Il leggere e l’ascoltare occulti come metodo di ricerca scientifico-spirituale.

O.O. 156 – Leggere occulto e ascoltare occulto – 03.10.1914


 

Sommario: Il leggere e l’ascoltare occulti come metodo di ricerca scientifico-spirituale. Una recensione del libro Teosofia. Nuove forme di giudizio, di pensiero e di sentire per il mondo spirituale. Pensare, sentire e volere sul piano fisico come preparazione per la ricerca nel mondo spirituale. La percezione nel mondo fisico e in quello spirituale. La repressione dell’egoità nella meditazione. Esperienze dell’anima nel leggere occulto. Discesa nell’abisso, spezzettamento in tre parti. L’ascoltare occulto.

 

Non ci si deve attendere che in queste quattro conferenze io possa sostituire ciò che era previsto a Monaco. Cercherò qui di dare un’idea di qualcuno degli argomenti che si sarebbero dovuti trattare nelle conferenze di Monaco, ma proprio le cose più importanti ed essenziali che si sarebbero potute dire allora dovranno essere tenute in serbo per tempi meno burrascosi. Sono anzi meravigliato che qualcuno abbia potuto credere che la seria forza che va impiegata per dire appunto cose importanti nel campo della scienza dello spirito, come a Monaco sarebbe avvenuto, potesse anche venir impiegata nei momenti in cui ora viviamo. Certo verrà anche un tempo in cui l’umanità vedrà che proprio non è possibile presentare le massime verità nella tempesta.

Se il karma lo permetterà, in avvenire terrò sull’argomento un ciclo di conferenze che possa sostituire quello di Monaco. Dato però che da diverse parti è stato manifestato il desiderio di ascoltare qualcosa su questo tema, vorrei venire incontro a tale desiderio in questi giorni, per quanto sarà possibile.

 

Il vero e puro bene della scienza dello spirito venne in sostanza acquisito

grazie a un leggere occulto e a un ascoltare occulto.

……………….

 

Vi è ora una cosa da tener presente, volendo in genere collegare una qualsiasi idea alle parole “leggere occulto e ascoltare occulto”. Ci si deve anzitutto staccare da tutto quanto è legato all’usuale modo di pensare e agli usuali giudizi relativi al piano fisico.

Ho sottolineato spesso che naturalmente si deve rimanere persone ragionevoli, si deve cioè conservare un sano giudizio per gli eventi e gli esseri del piano fisico, nonostante ci si debba appropriare di una nuova forma di pensare, giudicare e sentire nei riguardi del mondo spirituale. È del tutto naturale, e già spesso l’ho sottolineato. Occorre però acquisire dell’altro che è necessario per i mondi superiori e che non vale per il piano fisico. Voglio cominciare da una cosa nota a tutti.

Sul piano fisico siamo abituati ad entrare col pensare, col sentire e col volere in un dato rapporto con le cose e gli esseri appunto del piano fisico. Pensando, acquisiamo concetti e rappresentazioni relativi alle cose e agli esseri del piano fisico e agli eventi che vi si svolgono. Acquisiamo cioè la proprietà spirituale di tutto quanto riteniamo che si svolga nello spazio e nel tempo. Impariamo a sapere qualcosa grazie al nostro pensare; altrettanto avviene col sentire. Ci troviamo ad esempio di fronte a una rosa e ce ne rallegriamo. Trasportiamo in tal modo qualcosa dal mondo esterno nella nostra anima attraverso il sentimento. Facciamo così nostra proprietà animica interiore qualcosa che si muove da fuori, dalla rosa, e che agisce su di noi. Col volere avviene invece che immettiamo nel mondo esterno qualcosa che era nelle nostre intenzioni.

 

Considerando il nostro comportamento sul piano fisico, stabiliamo infinite relazioni fra noi e il mondo esterno. Tutto il pensare, il sentire e il volere, tutto quanto facciamo entrando in relazione col mondo esterno, per l’abituale elemento fisico-corporeo non ci serve assolutamente a nulla, nella forma in cui si svolge sul piano fisico, per sapere qualcosa del mondo superiore. Tutto quello che però ci serve come esempio per conoscere qualcosa del mondo fisico, tutte le sensazioni e le rappresentazioni che impieghiamo per sapere qualcosa del mondo fisico, tutto può solo servire come preparazione per l’indagine scientifico- spirituale.

 

Notiamo quindi bene:

nel mondo fisico quel che facciamo pensando, sentendo e volendo ci serve

per conoscere direttamente qualcosa del mondo fisico stesso e per operarvi;

per i mondi superiori tutto quanto facciamo direttamente per il mondo fisico ci serve soltanto come preparazione.

 

Quel che possiamo pensare riguardo al mondo fisico, per acuto che sia, non ci dà alcuna conoscenza dei mondi superiori. La nostra anima stessa, grazie al pensiero, viene così solo preparata, educata a rendersi a poco a poco capace di penetrare nel mondo spirituale in modo giusto. Quel che vogliamo e sentiamo nel mondo fisico serve solo per l’autoeducazione dell’anima, come preparazione per l’ingresso dell’anima nei mondi spirituali.

Per essere più preciso, voglio dire che un dotto ricercatore con i suoi metodi scientifici sperimenta qualcosa per il mondo esterno, e dopo le sue ricerche è uso dire di conoscere le diverse realtà del mondo esterno. Questo modo di ricercare, di pensare, non lo aiuta però affatto a entrare nel mondo spirituale, ma quel che pensa e ricerca ha solo importanza come esercizio per le forze dell’anima. Solo il modo in cui l’anima, attraverso il pensare e il ricercare, viene resa più adatta a vivere in sé, a mettere in attività la sua forza, ha un effetto per entrare nei mondi superiori. Le attività di solito usate nel mondo fisico sono impiegate dal ricercatore dello spirito solo come educazione della propria anima.

 

Voglio ancora scegliere un esempio per rendere più chiara la cosa. Pensiamo a un falegname che abbia imparato il suo mestiere e che intenda ora applicarlo costruendo arredi di casa. Nella sua attività di falegname, per anni, continua a fare i più diversi mobili; è l’essenza e il compito del falegname. Non vengono però solo costruiti mobili, utili per il piano fisico; in aggiunta avviene anche dell’altro: egli diventa più abile, i suoi movimenti diventano più agili, acquista qualcosa per il proprio organismo divenendo più abile ed agile. È in un certo senso un effetto secondario. È così anche per le attività intellettuali.

Prendiamo ad esempio un botanico. Se come tale per anni svolge una bella attività nel campo della botanica, sul piano fisico ciò è senz’altro positivo. Accanto vi è però anche qui un effetto secondario: egli diventa più agile nel pensare; il pensare viene in pari tempo “addestrato”. Di tale “addestramento” si occupa il ricercatore dello spirito, e l’espressione non va intesa nel senso corrente della parola.

 

Ciò che nella vita ordinaria si impiega al servizio del sapere volto al mondo esterno, viene impiegato per rendere le sue forze animiche più agili, più abili. Se infatti si impiegano queste forze, invece che ad uso e vantaggio del mondo fisico, al servizio dell’autoeducazione, come avviene nella meditazione, nella concentrazione e negli esercizi che vengono consigliati, ci si prepara per entrare nel mondo spirituale.

L’espressione che uso, “ci si prepara” va presa come qualcosa di molto importante, perché in sostanza non si può proprio fare altro che prepararsi per entrare nel mondo spirituale; il resto è cosa del mondo spirituale che deve poi venirci incontro. Esso però non ci viene incontro se siamo come si è di solito sul piano fisico. Solo se nel modo indicato abbiamo trasformato le nostre forze animiche, possiamo sperare che il mondo spirituale ci venga incontro. Non può avvenire come nel caso dell’indagine nel mondo fisico in cui senz’altro si affrontano le cose. Ci si può solo preparare affinché, quando le realtà del mondo spirituale ci si avvicinano, non ci sfuggano, ma ci facciano veramente un’impressione.

 

Si deve quindi dire: tutto quanto possiamo fare per l’indagine nel mondo spirituale è prepararci in modo dignitoso affinché poi, quando il karma vuole che il mondo spirituale ci venga incontro, non siamo ciechi e sordi per quel mondo. Noi possiamo dunque prepararci, ma il venirci incontro da parte del mondo spirituale è un atto di grazia di quel mondo. Così va intesa la realtà.

Quindi alla domanda: come si può entrare nel mondo spirituale? si può rispondere: ci si prepari rendendo il pensare e il sentire abili e malleabili, addestrando pensieri, sentimenti e sensazioni pieni di abnegazione. E poi attendere, attendere, attendere! Questa è la parola aurea: poter attendere nella calma dell’anima. Il mondo spirituale non si lascia conquistare se non rendendosene degni e potendo sviluppare nella calma dell’anima un atteggiamento di attesa. Tutto dipende da questo. Essenziale è l’atteggiamento di attesa. Raggiungiamo il mondo spirituale preparandoci a riceverlo nel modo descritto, e nei miei libri è detto nei particolari come questo avvenga. Dobbiamo però anche acquisire quell’assoluta calma dell’anima che sola rende possibile che il mondo spirituale ci si apra.

 

Una volta in altre conferenze ho usato questa immagine: nel mondo fisico avviene che quando vogliamo esaminare una cosa ci dirigiamo su di essa. Chi vuol vedere Roma deve andarci. Nel mondo fisico è del tutto naturale, perché Roma non ci viene incontro. Nel mondo spirituale avviene il contrario. In esso non possiamo far altro se non prepararci secondo i metodi che vengono descritti per accogliere degnamente il mondo spirituale stesso: calma dell’anima, persistere nella nostra determinazione, e allora esso ci si avvicina. Dobbiamo attenderlo in calma d’anima; questo è l’importante. Ma dov’è ciò che ci si avvicina? Anche su questo argomento ho già spesso parlato, e voglio ora solo accennarvi affinché nei prossimi giorni possiamo avere una buona base sulla quale poter costruire.

 

Poiché tutti i presenti conoscono i testi antroposofici, vorrei porre la domanda: dove sono gli esseri del mondo elementare? dove sono le entità del mondo spirituale? dove sono le entità delle gerarchie superiori?

Sono qui, dove siamo noi. Sono dappertutto attorno a noi; non sono in altro posto se non qui, dove sono la tavola, le sedie e tutti noi. Sono dappertutto attorno a noi, ma rispetto alle condizioni e ai processi del mondo esterno sono talmente sottili e fuggevoli che si sottraggono all’attenzione degli uomini. Questi ultimi si muovono di continuo attraverso il mondo spirituale e non lo vedono perché, per la loro organizzazione che non è ancora predisposta per quel mondo, di necessità appunto non lo notano. Se poi avessero l’occasione di entrarvi, come avviene nel sonno durante la notte, la coscienza risulterebbe troppo debole, troppo ottusa per percepire le entità spirituali che hanno attorno. Da quando si addormenta a quando si risveglia l’uomo è nel mondo spirituale, in quel sottile mondo fluttuante, ma non lo percepisce perché la sua coscienza è troppo ottusa per percepirlo.

 

Che cosa deve accadere affinché si impari a percepire quel mondo nel quale in realtà si è sempre inseriti? In proposito dobbiamo parlare di alcuni punti importanti per capire che cosa deve accadere. Dobbiamo cioè anzitutto considerare qualcosa che ho cercato di esporre in modo più preciso anche per il mondo esterno nel capitolo finale del secondo volume del mio libro Gli enigmi della filosofia, e sono curioso di vedere se potrà capirlo gente che non è nella corrente antroposofica.

 

In merito dobbiamo porci la domanda: come si forma in sostanza la percezione?

La gente di solito pensa, specialmente quelli che si stimano molto intelligenti, che la percezione nasca perché gli oggetti sono fuori, l’uomo è racchiuso nella sua pelle, e quindi gli oggetti esterni fanno un’impressione su di lui e alla fine il cervello produce al suo interno un’immagine dell’oggetto esterno e delle sue forme. La realtà non è però così, ma è del tutto diversa.

In verità l’uomo non è affatto entro la sua pelle con la sua parte spirituale-animica; non lo è proprio.

Quando ad esempio vediamo un mazzo di rose, con l’io e il corpo astrale siamo in effetti dentro il mazzo, e il nostro organismo è un apparecchio rispecchiante che ci riflette le cose incontro. Siamo in verità sempre dispiegati fino all’estremo del nostro campo visivo. Nella coscienza di veglia con una parte consistente dell’io e del corpo astrale siamo entro il corpo fisico e quello eterico.

Ho detto spesso in diverse conferenze che questo è il processo: immaginiamo di muoverci in una stanza nella quale vi sia un certo numero di specchi appesi alle pareti; muovendoci in essa, non ci vediamo riflessi dove non ci sono specchi, ma appena passiamo davanti a uno specchio ci vediamo riflessi. Nei punti senza specchi non ci vediamo, e ci vediamo di nuovo riflessi quando vi è uno specchio.

Così è anche per l’organismo umano.

Non produce le cose che sperimentiamo nell’anima, è solo un apparecchio che rispecchia.

 

L’anima è unita con le cose esterne, ora ad esempio con il mazzo di rose.

Che l’anima veda coscientemente il mazzo di fiori dipende dalla circostanza

che l’occhio, in unione con l’apparato cerebrale dell’anima, rispecchi ciò con cui l’anima vive.

Nella notte invece non percepiamo perché, dormendo, l’io e il corpo astrale escono dal corpo fisico e dal corpo eterico,

e questi di conseguenza cessano di essere apparecchi rispecchianti.

Nell’addormentarsi è come se togliessimo uno specchio che avevamo di fronte.

Fino a che possiamo vederci nello specchio, abbiamo la nostra immagine in esso;

togliendo lo specchio, subito scompare la nostra immagine.

 

Così in effetti con l’essere animico-spirituale siamo nella parte del mondo che vediamo, e la vediamo coscientemente perché la rispecchiamo nel nostro organismo. Nella notte viene tolto l’apparecchio rispecchiante, e non vediamo più nulla. La parte del mondo che vediamo siamo noi stessi.

 

Uno dei peggiori aspetti della maya è credere che l’uomo sia fissato con la sua parte spirituale-animica entro la pelle. Non lo è. In realtà è nelle cose che vede. Quando sono di fronte a qualcuno, io sono in lui con l’io e il corpo astrale. Se non gli contrapponessi il mio organismo, non lo vedrei. Devo al mio organismo il fatto di vederlo, ma con l’io e col corpo astrale sono in lui. Che non si veda così la realtà è appunto, direi, uno degli aspetti più funesti della maya.

Così ci creiamo una specie di concetto di come siano il percepire e lo sperimentare sul piano fisico.

 

Consideriamo ora il mondo spirituale del quale ho detto che è tanto fuggevole, leggermente fluttuante e mosso rispetto agli eventi e alle cose del mondo fisico. Noi viviamo anche in quel mondo, ma non lo sperimentiamo come le cose grossolane del mondo fisico, perché esso è troppo sottile. Volendo sperimentare quel sottile mondo fluttuante, lo possiamo solo ottenere se smorziamo, se davvero abbassiamo il nostro io usuale, il portatore della nostra individualità, della nostra egoità. Lo facciamo in una giusta meditazione.

 

In che cosa consiste una meditazione?

Prendiamo un qualsiasi contenuto rappresentativo e ci abbandoniamo del tutto ad esso;

dimentichiamo noi stessi e viviamo in quel contenuto rappresentativo, reprimendo l’egoità dell’usuale coscienza diurna.

Eliminiamo tutto quanto è legato all’egoità della coscienza diurna.

In quanto uomini terreni siamo solo abituati a usare l’egoità per il piano fisico, nella meditazione abbiamo all’inizio repressa l’egoità stessa.

Invece di vivere con l’egoità nei corpi fisico ed eterico,

a poco a poco riusciamo a vivere solo nel corpo astrale, avendo represso l’egoità.

 

Notiamo bene che di questo si tratta. Quando meditiamo e ci concentriamo abbiamo sempre lo scopo, la tendenza, a non vivere nell’egoità, che non deve trasmettere esperienze fisiche, ma di comprimerla nel corpo astrale. Quando essa è nel corpo astrale non si rispecchia più nel corpo fisico.

Guardando il mazzo di rose in verità siamo in esso. Il corpo fisico è un apparecchio che rispecchia, e noi vediamo il mazzo di rose perché il corpo fisico ce lo rispecchia. Comprimendo l’io con l’egoità, noi siamo nel corpo astrale che ora è tanto sottile da permettere di percepire coscientemente le sottili cose fluttuanti fuori di noi; allo scopo esse dovrebbero però venir rispecchiate per essere davvero percepite. Questo punto va ben considerato.

Fra i presenti molti si dedicano con costanza alla meditazione e raggiungono così di comprimere l’egoità e di sperimentare nel corpo astrale. Si deve però aggiungere il rispecchiamento al fine di percepire coscientemente nel corpo astrale. Molti fra i presenti sono tanto progrediti con la meditazione da sperimentare veramente nel corpo astrale. Tutto però dipende dal rispecchiamento, e come nella vita usuale si rispecchia grazie al corpo fisico quanto si sperimenta, così, volendo percepire coscientemente nel mondo spirituale, devono essere rispecchiate dal corpo eterico le esperienze del corpo astrale.

 

Ma che cosa avviene poi, quando in qualcuno le sue esperienze nel corpo astrale sono rispecchiate dal corpo eterico? Avviene qualcosa di cui prima di tutto occorre sapere che è proprio davvero diverso dal vedere nel mondo fisico. Vorrei dire che nel mondo spirituale le cose non sono altrettanto comode, come lo sono nel mondo fisico. Il mazzo di rose che è qui davanti a me è un oggetto chiuso in sé; ne posso avere gioia, lo posso portare a casa, mettere in un vaso, o altro ancora. Non è però assolutamente così per le esperienze astrali rispecchiate dal corpo eterico. Ora tutto vive e pulsa. Nulla di quanto è ora qui è fermo anche per un solo istante. Ciò che in un momento direttamente compare rispecchiato non è davvero quel che importa. In un mazzo di fiori conta quel che è: se lo prendo ce l’ho. Quando ho qualcosa di rispecchiato dal corpo eterico non basta semplicemente prenderlo come è ed esserne soddisfatto. Vorrei essere ben compreso: non è come appare.

 

Anche per questo fatto ho spesso usato un paragone: se alla lavagna traccio delle linee (vengono scritte le linee per formare la parola “edificio”), non sapendo leggere potrei dire che ci sono linee in diverse direzioni che formano strane figure. Non posso però portare a casa quel che c’è sulla lavagna, come posso farlo col mazzo di fiori; in questo caso non ho nulla. E anche se sapessi leggere quel che è scritto sulla lavagna: “edificio”, non avrei quel che importa. Quel che conta è l’edificio qui fuori. Lo esprimo appunto con le linee formando la parola “edificio”. Anche se leggo le linee, non ho quel che conta. Nelle linee io lo leggo soltanto, ma non ho l’edificio stesso. Nella lettura usuale non ho davanti a me quel che importa; ne ho solo il segno.

 

Capisco quindi anche che cosa ho, sperimentandolo nel corpo astrale e rispecchiandolo poi nel corpo eterico, soltanto se lo considero un segno e imparo che il segno sta al posto di qualcos’altro. Non basta cioè che io guardi a ciò che vedo riflesso nel corpo eterico dal corpo astrale, così come non basta limitarsi alle linee quando si vede la parola “edificio”. Importa ciò che il segno significa, e prima devo imparare a leggerlo.

Allo stesso modo devo prima imparare a leggere quel che percepisco nel mondo spirituale. Quel che viene rispecchiato nel corpo eterico sono solo i segni per la verità. Devo cioè imparare a leggere nel mondo spirituale. Possiamo sperimentare qualcosa ricavandolo dal mondo spirituale solo considerando che quanto ci si presenta sono lettere e parole che dobbiamo imparare a leggere. Così è. Se non lo impariamo, se crediamo di poterci risparmiare l’apprendimento della lettura occulta, facciamo qualcosa di altrettanto intelligente come se qualcuno prendesse un libro e dicesse: ci sono dei pazzi che affermano che in questo libro è espresso qualcosa; lo sfoglio pagina per pagina, ma vi vedo solo belle lettere alfabetiche. Chi non sa leggerle, vede solo quelle, ma non vede e non si preoccupa di quanto esse esprimono.

 

Se non si tiene conto di quel che ho appena detto, si stabilisce una relazione del tutto sbagliata col mondo spirituale. E’ importante imparare a interpretare e a leggere quel che si percepisce. Nelle prossime conferenze vedremo come vanno intese tali interpretazioni e letture.

Possiamo ora dire che, almeno come introduzione, ci siamo intesi sul concetto preliminare: che cosa è il leggere occulto? Si ha quando ci si sperimenta nel corpo astrale come di solito ci si sperimenta con l’io nel mondo fisico, rispecchiando non le esperienze dell’io nel corpo fisico, ma le esperienze del corpo astrale nel corpo eterico.

 

Qui dobbiamo però fare un’altra osservazione. Non siamo soltanto, come ho detto oggi, nelle cose esterne a noi, non siamo nelle cose soltanto con l’io e il corpo astrale, ma nello stato di veglia inseriamo anche qualcosa dell’io nel corpo fisico. Solo nella notte, durante il sonno, lo estraiamo di nuovo dal corpo fisico. Vale a dire che per la percezione del mondo fisico dobbiamo essere in grado di immergerci con l’io nel corpo fisico. Per percepire il mondo spirituale, per leggere in esso, vediamo anzitutto di poter sperimentare nel corpo astrale e di poter rispecchiare nel corpo eterico le cose che sperimentiamo nel corpo astrale.

Dobbiamo però arrivare a poterci immergere nel corpo eterico come lo facciamo al risveglio nel corpo fisico.

Facciamo bene attenzione a questo: è necessario immergersi col corpo astrale nel corpo eterico

per imparare a leggere nel mondo spirituale.

 

Come al risveglio ci immergiamo nel corpo fisico, dobbiamo farlo in quello eterico, ma non in quello fisico. Gli occultisti chiamano giustamente gettarsi nell’abisso questo immergersi nel corpo eterico. E’ necessario che nel gettarsi nell’abisso non si rimanga storditi, che vi si discenda con la coscienza e che ci si ritrovi nella caduta. L’immergersi nel corpo eterico non è infatti altrettanto comodo quanto il farlo nel corpo fisico al risveglio. È in effetti come una potente caduta nell’abisso, perché si viene ora divisi in tre parti, come si trova descritto nel mio libro l’Iniziazione. Si viene spezzati, divisi, disciolti in tre parti. Non ci si può immergere coscientemente nel proprio corpo eterico senza essere suddivisi nel modo indicato.

 

Quando dormiamo, l’io e il corpo astrale sono al di fuori dei corpi fisico ed eterico, e la nostra coscienza è troppo ottusa per percepire il mondo spirituale. Quando poi ci immergiamo nel corpo fisico, esso ci rispecchia il mondo fisico, e così lo possiamo percepire. Anche questo è un modo di precipitare nell’abisso, ma è tanto morbido che non lo avvertiamo come un urto. Se a seguito di esercizi saliamo allo stato in cui possiamo percepire nel mondo spirituale, noi impariamo a “leggere”. È uno stato paragonabile al sonno divenuto cosciente. Quando però ci immergiamo nel nostro corpo eterico impariamo anche a conoscere la caduta nell’abisso, il venir spezzati in tre parti. Quando in tal modo ci immergiamo con la nostra coscienza, siamo in grado di immergerci coscientemente nelle cose e nei processi del mondo spirituale che sono fuori di noi.

 

Finché viviamo nel corpo astrale e abbiamo le cose rispecchiate in quello eterico, noi impariamo a leggere, come leggiamo in un libro, ma appena siamo immersi nel corpo eterico ci spezziamo in tre parti che possiamo mandare fuori; esse si muovono poi coscientemente nel mondo spirituale. Muovendosi, esse sperimentano quello che possiamo chiamare “ascoltare occulto”. Questo incomincia appena siamo coscientemente sprofondati nel nostro corpo eterico. Ora ci immergiamo davvero nelle cose, ora avvertiamo che quel che prima avevamo imparato a leggere può essere da noi sperimentato.

Ripetiamolo ancora: grazie agli esercizi occulti siamo messi nella condizione di comprimere la nostra egoità tanto da imparare a vivere coscientemente nel corpo astrale. Allora a poco a poco vengono rispecchiati dal corpo eterico i processi e le entità del mondo spirituale. Quando riusciamo a interpretare nel modo giusto quel mondo rispecchiato, come vedremo nelle prossime conferenze, abbiamo appreso l’arte del leggere occulto.

 

Quando progrediamo e non solo possiamo leggere dal “di fuori” nel corpo eterico, ma immergendoci possiamo per così dire risvegliarci nel corpo eterico, inviamo le tre parti in cui ci siamo divisi nel mondo e udiamo i processi nel loro intimo essere e intessere. Udiamo cioè il mondo.

Si giunge così a poco a poco ad avere il leggere e l’ascoltare occulti in modo da potervi collegare qualcosa di ben determinato. Si perviene così davvero nella realtà delle cose, perché quel che avviene sul piano fisico non è la realtà, davvero non lo è. Una semplice considerazione può mostrarci dappertutto che quanto sperimentiamo nel mondo che ci circonda non è la realtà, e che in sostanza interpretiamo tutto in modo sbagliato.

 

Una volta mi diceva un tale sulla riva del Reno: ecco il vecchio Reno. Era di certo una bellissima espressione, sentita nel profondo, ma che cosa è in effetti vecchio nel Reno? forse l’acqua che si vede scorrere? Certo no: essa scorre di continuo e in ogni istante non è più la stessa. Vecchio potrebbe essere al massimo il letto che l’acqua ha scavato nel terreno. Ma non è questo che si intende dicendo “il vecchio Reno”. Che cosa si intende in effetti con la frase “vecchio Reno”? Non si dice del mare che è un “vecchio mare”, e nel mare vi sono anche cavità scavate dall’acqua, vi sono correnti. Quando nel mare scorre la corrente del golfo, non solo in ogni istante l’acqua è diversa, ma anche le cavità sono diverse.

 

Che cosa è in genere duraturo nel mondo fisico? Nulla, proprio nulla. Così è in tutto il mondo fisico. Il suo organismo è sempre in divenire; la carne e il sangue che ora abbiamo non li avevamo ancora otto anni fa. Nulla di reale è duraturo nel mondo fisico, tutto scorre, e non vediamo in modo giusto ciò per cui usiamo le parole.

Ha un senso parlare del “vecchio Reno” solo quando ne intendiamo l’elemento durevole, vale a dire gli esseri elementari che nella realtà vivono nel Reno, il dio fluviale “Reno”, un essere spirituale. Solo così abbiamo inteso qualcosa che abbia un significato. Con l’espressione “vecchio Reno” dobbiamo intendere qualcosa di spirituale, per non dire qualcosa privo di pensiero. Ed è talmente vero, che perveniamo alle vere realtà soltanto se ci atteniamo ai mondi spirituali. Solo in questo modo penetriamo nelle vere realtà. Vedremo che vi penetriamo e il modo di farlo, parlando domani e dopodomani nei particolari del leggere occulto e dell’ascoltare occulto, per quanto sarà possibile.