Il percorso dell’uomo attraverso il mondo dei sensi, il mondo dell’anima e il mondo dello spirito

O.O. 119 – Macrocosmo e microcosmo – 19.03.1910


 

Oggi dobbiamo parlare a grandi linee di un capitolo riguardo quelle conoscenze che l’investigatore dello spirito può acquisire sulla via caratterizzata l’altro ieri. Tutto ciò che oggi dirò potrebbe essere considerato una sorta di fantasticheria, in grado ancora maggiore, naturalmente, di quanto dissi in quella conferenza.

 

Ma dopo le discussioni dell’altro giorno, può essere forse scontato che ciò venga oggi puramente ritenuto in forma di un semplice racconto che presenta come una somma di risultati della ricerca, che derivano appunto dall’osservazione dei mondi superiori. Dunque, oggi dev’essere raccontato proprio semplicemente ciò che l’uomo possiede in fatto di esperienze, quando procede dopo la morte attraverso i vari mondi, per i quali è destinato andare.

 

Dobbiamo iniziare da quel punto dell’evoluzione della vita umana in cui l’uomo si trova quando passa attraverso la porta della morte, quando dunque, nel modo che abbiamo caratterizzato ieri, depone il suo corpo fisico e sale ad una diversa esistenza, un’esistenza spirituale. Prendiamo innanzitutto in considerazione quanto l’uomo sperimenta, dapprima, direttamente al momento di attraversare la porta della morte, dopo la deposizione del corpo fisico.

 

La prima impressione che il nostro corpo astrale e il nostro Io hanno, dopo che è sopraggiunta la morte dell’uomo, è il fatto che l’essere umano può guardare indietro alla sua vita appena conclusa, svoltasi tra la nascita e la morte, riguardandola in un ampio quadro mnemonico. Le singole esperienze dell’ultima vita che da molto tempo sono sparite allo sguardo spirituale si presentano davanti all’anima, a questa importante svolta della vita, per così dire, nei minimi particolari.

 

E se ci chiediamo com’è possibile, allora possiamo renderci comprensibile ciò che si offre all’occhio chiaroveggente richiamando l’attenzione su quel momento della vita noto a tutti, di cui raccontano coloro che una volta furono in pericolo di vita, per esempio durante una caduta in montagna o mentre erano in procinto di annegare. Essi raccontano che in un tale momento tutta la vita appena conclusa stava loro davanti agli occhi come in un grande quadro. Ciò che viene raccontato può essere confermato proprio dalla scienza dello spirito.

 

Da dove viene che in tale momento tutta la vita appena conclusa stia davanti agli occhi come in un grande quadro? Deriva dal fatto che ciò che l’uomo scorge con occhi fisici, può afferrare con mani fisiche, ciò che dunque si chiama corpo fisico è attraversato e impregnato dal corpo eterico o corpo vitale.

 

Questo è il secondo elemento costitutivo dell’entità umana e precisamente è già un elemento invisibile che impedisce al corpo fisico, nel periodo tra la nascita e la morte, di seguire le forze e le leggi fisiche, fisiche e chimiche, impiantate in lui. Il nostro fedele lottatore, per così dire, impegnato contro la decomposizione del corpo fisico è questo corpo eterico o vitale, questo secondo corpo dell’uomo.

 

Può anzi essere comprensibile, miei cari convenuti, che ad uno sguardo fisico, che per la scienza fisica, con il verificarsi della morte anche l’intera entità umana appaia soccombere a quella; poiché ciò che passa attraverso quella porta, che ha quelle impressioni che appunto vanno descritte, esiste solo per una conoscenza spirituale, solo per un occhio chiaroveggente. Ma tutto ciò che è presente solamente per la conoscenza spirituale deve per forza apparire un nulla allo sguardo fisico.

 

Nulla vedrai nell’eterna, vuota lontananza,

non udrai il passo tuo stesso,

nulla troverai di saldo ove posare.

 

Così dice Mefistofele nel Faust di Goethe. Sarà addirittura senza fine. Questa caratteristica mostra in Mefistofele il rappresentante di una concezione del mondo che arriva soltanto all’esistenza fisica esteriore e vede un nulla in tutto ciò che è da conseguire oltre quella grazie alla conoscenza spirituale. Diventa eterno, però, anche chi ha un presentimento e una conoscenza del fatto che nell’essere umano sono assopite forze che possono essere sviluppate al punto tale che dei mondi spirituali si riversano in quell’anima umana, come luce e colore si riversano nell’occhio di colui che, cieco dalla nascita, viene sottoposto a eventuale operazione; diventa eterna quell’anima umana che, presagendo qualcosa di tale conoscenza superiore, ribatte al materialismo, al monismo, le parole che Faust risponde a Mefistofele:

Nel tuo nulla spero di trovare il Tutto.

 

Come Faust nel nulla spera di trovare il tutto, così anche noi dobbiamo andare al nulla della convinzione e della concezione materialistica, se vogliamo afferrare quanto attraversa la porta della morte e ha le sue impressioni, quando non vi sono più né strumenti fisici, né organi fisici con cui poter rapportarsi a un mondo esteriore.

 

Questo nulla del materialismo, questo fondamento della natura umana per lo sguardo spirituale, ha davanti a sé quel possente quadro mnemonico in cui sono racchiuse tutte le singole esperienze dell’ultima esistenza, sono racchiuse in senso superiore proprio come dopo quello shock che un uomo sperimenta quando è in pericolo di vita, ad esempio quando sta per annegare. Che cosa è successo in effetti ad un uomo che si è trovato davanti ad un pericolo di vita? Attraverso lo shock che ha subìto il suo corpo eterico o vitale si è per breve tempo allentato dal corpo fisico.

 

Ma questo corpo eterico o vitale nell’uomo – sia detto espressamente: nell’uomo – è il portatore anche della memoria, del ricordo e, nella vita abituale, quando è inserito nel corpo fisico, quest’ultimo è come una specie di impedimento, di ostacolo a far emergere tutti i singoli ricordi, tutte le singole rappresentazioni mnemoniche.

 

Quando però il corpo eterico o vitale, a causa di un simile shock, è sollevato fuori dal corpo fisico per breve tempo, si presenta davanti all’anima tutta la vita in un quadro mnemonico, e in una tale persona, nel momento dell’annegamento, abbiamo proprio una sorta di analogia a ciò che vi è immediatamente dopo la morte, quando il corpo eterico o vitale è diventato libero con tutte le sue forze, poiché è deposto il corpo fisico.

 

Questa è un’esperienza dopo che l’uomo ha attraversato il momento della morte. Ma dobbiamo caratterizzare in modo ancor più preciso. Questa esperienza è del tutto singolare. Infatti questa memoria non è tale che sperimentiamo gli eventi della vita appena conclusa esattamente allo stesso modo di come li abbiamo attraversati nella vita.

 

Nella vita, gli avvenimenti della giornata svolgono su di noi l’impressione del piacere, l’impressione della gioia, quella del dolore, quella della sofferenza. Essi ci si accostano in modo che ne abbiamo simpatia e antipatia. In breve, questi eventi suscitano il nostro mondo del sentimento, però ci stimolano anche la volontà, la voglia di comportarci in questo o quel modo.

 

Tutto ciò che è piacere e sofferenza, gioia e dolore, ciò che è simpatia e antipatia, ciò che è interesse ai fenomeni esteriori dell’esistenza, tutto questo è, per quel tempo di cui appunto si è ora parlato, come cancellato dall’anima umana, e vi è l’immagine del ricordo, realmente come un’immagine.

 

Quando abbiamo davanti a noi un’immagine in cui viene rappresentata una scena in cui abbiamo terribilmente sofferto, la sopportiamo in modo obiettivo e neutrale se ci viene rappresentata in immagine. Ma così ci si presenta davanti all’anima anche l’immagine del ricordo di tutta la vita: la sperimentiamo senza quella partecipazione che in genere abbiamo avuto nella vita.

 

Questa è una considerazione. L’altra è che l’uomo d’ora in poi sperimenta qualcosa, immediatamente dopo il trapasso, di cui egli, tra la nascita e la morte, ha fatto soltanto in minima misura conoscenza, se non è diventato un investigatore dello spirito.

 

Nella vita siamo sempre al di fuori delle cose, fuori delle realtà che ci stanno attorno.

I tavoli, le sedie sono al di fuori di noi, la flora vegetale distesa sul campo è all’esterno di noi.

L’impressione subito dopo la morte

è come se il nostro essere si riversasse su tutto quello che sta fuori di noi.

Ci immergiamo per così dire nelle cose, ci sentiamo uno con esse.

Compare il sentimento dell’espandersi, dell’ampliarsi ed estendersi dell’anima,

un fondersi con le cose che nell’ambiente esteriore sono come immagini.

 

Questa esperienza perdura – così ci mostra l’indagine dello spirito con quei metodi di cui abbiamo parlato – in modo diverso; ma generalmente è una breve esperienza dopo la morte. Oggi possiamo addirittura parlare già, poiché vi sono indagini chiaroveggenti più precise a riguardo, di come la durata temporale per il singolo essere umano sia più o meno lunga a seconda della sua individualità.

 

Sappiamo che diverse persone in condizioni normali della vita possono mantenersi a lungo svegli, quando devono farlo, senza essere sopraffatti dal sonno. Per conto mio, un uomo può rimanere sveglio tre, quattro, cinque giorni, un altro solo trentasei ore e così via. Finché l’uomo, in genere in condizione di vita normale, ha potuto mediamente mantenersi sveglio senza essere vinto dal sonno, altrettanto a lungo dura più o meno anche quel quadro mnemonico. È da calcolare dunque a seconda dei giorni ed è differente per i diversi individui.

 

In seguito, quando questo quadro mnemonico sta per finire, quando comincia a sbiadire, mostrando un graduale oscuramento, l’uomo sente un po’ come se certe forze si ritirassero in lui e qualcosa buttasse fuori quanto era finora nella sua natura. Ciò che viene ora espulso è un secondo cadavere dell’essere umano, un cadavere invisibile; è ciò che l’uomo non può portare con sé attraverso le successive esperienze nel mondo animico.

 

Mentre dunque il cadavere fisico già prima è stato espulso ed è ritornato alle sue sostanze e forze fisiche, ora viene spremuto fuori il corpo eterico o vitale, che si ripartisce in quel mondo che noi chiamiamo eterico, che è di nuovo un nulla per chi si limita a vedere e pensare in modo materialistico, ma che intesse tutto e vive per coloro i cui occhi spirituali sono aperti. Però, di quel corpo eterico o vitale spremuto resta indietro qualcosa che si può definire un’essenza, un estratto di tutto ciò che è stato sperimentato.

 

Le esperienze dell’ultima esistenza fra nascita e morte, concentrate per così dire in un germe,

rimangono d’ora in poi unite con quanto costituisce l’uomo.

Dunque il risultato condensato dell’ultima vita continua a esistere.

• Che cos’ha l’uomo in sé nel corso ulteriore della sua vita dopo la morte?

 

Egli trattiene ciò che chiamiamo “portatore del suo Io”, ciò che in genere chiamiamo “Io”; ma questo Io è avvolto dapprima da quanto abbiamo caratterizzato come terzo elemento dell’entità umana dopo il corpo fisico e il corpo eterico o vitale, cioè il corpo astrale.

Potremmo dire che il corpo astrale dell’uomo è il portatore del piacere e della sofferenza,

della gioia e del dolore, degli istinti, delle brame e delle passioni.

Di tutto ciò che durante il giorno sussulta dunque attraverso la nostra anima come piacere e sofferenza, come istinti, brame e passioni, di questo è portatore il corpo astrale; ed ogni notte l’Io e il corpo astrale abbandonano il corpo fisico e il corpo eterico o vitale dell’uomo, i quali rimangono nel letto durante il sonno.

 

Adesso, dopo la morte,

• abbiamo l’Io e il corpo astrale uniti con quell’essenza vitale di cui, appunto,

•  abbiamo potuto dire è stata estratta come frutto o germe dal corpo eterico o vitale.

Con tali componenti del proprio essere, l’uomo intraprende poi

il cammino attraverso il cosiddetto mondo animico.

 

Se vogliamo comprendere quanto ci rivela lo sguardo spirituale dell’uomo su quel mondo, dobbiamo innanzitutto renderci conto che è questo corpo astrale il portatore di tutto ciò che è piacere, desiderio, interesse alle cose intorno a noi.

 

Sì, il corpo astrale è il portatore di ogni piacere e brama,

di ogni dolore e sofferenza, anche delle brame più basse,

delle brame che sono connesse ad esempio con la nostra alimentazione.

Il corpo fisico è una struttura di forze e leggi fisiche e chimiche.

Non è esso a sentire desiderio e piacere verso qualche cibo e genere voluttuario, ma il corpo astrale.

Il corpo fisico offre solo gli strumenti con cui noi possiamo ottenere tali piaceri che hanno luogo nel corpo astrale.

 

Chi abbia conservato un concetto del fatto che questo corpo astrale dell’uomo sia qualcosa di reale, qualcosa di vero, non solamente una funzione, un risultato della cooperazione dei processi fisici e chimici, non si meraviglierà anche se vien detto che al momento della morte, quando il corpo fisico è deposto, il corpo astrale non perde subito il desiderio dei piaceri. Di fatto non lo fa.

 

Prendiamo il caso estremo di un uomo che nella vita fosse un buongustaio, che abbia avuto piacere del mangiare appetitoso. Che cosa è insorto per lui con la morte? Egli ha perso la possibilità, poiché ha abbandonato gli strumenti fisici, di procurarsi i piaceri nel suo corpo astrale. Ma la brama di questi vi è rimasta. La conseguenza è che l’uomo d’ora in poi riguardo a questi piaceri è nella stessa situazione, anche se per altri motivi, in cui sarebbe all’incirca se nella vita fisica fosse in un luogo dove bruciasse di sete e non vi fosse nulla, a perdita d’occhio, per poterla placare.

 

Dopo la morte il corpo astrale arde dalla sete, poiché non c’è più l’organo fisico per soddisfarla. Gli strumenti sono deposti, ma la brama di questi piaceri è rimasta nel corpo astrale. Ne consegue che l’uomo d’ora in poi sia nella stessa condizione riguardo ai piaceri: il corpo astrale ne soffre una sete ardente. Nel corpo astrale ci sono ancora tutti quegli istinti, brame e passioni che possono essere soddisfatti solo con gli strumenti fisici. Perciò è comprensibile, semplicemente partendo da questa logica considerazione, ciò che il ricercatore dello spirito deve dire a riguardo:

•  «L’essere umano, dopo aver deposto il suo corpo eterico o vitale,

attraversa un periodo in cui, per quel che concerne il suo essere più intimo,

deve disabituarsi a tutti i desideri e a tutte le brame

che possono essere soddisfatti soltanto dagli strumenti fisici del corpo fisico».

 

Questo è il periodo della catarsi, della purificazione, nel quale

devono essere sradicati dal corpo astrale tutti i desideri verso qualsiasi cosa

che può essere procurata all’uomo solamente mettendone in attività gli strumenti fisici.

 

Troveremo comprensibile che, di nuovo a seconda dell’individualità dell’uomo, sia diverso il periodo di tempo che deve essere attraversato al fine di questa purificazione, di questo sradicamento delle brame che assecondano solo il mondo fisico. L’uomo però attraversa anche questo periodo in modo da non calcolarlo solo in base ai giorni, bensì, secondo le indagini della scienza dello spirito, da occupare pressappoco un terzo della vita nel mondo fisico che s’è svolta fra nascita e morte.

 

Per chi è in grado di guardare in profondità è comprensibile il fatto che il tempo della purificazione occupi approssimativamente un terzo del periodo della vita. Se abbracciamo con lo sguardo la vita umana troviamo che questa vita fra nascita e morte si divida chiaramente in tre terzi.

 

Il primo di questi è fatto apposta a che i talenti e le capacità dell’essere umano che con la nascita entrano nell’esistenza si facciano largo, per così dire, attraverso gli ostacoli del mondo fisico. Sussiste una specie di vita in salita nel primo terzo.

 

L’uomo prende gradualmente possesso quale essere spirituale dei suoi organi fisici. Poi arriva il terzo della vita successivo che dura pressappoco dai 21 fino ai 42 anni mediamente. Il primo dura fino a 21 anni. Questo secondo terzo esige lo sviluppo di tutte quelle forze che l’uomo può elaborare per il fatto che con la sua interiorità, col suo elemento animico, entra in interazione con il mondo esteriore.

 

A questo punto egli ha già gli organi del suo corpo fisico e di quello eterico o vitale plasticamente configurati, non ha più nessun ostacolo riguardo ad essi. Egli è adulto.

Il suo elemento interiore entra in diretto rapporto col mondo esteriore. Questo dura così a lungo, fino a quando l’essere umano deve cominciare a consumare di nuovo i suoi corpi fisico ed eterico o vitale, e ciò succede per il tempo rimanente della sua vita. Allora l’uomo succhia a poco a poco da quanto ha plasmato plasticamente nella sua gioventù.

 

Abbiamo potuto rilevare che esiste un meraviglioso rapporto tra gioventù e vecchiaia. Se durante quel periodo in cui l’essere umano interiore configura in modo plastico gli organi dell’uomo, questi si impossessa di certe qualità, se in quel tempo, nell’anima, domina diversi sentimenti di collera, se attraversa quello che noi chiamiamo sentimento della devozione, allora, come effetto, questo emerge proprio nell’ultimo terzo della vita.

 

Passa nel terzo intermedio come in una corrente nascosta. E quanto noi chiamiamo “collera dominata” compare nella vecchiaia come giusta benevolenza; così nel superamento dell’ira vi sta l’origine, la causa della benevolenza. E dalla disposizione alla devozione che nutriamo nell’età giovanile, viene alla fine della vita quella qualità che ravvisiamo in quelle persone che possono presentarsi in una comunità, e senza dire molto, hanno un effetto come di benedizione.

 

La vita dell’uomo è chiaramente divisa in tre terzi. Nel primo terzo l’uomo lavora per il suo corpo fisico, nell’ultimo lo logora di nuovo; in quello centrale l’elemento animico è per così dire abbandonato a se stesso. A questo periodo intermedio deve anche corrispondere, come può sembrare comprensibile, il periodo di purificazione dopo la morte. Lì l’anima è libera dal corpo fisico e dal corpo eterico o vitale, e sta col suo ambiente spirituale in un rapporto simile a quello del secondo terzo della vita.

 

Ciò che il ricercatore dello spirito è in grado di vedere, possiamo rendercelo logicamente comprensibile se gettiamo uno sguardo sulla vita abituale. Possiamo capire che il periodo di tempo indicato sia un numero medio, per cui il tempo della purificazione per un uomo sarà più lungo, per l’altro più corto. Durerà di più per colui che si abbandona con tutte le sue passioni alla mera esistenza sensibile, il quale non conosce altro che il soddisfacimento di quei piaceri legati agli organi fisici del corpo.

 

Per chi, però, nella vita abituale, grazie a un penetrare nell’arte, grazie alla conoscenza, riesce già a guardare a quei misteri spirituali dell’esistenza che penetrano attraverso la cortina dell’elemento fisico, per chi anche solo con presentimento afferra le rivelazioni dello spirito attraverso il velo della componente fisica, per costui il periodo della purificazione durerà meno, poiché egli attraverserà preparato il momento della morte, preparato a tutto ciò che, appunto, può arrivare come appagamento soltanto dal mondo spirituale.

 

Abbiamo qui dunque, miei cari ascoltatori, un periodo che l’uomo vive tra la morte e una nuova nascita che si differenzia da quello che si conta in termini di giorni subito dopo la morte.

Mentre in quest’ultimo abbiamo un quadro mnemonico neutrale, nei cui confronti cessano tutto il nostro interesse e la nostra partecipazione, nel periodo di purificazione abbiamo proprio nella nostra anima tutto ciò che, per desiderio di piacere, per desiderio di brama, ci ha attratto verso le nostre esperienze. Proprio la vita di sentimento, la vita di sensazione è ciò che dunque si svolge nell’anima durante quel periodo di purificazione.

 

Tuttavia il ricercatore dello spirito ci mostra una singolare caratteristica di quel periodo.

Sembra strano, ma è vero: questo periodo di purificazione procede a ritroso così che

abbiamo l’impressione di sperimentare l’ultimo anno della nostra vita fisica prima,

poi il penultimo, quindi il terzultimo.

 

E noi sperimentiamo dunque la nostra vita, purificandoci, depurandoci, come in un’immagine speculare, la ripercorriamo in modo che essa appaia come se andasse dalla morte fino alla nascita, e alla fine di quel periodo siamo al momento della nascita. Attraversiamo prima la vecchiaia, poi l’età intermedia, indietro fino al tempo dell’infanzia.

Nessuno ha bisogno di pensare che questo sia proprio solo un periodo terribile in cui si prova una sete bruciante, in cui si patiscono i desideri. Tutto questo c’è di sicuro; ma non è l’unica cosa. Noi sperimentiamo anche tutto quello che fra la nascita e la morte abbiamo già vissuto, sperimentiamo pure i lieti eventi della vita così che li abbiamo di nuovo davanti a noi, per così dire, in immagine speculare.

 

Come sia quell’esperienza, ci si presenterà subito davanti all’anima considerando ancor più precisamente questo periodo. Supponiamo che un uomo fosse morto a sessant’anni. Quindi sperimenta dapprima i cinquantanove anni, poi i cinquant’otto, i cinquantasette e così via; egli vive percorrendo tutto a ritroso in una specie di immagine speculare.

Resta questo cioè, che noi ci sentiamo come riversati sulle cose e le entità del mondo, come dentro a tutti gli esseri e le cose. Prendiamo ora il fatto che noi, in una vita durata dunque fino a sessant’anni, avessimo a quarant’anni arrecato un’offesa a qualcuno. Lì riviviamo vent’anni con velocità tripla. Arrivati ai quarant’anni, sperimentiamo quel dolore cagionato all’altro, di nuovo, ma non proviamo quanto noi abbiamo passato allora, ma ciò che l’altro ha sofferto.

 

Quando abbiamo arrecato dolore a qualcuno

a partire da un sentimento di vendetta o da un impulso di rabbia

e dopo la morte, guardando a ritroso, arriviamo a quel momento,

non sentiamo la nostra soddisfazione provata, ma quanto l’altro ha patito.

Nel mondo spirituale ci immedesimiamo in lui.

 

E capita così con tutto ciò che riviviamo nell’andare a ritroso.

Sperimentiamo tutto ciò che di bene,

di azioni buone abbiamo dispensato nella vita,

negli effetti benefici che questo ha prodotto nel nostro ambiente.

Lo sperimentiamo con quell’anima che si sente riversata in tutto l’ambiente.

 

Ciò non è senza effetto, anzi l’uomo, rivivendo tutto ciò, porta con sé da tutte quelle situazioni del vivere determinate impressioni. Possiamo caratterizzare questo, per esempio, nel modo seguente. Ma vorrei esplicitamente osservare che questa cosa, in realtà, solo relativamente si può caratterizzare a parole, poiché possiamo comprendere che le nostre parole sono coniate per il mondo fisico e in effetti sono applicabili in senso giusto solo a questo.

 

Se tuttavia utilizziamo queste parole — altrimenti non potremmo intenderci su tutti i misteriosi mondi che si rendono accessibili all’occhio spirituale —, dobbiamo renderci conto che esse hanno soltanto un senso approssimativo.

Quanto viene sperimentato in quel mondo può solo essere caratterizzato così: quando l’uomo percepisce il dolore che ha inflitto a un altro, quando egli riprova quel dolore dopo la morte, lo sente come un intoppo evolutivo.

 

Egli si dice più o meno questo, avvertendolo nella sua anima: «Che cosa sarei diventato se non avessi recato questo dolore all’altro? Questo dolore è qualcosa che trattiene tutto il mio essere da un gradino di perfezione che altrimenti avrei potuto conseguire». E così l’uomo, per tutto ciò che di errore e menzogna, di cattivo ha divulgato nel suo ambiente, si dice: «Sono intoppi evolutivi, qualcosa che ho arrecato a me stesso sul cammino del mio perfezionamento».

E da ciò si forma una forza nell’anima umana che arriva al punto da portare l’uomo, in quella condizione in cui vive fra la morte e una nuova nascita, a provare il desiderio, ad avere l’impulso di volontà di rimuovere questi ostacoli dal cammino.

 

Cioè, nel viaggio a ritroso, accogliamo uno ad uno degli stimoli

a rimediare nuovamente nella prossima vita, a pareggiare di nuovo

quanto abbiamo frapposto a noi stessi sul cammino come ostacoli.

Perciò non ci è lecito nemmeno abbandonarci alla convinzione che ciò che lì attraversiamo sia puro soffrire.

 

Sofferenza e privazione lo è certamente,

ed è doloroso quando vediamo addossato sulla nostra propria anima tutto ciò che noi stessi abbiamo provocato;

tuttavia sperimentiamo il dolore in modo da essere contenti di poterlo provare,

poiché solo grazie a ciò noi possiamo accogliere quella forza che ci rende capaci di sgomberare la via da quegli ostacoli.

 

E così si sommano insieme tutti questi impulsi che noi accogliamo durante il periodo di purificazione, e quando siamo ritornati all’inizio della nostra ultima vita, c’è un’imponente somma che vive in noi quale immensa spinta, in una nuova vita, a compensare nei successivi gradini dell’esistenza tutto ciò che è da pareggiare nel senso caratterizzato.

Quindi, alla fine del periodo di purificazione siamo dotati di quella forza per sviluppare la nostra volontà verso il futuro in modo tale che per tutto ciò che di ingiusto, di brutto, di cattivo abbiamo commesso viene creata la compensazione.

 

Questa è una forza di cui l’uomo può forse avere un presentimento se familiarizza, attraverso una saggia conoscenza di sé, con ciò che gli provoca dei rimorsi di coscienza, quando ripensa a quanto ha fatto a questa o a quella persona. Ma tutto questo nella vita rimane solo pensiero. Diventa un potente impulso creativo nel periodo di purificazione tra la morte e una nuova nascita. E dotato di tale impulso creativo l’uomo entra ora in una nuova vita: nella vita spirituale vera e propria.

 

Se vogliamo comprendere questa vita spirituale in cui l’uomo si addentra dopo il periodo di purificazione, lo possiamo fare nel modo seguente.

È difficile riprendere con le parole della nostra lingua tutte le diverse esperienze che il ricercatore dello spirito ha, quando esamina la vita fra la morte e una nuova nascita, tutte le diverse essenziali impressioni che non si possono paragonare a nulla che l’occhio possa scorgere nel mondo sensibile e l’intelletto legato al cervello possa pensare; ma ci si può procurare una rappresentazione pressappoco nel modo seguente di ciò che a quel ricercatore può dischiudersi quale nuovo mondo, grazie alla sua visione nel mondo spirituale.

 

Quando vogliamo vedere e capire il mondo attorno a noi, quando vogliamo comprendere ciò che ci circonda, lo facciamo per il fatto che pensiamo, che ci formiamo delle rappresentazioni delle cose che ci stanno intorno. Sarebbe una rappresentazione logicamente assurda se qualcuno pensasse di poter prendere dell’acqua da un bicchiere vuoto.

Sarebbe esattamente lo stesso se ci rappresentassimo di poter tirar fuori, di poter attingere dei pensieri, delle leggi da un mondo che non ne contengono.

Tutto il sapere umano, tutta la conoscenza umana sarebbe una futile illusione, non sarebbe nient’altro che una fantasticheria se i pensieri che alla fine plasmiamo nel nostro spirito non fossero già, come pensieri, alla base delle cose; dunque le cose sono germinate a partire dai pensieri.

 

Tutti quelli che in tal modo credono che i pensieri siano soltanto qualcosa che lo spirito umano forma, qualcosa che non sta alla base delle cose quali effettive forze operanti e creatrici di esse, dovrebbero del pari rinunciare ad ogni attività del pensare; poiché i pensieri che verrebbero così formati, senza corrispondere a un mondo esteriore di pensieri, sarebbero delle inutili assurdità. Solo chi pensa in modo reale, chi sa che il suo pensare corrisponde al mondo esteriore dei pensieri e risveglia di nuovo, come in uno specchio, quel mondo nella nostra interiorità, sa che ogni cosa in origine è spuntata fuori da questo mondo dei pensieri.

 

Per noi uomini, comunque, il pensiero è l’ultimo che afferriamo dalle cose, ma sta ad esse quale loro primo fondamento. Il pensiero creatore sta a base delle cose, ma i pensieri degli uomini, con cui l’uomo conosce da ultimo, si distinguono tuttavia, sotto un certo aspetto molto significativo, dai pensieri creatori là fuori.

Quando tentiamo di guardare dentro l’anima umana, ci diremo: «Come anche questo pensare umano vuole vagare nell’orizzonte dei pensieri e delle rappresentazioni quando pensiamo, tentiamo di sviscerare con i nostri pensieri i segreti delle cose, così queste si presentano come qualcosa da cui rimane estraneo tutto l’elemento creatore».

 

Questa è la particolarità dei pensieri umani, che essi hanno perso l’elemento produttivo, creatore, contenuto nei pensieri là fuori che tessono e impregnano di vita il mondo. Quei pensieri che permeano il mondo là fuori sono attraversati da quell’elemento che nell’intimo umano spunta solo come un misterioso fondamento della nostra esistenza.

Sappiamo che le nostre rappresentazioni, quando devono essere riversate nella volontà, devono immergersi nella base dell’essere umano, e che il pensiero stesso non è ancora attraversato dalla volontà. Ma il pensiero che opera fuori nel mondo è attraversato e intessuto dalla volontà. E questo è appunto l’elemento caratteristico dello spirito che all’esterno intesse obiettivamente le cose: essere creatore. Ma con questo non è più soltanto pensiero, con questo è spirito.

 

Il pensiero della natura umana si basa sul fatto che la volontà è espressa a partire dallo spirito,

e che quest’ultimo compare come un riflesso soltanto a partire dall’uomo.

Per lo sguardo spirituale esso, là fuori, non si mostra da nessuna parte separato dall’elemento creatore.

Quando l’uomo dopo la morte ha attraversato il suo periodo di purificazione,

penetra, come in un nuovo mondo, in quello spirito che contiene racchiusi in sé volontà e pensieri.

 

E come noi qui in questo mondo che percorriamo fra nascita e morte

viviamo circondati dalle impressioni dei nostri sensi,

circondati da tutto ciò che il nostro intelletto può pensare,

come noi qui dunque siamo attorniati e avvolti dal mondo fisico,

così l’uomo dopo il periodo di purificazione

è dappertutto circondato dal mondo spirituale creatore.

Ed egli è all’interno di questo mondo, vi si trova dentro e vi appartiene.

 

Questo è anche ciò che si presenta come una prima esperienza, quando è passato il periodo di purificazione: l’uomo non si sente in un mondo che lo circonda con un orizzonte di cose che egli può percepire, ma si sente entro un mondo in cui egli è del tutto creatore.

Tutto ciò che l’uomo nell’ultima vita ed anche già in quelle precedenti ha accolto in sé, per quanto non ancora rielaborato, ciò che in particolare è nell’estratto che abbiamo descritto del suo corpo eterico o vitale, ciò che è rimasto nel suo corpo astrale, come quel possente impulso che vuole pareggiare gli ostacoli che sono stati menzionati, tutto ciò che è in lui l’uomo ora lo avverte produttivo, lo sente creativo.

 

Ora, il vivere nell’ambito della creatività è qualcosa che è meglio definito con il termine “beatitudine” o “felicità”. Possiamo già osservare nella vita abituale, a paragone, l’inebriante sentimento, su un gradino più basso, quando vediamo la gallina covare l’uovo.

Nella produzione creativa stessa vi è quella felicità che riscalda. È possibile percepire in senso superiore tale felicità della creazione, quando l’artista può trasportare nel mondo materiale esteriore ciò che ha maturato nella sua interiorità, quando può creare. Tutto l’essere umano, nel passaggio attraverso il mondo spirituale, è ora compenetrato da questo sentimento di felicità, di cui si può in questo modo ricavare approssimativamente una rappresentazione.

 

A che cosa lavora l’uomo nel mondo spirituale?

Egli dirige l’azione verso tutto ciò che quanto a frutti, a estratto, ha conseguito dall’ultima vita e dalle altre precedenti, di cui abbiamo potuto dire l’altro ieri che certamente si è accostato come esperienza alla nostra anima; l’uomo però nella vita fra nascita e morte, poiché ha un limite al corpo fisico e a quello eterico o vitale, deve prima trattenerlo in sé e non può inserirlo nella sua entità complessiva.

 

Ora non ci sono più il corpo fisico e il corpo eterico o vitale,

ora egli lavora in una pura sostanzialità spirituale e vi imprime tutto ciò

che ha sì sperimentato nell’ultima vita e che però non poteva inserire in se stesso

a causa della limitatezza dei suoi corpi fisico ed eterico o vitale.

 

Se ci preoccupiamo d’ora in avanti della durata del tempo in cui l’uomo inserisce dunque in modo creativo nell’elemento spirituale quanto ha conseguito nell’ultima vita, dobbiamo soprattutto chiederci: «Ha un certo senso questa legge delle ripetute vite terrene che abbiamo indicato?».

 

Ebbene sì, e questo si mostra per il fatto che l’uomo, quando ha attraversato un’incarnazione, non appare più o meno in una nuova vita quando può ancora attraversare le stesse esperienze, ma solo quando il mondo terreno esteriore si è modificato nel frattempo in modo che egli possa fare esperienze del tutto nuove.

 

Chi rifletta un po’ sull’evoluzione, troverà che la fisiognomia terrestre, già in rapporto all’elemento fisico, cambia notevolmente di millennio in millennio. Pensiamo un po’ a come possa esser sembrato qui dove ora sorge questa città al tempo del Cristo, come ci fosse tutt’altro e come questo luogo terreno si sia modificato da allora; e pensiamo a come innanzitutto ciò che chiamiamo sviluppo morale, intellettuale e spirituale abituale dell’umanità si sia trasformato nel corso di qualche secolo.

 

Riflettiamo a quanto i nostri bambini, qualche secolo fa circa, accoglievano in sé nei primi anni di vita e a quanto oggi vi assimilano. La Terra muta la sua fisiognomia, e dopo un certo periodo l’uomo può di nuovo mettervi piede; a quel punto tutto è così cambiato che egli può fare nuove esperienze. Solo se l’uomo ha la possibilità di vivere delle cose nuove, entra in questo mondo di nuovo.

 

Il tempo tra la morte e una nuova nascita è determinato dal fatto che l’uomo, quando si incarnava, diciamo, in un secolo, con la nascita lo faceva in condizioni ereditarie del tutto specifiche.

Sappiamo che non ci è lecito rappresentarci il nucleo essenziale umano, l’animico-spirituale dell’uomo, come se provenisse dalla somma di ciò che sono le qualità dei genitori, dei nonni, bisnonni e così via. Abbiamo messo in evidenza che come altrettanto poco il lombrico nasce dal fango, così l’anima umana altrettanto poco deriva dall’elemento fisico.

L’animico sorge da ciò che è animico, come il vivente deriva da ciò che è vivente.

 

Abbiamo fatto rilevare che quest’anima umana ci riconduce a una vita precedente e che essa entra nell’esistenza con la nascita così da riunire le qualità ereditarie. Ponendo però questa questione davanti all’anima, dobbiamo anche renderci conto che, quando guardiamo indietro a una vita precedente, da quella vita umana passata portiamo dentro, attraverso la nascita, quelle qualità che si sviluppano a poco a poco nel decorso tra la morte e una nuova nascita.

Portiamo con noi, attraverso il momento della morte, ciò che abbiamo acquisito di nuovo tra la nascita e la morte, ciò che non abbiamo ancora potuto prendere da una vita precedente.

 

Così che – è già stato evidenziato – attraverso la morte d’ora in poi portiamo tutto quello che è stato conquistato brano a brano nell’ultima vita. E lo possiamo rielaborare in una nuova condizione, quando attraversiamo la vita nello spirito fra la morte e una nuova nascita, solamente non dipendendo in questa nuova esistenza, per così dire, dal fatto di ritrovare le condizioni lasciate in eredità, avute nell’esistenza precedente.

Nella vita precedente abbiamo tirato dentro nella nostra anima certe qualità degli antenati. Non incontreremmo nulla di nuovo in una nuova esistenza, se quelle qualità venissero trovate allo stesso modo.

 

Se ci siamo incarnati in un determinato secolo, per poter anche in tal senso viver appieno in una nuova esistenza, dobbiamo attraversare il mondo spirituale così a lungo fino a perdere tutte quelle qualità, trasmesse per eredità, da cui ci siamo sentiti precedentemente attratti e a cui lo saremo per molto tempo finché ci saranno.

La nostra reincarnazione dipende dalla scomparsa di quelle qualità che ricorsero nelle generazioni. Se dunque volgiamo lo sguardo ai nostri antenati, troviamo nei nostri genitori, nonni, bisnonni e così via certe qualità che sono trasportate giù ereditariamente fino alla nostra attuale esistenza. Dopo la morte entriamo nel mondo spirituale.

 

Vi restiamo finché sono scomparse nella linea ereditaria tutte quelle qualità da cui ci siamo sentiti attratti in questa incarnazione. Ma questo dura molti secoli, e certamente l’indagine spirituale mostra che il periodo di tempo dura molti secoli così che possiamo quasi dire che si trasmettono per via ereditaria certe qualità che vanno di generazione in generazione. Se dura approssimativamente settecento anni, le qualità che passano di generazione in generazione sono da tempo sparite al punto tale che possiamo dire che è svanito quanto in quel periodo si trovava negli antenati.

 

Ma ora devono formarsi delle qualità così da coprire di nuovo settecento anni. E arriviamo a due volte settecento anni quale periodo indicativo – naturalmente è solo un numero di media, ma per l’indagine spirituale si mostra come quel periodo di tempo che in tal modo si svolge tra la morte e una nuova nascita –, fino a che l’anima entra di nuovo nell’esistenza con una nuova nascita.

E dobbiamo soprattutto informarci sul fatto che si eleva in quel mondo spirituale tutto ciò che qui sulla Terra è già spirituale.

 

Abbiamo proprio messo in evidenza che quanto includiamo nel nostro spirito, fuori nel mondo spirituale è creatore. Abbiamo visto che noi stessi in certo modo siamo dentro in quel mondo creativo col nostro elemento creatore. Questo mondo spirituale che all’esterno è creativo si rispecchia in certo modo nella nostra propria anima. Per quanto essa sperimenti lo spirituale, percorra una vita spirituale, anche le esperienze animico-spirituali della nostra interiorità hanno cittadinanza nel mondo spirituale.

 

Come il mondo spirituale si innalza giù in quello fisico, così il nostro spirito svetta nel mondo spirituale generale. Ma in tal modo ci è comprensibile ciò che afferma l’indagine spirituale: ciò che nell’uomo riguarda i diversi elementi costitutivi del suo essere depone gli involucri esteriori, e resta lo spirituale, e accresce nel mondo spirituale creatore; ci è pure comprensibile che anche i rapporti spirituali, tutto l’animico, depongano ciò che avviene qui nel mondo fisico, gli involucri esteriori, e salgano alla vita del mondo spirituale.

 

Prendiamo l’amore della madre verso i figli. Questo cresce a partire dal mondo fisico. Dapprima porta un carattere animale. Sono delle simpatie che collegano madre e figlio, una specie di effetto della forza fisica. Ma poi quanto cresce a partire dal mondo fisico si purifica, l’amore di entrambi si affina; questo amore diventa sempre più animico-spirituale.

 

Tutto ciò che scaturisce dal mondo fisico, con la morte viene deposto allo stesso modo come gli involucri esteriori. Ma per questo continua ad esistere tutto ciò che in questo involucro fisico-umano viene edificato di animico, di spirituale con questo amore: allo stesso modo come l’interiorità umana stessa vive entro il mondo spirituale, così anche l’amore tra madre e figlio continua a vivere in quel mondo.

Essi si ritrovano lì, non più limitati ora dalle barriere del mondo fisico, bensì in quell’ambiente spirituale dove noi non abbiamo le cose fuori di noi, ma dove viviamo, tessiamo e siamo in esse.

 

Perciò ci dobbiamo rappresentare quanto c’è nel mondo spirituale

come il risultato dell’amore e delle amicizie strette nel mondo fisico;

dobbiamo rappresentarci che coloro che si sono congiunti nei mondi spirituali

lo sono molto più intimamente rispetto ai vincoli d’amore e d’amicizia che vengono stretti nel mondo fisico.

 

Ed è senza senso chiedere se dopo la morte noi rivediamo quelli con cui viviamo assieme in amore e amicizia nel mondo fisico. Non solo li vediamo, ma viviamo in loro; siamo per così dire effusi su di loro.

E tutto ciò che viene intessuto all’interno delle barriere del mondo sensibile riceve il suo giusto senso, il suo giusto significato, solo se noi ne cresciamo con la componente spirituale su nel mondo spirituale.

 

Vediamo così la spiritualizzazione non solo dell’uomo,

ma dell’umanità nei suoi più nobili rapporti,

nella regione spirituale in cui l’uomo vive tra la morte e una nuova nascita.

 

Ma lì si ricompongono in vive immagini primigenie anche tutti gli impulsi che l’uomo ha portato dentro nel mondo spirituale. Abbiamo visto che l’uomo entrava nel mondo spirituale con un’essenza del corpo eterico o vitale, vale a dire con un’essenza di tutte le esperienze avute fra la nascita e la morte.

 

Vediamo l’uomo entrare nel mondo spirituale

con quel possente impulso che gli fa pareggiare quanto ha compiuto di sbagliato.

 

Egli tesse tutto ciò insieme a un’immagine spirituale primigenia. E il tempo che trascorre nel mondo spirituale procede in modo che tale immagine viene sempre più tessuta così da avere sempre più intrecciati i frutti dalla vita precedente e l’impulso, la volontà di pareggiare i suoi sbagli, ciò che di cattivo ha compiuto.

E così l’uomo in quel periodo è capace da una parte di configurare plasticamente tutto ciò che egli ha acquisito di facoltà nella vita precedente, nel corpo che gli viene messo a disposizione nella reincarnazione, dall’altra, con l’aver intrecciato nella sua immagine primigenia la spinta, l’impulso a pareggiare quanto ha compiuto di sbagliato, di cattivo, di malvagio, viene rivestito delle condizioni che gli consentono di controbilanciare di nuovo questa ingiustizia e cattiveria.

 

Attraverso la nascita entriamo nell’esistenza con la volontà di metterci in quelle condizioni

che ci permettono di pareggiare le imperfezioni della nostra vita precedente.

 

Ricerchiamo così, grazie a una volontà occulta, il dolore in casi corrispondenti, quando abbiamo l’inconscia conoscenza a partire dal nostro impulso prenatale, che solo il superamento di questo dolore ci può rimuovere certi impedimenti che precedentemente ci siamo posti sul cammino.

Così vediamo come l’uomo procede attraverso il mondo spirituale in cui già prima della nuova nascita può plasticamente organizzare la sua vita fisica.

 

Ed ora vediamo pure come ciò che abbiamo tessuto entro la nostra immagine primigenia si congiunga solo a poco a poco con la nostra vita dopo la nascita. Poiché chi non conosce la vita, crede che nel bambino stia già tutto all’interno quanto di capacità, di possibilità animiche si forma nella vita.

Chi ha la possibilità di osservare giustamente la vita, vede l’uomo entrare, attraverso la nascita, nell’esistenza, e vede come egli trovi se stesso solo a poco a poco nella vita, come nei primi anni non abbia affatto già completamente all’interno ciò che egli può diventare.

 

Possiamo comprendere la vita molto meglio dicendo che l’uomo si congiunge solo gradualmente con ciò che ha tessuto come un’immagine spirituale primigenia nella vita fra la morte e una nuova nascita, se ne attacca a poco a poco, finché egli affronta il mondo esteriore in una libera partita.

 

Chi considera la vita senza pregiudizi è in grado di vedere come l’uomo, da bambino, sia ancora circondato da quell’atmosfera spirituale che egli ha tessuto per sé tra la morte e una nuova nascita, e come egli si conformi a poco a poco alla sua propria immagine primigenia che non ha ancora intrecciato alla corporeità di cui dispone alla nascita.

 

Mentre l’animale già fin dalla nascita è intrecciato alla sua immagine primordiale, vediamo l’uomo crescere solo in modo individuale e determinato dentro quell’immagine che ha tessuto su di sé attraverso le ripetute vite terrene fino all’ultima. E comprendiamo al meglio l’elemento fisico-sensibile della vita umana se lo recepiamo in modo da dire: per noi è davvero come la conchiglia di un animale, di un’ostrica, che troviamo sul ciglio della strada.

 

Finché vogliamo considerarla semplicemente come formata, diciamo, dal fango, a lungo non ci potrà diventare comprensibile. Ma se presupponiamo che la parte della conchiglia che appare stratificata sia secreto dall’interno di un animale, che ha poi abbandonato quella conchiglia, allora ne capiamo la forma.

 

Non comprendiamo la vita dell’uomo tra la nascita e la morte,

e la vogliamo intendere solo per conto suo,

se la vogliamo capire solo mettendo insieme quanto sta nell’immediato ambiente.

 

A questo punto possiamo disquisire che l’uomo si adatta all’ambiente, al popolo, alla famiglia. Quanto poco ci diventa comprensibile la conchiglia dell’ostrica senza l’ostrica, altrettanto lo sarà per noi la vita umana se la considerassimo solo come formata a partire dal suo immediato ambiente.

Ma diviene chiarissima se possiamo presupporre che l’uomo provenga da un mondo spirituale e animico, dove ha elaborato le conquiste, l’estratto, i frutti della vita precedente, e che egli riorganizzi la sua nuova esistenza con l’aiuto di questo lavoro.

 

Così la vita stessa ci diventa comprensibile solo grazie a ciò che sta oltre la vita,

così il mondo fisico ci diviene comprensibile solo grazie al mondo spirituale e animico.

 

Questo è il percorso dell’uomo attraverso il mondo dei sensi, il mondo dell’anima e il mondo dello spirito. Noi vediamo l’uomo così: nella sua vita fisico-sensibile abbiamo, per così dire, solo una parte del suo ciclo di vita completo. E la nostra conoscenza, se la pratichiamo così in modo corretto, è allora non solo una conoscenza teorica che ci dice questo o quello come fa la scienza esteriore, ma è una conoscenza che ci mostra obiettivamente, allo stesso tempo, come la vita tra la morte e una nuova nascita abbia senso e significato, mentre quanto qui raccogliamo trova la sua elaborazione in un mondo superiore.

 

Da tale conoscenza ci viene sapere e forza di volontà per la vita, sorge senso e significato, fiducia e speranza per essa. Non abbiamo bisogno di attribuire semplicemente a una tale conoscenza il fatto di guardare in modo sconfortante in vite passate, di cui per esempio diciamo: «Ebbene, qui si afferma che abbiamo preparato noi stessi il nostro dolore. Al dolore vien anche aggiunto questo sconforto!».

 

No, possiamo dirci che questa legge non è solo quella che indica il passato, ma anche il futuro; che ci mostra che il dolore superato è accrescimento di forza che utilizziamo per la nuova vita, e quanto più lavoriamo, quanto più abbiamo superato il dolore, tanto più forte sarà la nostra forza. Nella felicità si può solo soffrire in senso superiore, essa è un compimento derivato dalla vita passata.

 

Nel dolore si possono sviluppare delle forze,

e le forze formate grazie al suo superamento significano un rafforzamento per la vita futura.

E noi attraversiamo con fiducia il momento della morte,

sapendo che essa dev’essere portata nella vita, affinché questa possa migliorare di gradino in gradino.

 

Con ciò appare ben giustificato quando vien detto che la scienza dello spirito in questo senso non è soltanto una teoria; essa è linfa e forza per la vita, mentre ciò che si riversa direttamente in tutta la nostra esistenza animica rende sani, vigorosi e forti.

La scienza dello spirito è ciò che conferma la verità di queste parole che a ciascun ricercatore dello spirito e probabilmente a ogni essere umano che intuisce qualcosa del mondo spirituale devono vivere nell’anima come parole di verità, come parole guida per la sua vita che si accresce, che si rende sana e forte, la quale persino nel superamento del dolore scorge accrescimento di forza:

Si pone enigma dopo enigma nello spazio,

scorre enigma dopo enigma nel tempo;

porta soluzione solo lo spirito

che coglie se stesso

al di là dei confini dello spazio

e a di là del fluire del tempo.