altro più corto. Durerà di più per colui che si abbandona con tutte le sue passioni alla mera esistenza sensibile, il quale non conosce altro che il soddisfacimento di quei piaceri legati agli organi fisici del corpo.

 

Per chi, però, nella vita abituale, grazie a un penetrare nell’arte, grazie alla conoscenza, riesce già a guardare a quei misteri spirituali dell’esistenza che penetrano attraverso la cortina dell’elemento fisico, per chi anche solo con presentimento afferra le rivelazioni dello spirito attraverso il velo della componente fisica, per costui il periodo della purificazione durerà meno, poiché egli attraverserà preparato il momento della morte, preparato a tutto ciò che, appunto, può arrivare come appagamento soltanto dal mondo spirituale.

 

Abbiamo qui dunque, miei cari ascoltatori, un periodo che l’uomo vive tra la morte e una nuova nascita che si differenzia da quello che si conta in termini di giorni subito dopo la morte. Mentre in quest’ultimo abbiamo un quadro mnemonico neutrale, nei cui confronti cessano tutto il nostro interesse e la nostra partecipazione, nel periodo di purificazione abbiamo proprio nella nostra anima tutto ciò che, per desiderio di piacere, per desiderio di brama, ci ha attratto verso le nostre esperienze.

Proprio la vita di sentimento, la vita di sensazione

è ciò che dunque si svolge nell’anima durante quel periodo di purificazione.

 

Tuttavia il ricercatore dello spirito ci mostra una singolare caratteristica di quel periodo.

Sembra strano, ma è vero: questo periodo di purificazione procede a ritroso

così che abbiamo l’impressione di sperimentare l’ultimo anno della nostra vita fisica prima,

poi il penultimo, quindi il terzultimo.

 

E noi sperimentiamo dunque la nostra vita, purificandoci, depurandoci, come in un’immagine speculare, la ripercorriamo in modo che essa appaia come se andasse dalla morte fino alla nascita, e alla fine di quel periodo siamo al momento della nascita. Attraversiamo prima la vecchiaia, poi l’età intermedia, indietro fino al tempo dell’infanzia.

 

Nessuno ha bisogno di pensare che questo sia proprio solo un periodo terribile in cui si prova una sete bruciante, in cui si patiscono i desideri. Tutto questo c’è di sicuro; ma non è l’unica cosa. Noi sperimentiamo anche tutto quello che fra la nascita e la morte abbiamo già vissuto, sperimentiamo pure i lieti eventi della vita così che li abbiamo di nuovo davanti a noi, per così dire, in immagine speculare.

 

Come sia quell’esperienza, ci si presenterà subito davanti all’anima considerando ancor più precisamente questo periodo. Supponiamo che un uomo fosse morto a sessant’anni. Quindi sperimenta dapprima i cinquantanove anni, poi i cinquant’otto, i cinquantasette e così via; egli vive percorrendo tutto a ritroso in una specie di immagine speculare. Resta questo cioè, che noi ci sentiamo come riversati sulle cose e le entità del mondo, come dentro a tutti gli esseri e le cose. Prendiamo ora il fatto che noi, in una vita durata dunque fino a sessant’anni, avessimo a quarant’anni arrecato un’offesa a qualcuno. Lì riviviamo vent’anni con velocità tripla. Arrivati ai quarant’anni, sperimentiamo quel dolore cagionato all’altro, di nuovo, ma non proviamo quanto noi abbiamo passato allora, ma ciò che l’altro ha sofferto.

 

Quando abbiamo arrecato dolore a qualcuno

a partire da un sentimento di vendetta o da un impulso di rabbia

e dopo la morte, guardando a ritroso, arriviamo a quel momento,

non sentiamo la nostra soddisfazione provata, ma quanto l’altro ha patito.

Nel mondo spirituale ci immedesimiamo in lui.

E capita così con tutto ciò che riviviamo nell’andare a ritroso.

Sperimentiamo tutto ciò che di bene, di azioni buone abbiamo dispensato nella vita,

negli effetti benefici che questo ha prodotto nel nostro ambiente.

Lo sperimentiamo con quell’anima che si sente riversata in tutto l’ambiente.

 

Ciò non è senza effetto, anzi l’uomo, rivivendo tutto ciò, porta con sé da tutte quelle situazioni del vivere determinate impressioni. Possiamo caratterizzare questo, per esempio, nel modo seguente. Ma vorrei esplicitamente osservare che questa cosa, in realtà, solo relativamente si può caratterizzare a parole, poiché possiamo comprendere che le nostre parole sono coniate per il mondo fisico e in effetti sono applicabili in senso giusto solo a questo. Se tuttavia utilizziamo queste parole — altrimenti non potremmo intenderci su tutti i misteriosi mondi che si rendono accessibili all’occhio spirituale —, dobbiamo renderci conto che esse hanno soltanto un senso approssimativo. Quanto viene sperimentato in quel mondo può solo essere caratterizzato così: quando l’uomo percepisce il dolore che ha inflitto a un altro, quando egli riprova quel dolore dopo la morte, lo sente come un intoppo evolutivo.

 

Egli si dice più o meno questo, avvertendolo nella sua anima: «Che cosa sarei diventato se non avessi recato questo dolore all’altro? Questo dolore è qualcosa che trattiene tutto il mio essere da un gradino di perfezione che altrimenti avrei potuto conseguire». E così l’uomo, per tutto ciò che di errore e menzogna, di cattivo ha divulgato nel suo ambiente, si dice: «Sono intoppi evolutivi, qualcosa che ho arrecato a me stesso sul cammino del mio perfezionamento».

E da ciò si forma una forza nell’anima umana che arriva al punto da portare l’uomo, in quella condizione in cui vive fra la morte e una nuova nascita, a provare il desiderio, ad avere l’impulso di volontà di rimuovere questi ostacoli dal cammino.

 

Cioè, nel viaggio a ritroso, accogliamo uno ad uno degli stimoli

a rimediare nuovamente nella prossima vita, a pareggiare di nuovo

quanto abbiamo frapposto a noi stessi sul cammino come ostacoli.

 

Perciò non ci è lecito nemmeno abbandonarci alla convinzione che ciò che lì attraversiamo sia puro soffrire. Sofferenza e privazione lo è certamente, ed è doloroso quando vediamo addossato sulla nostra propria anima tutto ciò che noi stessi abbiamo provocato; tuttavia …

sperimentiamo il dolore in modo da essere contenti di poterlo provare,

poiché solo grazie a ciò noi possiamo accogliere quella forza

che ci rende capaci di sgomberare la via da quegli ostacoli.

 

E così si sommano insieme tutti questi impulsi che noi accogliamo durante il periodo di purificazione, e quando siamo ritornati all’inizio della nostra ultima vita, c’è un’imponente somma che vive in noi quale immensa spinta, in una nuova vita, a compensare nei successivi gradini dell’esistenza tutto ciò che è da pareggiare nel senso caratterizzato.

 

Quindi, alla fine del periodo di purificazione siamo dotati di quella forza per sviluppare la nostra volontà verso il futuro in modo tale che per tutto ciò che di ingiusto, di brutto, di cattivo abbiamo commesso viene creata la compensazione. Questa è una forza di cui l’uomo può forse avere un presentimento se familiarizza, attraverso una saggia conoscenza di sé, con ciò che gli provoca dei rimorsi di coscienza, quando ripensa a quanto ha fatto a questa o a quella persona. Ma tutto questo nella vita rimane solo pensiero. Diventa un potente impulso creativo nel periodo di purificazione tra la morte e una nuova nascita. E dotato di tale impulso creativo l’uomo entra ora in una nuova vita: nella vita spirituale vera e propria.