Il quadruplice aspetto del nucleo animico dell’anima che sarà risvegliato nel tempo fra morte e rinascita

O.O. 153 – Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – 11.04.1914


 

Sommario: Formazione di fantasmi nelle percezioni sensorie. Le immagini di ombre del pensare. Il tesoro della memoria. L’elemento non nato nel sentimento e nella volontà. Percezione vivente e veggenza interiore nei tempi precristiani. L’azione del Cristo.

 

Oggi dovrò far osservare alcuni singoli risultati positivi dell’indagine occulta, i quali da un lato sono specialmente atti a farci penetrare nella natura dell’uomo, ma dall’altro ci mostrano quale essere complicato sia l’uomo, così come è inserito nel mondo. Potremmo noi forse pensare che qui nel mondo l’uomo non sia un essere complicato?

Come potremmo pensarlo, se la vera immagine ideale dell’uomo, l’immagine di quello che l’uomo potrebbe essere se sviluppasse realmente tutte le disposizioni che risiedono in lui, se questa immagine ideale è in fondo il contenuto della religione degli dèi, e se in fondo tutte le entità spirituali delle diverse gerarchie che si possono imparare a conoscere nel loro nesso con la natura umana, fanno confluire le loro mete e collaborano dal cosmo a edificare l’uomo quale vero senso del cosmo stesso.

 

La prima cosa da dire è che l’uomo, con le percezioni che riceve dal mondo esterno e quali gli si palesano alla coscienza, non accoglie effettivamente se non una piccola parte di ciò che tumultuosamente lo assale.

Mentre l’uomo è nel mondo fisico e spalanca i suoi organi sensori, mentre con l’intelligenza legata al cervello e al sistema nervoso osserva il mondo e cerca di spiegarsi quanto in tal modo gli si accosta, soltanto una piccola parte di ciò che lo assale da fuori diventa veramente rappresentazione, soltanto una piccola parte gli penetra veramente nella coscienza.

Nella luce, nei colori, nel suono, è riposto un contenuto assai maggiore di quanto non giunge alla coscienza.

 

La fisica esteriore materialistica, con la sua concezione infantile dell’universo, dice che dietro i colori e dietro la luce vi sono dei processi materiali, delle vibrazioni atomiche e simili. Ma questa veramente è una concezione che si può dire infantile dell’universo; in realtà le cose si presentano diversamente.

Noi dobbiamo investigare la facoltà percettiva dell’uomo con lo sguardo chiaroveggente, perché solo grazie a un tale esame del vero processo della percezione, pur restando sul piano fisico si può giungere alla comprensione del nesso fra l’uomo e quanto lo circonda, fra l’uomo e il mondo che gli sta davanti.

Quando si osserva chiaroveggentemente il processo della percezione, si mostra qualcosa di assai particolare.

 

Supponiamo che qualcosa agisca sul nostro occhio così che percepiamo luce o colore,

che abbiamo dunque nella nostra coscienza la sensazione della luce o del colore.

• Il fatto singolare che si scopre grazie alla ricerca spirituale,

è che nell’essere umano si presentano non soltanto quella luce e quel colore,

ma che come conseguenza della luce e del colore,

e contemporaneamente alla nostra sensazione delle immagini di luce e di colore,

sorge per così dire in noi una specie di cadavere della luce e del colore.

 

Il nostro occhio determina la nostra sensazione di luce e di colore.

Si potrebbe dunque dire: la luce affluisce verso di noi e ci prepara la sensazione della luce.

 

Ma guardando più profondamente nel nostro essere, si scopre che mentre la luce è nella nostra coscienza,

il nostro essere viene pervaso da qualcosa che in esso deve morire

affinché noi possiamo avere la sensazione della luce.

• Noi non possiamo avere nessuna percezione, nessuna sensazione da fuori,

senza che, grazie a quella sensazione e in conseguenza di essa,

non venga a determinarsi la formazione di qualcosa di morto.

 

La ricerca spirituale deve dire: osservo quest’uomo e so che proprio adesso egli ha la sensazione del rosso.

Vedo però come quel rosso che vive nella sua anima effonda da sé qualcosa

che, fluendo nella pelle e fino ai confini del corpo eterico, penetra in tutto il suo essere

insieme a qualcosa che è come il cadavere del colore e che uccide qualcosa nell’uomo.

 

Pensiamo che veramente sempre, quando ci troviamo di fronte al mondo fisico

aprendo i nostri organi di senso, accogliamo in noi i cadaveri di tutte le nostre percezioni

come fantasmi, come fantasmi attivi.

Sempre muore qualcosa in noi quando percepiamo il mondo esterno.

Questo è un fenomeno molto peculiare,

e l’investigatore dello spirito deve chiedersi che cosa succeda, quale sia la ragione di questo fenomeno.

 

Occorre esaminare che cosa sia in sostanza la luce che ci colpisce. La luce ha molto dietro di sé.

Ciò che la luce manifesta è in certo modo soltanto l’avamposto di quanto ci colpisce.

Dietro alla luce non c’è però quel movimento di onde che la scienza fisica suppone, ma dietro la luce, dietro tutte le percezioni e tutte le impressioni, vi è ciò che possiamo comprendere solo se consideriamo il mondo secondo la scienza dello spirito, grazie alle immaginazioni, alle immagini creative.

 

Se potessimo vedere tutto, se potessimo percepire tutto ciò che vive nella luce, o nel suono, o nel calore,

allora dietro a quel che giunge alla coscienza noi percepiremmo l’immaginazione creativa;

in questa si manifesterebbe poi l’ispirazione, e in quest’ultima l’intuizione.

La sensazione di luce e di suono che giunge alla nostra coscienza

è in certo modo lo strato più superficiale, direi quasi la schiuma, di quanto ci si accosta aleggiando.

 

In ciò vive qualcosa che, se potesse giungere alla nostra coscienza,

potrebbe diventare in noi immaginazione, ispirazione, intuizione.

 

• In realtà dunque solo una quarta parte

di quel che tumultuosamente ci colpisce da fuori esiste nella nostra percezione;

gli altri tre quarti penetrano in noi senza affiorare alla coscienza.

 

Mentre dunque noi riceviamo una sensazione di colore, attraverso la superficie del colore

penetrano in noi e s’immergono in noi l’immaginazione creativa, l’ispirazione e l’intuizione.

Esaminandole più da vicino troviamo che se penetrassero veramente nel nostro organismo

attraverso le sensazioni dei sensi come vorrebbero,

esse esplicherebbero il loro influsso anche durante la nostra esistenza fisica terrena fra nascita e morte;

e lo esplicherebbero in modo da provocare in noi una spiritualizzazione

pari a quella a cui ieri accennavo come a un possibile risultato della tentazione di Lucifero.

 

• L’immaginazione, l’ispirazione e l’intuizione agirebbero su di noi

in modo che saremmo assaliti dall’impulso a rinunciare a tutte le disposizioni

che tendono in noi ad attuare in un remoto avvenire l’ideale dell’umanità;

vorremmo invece spiritualizzarci come siamo attualmente;

vorremmo diventare entità spirituali, col grado di perfezione raggiunto attraverso le nostre vite precedenti.

 

In certo modo ci diremmo: diventare uomini richiede uno sforzo troppo grande,

la via da percorrere in futuro è troppo difficile;

rinunziamo dunque alle possibilità che ancora risiedono in noi,

diventiamo piuttosto angeli con tutte le imperfezioni che portiamo in noi;

così giungeremo direttamente al mondo spirituale, spiritualizzeremo il nostro essere; indubbiamente

diventeremo meno perfetti di quanto potremmo diventare nel cosmo secondo le nostre disposizioni,

ma diventeremo esseri spirituali simili agli angeli.

 

Ecco un esempio che dimostra quanto importante sia quella che chiamiamo la soglia del mondo spirituale,

e quanto importante sia l’entità chiamata Guardiano della soglia,

perché il Guardiano compare proprio nel momento di cui ora ho parlato.

 

Egli lascia entrare nella nostra coscienza soltanto la sensazione stessa,

e non vi lascia entrare le immaginazioni, le ispirazioni e le intuizioni

che, se penetrassero nella nostra coscienza, creerebbero in noi

un impulso diretto a spiritualizzarci così come siamo, rinunziando a tutta la futura vita dell’umanità.

 

Tutto questo deve esserci velato,

davanti a questo la porta della nostra coscienza deve restar chiusa, ma penetra però nel nostro essere.

Mentre vi penetra, senza potersi illuminare alla luce della nostra coscienza

e dovendo discendere negli oscuri sostrati della subcoscienza,

ci vengono incontro le entità spirituali di cui Lucifero è l’oppositore.

 

Esse penetrano dall’altro lato nel nostro essere, e avviene allora una lotta

fra Lucifero, che immerge in noi le sue immaginazioni, ispirazioni e intuizioni,

e le entità spirituali di cui Lucifero è l’oppositore.

 

Noi vedremmo sempre di nuovo tale lotta per ogni sensazione e per ogni percezione,

se davanti alla percezione esterna non fosse stata posta la soglia del mondo spirituale,

attraverso la quale può penetrare solo lo sguardo chiaroveggente.

Da ciò si vede quel che si svolge effettivamente nell’intimo della natura umana.

 

• Ho descritto il risultato di questa lotta come una specie di cadavere,

come un parziale cadavere in noi: l’espressione per ciò che deve diventare in noi del tutto materiale,

come l’inserzione di un elemento minerale in noi, affinché non si sia in grado di spiritualizzarlo.

 

• Se tale cadavere non venisse formato grazie alla lotta fra Lucifero e i suoi oppositori, invece di quel cadavere avremmo in noi il risultato di immaginazione, ispirazione e intuizione, e ascenderemmo direttamente al mondo spirituale.

Il cadavere forma il contrappeso; le entità spirituali buone, di cui Lucifero è l’oppositore, ci trattengono così entro il mondo fisico, e ci trattengono in modo che in esso ci resti nascosto l’impulso alla spiritualizzazione che sorgerebbe in noi.

 

In virtù di questo occultamento

• noi aspiriamo quindi a raggiungere il vero ideale della natura umana,

• a sviluppare tutte le disposizioni che esistono in noi.

 

Per il fatto dunque che questo cadavere fantasma si forma in noi, per il fatto che mentre percepiamo

ci compenetriamo sempre di qualcosa che è al tempo stesso anche un cadavere, nell’atto di percepire

noi uccidiamo in noi stessi la continua e sempre crescente aspirazione alla spiritualizzazione.

 

Mentre questo avviene, mentre si forma questo cadavere-fantasma,

nasce ciò cui spesso ho accennato e che è importante considerare in tutto il suo significato.

 

Guardando in uno specchio, si è davanti a una lastra di vetro;

essa sarebbe trasparente se non fosse ricoperta da uno strato riflettente.

• Per il fatto che una superficie della lastra di vetro è ricoperta in tal modo,

dallo specchio vien riflesso tutto quanto gli sta davanti.

• Se veramente fossimo davanti al nostro corpo fisico, in modo da poter sperimentare

le immaginazioni, le ispirazioni e le intuizioni attraverso le percezioni che vi penetrano,

allora potremmo guardare attraverso il corpo fisico e sperimentare un sentimento tale

da farci dire: non voglio aver nulla a che fare col corpo fisico, non me ne incarico affatto,

ma mi sollevo come sono al mondo spirituale.

 

Il corpo fisico ci starebbe veramente davanti come uno specchio di vetro senza lo strato opaco.

Però il corpo fisico è pervaso da un cadavere che è come lo strato opaco dello specchio.

 

Così tutto quanto lo colpisce ne viene rispecchiato, come avviene nelle percezioni sensorie.

Così nascono le percezioni sensorie.

Il cadavere permanente che portiamo in noi fa da schermo nello specchio dell’intero nostro corpo;

• grazie ad esso ci è possibile vederci nel mondo fisico;

• grazie ad esso noi siamo nel mondo fisico quali singoli esseri fisici.

L’essere umano vede se stesso in questo modo tanto complicato.

 

Consideriamo ora l’altro caso, e cioè che noi non solo percepiamo, ma pensiamo.

Se pensiamo non abbiamo a che fare con percezioni sensorie.

• Le percezioni dei sensi possono servire da stimolo,

ma il vero pensare non si esplica in percezioni sensorie, si svolge più interiormente.

• Quando pensiamo, col vero pensare non facciamo nessuna impressione sul nostro corpo fisico,

ma ne facciamo una sul nostro corpo eterico.

 

Mentre pensiamo neppure penetra in noi tutto ciò che vi è nei pensieri.

• Se tutto quanto vi è nei pensieri penetrasse in noi,

ogni volta che pensiamo sentiremmo pulsare in noi tanti esseri elementari vivi,

ci sentiremmo interiormente del tutto animati.

• A Monaco dissi che se qualcuno sperimentasse i pensieri quali sono,

si sentirebbe nei suoi pensieri in una tale confusione come se fosse in un formicaio: in lui tutto sarebbe vita.

 

Noi non percepiamo la vita del pensare umano, perché non ce ne giunge a coscienza che la schiuma;

essa forma appunto le ombre di pensiero che affiorano in noi quale nostro pensare.

Per contro nel nostro corpo eterico si immergono le forze vive che pervadono i pensieri.

 

Noi non percepiamo gli esseri vivi, gli esseri elementari viventi che frullano allora attraverso di noi,

ma nei pensieri ne percepiamo soltanto un estratto, un abbozzo.

• L’altra parte, la vita, penetra però in noi, e penetrando così in noi anch’essa ci pervade;

si verifica di nuovo una lotta del nostro corpo eterico, una lotta che però ora si svolge

fra gli spiriti progrediti e Arimane, fra gli spiriti buoni e le entità arimaniche.

 

La manifestazione di tale lotta

è che i pensieri non si esplicano in noi come si esplicherebbero se fossero esseri vivi.

• Se si esplicassero come realmente sono,

noi ci sentiremmo nella vita degli esseri-pensiero in continuo movimento.

Noi però non li percepiamo, perché il nostro corpo eterico, che altrimenti sarebbe del tutto trasparente,

è stato reso assolutamente opaco.

 

Si potrebbe dire che esso diventa a un dipresso come un topazio affumicato pervaso da strati oscuri,

mentre il quarzo è totalmente trasparente e puro.

Così il nostro corpo eterico è compenetrato da un’oscurità spirituale.

Quel che permea in tal modo il nostro corpo eterico è il patrimonio della nostra memoria.

 

Il patrimonio di ricordi si costituisce per il fatto che i pensieri, mediante i processi sopra descritti,

si rispecchiano nel corpo eterico; vi si rispecchiano

risalendo fino al momento di cui giungiamo a ricordarci nella vita fisica.

Quelli che abbiamo nella memoria sono i pensieri che vengono riverberati dal tempo.

 

Ma giù, nel profondo del nostro corpo eterico, dietro la memoria,

lavorano le entità divino-spirituali buone di cui Arimane è l’oppositore,

e lì creano e costruiscono le forze che possono di nuovo vivificare

ciò che nel corpo fisico è morto a causa dei processi prima descritti.

 

• Mentre dunque nel nostro corpo fisico viene di necessità creato un cadavere,

perché altrimenti avremmo lo stimolo a spiritualizzarci con tutti i difetti che portiamo in noi,

• dal corpo eterico fluisce invece qualcosa, una forza vitale stimolatrice,

per cui in avvenire quanto è stato ucciso potrà di nuovo essere trasformato in cosa viva.

 

Ora soltanto ci si accorge dell’importanza del prima e del dopo.

• Se cioè le immaginazioni, ispirazioni e intuizioni che penetrano in noi

si esplicassero nel nostro immediato presente, esse ci spiritualizzerebbero.

• Ma essendo esse proiettate da Arimane nell’avvenire,

non facendosi esse valere ma essendo conservate come germi per l’avvenire,

per questo conseguono di nuovo la loro vera natura.

 

Quello che noi attualmente useremmo in malo modo, lo impiegheremo invece bene in avvenire,

quando avremo varcato la soglia della morte per edificarci una nuova vita mercé il mondo spirituale.

Le forze che impiegate nel mondo fisico ci indurrebbero a spiritualizzarci con i nostri difetti,

ci guidano invece dopo la morte verso una nuova vita fisica terrena.

In modo tanto contrastante agiscono le cose nei diversi mondi.

 

• Così è del nostro pensare.

• Consideriamo ora il nostro sentire.

 

Veramente i sentimenti intimi, le sensazioni intime che portiamo in noi

non sono neppur essi quale effettivamente potrebbero essere secondo la loro intima natura.

Ciò che portiamo in noi come sentimento,

ciò che affiora alla nostra coscienza come nostro sentimento,

è anch’esso soltanto un’ombra di quanto realmente vive in noi,

perché anche nel nostro sentimento vive un’essenza spirituale.

 

Se ricordiamo quel che ho detto nella prima conferenza, sentiremo che nel sentimento

vivono le entità spirituali che stanno a base di tutto il sistema planetario;

solo che non affiorano alla nostra coscienza.

• Il sentimento affiora alla coscienza appunto come lo conosciamo; il resto rimane fuori dalla nostra coscienza.

Che cosa significa effettivamente rimaner fuori dalla nostra coscienza?

 

È davvero molto difficile trovare nel linguaggio ordinario delle parole atte a caratterizzare esattamente queste cose.

Come il percepire e il pensare determinano in noi qualcosa che veramente è quasi un uccidere

(nel pensare però ha luogo una reazione che crea al tempo stesso

una specie di accensione di un elemento futuro vivente), così dobbiamo dire:

ogni sentimento che risiede in noi, ogni sentimento che sorge in noi,

non giunge in effetti a completo nascimento, non giunge completamente ad esistenza.

 

• Se dovesse affiorare tutto quanto risiede in noi quando sentiamo,

ciò che vive nel sentimento ci afferrerebbe del tutto diversamente, ci pervaderebbe di forza del tutto diversamente.

Quel che risiede dietro il sentimento, che lo rende un essere vivente,

un essere vivente la cui vita è alimentata da tutto il sistema planetario, non affiora direttamente in noi.

• Anche il sentimento affiora in noi come un’ombra di quel che realmente è.

 

Ne risulta che se riusciamo a penetrare con un senso di umanità più profondo nel mondo dei nostri sentimenti,

allora di fronte a ogni sentimento noi proviamo qualcosa che non ci soddisfa.

• Di fronte a ogni sentimento sentiamo che esso potrebbe essere intensificato,

che potrebbe affiorare con maggiore intensità.

• Di fronte al sentimento dobbiamo avere l’intima esperienza occulta

che esso potrebbe rivelarci assai più di quanto vi è riposto,

che esso nasconde qualcosa che vive nella nostra interiorità, nelle profondità dell’anima, e che affiora soltanto a metà.

 

Lo stesso avviene, ma in misura maggiore, se consideriamo la nostra volontà,

se consideriamo tutto il desiderio e la volontà che può esserci in noi.

Dietro la volontà sta l’entità spirituale, l’entità originaria che vive nel Sole.

Non soltanto dunque risiede nella volontà ciò che vive nei pianeti, ma anche ciò che vive nel Sole.

Però si nasconde. La volontà riesce a nascere ancor meno del sentimento.

 

La volontà ci pervaderebbe in modo del tutto diverso,

se quanto risiede in essa affiorasse interamente alla nostra coscienza.

• Della volontà non giunge a esprimersi se non la superficie più esterna, se non la schiuma più superficiale.

Il resto ci rimane nascosto.

 

Perché in fondo ci rimane nascosto nel sentimento e nella volontà un intero mondo?

 

Perché se venisse guardato dal piano fisico quel che ci rimane nascosto noi non potremmo sopportarlo.

Dal piano fisico ci apparirebbe in modo che noi vorremmo difendercene, vorremmo allontanarcene.

• Ciò che vive nel sentimento e nella volontà, e che non è nato, è karma in divenire.

 

Per fare un esempio concreto, supponiamo di provare un sentimento di ostilità contro qualcuno.

Quel che affiora alla nostra coscienza di tale sentimento di ostilità non è altro che il giuoco superficiale di un’onda,

ma vi stanno riposte forze che si estendono all’intero sistema planetario.

 

Quanto però ci resta nascosto è proprio quel che ci dice:

col tuo sentimento di ostilità tu coltivi in te qualcosa di imperfetto, qualcosa che deve essere da te pareggiato.

• Nel momento in cui affiorasse quel che vive nell’inconscio,

sorgerebbe al tempo stesso in noi l’immaginazione di ciò che nel karma deve pareggiare il sentimento ostile.

• Allora noi ci uniremmo con Lucifero e con Arimane per evitare quel pareggio,

perché giudicheremmo le cose dal punto di vista del piano fisico.

 

Ma sul piano fisico questo ci resta nascosto; ce lo nasconde il Guardiano della soglia

per la semplice ragione che noi potremo giudicare

quanto nel nostro sentimento e nella nostra volontà non giunge a nascimento

soltanto quando vivremo nel mondo spirituale fra la morte e una nuova nascita.

 

Solo allora vorremo quel che altrimenti non vorremmo mai;

solo allora vorremo che quanto corrisponde a un atteggiamento ostile venga realmente pareggiato,

perché solo allora avremo il giusto interesse per il contenuto della religione degli dèi,

per l’ideale dell’umanità che vuol renderci uomini assolutamente perfetti.

 

Noi sappiamo che quanto è stato prodotto da un sentimento di ostilità

dovrà essere compensato da un adeguato pareggio;

sappiamo che quanto dei nostri sentimenti e della nostra volontà non è giunto a nascimento,

dovrà restar conservato per il periodo dopo la morte, e che solo allora si manifesterà.

 

Come si vede ho esposto quattro aspetti del nucleo animico dell’uomo.

• Mentre percepiamo il mondo esterno, abbiamo dunque una specie di cadavere-fantasma fisico in noi

che è veramente come lo strato opaco nello specchio del nostro corpo fisico.

• Abbiamo poi in noi in certo modo un oscuramento del corpo eterico.

• Abbiamo nel corpo astrale qualcosa che nel tempo fra nascita e morte non giunge a nascimento.

• Della volontà (io) portiamo in noi qualcosa che pure non arriva a nascimento in questo tempo.

 

• Quanto del nostro sentimento resta non nato, vive nel corpo astrale.

• Quanto della volontà resta non nato, vive nell’io.

Questo quadruplice aspetto, che l’uomo porta in sé, dovrà essere risvegliato nel tempo fra morte e rinascita,

ma vive in noi, come nostro nucleo animico, con altrettanta certezza

quanto vive nella pianta il seme che si svilupperà il prossimo anno.

 

Si vede dunque che possiamo parlare non soltanto genericamente di un nucleo animico, ma possiamo persino considerarlo nella sua quadruplicità. Quando per esempio abbiamo una sensazione che ci procura un malessere da dentro, quando non ci sentiamo completamente in armonia con la nostra vita, questo avviene perché dalla parte non nata dei nostri sentimenti viene esercitata una pressione sulla parte cosciente dei medesimi.

Come può essere evitata tale pressione? Essa è un pericolo a cui in fondo l’uomo si trova esposto sempre, perché quel che ora ho descritto, in quanto si riferisce al sentimento e alla volontà, ossia a ciò che nel senso della prima conferenza rappresenta più che mai la nostra vita animica interiore, ci porta una disarmonia interiore.

Se regnasse una giusta armonia fra la parte nata del sentimento e della volontà, e la parte non nata che resta dietro la soglia della coscienza, se fra queste due parti dominasse un giusto rapporto, una giusta armonia, allora noi attraverseremmo il nostro mondo sensibile come uomini soddisfatti e forti. Qui risiede effettivamente la causa di ogni malcontento interiore.

 

Quando qualcuno prova un malcontento interiore,

esso proviene dalla pressione esercitata dalla parte subcosciente del sentimento e del volere.

 

Devo ora aggiungere a quanto finora è stato detto che a questo riguardo l’entità dell’uomo si è indubbiamente modificata durante il corso dell’evoluzione. Le cose descritte ora sono così nel nostro tempo. Ma non furono sempre così.

In tempi più antichi dell’evoluzione dell’umanità, per esempio durante le civiltà paleoindiana, paleopersiana ed egizia, erano diverse. Anche in quei tempi naturalmente le percezioni fluivano nell’uomo, e in esse erano contenute immaginazioni, ispirazioni e intuizioni, ma allora l’influsso di immaginazioni, ispirazioni e intuizioni non restava come oggi tanto inefficace per l’uomo. Esse non uccidevano totalmente l’interiorità fisica dell’uomo, non provocavano un condensamento minerale così completo.

Ciò derivava dal fatto che in quei tempi antichi, quando in determinate circostanze le percezioni colpivano l’uomo da fuori, dall’altra parte, ossia dalla parte del sentimento e della volontà, veniva anche suscitato qualcosa.

Se per esempio si risale agli antichi tempi della civiltà egizio-babilonese e si considerano gli uomini di allora, si può costatare che essi percepivano in modo del tutto diverso da oggi.

Indubbiamente essi si trovavano come noi di fronte al mondo sensibile esterno, ma il loro corpo era ancora organizzato in modo che l’azione esercitata dalle immaginazioni nascoste nelle percezioni sensorie non era soltanto distruttiva; quelle immaginazioni pervadevano invece l’uomo con una certa vivezza.

Ma appunto perché lo pervadevano con vivezza, esse provocavano nella sua interiorità la controimmagine di quanto ora rimane totalmente nascosto nell’io e nel corpo astrale.

 

Le entità spirituali del Sole e del sistema planetario gli movevano incontro dall’interno

e rispecchiavano in certo modo quello che l’immaginazione vivificava da fuori.

Così in certi momenti,

quando un appartenente alle civiltà egizia o babilonese rivolgeva lo sguardo al mondo fisico,

riceveva le percezioni fisiche non solo come le riceviamo noi, ma vivificate.

Egli sapeva che là dietro ad esse vi era qualcosa che si esplicava in immaginazioni.

 

Perciò egli non era tanto stolto da supporre, come fanno i nostri fisici attuali,

che dietro le percezioni vi fossero vibrazioni atomiche materiali, ma sapeva che dietro vi era vita;

dalla sua interiorità gli sorgevano e gli raggiavano incontro

le immagini del cielo stellato vivificato, e perfino del Sole.

Questo fenomeno si verificò con particolare intensità durante la civiltà persiana, quando nel percepire esteriore

risplendeva veramente qualcosa dell’intima forza spirituale del Sole, di Ahura Mazdao.

 

Se risaliamo a tempi ancora più remoti, troviamo anche più accentuata questa cooperazione, questo muoversi incontro di interiore ed esteriore. Oggi ciò non può più essere, ma può esservi un surrogato.

Qui giungiamo a un punto in cui comprenderemo, in certo modo per virtù delle cose stesse, il compito che ci spetta nell’àmbito della concezione antroposofica del mondo. Deve venir creato un surrogato.

 

Noi stiamo di fronte al mondo esterno con le nostre percezioni.

Riflettiamo su di esse, mentre una parte del mondo esterno resta per noi inaccessibile,

la parte che esercita su di noi un’azione mortificante e oscurante.

Ma con la scienza dello spirito possiamo vivificare quel che in tal modo viene ucciso e oscurato.

Appunto in virtù della vivificazione di quanto altrimenti viene ucciso e oscurato,

nasce una scienza, quale è quella descritta nella mia Scienza occulta per le evoluzioni di Saturno, Sole e Luna.

 

Ogni uomo porta in sé la conoscenza delle evoluzioni di Saturno Sole e Luna;

essa giace però nei sostrati della sua coscienza.

• Se la vedesse semplicemente, senza aver avuto una sufficiente preparazione,

egli non vorrebbe essere uomo terreno, non vorrebbe avere a che fare con la Terra,

ma aspirerebbe a terminare il suo sviluppo con l’evoluzione lunare.

 

Tutte le cognizioni che possiamo acquistare mercé la scienza dello spirito,

in quanto penetrano in noi,  illuminano quel che dell’evoluzione passata ci rimane nascosto.

 

Infatti le immaginazioni, ispirazioni e intuizioni

che vivono nelle impressioni sensorie e non penetrano in noi,

che sono osservate attraverso il velo delle impressioni sensorie,

sono in effetti quel che abbiamo vissuto in passato.

Diverso è quel che risiede nel nostro sentire e volere.

 

Qualcuno può dire, e molti oggi sentono l’impulso a dirlo, che non interessa ciò che escogitano o hanno escogitato delle teste bislacche intorno a un mondo soprasensibile. Non accettano idee simili. Chi dice così non si è mai reso conto del perché le religioni siano sorte nell’evoluzione del mondo.

 

Una caratteristica comune a tutte le concezioni religiose

è che esse si riferiscono a cose che l’uomo non può percepire materialmente;

l’uomo deve cioè formarsi delle rappresentazioni religiose di ciò che non può percepire con i sensi.

 

• Affinché quanto di non nato nel nostro sentimento e nella nostra volontà possa agire dopo la morte,

affinché ciò possa realmente agire, non ci occorrono le rappresentazioni che noi possiamo formarci

mediante le nostre percezioni dei sensi o il nostro intelletto collegato al cervello. Queste non ci aiutano per nulla.

 

• Soltanto e unicamente le rappresentazioni corrispondenti a qualcosa che sia reale, ma non in senso esteriore,

che una volta accolto ci rende più pii e ci incita ad alzare lo sguardo a un mondo spirituale,

soltanto tali rappresentazioni ci dànno l’impulso, ci dànno le ali a noi necessarie dopo la morte.

 

Avere rappresentazioni religiose significa rappresentarsi

ciò che ancora non può agire in noi, ma che è una forza per dopo la morte.

 

• Con le rappresentazioni religiose noi non accogliamo soltanto delle conoscenze,

ma anche qualcosa che può diventare attivo dopo la nostra morte.

Appunto perciò chi nel corpo fisico non vuol riflettere su tali forze,

ne può ridere e respingerle nel suo materialismo.

Se però non si compenetra con rappresentazioni del soprasensibile,

egli avrà soltanto una forza paralizzata per sviluppare ulteriormente ciò che in lui non è giunto a nascimento.

Perciò occorre ripetere: quel che è passato viene illuminato dalla coscienza chiaroveggente.

 

Oggi ciò viene di nuovo riconosciuto anche nella forma in cui esisteva un tempo dietro il velo del mondo sensibile come immaginazione, ispirazione e intuizione.

Anticamente questo era dato agli uomini in forma di fede religiosa, perché gli uomini non perdessero forza e slancio necessari nel tempo dopo la morte, e perché avessero qualcosa nel centro dell’anima che potesse conservarli vivi anche dopo aver deposto il corpo fisico.

 

Ora è venuto il tempo in cui gli uomini, grazie alla comprensione data dalla scienza dello spirito,

devono formarsi rappresentazioni sui mondi soprasensibili.

• Perciò non potremo mai stancarci di ripetere che nel mondo soprasensibile

queste cose possono essere ricercate solo da un investigatore dello spirito.

• Ma quando siano state investigate, allora nell’intima profondità della nostra anima

vi è qualcosa che è come un linguaggio occulto dell’anima,

qualcosa che può comprendere quel che è stato investigato dall’occultista.

 

Solo i pregiudizi dell’intelletto e dei sensi potranno considerare stolto e fantastico

quanto ci è dato dalla ricerca spirituale sotto forma di rappresentazioni soprasensibili,

quanto, se viene accolto, conferisce forza ed ala al centro dell’anima

affinché per tutto l’avvenire possa trovare la via verso il cosmo.

 

Il contenuto del mondo spirituale

• potrà essere sempre investigato solo da chi compie uno sviluppo esoterico,

• ma conoscere tale contenuto,  elaborarlo interiormente nella coscienza, possederlo in concetti e idee,

possederlo come certezza dell’esistenza dell’anima nel mondo spirituale,

è un nutrimento spirituale che sempre più sarà necessario agli uomini.

Questo ci mostra concretamente quale sia la missione del nostro movimento antroposofico.

 

Nei tempi antichi

• la conoscenza si vivificava ancora dall’alto, • e il suo contenuto le si faceva incontro dal basso.

Perciò gli antichi avevano ancora una coscienza diretta dei mondi spirituali;

essa però sempre più andò oscurandosi e attutendosi.

 

Se non si fosse oscurata e attutita, l’uomo non sarebbe giunto alla completa coscienza del suo io.

• L’uomo può giungervi soltanto se nel suo corpo fisico

si forma in massimo grado il cadavere-fantasma di cui ho parlato.

• Il nostro corpo fisico, in quanto entità trasparente,

deve essere interamente ricoperto, come uno specchio, da uno strato oscuro;

soltanto se sarà interamente ricoperto da quello strato, noi potremo sentirci in modo da dire: io sono un io.

 

Questa totale copertura si è andata formando però lentamente e gradatamente;

si è andata formando durante il corso dell’evoluzione dell’umanità,

e si è compiuta al tempo del mistero del Golgota. Allora la copertura fu compiuta.

 

Prima s’incontravano ancor sempre il sotto e il sopra;

nell’entità umana il sotto e il sopra venivano ad incontrarsi.

Ma si potrebbe dire: il sotto e il sopra vennero totalmente espulsi

solo quando la formazione dello strato oscuro dello specchio fu compiuta,

ossia quando nell’evoluzione dell’umanità avvenne il mistero del Golgota.

Che cosa avvenne effettivamente allora?

 

Osserviamo esattamente quel che avvenne.

Rappresentiamoci ben chiaramente gli uomini antichi dei tempi

che precedettero il mistero del Golgota; rappresentiamoci la loro coscienza.

• Da fuori penetra in essa la vivificazione delle immaginazioni;

• da dentro affiorano immagini del mondo spirituale extraumano.

Che cosa sono le immagini che affiorano allora nell’uomo?

 

Come è noto, in passato ciò era possibile per lo stato attutito della coscienza umana.

Coloro che ne erano al corrente

e che in quanto iniziati erano in grado in passato di contemplare l’anima umana e di scorgere in essa

l’incontro fra le immaginazioni vivificate da fuori e le visioni da dentro,

non dicevano che l’uomo vedeva questo da solo, ma dicevano per esempio che Jahve o Jehova

contemplava il suo mondo entro l’uomo.

 

Così era presso gli antichi ebrei. Iddio pensava nell’uomo.

Come oggi, nel ciclo attuale dell’evoluzione, quando ci vengono delle idee diciamo che noi pensiamo,

così chi negli antichi tempi conosceva queste cose, quando sorgevano le visioni del mondo spirituale

diceva che gli dèi pensavano in noi.

Oppure, quando fu riconosciuta col monoteismo l’unità del divino, si diceva che Jehova pensava nell’uomo.

L’uomo è la scena su cui si svolgono i pensieri divini.

 

Gli uomini si sentivano ricolmi di pensieri e quindi dicevano che gli dèi pensavano in loro.

Ma nell’evoluzione umana ciò doveva diventare sempre meno possibile;

fu necessario che le visioni e i pensieri degli dèi incontrassero nella natura umana una sempre maggiore oscurità.

L’intimo cadavere fantasma diventò sempre più intenso e predominante.

 

Si avvicina il tempo in cui dalla natura umana non affioravano più dei pensieri incontro agli dèi.

• Allora l’entità divina di cui si poteva dire che pensava nell’entità umana,

sentì che la sua coscienza, consistente di pensieri, diventava sempre più ottusa, sempre più crepuscolare.

• In questo essere divino sorse l’anelito a suscitare una nuova forma di coscienza.

 

Gli uomini giungono a una nuova forma di coscienza;

creando una nuova coscienza gli dèi creano così qualcosa di essenziale;

nasce in tal modo per essi qualcosa di essenziale.

• Per l’entità divina di cui parliamo, che sentiva attutire la sua coscienza,

l’elemento essenziale che allora ebbe origine è il Cristo.

Il Cristo è il figlio della divinità che ristabilisce la coscienza della divinità nell’attività umana.

Così l’entità del Cristo dovette inserirsi nell’entità umana.

 

Dobbiamo esserne consapevoli;

• in quanto percepiamo il mondo sensibile, facciamo fluire in noi continuamente un processo di morte.

• Facciamo fluire in noi tenebre e oscuramento quando pensiamo sul mondo,

• e lasciamo qualcosa di non nato in noi quando sentiamo e vogliamo.

 

• Tutto ciò giace nei sostrati della nostra coscienza;

in essi noi facciamo fluire il nostro morire e il non nato in noi,

di cui potremo servirci soltanto quando saremo morti.

• Tutto ciò però sarebbe storpiato, se non potessimo immergerlo nell’entità

che il mondo divino ha generato come essenza di una nuova coscienza,

se non potessimo farlo fluire nell’entità del Cristo.

 

• In quanto riconosciamo veramente, grazie alla scienza dello spirito,

il senso di tutta l’evoluzione, possiamo avere tale coscienza;

noi sommergiamo nelle profondità subcoscienti ciò che muore in noi, ma questo morire viene accolto;

il morire che sommergiamo sempre più in noi viene accolto dal Cristo che ci si fa incontro vivente.

• In ciò che muore in noi, che si oscura in noi, che non nasce in noi, sorge per noi il Cristo.

 

Facciamo morire ciò che deve morire in noi,

per poterci accostare al vero ideale dell’umanità con tutte le nostre disposizioni,

ma facciamo fluire nell’entità del Cristo,

che dalla origine del cristianesimo in poi pervade l’evoluzione umana,

ciò che di morto facciamo fluire in noi.

 

Quanto di non nato resta in noi, il nostro sentire e volere,

sappiamo che verrà accolto dalla sostanza del Cristo nella quale viene immerso dopo la morte.

• Dopo essere passato per il Golgota, il Cristo vive infatti in noi.

• Nel Cristo riversiamo quel tanto di morto che accompagna ogni percezione.

• Nell’entità del Cristo riversiamo l’oscuramento del pensiero.

 

Nella luce, nella luce solare spirituale del Cristo, noi immergiamo i nostri pensieri oscurati,

e quando attraversiamo la porta della morte,

i nostri sentimenti non nati e il nostro volere non nato s’immergono nella sostanza del Cristo.

Se comprendiamo giustamente l’evoluzione, dobbiamo dire: nel Cristo noi moriamo.

In Christo morìmur.