Il meditante cerca di rappresentarsi il «Guardiano della soglia»

O.O. 12-16-17 – Sulla via dell’Iniziazione – (Quarta meditazione)


 

 Quando l’anima è pervenuta a osservare qualcosa al di fuori del corpo dei sensi, possono presentarsi certe difficoltà nella vita del sentimento. Essa può trovarsi costretta ad assumere verso se stessa un atteggiamento del tutto diverso da quello a cui era abituata prima. Si trovava di fronte al mondo sensibile in modo da considerarlo un mondo esterno e le esperienze interiori come sua proprietà. Verso il mondo esterno soprasensibile essa non può comportarsi allo stesso modo, perché appena lo percepisce, confluisce in certo senso con esso: non può immaginarsene altrettanto separata, quanto lo è dal mondo esterno sensibile. Perciò tutto quanto essa può qualificare come mondo interiore suo proprio, in contrapposto al mondo esterno soprasensibile, assume un certo carattere peculiare che in un primo momento è difficile associare con le idee che si hanno dell’interiorità. Non si può più dire: io penso, io sento, oppure ho i miei pensieri e li configuro. Si deve dire: qualcosa pensa in me, qualcosa accende in me certi sentimenti, qualcosa forma i pensieri in un determinato modo e fa sì che essi siano presenti nella coscienza.

 

Questo sentimento può avere qualcosa di molto opprimente, se il genere dell’esperienza soprasensibile conferisce la certezza di sperimentare giustamente una realtà, e di non abbandonarsi a una fantasticheria o a un’illusione. Nel suo modo di manifestarsi, quel sentimento mostra che il mondo esterno soprasensibile vuole certo pensare se stesso, sentire se stesso, ma tale suo proposito gli è in qualche modo impedito. Al tempo stesso si ha la sensazione che sia la realtà vera a voler penetrare nell’anima e che essa sola sia in grado di illuminarci su quanto si è considerato realtà fino a quel momento. Tale sensazione assume anche l’aspetto di mostrarci che la realtà soprasensibile si rivela di valore infinitamente superiore alla realtà fin qui nota all’anima. Questo sentimento ha qualcosa di opprimente, in quanto si giunge a pensare di dover compiere il passo ulteriore; la natura stessa di ciò che si è divenuti grazie all’esperienza interiore, obbliga a fare quel passo. Se non lo si facesse, sarebbe come smentire se stessi, rinnegare se stessi. Eppure si sente anche di non poter compiere quel passo, o che se lo si compisse per quanto possibile, riuscirebbe imperfetto.

 

Tutto ciò si trasforma nel pensiero seguente: data la condizione attuale dell’anima, questa ha dinanzi a sé un compito irrealizzabile, in quanto non viene accolta, nello stato in cui si trova, dal mondo soprasensibile perché questo non vuole averla in sé. L’anima arriva così a sentirsi in contrasto col mondo soprasensibile e a dirsi di non essere come dovrebbe, per poter confluire con quel mondo. D’altra parte, solo quello può mostrarle la realtà vera e il giusto rapporto dell’anima con quella realtà; ne conclude di essersi allontanata da una schietta osservazione del vero. Tale sentimento rappresenta un’esperienza che diventa sempre più decisiva per tutto il valore che si attribuisce alla propria anima. Ci si sente con tutta la propria vita impigliati in un errore. Eppure questo errore si distingue da altri: questi sono pensati, mentre quello è vissuto. Un errore che viene pensato si elimina col sostituire al pensiero sbagliato quello giusto. L’errore vissuto è invece diventato parte della vita stessa dell’anima: noi stessi siamo l’errore; non si può semplicemente correggerlo, perché comunque si pensi, esso è là, fa parte della realtà, e precisamente della nostra realtà.

 

Una tale esperienza annienta quasi il proprio sé, in quanto si sente la propria interiorità dolorosamente respinta da tutto ciò a cui si aspira. Questo dolore, che si prova a un certo gradino della peregrinazione dell’anima, è di gran lunga più forte di qualsiasi dolore che si possa provare nel mondo dei sensi. Perciò esso può anche superare tutto quanto si era capaci di affrontare grazie alle precedenti esperienze dell’anima, e può lasciare quasi storditi. L’anima si trova di fronte all’angoscioso problema di dove attingere le forze per sopportare il peso che le viene imposto. Deve trovarle entro la propria vita: esse consistono in qualcosa che possiamo chiamare coraggio interiore, intrepidezza interiore.

 

Per poter procedere oltre nella peregrinazione dell’anima, occorre quindi trovare il modo di far scaturire dall’intimo, al fine di sopportare le proprie esperienze, forze di coraggio e d’intrepidezza quali non sono necessarie per la vita entro il corpo dei sensi. Tali forze nascono solo da una vera conoscenza di sé. In fondo, solo a questo gradino dello sviluppo si capisce quanto poco fino allora si conosceva di sé. Ci si abbandonava all’esperienza interiore, senza prenderla in considerazione, diciamo come fosse parte del mondo esterno. Ma grazie ai passi compiuti per giungere a sperimentare fuori del corpo, si sono acquistati dei mezzi speciali per l’autoconoscenza. Si impara ad osservare se stessi da un punto di vista che risulta possibile solo se ci si trova al di fuori del corpo sensibile. Il sentimento di oppressione del quale abbiamo parlato è già di per sé l’inizio di una vera autoconoscenza. Infatti, lo sperimentarsi in un errore del proprio rapporto col mondo esterno, rivela la propria entità animica quale veramente è.

 

Ma l’anima umana sente per sua natura come tormentosa una tale rivelazione sul proprio conto. Solo provando questo tormento si apprende quanto forte sia in noi il desiderio del tutto naturale di considerarci, così come siamo, persone di valore e importanti. Potrà parere brutto che questo sia così; ma occorre guardare in faccia sinceramente a questa bruttezza del proprio sé. Prima non si sentiva questa bruttezza, appunto perché non si era mai realmente penetrati coscientemente entro il proprio essere. Solo in un momento come questo ci si accorge di quanto si ami in noi ciò che ormai si deve considerare brutto. La potenza dell’amor proprio si rivela in tutta la sua forza; e al tempo stesso diventa evidente quanto poco si sia disposti a rinunciarvi. Se si tratta delle qualità dell’anima che riguardano la vita ordinaria, il rapporto con altre persone, la difficoltà risulterà senz’altro molto grande. Per mezzo della vera autoconoscenza si apprende ad esempio di aver creduto fino a quel momento di provare benevolenza per qualcuno, per poi accorgersi di nutrire nei suoi confronti invidia nascosta o odio, o altro sentimento del genere. Si riconosce che tali sentimenti, fin allora repressi, vorranno un giorno o l’altro manifestarsi; e si comprende pure che sarebbe del tutto superficiale il dirsi: adesso che hai riconosciuto come stanno le cose, non ti resta che sradicare in te l’odio o l’invidia. Si scopre invece che con questo pensiero ci si dimostrerebbe ben deboli, se un giorno l’odio o l’invidia prorompessero dall’anima come forze di natura.

 

Questi particolari aspetti della conoscenza di sé si verificano nell’uno o nell’altro, a seconda della sua natura psichica. Essi si presentano quando comincia l’esperienza al di fuori del corpo sensibile, in quanto allora l’autoconoscenza diviene appunto reale, e non può più venire offuscata dal desiderio di vedersi nella lucé più favorevole.

Queste particolari forme di autoconoscenza sono dolorose, opprimenti per l’anima. Non può evitarle chi voglia acquistare la facoltà di fare esperienze al di fuori del corpo, poiché esse sorgono necessariamente per effetto del rapporto del tutto speciale in cui il soggetto viene a trovarsi con la propria anima. Tuttavia le massime energie dell’anima diventano necessarie quando si tratti di un’autoconoscenza umana generale.

 

Ci si osserva da un punto di vista che si trova al di fuori della vita psichica vissuta finora. Si dice a se stessi: hai giudicato le cose e i processi del mondo secondo la tua natura umana. Cerca ora di immaginare di non poterli considerare a quel modo, di non poterli giudicare così. In tal caso non saresti neppure più quello che sei. Non avresti nessuna esperienza interiore; saresti un nulla.

Dovrebbe parlare così a se stesso non soltanto un uomo qualunque, il quale solo di rado rifletta sul mondo e sulla vita. Dovrebbero parlare così anche lo scienziato, il filosofo: anche la filosofia infatti non è altro che osservazione del mondo e giudizio su di esso, in misura delle qualità della vita psichica umana. Ma un giudizio di questo genere non può accordarsi col mondo esterno soprasensibile: ne viene respinto, e con ciò viene respinto tutto quanto si è stati fino allora. Si guarda indietro a tutta la propria anima, al proprio io, come a cosa che si deve abbandonare per poter penetrare nel mondo soprasensibile.

Ma l’anima non può che considerare questo «io» come la sua vera entità, prima di entrare nel mondo soprasensibile; deve considerarlo come la vera natura umana. Deve dirsi: per mezzo di questo mio io, devo pensare sul mondo, e non devo perderlo, se non voglio darmi per perduta da me stessa, in quanto entità.

 

Esiste nell’anima

l’impulso irresistibile a conservarsi l’io in ogni circostanza,

per non perdere del tutto il terreno sotto i piedi.

 

Ciò che l’anima deve sentire così a giusta ragione nella vita ordinaria,

non le è più lecito sentire, appena penetra nel mondo esterno soprasensibile.

 

Qui essa deve varcare una soglia dove è necessario

che essa non abbandoni solo questo o quel possesso prezioso,

ma addirittura ciò che era stata per se stessa fino a quel punto.

 

Deve essere in grado di dirsi: ciò che finora consideravi la più certa verità,

al di là della soglia del mondo soprasensibile devi essere capace di vederlo come il massimo errore.

 

Di fronte a un’esigenza come questa l’anima può arretrare inorridita. Ciò ch’essa dovrebbe compiere può apparirle un tale abbandono, una tale negazione della propria natura, da indurla a confessarsi su quella soglia più o meno la propria impotenza a soddisfare a quella esigenza.

Tale confessione può assumere le forme più diverse.

 

Può sorgere in modo del tutto istintivo, e apparire a chi pensi e agisca nel senso di quella confessione come qualcosa di assolutamente diverso da ciò che realmente è. Può per esempio ispirare al soggetto una profonda avversione per tutte le verità soprasensibili; egli potrà considerarle come sogni, fantasticherie. Ma lo farà soltanto perché nel profondo incosciente della sua anima egli ha una segreta paura di quelle verità. Sente di poter vivere solo con quanto manifestano i sensi e il giudizio dell’intelletto; perciò evita di accostarsi alla soglia del mondo soprasensibile. Egli poi maschera questa sua riluttanza dicendo che ciò che si dovrebbe trovare oltre questa soglia non regge di fronte alla ragione e alla scienza. In realtà, egli ama la ragione e la scienza, quali le conosce, solo perché sono legate al suo io. Si tratta di una forma genericamente umana di amor di sé, che però non è possibile portare con sé nel mondo soprasensibile.

 

Può darsi però il caso che non ci si limiti a questo istintivo arresto davanti alla soglia: l’uomo può accostarsi ad essa coscientemente e poi tornare indietro, per timore di quello che lo attende. In questa situazione egli non potrà cancellare facilmente gli effetti derivati per la sua vita animica ordinaria dall’essersi avvicinato alla soglia: si manifesteranno in tutto l’ambito della sua anima, come conseguenze dell’impotenza da lui provata.

Deve verificarsi questo: l’uomo ha da imparare a rinunciare, quando entra nel mondo soprasensibile, a quanto nella vita ordinaria egli considera la verità più salda, deve imparare ad assumere un atteggiamento diverso nel sentire e giudicare le cose. Deve però anche rendersi conto che quando si ritroverà di fronte al mondo sensibile dovrà usare di nuovo i sentimenti e i giudizi validi per quest’ultimo. Non solo deve imparare a vivere in due mondi, ma anche a vivervi in modi del tutto differenti. Non deve menomare il proprio sano giudizio per la vita ordinaria entro il mondo dei sensi e dell’intelletto, solo perché è costretto ad applicare altri criteri di giudizio in un mondo diverso.

Una presa di posizione come questa riesce difficile all’uomo; se ne acquista la capacità solo mediante un prolungato, energico e paziente rafforzamento della vita dell’anima.

 

Chi fa le esperienze della soglia, sente che per la vita animica ordinaria è un beneficio il non venir condotti fino a quella soglia. I sentimenti che si presentano in lui sono tali che non si può non pensare che quel beneficio provenga da una potenza che protegge l’uomo dal pericolo di sperimentare, sulla soglia, i terrori dell’autoannientamento. Dietro al mondo esterno della vita ordinaria se ne trova un altro. Sulla soglia di questo si trova un severo guardiano il quale fa sì che l’uomo non apprenda nulla delle leggi del mondo soprasensible, poiché qualsiasi dubbio, qualsiasi incertezza relativi a quel mondo, sono pur sempre più facili da sopportare che non la visione di ciò che si deve abbandonare, se vi si vuole penetrare.

Fintanto che non si accosta alla soglia, l’uomo rimane difeso contro le esperienze di cui si è detto. Non cambia nulla, ai fini di tale protezione, il fatto ch’egli possa avere accolto descrizioni di esperienze fatte da persone che abbiano varcato la soglia del mondo soprasensibile. Invece l’ascoltare tali descrizioni può riuscirgli utile, quando si avvicini alla soglia. Vale anche in questo caso, come in tanti altri, la regola che un’operazione qualsiasi viene eseguita meglio, se si ha già in precedenza un’idea di essa, che non nel caso contrario.

Ma questa conoscenza preliminare non cambia nulla di quanto il pellegrino del mondo soprasensibile deve acquistare in autoconoscenza. Non corrisponde quindi ai fatti ciò che affermano certe persone chiaroveggenti o che hanno familiarità con la natura della chiaroveggenza, che non si dovrebbe cioè parlare di tali cose, se non con chi si trovi in diretto procinto di penetrare egli stesso nel mondo soprasensibile.

 

Viviamo oggi in un’epoca nella quale gli uomini

devono acquistare sempre più conoscenza della natura del mondo soprasensibile,

per fronteggiare con l’anima le esigenze della vita.

• La diffusione delle conoscenze soprasensibili e quindi anche quella del guardiano della soglia,

fanno parte dei compiti del presente e del prossimo avvenire.