Il karma non priva l’uomo della libertà. «Che cosa significa pensare karmicamente?»

O.O. 108 – Risposte a enigmi della vita – 23.11.1908


 

…. Nel sé si esplica ciò che chiamiamo karma;

esso è il carattere peculiare del sé o individualità, è ciò che non continua a svilupparsi solo nella linea ereditaria,

ma passa d’incarnazione in incarnazione,

è ciò che è connesso con le azioni, con le esperienze animiche personali nel corso di varie incarnazioni.

Il terzo grado dell’autoconoscenza comprende dunque le esperienze che l’uomo compie per mezzo dei suoi corpi,

quelle esperienze che si esplicano come una legge di causa ed effetto di natura puramente spirituale.

Ora si pone la seguente questione: “Può l’uomo fare qualcosa per giungere a una conoscenza di sé in questa terza regione?”

 

Tempo fa, rispondendo a delle domande, avevo indicato come sia difficile nell’attuale ciclo dell’umanità anche solo capire come agisca il karma. In quell’occasione avevo ipotizzato ad esempio il caso di una persona nel cui karma fosse scritto che entro un certo periodo di tempo, quattordici giorni dopo, avrebbe dovuto intraprendere un viaggio. Questa persona, però, non avendo visione del karma, ignorandolo completamente, aveva in programma di realizzare qualcosa tre settimane dopo. Mentre stava dandosi da fare per organizzare ogni cosa, giunse la notizia che le imponeva di intraprendere il viaggio subito. Vediamo così scontrarsi le due direzioni. Ciò che egli ha fatto è in contrasto con la sua linea karmica. Vedete bene come al karma esistente possa aggiungersene sempre del nuovo che causa un rafforzamento ed un concatenamento delle linee karmiche.

 

Quest’esempio è inteso ad evidenziare che l’uomo, nella sua normale evoluzione, è difficilmente in grado

– sempreché si sia in presenza di una concatenazione karmica – di comprendere la via del sé, dell’io,

perché se non ha una coscienza chiaroveggente di un’evoluzione elevata, non può sapere che cosa vi sia nel proprio karma.

 

Ora si tratta di porre il seguente quesito:

“È possibile nella vita normale acquisire una autoconoscenza che arrivi fino a questo punto?”

 

Vi indicherò subito lo strumento che l’esperienza scientifìco-spirituale ci offre e che, per così dire,

rende possibile all’uomo di riconoscere ciò che è karmicamente giusto compiere in un determinato momento.

 

Capita talvolta di imbattersi in un concetto del tutto errato, secondo il quale il karma rende schiavo l’essere umano.

Il karma non priva l’uomo della libertà.

È proprio grazie alla sua libertà che l’uomo può compiere in ogni istante qualcosa che genera karma.

Il karma non esclude, perciò, che si possa intessere, intrecciare qualcosa nella linea karmica, per un verso o per l’altro.

 

Può, dunque, l’uomo compiere qualcosa che lo ponga in un certo rapporto con il suo karma, che lo rapporti ad esso in modo da non contrastarlo oltre misura, evitando così di creare nuove cause che invece di promuoverne il progresso, ne provocano solo il regresso?

 

C’è qualcosa che opera conducendo l’essere umano sempre più nella direzione che la sua linea karmica intende mantenere;

è un elemento, un fattore che nelle cerchie che coltivano la visione del mondo antroposofica

è sempre esercitato e analizzato: è propriamente quella mentalità che si forma nell’anima

sotto l’influenza di una visione del mondo come quella antroposofica,

e che inserisce sempre più l’essere umano nel karma.

 

Quella che noi dobbiamo assumere nell’antroposofia è la giusta posizione; i pigri, quelli che dicono solo che l’uomo deve calarsi in se stesso, che deve ricercare Dio in sé, non faranno progredire molto l’essere umano sulla sua via, perché a fargli fare passi avanti è proprio ciò che lo distoglie dalla propria persona, che gli dà una visione del mondo che gli renda possibile una visione soprasensibile del mondo stesso.

 

Tutto quello che l’antroposofia ci offre, ci permette di avere visione degli eventi soprasensibili.

Non si può essere chiaroveggenti sin dal principio,

e perciò l’uomo deve accettare le comunicazioni che gli trasmettono i ricercatori chiaroveggenti.

 

Non è assolutamente necessario che sia egli stesso chiaroveggente,

come non è necessario sapere subito usare il telescopio o il microscopio.

Le comunicazioni che gli studiosi delle sfere soprasensibili partecipano,

sono assolutamente comprensibili applicando una logica scevra da pregiudizi.

 

Per potere indagare personalmente le regioni soprasensibili, l’uomo, per così dire, deve farsi egli stesso strumento;

ma si può capire tutto senza che questa trasformazione avvenga.

Le immagini che l’antroposofo si forma dei mondi superiori, degli accadimenti che si celano dietro i fatti sensibili,

esplicano degli effetti su tutti i suoi sentimenti e le sue sensazioni.

 

Bisogna davvero che ci imprimiamo bene nell’anima di non cedere alla comoda scusa, secondo la quale

non sarebbe importante apprendere molte conoscenze, ma avere dei principi morali.

Occorre capire che la scienza dello spirito antroposofica non risparmia l’apprendimento,

e che si sbaglia di grosso chi dice: a me le teorie sui mondi superiori non interessano.

Certo che contano i principi antroposofici, è una condizione ovvia, questa.

 

Ma, così come la stufa riscalda la stanza solo dopo che vi è stato immesso e acceso il combustibile, lo stesso fa l’uomo.

Se vi limitate a predicare alla stufa: “Cara stufa, il compito tuo è quello di riscaldare la stanza”, la stufa non riscalderà la stanza;

se predicate agli uomini sempre e solo che il loro dovere è quello di amare, eccetera, otterrete magri risultati.

Serve a poco assumersi il ruolo di predicatori morali, perché tutte le prediche morali lasciano l’umanità così com’è.

 

Se accendete la stufa, il calore si diffonderà nella stanza; il combustibile che avete introdotto ne promuoverà il riscaldamento.

Se date all’umanità la visione del mondo che l’antroposofia può offrirle riguardo ai fatti soprasensibili,

ne risulterà necessariamente ciò che è contenuto nel primo principio della Società Teosofica, cioè la fratellanza universale.

 

La visione antroposofica del mondo esiste di necessità, ma non serve a nulla ripeterlo in continuazione.

Essa si manifesta sicuramente in quella forma che è efficace per il mondo,

quando si dischiude la conoscenza del mondo superiore, la conoscenza soprasensibile del mondo.

Come le piante si schiudono a un unico Sole, così tutti coloro che aspirano a questa conoscenza del mondo

anelano a un unico Sole centrale, e tutte le altre conseguenze risultano da sé.

Così, la visione antroposofica del mondo risulta dalla conoscenza scientifìco-spirituale.

 

Questo è ciò che rende poi possibile all’uomo di vivere da sé nel senso del proprio karma.

Occorre, dunque, che l’uomo giunga infine a mettere in pratica la dottrina antroposofica.

Se non si vuole che il karma resti un’idea astratta, se si vuole che l’idea del karma diventi efficace,

bisogna almeno provare ad applicarla nella vita concreta,

considerato che la multiformità e la frenesia della nostra vita quotidiana

non consentono di stare sempre ad osservare se stessi.

• È necessario porsi questa domanda: “Che cosa significa pensare karmicamente?”

 

Prendiamo un caso radicale: una persona ha dato uno schiaffo ad un’altra – a me, ad esempio in un caso come questo, che cosa vuol dire “pensare karmicamente”? Vuol dire che io e l’altro eravamo qui in una precedente incarnazione; può darsi che in quella precedente incarnazione io gli abbia dato motivo di assumere nei miei confronti il comportamento che ha tenuto attualmente, che io lo abbia spinto, che gli abbia proprio, per così dire, dato una lezione in tal senso. Non voglio teorizzare, voglio fare un’ipotesi che sia un’ipotesi di vita. Pensando, dunque, in questo modo, è lui che mi dà lo schiaffo? No, non è affatto lui a darmelo, sono io che me lo do, perché sono stato io a porlo in quella condizione, sono stato io ad alzare la mano con cui egli mi ha colpito.

 

Altro al riguardo può offrirlo solo l’esperienza, e dall’esperienza risulta questo:

se l’uomo cerca seriamente di tener conto dell’idea del karma,

di porsi di quando in quando quella domanda con grande serietà e rispetto, ne constaterà realmente gli effetti.

Nessuno potrà fornirvene la prova, siete voi che dovete darvene la dimostrazione con la vostra azione.

Allora constaterete come la vostra vita interiore stia radicalmente cambiando.

 

Del tutto diversi sono i sentimenti, gli impulsi della volontà riguardo alla vita,

e questa vita interiore totalmente diversa palesa le sue conseguenze; le palesa in situazioni del tutto diverse.

Laddove avreste provato un grande dolore, profonde delusioni,

ora accettate la sofferenza pacatamente: l’equilibrio raggiunto

è in relazione con le azioni compiute e con i pensieri concepiti.

 

Su tutta la vita dell’anima si stende di conseguenza una calma particolare,

un modo di comprendere gli eventi in armonia con le leggi, ma che non ha nulla a che vedere con il fatalismo.

Questa è anche la via che bisogna intraprendere,

se si vuole evolvere gradualmente al livello di certezza l’idea, la convinzione che si ha del karma.

 

Sull’idea del karma si può discutere, ed è lecito addurre argomenti contrari. L’idea del karma, del resto, non può essere dimostrata teoricamente, si può provarla solo sperimentalmente, ed è l’esperienza a dare il risultato. L’esperienza, se diviene intensa, dà anzitutto gli strumenti per comprendere il karma. Poi, dall’aggregazione dei vari elementi, ci si accorge che si tratta realmente di qualcosa che è insito nelle cose, così come ci si accorge toccando il ferro da stiro che esso è una realtà e non una fantasia.

 

Deve essere, dunque, l’esperienza stessa a dare quella connessione dei fatti della vita

che ci consente di integrare, di incorporare gradualmente il nostro arbitrio, i nostri impulsi volitivi, nel nostro karma.

Quest’opera della nostra vita è complessa,

essa rientra tra quelli che sono gli strumenti migliori per il raggiungimento di un terzo grado della vera autoconoscenza.

 

Grazie a quest’opera apprenderete gradualmente a sentire come si ripercuota la vita precedente in quella attuale.

Questa conoscenza non è così facile e comoda come il rimuginare, perché occorre prima che essa ritorni a noi dall’ambiente.

Si tratta prima di tutto di uscire da se stessi, persino ai massimi livelli della conoscenza di sé, che è conoscenza cosmica.

 

Fichte disse: la maggior parte degli uomini preferirebbe ritenersi un pezzo di lava lunare, piuttosto che un io. – A quei livelli si apprende di più a conoscere l’io nella sua esistenza puntuale, a conoscerlo maggiormente come un punto. Si riconosce quest’io come un’immagine puntuale dell’intero cosmo. In questo senso la conoscenza di sé, se si vuole, è conoscenza di Dio, non nel senso inteso dal panteismo, ma nel senso per cui una goccia del mare è della stessa sostanza ed entità di tutto il mare.

 

E come la goccia, in conseguenza della sua consustanzialità, lascia conoscere l’essenza e la specie di tutto il mare,

così l’uomo è della stessa natura della divinità che egli è in grado di conoscere,

ma a nessuno verrebbe in mente di dichiarare che la goccia è il mare.

Noi possiamo conoscere sostanza ed entità del divino, così come dalla goccia possiamo conoscere sostanza ed entità del mare,

ma nessuno oserà dire di accontentarsi della conoscenza della goccia;

e certo tutti diranno di essere interessati alla conoscenza del mare, e questa si realizza navigando.

 

Voi, dunque, imparate specialmente a conoscere il divino comprendendo la goccia del divino in voi, nella vostra interiorità,

ma non vi è altro modo di conoscere ciò di cui nella vostra interiorità è presente solo una goccia, o scintilla,

se non approfondendovi massimamente, scevri da ogni egoismo, nei grandiosi mondi soprasensibili.

 

Se vogliamo conoscere noi stessi, dobbiamo uscire completamente da noi stessi

e indagare i mondi soprasensibili nel modo più profondo.