Il processo di costruzione nell’uomo e il processo di morte che continuamente distrugge la vita

O.O. 206 – Il divenire dell’uomo, l’anima e lo spirito del mondo – 20.08.1921


 

Chi aspira seriamente alla conoscenza,

trova nell’accadere del mondo una possibilità di arrivare all’Io soltanto in un’occasione: quella della morte.

 

Proprio quando l’esistenza dell’uomo si interrompe con la morte,

quando in una qualche misura il corpo dell’uomo viene consegnato alle forze esterne,

alle quali era stato sottratto dalla nascita o dal concepimento fino alla morte,

allora, quando non abbiamo più alcuna possibilità di inferire l’uomo partendo dal corpo,

solo allora incomincia per noi la possibilità di avvicinarsi all’Io.

 

Dobbiamo incominciare da quell’evento che, fra gli eventi esterni, è in un certo qual modo il più inspiegabile,

ed è il più inspiegabile per il fatto che, non potendo essere più compreso con la coscienza abituale,

deve essere almeno portato dentro la coscienza.

 

Ma quando siamo capaci di decidere di considerare la morte in questo modo, quando con l’evento della morte ci comportiamo nel modo che ho descritto, nello stesso modo in cui ci comportiamo quando lottiamo con i concetti, soprattutto nel caso in cui la conoscenza puramente astratta si trasforma in esperienza interiore, quando ci avviciniamo all’evento della morte in questo modo, allora impariamo gradualmente a vedere che

la morte, quando ci viene incontro con l’interrompersi della vita,

in realtà è soltanto qualcosa che assomiglia ad un compendio, a un integrale,

vorrei dire, a singoli avvenimenti che si svolgono continuamente nell’uomo dalla nascita in poi.

 

In sostanza noi moriamo in continuazione; ma, per così dire, moriamo a pezzettini.

Quando iniziamo la nostra vita sulla terra, iniziamo anche a morire.

Ma sulla morte prevale in continuazione ciò che alla nascita ci viene trasmesso come vitalità.

 

La morte agirà sempre dentro di noi.

Solo che essa arriva sempre ad una piccolissima parte del suo operare e poi viene superata. Ma ciò che a noi sembra come un fatto lampante, l’essersi condensato sommariamente in quell’unico momento della morte, nella vita si svolge continuamente come i differenziali, è un processo continuativo, sempre in atto.

 

Quindi, se approfondiamo questo aspetto,

vedremo come nell’attività organica interiore dell’uomo non siano presenti soltanto processi costruttivi.

Se esistessero solo dei processi costruttivi, non potremmo mai raggiungere una coscienza pensante,

in quanto ciò che semplicemente vive, che è semplicemente vitale, ci toglie la coscienza, ci rende inconsapevoli.

 

I processi di morte in noi, i processi distruttivi,

i processi che annientano il vivente, che in noi si compiono sempre differenzialmente,

sono quelli che ci portano la coscienza, che fanno di noi degli esseri pensanti, riflessivi.

Se vivessimo soltanto, arriveremmo sempre ad una specie di irriflessività, una specie di assenza di coscienza.

 

Se fosse vero che nella pianta la vita si trova ad un certo gradino,

nell’animale ad un gradino più alto, nell’uomo ad un gradino ancora più alto,

se si trattasse quindi soltanto di un accrescimento, di un potenziamento della vita,

non svilupperemmo mai una coscienza pensante.

 

Nella pianta abbiamo la vita.

Ma per il fatto che la vita sale fino all’animale, già nell’animale essa si attenua.

Ma nell’uomo esiste un continuo processo di morte.

 

Questo continuo processo di morte, che non soltanto smorza la vita, ma la distrugge

– solo che viene di continuo ricostruita –

è il processo organico, che si trova alla base del pensare cosciente.

Nella misura in cui abbiamo dentro di noi questo processo di morte continuativo,

in quella stessa misura noi abbiamo la possibilità di pensare nella vita fisica.

 

Ma se si apprende ad osservare che esiste il processo costruttivo (vedi il disegno successivo, rosso) il processo costruttivo vitale caratteristico del vegetale, che opera anche in noi, e se si comprende poi a osservare come questo processo costruttivo venga smorzato dall’elemento animale (verde), come invece abbia luogo una continua caduta (nero), una disintegrazione interiore, e se poi infine ci si eleva al punto di avere una nozione di questa distruzione interiore: allora si avrà anche ciò che si mantiene sempre in piedi contro questa distruzione.

 

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L’uomo ha un processo di morte, ma possiede anche un lottatore perpetuo  contro il processo di morte:

l’uomo possiede il processo che rappresenta la vita dell’Io.

È lì che vive l’Io.

 

Con una conoscenza superiore, con un punto di vista superiore

vediamo come attraverso il processo nervoso dell’uomo si verifichi continuamente un depositarsi,

come si formi in un certo senso un sedimento interiore,

e si vede anche come l’Io si sottragga continuamente a questa sedimentazione, a questa sedimentazione interiore.

 

Non si può acquisire una visione del vero Io, se non si è capaci di considerare questa sedimentazione interiore.

L’Io vive naturalmente nell’uomo, ma l’Io percepisce questo Io per il fatto di vivere il processo di morte,

il processo di disgregazione interiore.

• E chi ha compreso che l’Io è un lottatore instancabile contro questo processo di morte

ha compreso anche che l’Io come tale è qualcosa che non ha proprio nulla a che vedere con la morte,

ha capito chiaramente ciò che altrimenti la dialettica o la logica designano come immortalità.

 

Ma questa è la strada per guardare l’immortalità, poiché in questo modo si arriva ad entità

che appartengono ad un ordine di esistenza diverso da quello che lì precipita come sedimento.

Si arriva in una regione, in cui la morte non ha alcun significato,

dove la morte perde la possibilità di essere sentita come terrestre.

Così, se studiamo la morte, arriviamo all’Io.

 

Per incominciare ho solamente accennato a questa cosa, in quanto questo studio della morte è molto ampio, e a coloro che vi attribuiscono un certo valore può venir detto anche che l’esame di questa continua sedimentazione, di questa formazione di sedimento si presenta alla vista come se ci fosse un continuo divampare interiore di particelle di tenebra – quindi, invece di scintille di luce, scintille di tenebra – in un’aura che riluce uniformemente.

 

Ma dobbiamo formarci anche altri concetti, se vogliamo accostarci a ciò che ci può condurre nuovamente ad una forma di conoscenza dell’uomo. Se voglio costruire quest’altro concetto, devo partire da qualcosa d’altro. Ho dovuto rimandarvi alla morte e al suo superamento, poiché il problema era quello di pervenire all’Io. Ora vorrei mostrarvi quanto segue.

 

Osservate la vita del vegetale, ma solamente all’inizio del propriamente vegetale: ossia delle piante annuali – perché nelle piante che vivono per più anni e nell’albero già ci viene incontro una complicazione, che renderebbe necessaria una considerazione a parte. Nella pianta annuale trovate il «montare» della crescita a partire dal seme, il buttare delle foglie, il continuare della crescita fino al fiore, fino alla fruttificazione, lo sviluppo del frutto che contiene il seme per la pianta successiva. Vediamo in un certo qual modo il formarsi del frutto, che successivamente si sviluppa (con il seme che contiene) nuovamente fino alla pianta.

 

Vi potrete facilmente formare una rappresentazione del fatto che la pianta, nell’evolversi da quei pre-stadi in cui nasce la foglia, fino alla fecondazione sviluppa in sé delle forze che raggiungono il proprio culmine proprio al momento della fecondazione; a questo punto però inizia la strada discendente, poiché la pianta si disgrega un’altra volta.

 

E nell’osservare questo ciclo della pianta vedete il vero essere della pianta. Come già detto, della pianta pluriennale e di quelle piante che si lasciano dietro una radice, come l’albero, per il momento non dobbiamo occuparci. Si complicherebbe soltanto ciò che ho detto a proposito della pianta annuale, che con la sua unica fecondazione va incontro alla propria fine; ma dall’essenza della pianta che nella fecondazione raggiunge contemporaneamente la propria fine comprendiamo la vera essenza (della pianta).

 

Osservando le cose nel modo giusto, il vegetale consiste proprio nella vita che culmina nella fecondazione, e culminando nella fecondazione scende dall’altra parte. In ciò consiste il vegetale. Se indaghiamo l’essere della pianta, allo stesso modo dobbiamo indagare in che modo nell’uomo l’essenza del suolo sia da ricercare nel continuo morire.

 

Dell’uomo diciamo: la morte, con la quale dapprima egli mette fine alla propria entità fisica,

come forza è sempre presente in lui.

Quando nasce inizia a morire, incomincia a sviluppare modi differenziati di morire, muore continuamente.

È il processo di morte in lui.

 

Nella pianta esiste in continuazione ciò che alla fine trova un culmine:

così come noi culminiamo nella morte, allo stesso modo esiste un culmine nella fecondazione.

Così come noi afferriamo il nostro essere interiore, il nostro Io proprio nella morte,

allo stesso modo si afferra l’essere della pianta nella fecondazione.

La pianta vive nella fecondazione;

ciò che si sviluppa nella foglia, è solo una metamorfosi, è solo un gradino preparatorio della fecondazione.

 

Se salite agli animali, le cose si presentano così:

l’animale viene fecondato, ma all’inizio questo non significa appassimento, poiché può essere fecondato di nuovo.

Naturalmente arriviamo sempre a questioni di limiti,

ma vogliamo comprendere il vivente e il senziente in determinati punti essenziali caratteristici.

 

Proprio come l’essere della pianta, il vero essere della pianta trova il proprio culmine nella fecondazione (naturalmente ognuno può dubitare che questo sia la vera essenza della pianta, ma noi comprendiamo l’essenza della pianta proprio là, dove si manifesta nella maniera più intensa), così l’animale non trova il suo culmine nella fecondazione, ma supera la fecondazione.

 

Ciò che è l’animale superiore porta in sé ancora qualcosa d’altro.

Se portasse in sé solamente ciò che vive nella fecondazione,

esso dovrebbe allora sperimentare la stessa cosa della pianta caratteristica: dovrebbe appassire.

Invece esso estrae qualcosa che va oltre la fecondazione.

E quando saliamo all’uomo, egli supera non solo ciò che supera l’animale, ma supera la morte stessa.

 

Solo che le cose di cui ho appena parlato non devono essere prese in maniera dogmatica; inoltre non bisogna prenderle in maniera da trarne delle definizioni, poiché allora si va ugualmente fuori strada; ma devono essere prese in modo che con queste si arrivi a dei concetti.

 

Ora chi dice da capo: “La pianta consiste in ciò che è a base della fecondazione, l’animale è qualcosa che conserva per sé qualcosa che va oltre la fecondazione”, forma delle definizioni, invece di conquistarsi dei concetti. Si può arrivare ad una conoscenza, solo se ci si conquistano dei concetti corrispondenti a determinati gradini della vita e dell’esistenza. E allo stesso modo in cui l’uomo deve arrivare al concetto di Io con l’accostare l’Io alla morte, così deve arrivare al concetto di animale con l’osservare come la fecondazione venga superata in qualcosa che nell’animale vive oltre la fecondazione (derivando da questa). Bisogna considerare la pianta nell’osservare la fecondazione, oppure ciò che avviene nella fecondazione come un fenomeno continuativo.

 

Poi, quando l’uomo si è sollevato a questi concetti,

questi concetti stessi diventano qualcosa di vivente nella vita dell’anima.

• E questi concetti, una volta afferrati, fecondano finanche la vita dell’anima.

• Cosicché arriviamo ora alla condizione non solo di comprendere l’Io dell’uomo,

ma, attraverso il concetto di ciò che rimane della fecondazione nell’animale,

riusciamo pian piano ad acquisire come concetto ciò che nell’animale vive continuativamente nella fecondazione,

arriviamo anche a farci un’idea del corpo eterico dell’uomo.

 

Se afferriamo l’Io vero e proprio come ciò che si sottrae a questa formazione di sedimento,

allora dobbiamo intendere il corpo astrale in un altro modo.

Dobbiamo intendere il corpo astrale nel modo seguente.

 

Se inizialmente consideriamo ciò che cresce, si nutre, si riproduce, arriviamo a qualcosa che non appassisce.

Se vogliamo arrivare all’Io dobbiamo considerare morente tutta l’entità fisica.

 

Quindi considerare ora ciò che cresce, si riproduce, non come soggetto alla morte,

ma soltanto come un qualcosa che subisce una mutilazione, che subisce una mutilazione continua,

in modo che ora ci sia non ciò che vince la morte, ma qualcosa che vince lo scemare della vitalità,

quindi a ciò che con sferzate continue fa risalire la vitalità, quando questa cala.

 

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Allora noi abbiamo proprio come qui (disegno a pag. 79) dalla luce sprizzano scintille chiare, lì (disegno qui sotto, rosso) abbiamo continuamente un qualcosa di scuro (blu), che esce fuori in forma nebulosa (se posso esprimermi così), che viene su come nuvole da un qualcosa che risplende con colori chiari.

Bisogna usare queste espressioni, proprio per potere avere rappresentazioni riguardanti queste parti dell’essere.

Potrei dire: dal chiaro sfavilla scuro l’Io; viene fuori una nuvola scura, che tinge, tinge offuscando qualcosa che è tinto di chiaro, quando l’astrale che esce dall’eterico ha la meglio sul calo della vitalità.

 

Cerco di esprimermi il più precisamente possibile, ma comprenderete che queste cose che non sono più accessibili alla conoscenza intellettuale, ma solo a quella immaginativa, non possono essere espresse neppure con concetti intellettualistici, ma devono essere espresse per mezzo di immaginazioni.

Può anche succedere, non è vero, che la gente scambi queste immaginazioni per qualche cosa e che poi non sappia venirne a capo, come fanno certi critici dell’antroposofia. Ma queste persone commettono l’errore che commetterebbe press’a poco colui – è un paradosso, ma le cose stanno così – che creda, se qualcuno gli dice la parola ‘riccio’, di avere realmente un riccio pieno di aculei. La parola ‘riccio’ naturalmente non è il riccio: tanto meno queste immagini sono l’essere che loro corrisponde. Ma solo per mezzo di queste immagini possiamo penetrare in ciò che esiste realmente nell’essere soprasensibile. In definitiva è un rappresentare in forma concreta.

 

Chi conosce l’intero processo non ha bisogno di lasciarsi dire ciò che grosso modo dice Bruhn nel suo libercolo sull’antroposofia. È all’incirca altrettanto sensato quanto il rinfacciare ad un matematico di scambiare la matematica con ciò che scrive sulla lavagna. Ma normalmente si scrivono critiche su ciò che non si vuole capire, perché non si vogliono scegliere le strade che vi ci portano, le quali sono proprio necessarie.

Quindi si tratta di questo, di ritrovare la strada che conduce a ciò che può metterci sempre di nuovo l’uomo davanti all’anima. Una volta erano immaginazioni che si presentavano nel corso del processo respiratorio; ora devono divenire di nuovo immaginazioni attraverso le quali accostarsi al vero essere dell’uomo. Ora non possiamo ottenerle attraverso un processo del respiro, ma attraverso quei fenomeni che ho cercato di descrivere nel mio libro Come si conseguono le conoscenze dei mondi superiori? e nella mia Scienza Occulta.

 

Con ciò ho voluto darvi dei chiarimenti su come partendo dalla costituzione animica intellettualistica del presente

se ne debba cercare di nuovo un’altra.

Quest’altra costituzione animica non è ancora la coscienza veggente.

 

Non è affatto necessario arrivare alla coscienza veggente,

ma questa costituzione animica diversa la si può avere.

Essa si sviluppa in seguito con una formazione interiore veramente intellettualistica,

solo quando si pensa seriamente e onestamente

secondo questa formazione interiore intellettualistica e se ne conoscono i limiti.

Allora essa si forma senz’altro.

 

E perverrà per primo ad una tale visione di una costituzione animica interiore metamorfosata

proprio chi si abitua ai concetti delle scienze naturali degli ultimi tempi.

 

Poiché, se egli vi si abitua, al modo in cui si può vivere con essi, se non la si accoglie semplicemente in modo umile, ma vi si familiarizza al punto di poterla sperimentare davvero interiormente, allora essa non lo condurrà ad un ignorabimus, ma proprio al confine dove altrimenti l’ignorabimus viene fissato, piantato, ad uno sperimentare speciale, ad un vero lottare. È proprio lì che poi si accende questa diversa costituzione animica. Ma tutto dipende dal fatto di avvicinarsi in maniera onesta e interiormente sempre più veritiera ai concetti delle scienze naturali.

 

Se poi con questi non si resta soddisfatti, allora si trasformano in semi dai quali si sviluppa qualcos’altro; allora non ci si limita a mettere questi concetti delle scienze naturali uno accanto all’altro come fagioli e a guardarli, ma questi chicchi vengono piantati nella terra: ossia i concetti sulla natura intellettualistici nell’interiorità dell’anima.

 

Lì emergeranno come una costituzione animica nuova.

• Perfino ciò che negli ultimi secoli hanno prodotto,

porta in sé la possibilità di far affiorare nuovi semi della conoscenza.

• Dobbiamo guardare ad un’epoca che ci mostri un’altra costituzione animica

rispetto a quella che ha prodotto l’epoca di Galileo, l’epoca del XV secolo.

• Dobbiamo ritornare ad una più profonda conoscenza del mondo,

in modo da pervenire ad uno sperimentare più intenso nell’interiorità propriamente umana.