«Il sangue è un succo molto peculiare», dice Goethe nel Faust

O.O. 100 – Evoluzione dell’Umanità e conoscenza del Cristo – 19.11.1907


 

Il Dio della forma, Jahvé, vi svolge un ruolo di particolare importanza.

Dopo avere acquisito il dominio sul nuovo organo, il sangue,

Jahvé lo permeò delle proprie forze,

trasformò le qualità aggressive dell’anima di coraggio nelle forze dell’amore

e fece del sangue il portatore fisico dell’Io.

 

All’inizio non tutti gli esseri umani avevano un proprio Io.

 

In tutti i consanguinei, in coloro che conservavano il medesimo sangue

mediante i matrimoni tra membri della stessa famiglia,

agiva la medesima forza jahvetica, la forza-Io del medesimo Io.

 

Un piccolo gruppo come questo aveva, dunque, un Io collettivo.

 

Il singolo individuo stava a tutta la famiglia come un dito sta a tutto il corpo.

 

All’inizio c’erano solo anime di gruppo.

Il singolo percepiva se stesso solo come parte della stirpe.

 

Finché il sangue rimase esente da mescolanze, finché i membri della stirpe si sposarono solo tra con sanguinei,

si sentì vivere lo stesso Io, oltre che nei contemporanei, anche nelle varie generazioni successive.

L’Io, perciò, non era percepito come qualcosa di personale, ma come un elemento comune a tutti gli appartenenti alla stirpe.

 

Come l’uomo ricorda tutte le esperienze vissute dalla nascita in poi,

così gli uomini di quell’epoca ricordavano le azioni compiute dagli antenati consanguinei,

e le ricordavano come se a compierle fossero stati loro stessi.

 

Nipoti e pronipoti sentivano in sé lo stesso Io degli avi e dei bisavoli.

Si svela così il segreto della straordinaria longevità dei patriarchi.

“Adamo”, per esempio, non era il nome di un singolo individuo,

era la denominazione dell’Io comune che scorreva attraverso le generazioni.