Il quarto periodo di civiltà postatlantico

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 29.05.1908


 

Ricapitoliamo ancora una volta le grandi linee dell’evoluzione.

La prima civiltà postatlantica è quella paleo-indiana, la seconda è la paleo-persiana, la terza quella assiro-babilonese-caldeo-egizia, la quarta quella greco-latina e la quinta è la nostra attuale civiltà. Prima che avesse inizio il quarto periodo, si staccò dal terreno del terzo, come un misterioso filone, quel popolo che con le sue tradizioni fornì il terreno su cui germogliò il cristianesimo.

E se teniamo presente tutto quanto abbiamo acquistato attraverso le considerazioni che precedono, troveremo ancora più comprensibile il fatto che la venuta del Cristo dovette cadere entro il quarto periodo di civiltà.

 

Abbiamo già messo in rilievo come in questo quarto periodo l’uomo fosse giunto al punto da proiettare fuori di sé, obiettivato nel mondo, il proprio io, la propria spiritualità; abbiamo veduto come l’uomo a grado a grado abbia compenetrato la materia col proprio spirito, coll’io.

Nelle opere degli scultori e dei tragici greci s’incorpora, rendendosi visibile all’anima, ciò che l’uomo può considerare il proprio patrimonio animico.

 

Nel mondo romano, poi, si fissa nel « jus », nel diritto, l’idea che l’uomo aveva acquistato di se stesso, nella propria coscienza. E non importa che una scienza giuridica divenuta confusionaria voglia oggi celare questo rapporto. Per chi veda più a fondo l’essenza della giurisprudenza, è evidente che il « diritto » vero e proprio, che considera l’uomo quale soggetto del diritto, è nato solo nel periodo romano. Solo allora l’uomo era diventato tanto consapevole della propria persona, da sentirsi un vero cittadino. Ancora in Grecia il singolo si sentiva come un elemento costitutivo della città-stato: era considerato più importante essere un ateniese che un uomo singolo. Ma era ben differente il dirsi « sono un romano » dal dirsi « sono un ateniese ».

 

Nelle parole « io sono un romano » era implicita l’affermazione d’un valore, d’una volontà legati al fatto d’essere cittadini di quello stato. Così pure è possibile dimostrare, ad esempio, che anche il concetto di « testamento » risale a quell’epoca, è un concetto romano. Solo allora infatti l’uomo aveva reso tanto personale la sua volontà, da volerne estendere l’effetto anche dopo la morte. Le cose che si debbono affermare fondandosi sulla scienza dello spirito coincidono fin nei particolari con i fatti reali.

Così dunque l’uomo era pervenuto a compenetrare sempre più la materia con il proprio spirito; e questo si andò dimostrando sempre più nei tempi successivi.

 

• Il quarto periodo di civiltà postatlantico fu quello in cui l’uomo incorporò completamente nella materia ciò che comprendeva con il proprio spirito.

Nella piramide egiziana si scorge ancora come la materia e lo spirito lottino l’uno con l’altro, come la materia non esprima ancora del tutto ciò che viene concepito dallo spirito.

 

Nel tempio greco si esprime il punto di svolta dell’intera età postatlantica.

E per chi ne comprende l’essenza, non esiste nessun’altra architettura più significativa, più compiuta di quella greca, l’espressione purissima della legge spaziale interiore. La colonna vi è concepita come perfetto strumento portante e ciò che poggia su di essa è stato sentito profondamente in modo da dover essere portato e da esercitare una pressione. L’idea dello spazio, sovrana, emancipata, è stata svolta nel tempio greco fino alle ultime conseguenze. Pochi uomini nei tempi successivi sentirono l’idea dello spazio come la si sentì allora. Ci furono sì ancora, più tardi, degli uomini che sentirono l’idea spaziale, ma in modo pittorico. Provate a verificare lo spazio nella Cappella Sistina: ponetevi ai piedi della parete recante l’affresco del Giudizio e guardate in alto.

 

Vedrete che quella parete sale verso l’alto obliquamente. E questo perché il costruttore aveva sentito davvero lo spazio e non in modo astratto, come gli altri uomini. Ecco perché quella parete si erge così mirabilmente obliqua. Questo significa sentire lo spazio in modo differente dai greci. Esiste un senso artistico capace di sentire le segrete misure, nascoste nello spazio. Sentire architettonicamente significa qualcosa di diverso dal sentire solo per l’occhio. Oggi la gente è portata facilmente a credere che tutto si equivalga, la destra e la sinistra, l’alto e il basso, ciò che sta davanti e ciò che sta dietro.

 

Basta considerare quanto segue: esistono dei dipinti dove sono rappresentati diversi angeli librati in volo. Questi possono essere dipinti in modo che si sia indotti a credere, con ragione, che potrebbero cadere da un momento all’altro! Ma potrebbe anche darsi che, dipinti da uno che abbia sviluppato veramente il senso dello spazio, non diano affatto quell’impressione di star per cadere: ci si rende conto che non possono cadere, che si reggono a vicenda. In questo caso si tratta d’una realizzazione pittorica dei rapporti dinamici dello spazio.

 

I greci vissero questi rapporti dinamici architettonicamente: nell’orizzontale essi non sentivano solo la linea, bensì la forza di pressione, e nella colonna non vedevano solo un palo, ma la sentivano come forza portante. Questa partecipazione sentita alle linee dello spazio significa « sentire lo spirito vivente che geometrizza ». È questo che intende Platone, quando usa l’espressione straordinaria: « Dio geometrizza di continuo! ». Quelle linee esistono realmente nello spazio e il greco le seguiva, nel costruire i suoi templi.

 

Che cos’è, in realtà, il tempio greco?

È di necessità la dimora del Dio; è qualcosa di completamente differente dalla chiesa d’oggi. La chiesa è un luogo di predicazione; nel tempio greco dimorava il Dio stesso; gli uomini vi si trovano solo accidentalmente, in quanto vogliono stare presso la divinità.

 

Chi comprende le forme del tempio greco, intuisce un misterioso rapporto con la divinità presente nel tempio. Nelle colonne e in ciò che vi si sovrappone non si può scorgere un frutto della fantasia degli uomini, bensì qualcosa che il Dio stesso avrebbe fatto a quel modo, se avesse voluto costruirsi una dimora. In quelle costruzioni si raggiunse il culmine, quanto a compenetrazione della materia con lo spirito.

 

Proviamo a confrontare il tempio greco con la chiesa gotica. Non si vuole naturalmente dir niente contro il gotico, perché, da un altro punto di vista, quest’ultimo si trova anzi a un livello più alto. Le forme che si esprimono nella chiesa gotica sono inconcepibili senza la moltitudine dei fedeli; esse sembrano in certo modo incomplete senza i fedeli che congiungono devotamente le mani, simili agli archi a sesto acuto.

La chiesa gotica non è soltanto la dimora di Dio, ma anche il luogo di raccolta della folla in preghiera.

 

Così l’umanità superò, in certo modo, il punto culminante della propria evoluzione. Infatti più tardi vediamo decadere quella mirabile sensibilità ellenica per le linee dello spazio, che si manifesta nelle colonne e negli architravi. Per la sensibilità greca, una colonna che non porti, che esista solo come motivo di decorazione, non è una colonna. Ora nell’evoluzione umana tutto concorda perfettamente.

 

La civiltà greca fu la più bella compenetrazione della coscienza, che l’umanità aveva scoperta in sé, con il divino che veniva sentito fuori, nello spazio.

In quella civiltà l’uomo aderiva intimamente e del tutto al mondo fisico-sensibile.

 

È semplicemente assurdo che degli eruditi d’oggi pretendano di nascondere quelli che furono i sentimenti di età passate. Dal punto di vista della scienza dello spirito, il quarto periodo postatlantico è quello in cui l’uomo si trova in perfetto accordo col mondo che lo circonda. E solo quella età, in cui l’uomo aderiva così perfettamente alla realtà esteriore, era atta a comprendere che il divino potesse apparire entro un singolo uomo.

 

Nessuna età precedente lo avrebbe potuto comprendere, perché sentiva il divino come assai troppo alto e sublime, per potersi manifestare in una figura fisica umana. Anzi, si voleva proprio preservare il divino dalla figura umana; per questo, proprio al popolo che doveva concepire l’idea di Dio nella sua forma più spirituale, dovette venir comandato: « Non ti farai delle immagini… ».

 

Sul fondamento di siffatte concezioni si sviluppò quel popolo e dal suo grembo sorse poi l’idea del Cristo, l’idea che lo spirituale dovesse apparire nella carne. A questo fine quel popolo fu eletto; e l’evento cristico dovette compiersi in mezzo ad esso, nel quarto periodo postatlantico.

 

Perciò l’intero divenire dell’umanità si distingue, per la coscienza cristiana, in due età: quella precedente e quella successiva all’evento del Cristo.

L’uomo-Dio potè venir compreso dall’uomo solo in un tempo determinato.