Il sangue è un succo molto peculiare

O.O 55 – Il sangue è un succo molto peculiare – 25.10.1906


 

Molti ricorderanno che la conferenza di oggi, per il suo titolo, si ricollega a un verso del Faust di Goethe. Tutti sanno che in quel poema viene raccontato come Faust, il rappresentante delle massime aspirazioni umane, stringa un patto con le potenze del male, rappresentate a loro volta nel poema dà Mefistofele, inviato dall’inferno. E tutti sanno che Faust deve sottoscrivere col sangue il patto scritto con Mefistofele. In un primo tempo Faust crede che si tratti di una buffonata, ma Mefistofele dice a questo punto la frase presa senza dubbio sul serio da Goethe: «Il sangue è un succo molto peculiare».

 

A proposito di questo passo del Faust di Goethe, è capitato qualcosa di strano ai cosiddetti commentatori di Goethe. È noto che sul Faust di Goethe esiste una letteratura talmente copiosa che se ne potrebbero riempire biblioteche intere, e naturalmente non può essere mio compito addentrarmi in quello che i diversi commentatori di Goethe dicono proprio in merito a questo passo del Faust; d’altra parte essi non dicono molto di più di quanto non dica per esempio uno degli ultimi commentatori del Faust: il prof. Minor. Come altri commentatori egli interpreta la frase come qualcosa che verrebbe detta da Mefìstofele nel tono di un’osservazione ironica. Minor fa inoltre una strana osservazione, in realtà molto strana (e stiamo attenti a quello cui può giungere un commentatore di Goethe, magari per meravigliarcene); fa dunque l’osservazione: «Il diavolo è il nemico del sangue», intendendo così che il sangue sarebbe ciò che in sostanza eleva e conserva la vita umana, e che quindi il diavolo, nemico del genere umano, potrebbe anche essere nemico del sangue. Inoltre, e con ragione, fa anche notare che già nelle più antiche elaborazioni della saga faustiana, come pure nelle saghe in genere, il sangue svolge la stessa funzione.

 

In un antico libro sul Faust viene descritto con chiarezza che Faust si fa un taglio sulla mano sinistra con un temperino, che poi raccoglie con la penna il sangue che scorre, che scrive il suo nome sotto il patto, e che infine il sangue coagulato sulla mano sinistra forma le parole: «Oh uomo, fuggi!».

 

Tutto questo è giusto, ma torniamo ora all’osservazione che il diavolo sarebbe un nemico del sangue e che quindi richiederebbe la firma con il sangue, appunto perché ne sarebbe nemico. Vorrei ora chiedere se qualcuno può pensare che Mefìstofele richieda proprio ciò che gli è antipatico. Secondo buon senso si può solo presumere che in questo punto Goethe (e con Goethe tutta la saga e tutti i precedenti poemi su Faust) abbia potuto solo intendere che il diavolo attribuiva qualcosa di speciale al sangue, e che per lui non era indifferente di avere il patto sottoscritto con un usuale e neutro inchiostro, oppure con il sangue. Qui non si può presumere altro se non che il rappresentante delle potenze cattive crede, è convinto che potrà avere in mano Faust soprattutto se potrà appropriarsi almeno di una goccia del suo sangue.

 

Questa spiegazione è del tutto naturale, e nessuno può intendere il passo se non nel senso che Faust deve sottoscrivere con il sangue non perché il diavolo è un nemico del sangue, ma perché egli vuole appropriarsi del sangue.

Ne ricaviamo quindi la strana sensazione che chi si impadronisce del sangue dell’uomo può anche avere il dominio sull’uomo stesso; che quindi il sangue sia un succo del tutto peculiare, perché in un certo senso esso è ciò per cui in sostanza si deve combattere, quando si lotta per il bene o per il male nell’uomo.

 

Tutte le cose che ci sono pervenute dalle saghe e dai miti del popolo e che si riferiscono alla vita umana, rispetto a tutta la concezione dell’uomo saranno sottoposte nel nostro tempo a una speciale trasformazione. È oramai superato il tempo nel quale si guardava a saghe, favole e miti come se in essi si manifestasse solo una fantasia popolare infantile. È passato anche il tempo in cui, in un dotto modo infantile, si diceva che nella saga si sarebbe manifestata la poetica anima del popolo. L’anima poetica del popolo non è altro che un prodotto dell’erudizione immatura, perché vi è un’erudizione immatura come vi è una burocrazia immatura. Chi può guardare nell’anima del popolo sa benissimo che nel popolo non vi sono poesie e cose del genere, ma qualcosa di molto più profondo che si manifesta nelle sue saghe e nelle sue fiabe con le loro potenze meravigliose e i loro meravigliosi eventi.

 

Se ci approfondiamo di nuovo nelle saghe e nei miti con la nuova prospettiva dell’indagine spirituale, se facciamo agire su di noi le grandiose e poderose immagini che ci sono tramandate da tempi antichissimi, dopo aver acquisito i metodi di indagine della scienza dello spirito, quei miti e quelle saghe ci appaiono l’espressione di una profonda e antichissima saggezza.

 

È vero che ci si può chiedere come mai, là dove abbiamo a che fare originariamente con primitivi stadi popolari, con primitive concezioni popolari, l’uomo ingenuo potesse immaginativamente vedere gli enigmi del mondo nelle saghe e nelle favole, e come mai noi vediamo in immagini quel che oggi ci svela l’indagine spirituale, quando ci approfondiamo nelle saghe e nelle favole. Ciò deve innanzi tutto risvegliare la nostra meraviglia.

Per chi però si immedesima sempre più profondamente nel modo in cui sono sorti i miti e le favole, scompare ogni dubbio, e nei miti e nelle favole egli vede non solo una concezione ingenua, ma la saggia espressione di un’antichissima, vera e saggia concezione del mondo. Di più, ancora molto di più si può imparare studiando positivamente la base dei miti e delle saghe, invece di accogliere in sé la scienza odierna, razionale e sperimentale. Naturalmente bisogna accostarsi a queste cose armati dei metodi di indagine della scienza dello spirito. Tutto ciò che si trova in merito al sangue nelle saghe e nelle antiche concezioni del mondo è di grande importanza, perché in quegli antichissimi tempi si aveva una saggezza che ben sapeva in merito al sangue, quel succo peculiare che è la stessa vita umana che scorre, e alla sua importanza per il mondo.

 

Oggi non ci occuperemo da dove provenisse in tempi antichissimi quella saggezza, anche se alla fine della conferenza ne dovremo fare un cenno. Il vero e proprio studio di tale argomento sarà oggetto di successive conferenze. Oggi vogliamo considerare bene il sangue stesso, nella sua importanza per l’umanità e per lo svolgersi della civiltà umana.

Qui non verrà offerto uno studio fisiologico o puramente scientifico, ma uno studio tratto dalla concezione spirituale del mondo. Penetreremo nel modo migliore in questo problema divenendo innanzi tutto coscienti dell’importanza di una frase antichissima, di un detto proveniente dalla civiltà degli antichi egizi presso i quali era dominante la saggezza sacerdotale di Ermete; una frase che serve come base per ogni scienza dello spirito, che viene chiamata la massima di Ermete e che suona così: «Tutto è in alto come è in basso».

 

Si possono trovare alcune spiegazioni dilettantesche di questa frase, mai la spiegazione che oggi ci occuperà è la seguente: per ogni scienza dello spirito è chiaro che il mondo accessibile in un primo tempo all’uomo mediante i suoi cinque sensi non rappresenta tutto il mondo, ma è solo la manifestazione di un altro mondo più profondo, nascosto dietro quello visibile, del mondo spirituale.

Nel senso della massima di Ermete il mondo spirituale viene chiamato mondo superiore, mentre viene chiamato mondo inferiore, manifestazione di quello spirituale, il mondo sensibile che si dispiega attorno a noi, che possiamo percepire con i nostri sensi e studiare col nostro intelletto. L’indagatore dello spirito non vede quindi nel mondo sensibile il fine ultimo della sua indagine, ma una specie di fisionomia che gli manifesta un mondo animico e spirituale posto dietro quello sensibile, proprio come non si rimane alle forme del viso e ai gesti, considerando l’aspetto umano, ma naturalmente dai gesti e dalla fisionomia si viene condotti a ciò che l’anima e lo spirito esprimono in essi.

Quel che fa l’uomo ingenuo quando si trova di fronte un essere animato, fa anche l’occultista o l’indagatore dello spirito di fronte al mondo. Applicata all’uomo, la frase: «Tutto è in alto come è in basso», significa che nel viso si manifestano gli impulsi esistenti nell’anima: la rozzezza dell’anima in un viso duro e aspro, in un sorriso la gioia interiore, nelle lacrime i dolori dell’anima.

 

Cerchiamo ora di avvicinare alla massima di Ermete la domanda: che cosa è in sostanza la saggezza? Nella scienza dello spirito si è sempre detto che la saggezza umana è legata all’esperienza, anzi all’esperienza dolorosa. Chi è direttamente invischiato nel dolore mostrerà forse in esso un’interiore disarmonia. Chi invece ha superato il dolore e ne porta in sé i frutti, potrà dirsi sempre che in tal modo ha acquisito un po’ di saggezza. Accetto con riconoscenza le gioie e i piaceri della vita, le soddisfazioni che la vita mi offre, ma meno di tutto voglio rinunciare ai dolori che ho dietro di me: devo la saggezza ai miei dolori. Da sempre l’indagine spirituale vede nella saggezza una specie di dolore cristallizzato, un dolore che è stato superato e che si è trasformato nel suo contrario.

 

È ora interessante che anche la ricerca materialistica di oggi sia arrivata allo stesso risultato e in modo abbastanza strano.

Di recente è apparso un bel libro che tratta della mimica del pensatore, un libro che vai la pena di leggere. Il libro non è scritto da uno studioso di scienza dello spiritò, ma da uno studioso della natura, della psiche. Egli cerca di mostrare come la vita interiore dell’uomo, il suo modo di pensare, giunga ad espressione nella fisionomia; l’autore fa anche notare che il pensatore ha sempre nell’espressione del suo volto qualcosa che ricorda un dolore superato.

Quale bella conferma di un’antichissima massima della scienza dello spirito, vediamo così riaffiorare lo stesso principio nella concezione più materialistica del nostro tempo. Approfondiremo sempre più questo principio, e troveremo che passo a passo l’antichissima saggezza ritornerà accessibile alla scienza di oggi.

 

Costituisce l’essenza dell’indagine spirituale il fatto che tutto quanto ci circonda nel mondo: la struttura minerale della nostra Terra, il suo manto vegetale e il mondo animale, sia considerato la manifestazione fisionomica di una vita spirituale che vi sta dietro, oppure la parte inferiore di un’altra superiore.

In una prospettiva occulta, o di scienza dello spirito, viene giustamente compreso quanto ci viene dato nel mondo sensibile, quando si conosca la parte superiore, l’archetipo spirituale, l’essere spirituale dal quale tutto deriva.

Così oggi ci occuperemo di che cosa si nasconda dietro la manifestazione del sangue, di ciò che creò con il sangue nel mondo sensibile una manifestazione fisionomica. Dopo aver acquisito il sostrato spirituale del sangue, si comprenderà anche come una tale conoscenza possa agire su tutta la nostra vita spirituale.

 

Grandi problemi si presentano agli uomini nel nostro tempo: problemi educativi e non solo dei giovani, ma problemi di educazione di popoli interi; e soprattutto il grande problema dell’educazione che il futuro porrà all’umanità. Ognuno dovrà essere attento alle grandi trasformazioni sociali del nostro tempo, alle diverse esigenze sociali che sorgono dappertutto e che si presentano come problema della donna, problema sociale, problema della pace, e così via. Tutto si presenta alla nostra anima preoccupata. Tutti questi problemi diverranno chiari, se conosceremo la realtà spirituale che vi è dietro il sangue.

Chi vorrebbe negare che con questi problemi è anche legato il problema razziale che in modo indicativo riaffiora anche nel nostro presente? Noi comprendiamo però il problema razziale, se afferriamo la misteriosa azione del sangue e del mischiarsi del sangue fra i popoli.

Infine è legato a tutto ciò un altro problema che diverrà sempre più attuale man mano che si smetterà di procedere senza una mèta in questo campo, e ci si deciderà invece a un’azione unitaria. Il problema cui accenno è quello della colonizzazione, il problema che sorge quando appartenenti a popoli civili vengono in contatto con popoli incivili: in che senso popoli incivili possono accogliere nuove civiltà? come può un negro, un selvaggio barbaro venir civilizzato? come ci si deve comportare di fronte a loro?

 

Qui vanno presi in considerazione non solo i sentimenti di una morale non chiara, ma anche grandi, serie e importanti domande dell’esistenza. Chi non sappia in quali condizioni si trovi un popolo, se in una fase ascendente o discendente dell’evoluzione, se e che cosa è condizionato dal sangue, non potrà trovare la via giusta per introdurre una civiltà qualsivoglia in un altro popolo. Tutto questo si presenta ponendo l’importante problema del sangue.

Che cosa sia il sangue come tale è noto a tutti attraverso la scienza corrente. Considerando l’uomo e gli animali superiori, è noto che il sangue è realmente la vita che scorre. È noto che attraverso il sangue l’interno dell’uomo viene aperto verso l’esterno, e che mentre questo avviene l’uomo assorbe attraverso il sangue sostanza di vita: l’ossigeno. Con l’assorbimento dell’ossigeno il sangue subisce un rinnovamento.

 

Il sangue che l’interiorità umana in certo modo presenta all’ossigeno che entra,

è una specie di sostanza velenosa per l’organismo, una specie di annientatore, di distruttore.

Questo sangue bluastro viene trasformato in sangue rosso, vitale, mediante appunto l’assorbimento dell’ossigeno, mediante una specie di processo di combustione.

 

Il sangue rosso, che penetra in ogni parte del corpo e vi deposita le sostanze nutritive,

ha il compito di accogliere direttamente in sé le sostanze del mondo esterno

e per la via più breve di impiegarle per l’alimentazione dell’organismo.

L’uomo e gli animali superiori hanno bisogno prima di immettere le sostanze nutritive nel sangue,

di formare il sangue, di accogliervi l’ossigeno dell’aria,

e alla fine, attraverso il sangue, di costruire il corpo e di conservarlo.

 

Non a torto un valente conoscitore dell’anima ha detto che il sangue, con il suo movimento, è come un secondo uomo che si comporta come una specie di mondo esterno rispetto all’altro uomo costituito di ossa, muscoli e masse nervose. In effetti tutto l’organismo prende di continuo dal sangue le sue forze nutritive, e di contro abbandona al sangue ciò che non ha usato.

Nel sangue vi è dunque un vero e proprio doppio dell’uomo che lo accompagna di continuo, dal quale l’uomo attinge di continuo nuove forze, e al quale abbandona ciò che più non usa. Con pieno diritto il sangue è stato denominato vita umana fluente, e gli è attribuita importanza analoga a quella del protoplasma per gli organismi inferiori. Quello che il protoplasma è per gli organismi inferiori, per l’uomo è sotto molti aspetti, trasformato, quel «succo peculiare» che è il sangue.

 

Uno scienziato di rilievo, Ernst Haeckel, ha scrutato a fondo nel laboratorio della natura e ha fatto giustamente notare in opere divulgative che il sangue si forma nell’organismo molto tardi. Seguendo lo sviluppo del germe umano nel corpo materno, si trova che l’impianto delle ossa e dei muscoli è formato ben prima che sorga la disposizione per il formarsi del sangue. Solo molto tardi diventa visibile nell’embrione la disposizione per il formarsi del sangue, con il relativo sistema vascolare; si presenta solo molto tardi. La scienza ne deduce con ragione che la formazione del sangue è in genere comparsa solo tardi nell’evoluzione del mondo, che per così dire altre forze prima esistenti vennero sollevate fino all’altezza del sangue, per operare a quel livello ciò che doveva venir fatto nell’uomo. Quando l’embrione umano attraversa gli stadi precedenti dell’evoluzione dell’umanità e li ripete ancora una volta, esso si appropria in un primo tempo di quello che esisteva nel mondo prima della formazione del sangue, per poi coronare l’evoluzione con il sangue, con questo succo particolare, trasformando e sollevando tutto quanto esisteva prima.

 

Se ora vogliamo studiare le misteriose leggi dell’universo spirituale che governano il sangue, dobbiamo occuparci un poco dei concetti più elementari della scienza dello spirito. Già spesso tali concetti vennero qui esaminati. Vedremo che i concetti elementari della scienza dello spirito costituiscono l’«alto», e che tale «alto», quando lo si conosca, si manifesti come in una fisionomia nelle importanti leggi del sangue e in quelle di tutta la vita.

Chi conosce da tempo queste leggi elementari della scienza dello spirito mi permetterà certo di ripeterle in breve per quelli che sono qui per la prima volta. D’altra parte tali leggi diverranno anche sempre più chiare, vedendole applicate in sempre nuovi casi speciali. Naturalmente, per chi ancora non sa nulla della scienza dello spirito, per chi non si è ancora immedesimato nella concezione della vita e del mondo di cui qui si parla, quel che ora dirò sarà più o meno solo una riunione di parole con le quali non potrà rappresentarsi nulla. Non è però sempre la mancanza di un concetto nascosto dietro le parole che è colpevole se dietro le parole stesse non si possa pensare nulla.

 

Lichtenberg fece una volta un’osservazione che qui può essere adattata con qualche modifica: se una testa e un libro si scontrano con un suono di vuoto, non sempre la colpa è del libro. Così è anche per i giudizi sulle verità della scienza dello spirito da parte dei nostri contemporanei. Quando cioè queste verità suonano alle orecchie della gente solo come parole, quando la gente non se ne può fare un’idea, non sempre la colpa è della scienza dello spirito. Chi invece si immedesima in queste cose vedrà che, dietro le denominazioni e le indicazioni relative a entità superiori, si nascondono in realtà proprio tali entità che però non si possono trovare nel nostro mondo sensibile.

Nella concezione del mondo ricavata dalla scienza dello spirito noi vediamo che l’uomo, quale si presenta nel mondo esterno ai nostri sensi, in quanto è forma e struttura, è solo una parte dell’entità umana; vediamo anzi che dietro il corpo fisico vi sono molti altri elementi.

 

L’uomo ha in comune il corpo fisico con tutte le cose minerali che lo circondano, con le cosiddette cose prive di vita.

Egli ha però inoltre il cosiddetto corpo eterico o vitale. L’etere non viene qui inteso nel senso in cui ne parla la scienza fisica. Il corpo eterico o vitale è un principio che per l’indagatore dello spirito non è qualcosa di pensato, di solo escogitato, ma qualcosa che per i suoi sensi spirituali aperti è altrettanto realmente esistente quanto lo sono i colori del mondo sensibile esterno per l’occhio sensibile. Per il chiaroveggente il corpo eterico o vitale è qualcosa che si vede, che si vede realmente. È ciò che chiama a vita le sostanze inorganiche, le solleva da uno stato privo di vita per unirle al filo della vita. Non si pensi che per l’occultista il corpo vitale sia solo qualcosa che egli aggiunge col pensiero al mondo privo di vita. Così cerca di fare la scienza naturale. Gli scienziati cercano di completare quel che possono vedere nelle cose con il microscopio o con altri mezzi, di escogitare qualcosa che poi chiamano principio vitale. La scienza dello spirito non si pone in questa prospettiva, ma segue un principio preciso.

 

Non si dice che se vi è uno scienziato egli deve vedere le cose secondo il suo attuale punto di vista, negando l’esistenza di ciò che non può conoscere. Il far così sarebbe tanto intelligente quanto lo sarebbe un cieco, se affermasse che i colori sono una fantasticheria.

In merito a qualcosa non deve decidere chi non ne sa nulla, ma chi ne ha sperimentato qualcosa.

 

L’uomo è in evoluzione, e quindi la scienza dello spirito dice: «Se rimani quale sei ora, tu non puoi vedere nulla del corpo eterico, e puoi con ragione parlare di ‘limiti della conoscenza’ e di ’ignorabimus’; se però diventi un altro, se acquisisci le facoltà necessarie per percepire le cose spirituali, allora non puoi più parlare di limiti della conoscenza».

Essi esistono sin tanto che l’uomo non ha aperto i suoi sensi interiori. Di conseguenza anche l’agnosticismo non è altro che un peso opprimente la nostra cultura. Esso afferma che l’uomo è fatto in certo modo, e che se così è egli può anche conoscere solo determinate cose. Gli va però risposto che se oggi l’uomo è fatto in un certo modo, egli deve evolversi e allora potrà conoscere dell’altro.

 

• La seconda parte costitutiva dell’uomo è quindi il corpo eterico che egli ha in comune col mondo vegetale.

• La terza parte costitutiva è il cosiddetto corpo astrale: una denominazione molto bella e significativa per la quale più avanti verrà mostrato che esso viene con ragione chiamato in quel modo. Chi volesse scegliere un altro nome non ha un’idea di che cosa si tratti.

Il corpo astrale ha la funzione, nell’uomo e nell’animale, di chiamare la sostanza vivente ad avere una sensibilità, in modo che nella sfera del vivente non si muovano soltanto dei succhi, ma che si manifesti ciò che si chiama piacere o dispiacere, gioia e dolore. In sostanza abbiamo così anche indicata la differenza fra pianta e animale, malgrado vi siano stadi di transizione.

 

Alcuni scienziati moderni affermano che anche alle piante sia da attribuire direttamente la sensazione. È però solo un giuoco con le parole. Per certe piante avviene senz’altro che reagiscono a delle sollecitazioni, se qualcosa viene loro vicino, se qualcosa agisce su di loro, ma questo non è ancora sensazione. Perché lo sia, occorre che nell’interiorità dell’essere sorga un’immagine, quale riflesso della sollecitazione. Se anche in certe piante avviene una reazione a seguito di un’azione esterna, questo non è ancora una prova che la pianta abbia portato interiormente la reazione a diventare sensazione, che essa interiormente senta. Quel che si sente interiormente ha la sua sede nel corpo astrale. Vediamo così che gli esseri fino agli animali consistono di corpo fisico, corpo eterico o vitale, e corpo astrale.

 

L’uomo si eleva però al di sopra dell’animale grazie a qualcosa di particolare; persone riflessive hanno sempre sentito ciò che eleva l’uomo al di sopra dell’animale. Viene indicato in ciò che Jean Paul dice di se stesso nella sua autobiografia; egli ricorda con precisione che da bambino, nel cortile della casa paterna un pensiero gli attraversò l’anima: «Tu sei un ’io’, tu sei un essere che interiormente può dire ’io’ a se stesso». L’esperienza gli fece una grande impressione.

Tutta la cosiddetta psicologia corrente trascura quel che è importante in questo punto. Consideriamo per qualche minuto con attenzione di che cosa si tratti.

Fra tutte le espressioni delle lingue moderne esiste una parolina che si distingue completamente da ogni altra parola. Di tutte le cose che ci circondano ognuno può dire il nome delle singole cose. Ognuno chiama tavola una tavola, e sedia una sedia. Esiste però una parola, un nome che nessuno può pronunciare se non riferendola a chi la pronuncia: è la parolina «io».

 

Nessuno può dire «io» a un altro.

L’«io» deve risuonare dal più profondo dell’anima stessa; è il nome che solo l’anima stessa può attribuirsi.

Ogni altra persona è per me un «tu», e io stesso sono un «tu» per ogni altra persona.

 

Tutte le religioni sentirono l’io come l’espressione di quella parte dell’anima attraverso la quale l’anima stessa poteva far parlare la sua vera entità, il suo elemento divino.

Ivi comincia ciò che mai potrà penetrare in noi attraverso i sensi esteriori, ciò che mai potrà venir nominato da fuori nel suo significato, ma che solo potrà risonare dalla nostra interiorità. Ivi comincia il monologo dell’anima attraverso il quale il sé divino si annuncia nell’anima, quando si libera la via per il penetrarvi dello spirito.

 

Nelle antiche religioni, ancora fra gli antichi ebrei, si indicava questo nome come «il nome impronunciabile di Dio», e qualunque sia la traduzione della filologia odierna, l’antico nome del Dio ebraico altro non significa che ciò che oggi viene espresso con la parola «io». Passava un fremito nelle file degli ascoltatori quando nel tempio risonava il nome «impronunciabile di Dio» detto dagli iniziati, quando veniva intuito che cosa si esprimeva con quella parola, quando nel tempio risonava l’«io sono l’io sono».

In questa parola si manifesta la quarta parte costitutiva dell’entità umana, la parola che nell’ambito della sua esistenza terrena l’uomo ha per sé solo.

L’io racchiude in sé e costituisce in pari tempo il germe dei gradini superiori dell’uomo.

 

Qui si deve solo indicare ciò che nell’evoluzione umana verrà portato ad esistenza

attraverso questa quarta parte costitutiva; si deve indicare

• che l’uomo consiste di corpo fìsico, corpo eterico, corpo astrale ed io,

ossia della vera e propria vita interiore;

• che in tale vita interiore vi sono i germi dei tre ulteriori gradini dell’evoluzione

• che nasceranno dal sangue, vale a dire per manas, budhi e atma,

oppure con parole moderne

per «sé spirituale» (manas) in contrapposizione al sé corporeo,

«spirito vitale (budhi), «uomo spirituale» (atma);

• l’uomo spirituale appare oggi soltanto come ideale umano,

è disposto come piccolo germe nell’interiorità e raggiungerà il suo completamento in un lontano futuro.

 

Come nell’arcobaleno vi sono sette colori, nella scala musicale sette suoni e nel regno degli atomi sette livelli di pesi atomici, abbiamo ora la settemplice scala dell’essere umano, a sua volta divisa in quattro gradini inferiori e tre superiori.

Cerchiamo ora di chiarire come gli elementi superiori, spirituali si creino un’espressione, una fisionomia, in quelli inferiori che ci appaiono davanti agli occhi nel mondo sensibile.

 

• Prendiamo innanzi tutto ciò che nell’uomo si cristallizza nel suo corpo fisico.

L’uomo lo ha in comune con la cosiddetta natura priva di vita.

Quando nella scienza dello spirito parliamo del corpo fisico

non intendiamo assolutamente quel che si vede con gli occhi,

ma invece il complesso di forze che hanno costruito il corpo fisico, le forze che stanno dietro il corpo fisico.

 

• Guardiamo poi la pianta, vale a dire l’essere che ha già il corpo eterico il quale solleva la sostanza fìsica alla vita, che cioè trasforma in succhi vitali la materia sensibile. Che cosa trasforma dunque in succhi vitali le cosiddette forze prive di vita? Lo chiamiamo corpo eterico, ed esso compie la stessa funzione anche nell’animale e anche nell’uomo: esso dispone in una composizione, in una struttura vivente, ciò che è solo sensibile.

• Il corpo eterico è a sua volta compenetrato dal corpo astrale. E che cosa fa il corpo astrale? Esso sollecita la sostanza messa in moto a sperimentare interiormente la circolazione, il movimento dei succhi materiali; così il movimento fisico si rispecchia nelle esperienze interiori.

Siamo così arrivati a comprendere l’uomo in quanto inserito nel regno animale.

 

Noi troviamo tutte le sostanze di cui è composto l’uomo anche fuori di lui, nella natura priva di vita: ossigeno, azoto, idrogeno, zolfo, fosforo e così via. Affinché ciò che viene trasformato dal corpo eterico in sostanza vivente sia sollecitato ad afferrare interiormente, a creare interiori immagini riflesse di quanto avviene fuori, il corpo eterico deve essere compenetrato da quello che chiamiamo corpo astrale.

Il corpo astrale genera la sensazione.

• A questo livello il corpo astrale genera la sensazione in un modo del tutto speciale.

• Il corpo eterico trasforma la sostanza inorganica in succhi vitali;

il corpo astrale trasforma la sostanza vivente in sostanza senziente.

 

Ma, prego bene di osservare, che cosa sente un essere che non sia costituito che di questi tre elementi? Sente solo se stesso, solo i propri processi vitali, conduce una vita chiusa in sé. È un fatto molto interessante da tener presente, ed è straordinariamente importante. Osserviamo per esempio un animale inferiore. Che cosa ha fatto? Ha trasformato la sostanza priva di vita in sostanza vivente, e la sostanza vivente in movimento, in sostanza senziente. Questa è presente soltanto dove vi sia almeno la disposizione per quello che in seguito compare come sistema nervoso formato. Abbiamo quindi sostanza priva di vita, sostanza vivente e sostanza compenetrata da nervi dotati di sensibilità.

 

Osservando un cristallo, nella sua forma dobbiamo vedere l’espressione di determinate leggi di natura che dominano nel cosiddetto regno senza vita. Nessun cristallo potrebbe formarsi senza tutta la natura che lo circonda. Non è possibile staccare una parte qualsiasi dal cosmo e considerarla di per sé, proprio come non è possibile staccare l’uomo da tutto quanto lo circonda, l’uomo che dovrebbe morire solo che fosse posto a un paio di miglia di altezza dalla superficie terrestre.

 

Come l’uomo è solo pensabile nel posto in cui si trova, in cui le forze che lo riguardano si riuniscono in lui, devono vivere in lui, così è anche il caso per il cristallo; chi osserva giustamente un cristallo vi vede tutta la natura, tutto il cosmo in una singola immagine.

 

È giustissimo quel che disse il Cuvier, e cioè che un anatomista di vaglia potrebbe dedurre da un singolo osso a quale animale esso appartenga, perché ogni animale deve avere la sua ben determinata forma ossea.

Così anche nella forma del cristallo vive tutto il cosmo, e allo stesso modo tutto il cosmo si manifesta nella sostanza vivente di un singolo essere. I succhi in movimento di un essere sono già un piccolo mondo, l’immagine del grande universo.

Quando poi la sostanza viene chiamata a sentire, che cosa vive nelle sensazioni dell’essere più semplice? In quelle sensazioni si riflettono le leggi cosmiche, e quindi il singolo essere vivente sente microcosmicamente in sé tutto il macrocosmo.

 

La vita di sensazione di un essere semplice è quindi un’immagine del cosmo,

come il cristallo è un’immagine della sua forma.

 

Negli esseri semplici siamo di fronte a una coscienza ottusa,

ma la maggiore ottusità della loro coscienza è compensata dall’altra parte da una maggiore estensione.

Tutto il cosmo risplende nella coscienza ottusa, nell’interiorità dell’essere vivente.

 

Nell’uomo non esiste in fondo altro che un più complicato sviluppo dei tre corpi

che si trovano nei più semplici esseri viventi, capaci di sensazione.

 

Consideriamo ora l’uomo e prescindiamo dal suo sangue, consideriamolo come un essere che sia formato dalla sostanza proveniente dal mondo fisico che lo circonda, un essere che come la pianta contenga in sé dei succhi, sollevando la sostanza a vivere, un essere nel quale si inserisca un sistema nervoso. Questo primo sistema nervoso è quello cosiddetto del gran simpatico.

 

Il sistema nervoso del gran simpatico

si estende nell’uomo dalle due parti della colonna vertebrale,

ha da ognuna delle parti una serie di nodi, si dirama e si ramifica

mandando le sue diramazioni ai diversi organi: polmoni, organi della digestione e così via.

• È collegato con il midollo spinale mediante dei cordoni laterali.

 

Il sistema nervoso del gran simpatico significa innanzi tutto la vita di sensazione, come è stato descritto.

Ma con la sua coscienza l’uomo non può discendere in ciò che dei processi cosmici viene riflesso da questi nervi. Essi sono un mezzo di espressione.

Come la vita umana è costruita sulla base dell’universo circostante, così nel sistema nervoso del gran simpatico si riflette lo stesso universo. Questi nervi vivono un’oscura vita interiore.

Se l’uomo potesse discendere nel sistema nervoso del gran simpatico, e se il suo superiore sistema nervoso si addormentasse, egli potrebbe vedere le grandi leggi del cosmo dominare e operare in una vita di luce.

 

Nei tempi antichi esisteva una chiaroveggenza oggi superata: si poteva conoscere allontanando l’attività del sistema nervoso superiore mediante speciali processi e rendendo così libera la coscienza inferiore. Allora l’uomo vive nel sistema nervoso che in un modo speciale diventa specchio per il mondo che lo circonda.

Certi animali inferiori hanno conservato questo gradino della coscienza e lo mantengono ancor oggi. È una coscienza ottusa, crepuscolare, ma è in sostanza più onnicomprensiva dell’attuale coscienza umana. Quella coscienza riflette in un’ottusa vita interiore un mondo molto più ampio, e non solo il piccolo settore che l’uomo di oggi riesce a percepire.

Però nell’uomo avviene qualcos’altro. Se nel corso dell’evoluzione il cosmo ha trovato un’immagine speculare nel sistema nervoso del gran simpatico, a questo livello dell’evoluzione l’essere si apre di nuovo verso l’esterno: al sistema del gran simpatico si aggiunge la spina dorsale. Il sistema della spina dorsale e del cervello porta poi agli organi che stabiliscono il collegamento con il mondo esterno.

 

Quando la formazione dell’uomo è a questo punto, egli non è più solo chiamato a far rispecchiare in sé le originarie leggi di formazione del cosmo, ma la stessa immagine speculare entra in relazione con il mondo circostante.

 

Quando il sistema nervoso del gran simpatico

si è collegato con le parti superiori del sistema nervoso,

abbiamo l’espressione dell’avvenuta trasformazione del corpo astrale.

• Esso non vive allora più soltanto la vita cosmica in una coscienza ottusa,

ma aggiunge a questa la sua particolare vita interiore.

 

• Mediante il sistema nervoso del gran simpatico un essere sente quanto avviene fuori di lui;

• mediante il sistema nervoso superiore sente quel che avviene in lui.

• Mediante poi la forma più elevata del sistema nervoso,

che attualmente appare nella generale evoluzione dell’umanità,

dal corpo astrale superiormente articolato viene preso il materiale

per creare immagini del mondo esterno, rappresentazioni.

 

L’uomo ha quindi perduto la facoltà di sperimentare le originarie e antiche immagini del mondo esterno,

ma sente invece la sua vita interiore e sulla base di questa

costruisce a un livello superiore un nuovo mondo di immagini

che rispecchia sì soltanto una minor parte del mondo esterno, ma in un modo più chiaro e più completo.

 

A un livello superiore dell’evoluzione, a questa trasformazione se ne accompagna un’altra parallela.

La trasformazione del corpo astrale si estende fino al corpo eterico.

 

Come nella trasformazione del corpo eterico viene sollecitato anche il corpo astrale,

come al sistema nervoso del gran simpatico si aggiunge il sistema del midollo spinale e del cervello,

così ciò che eccede e si libera del corpo eterico,

dopo aver accolto la circolazione inferiore dei succhi,

determina il modificarsi dei succhi inferiori in quello che chiamiamo sangue.

 

Il sangue è l’espressione del corpo eterico individualizzato,

come il cervello e il midollo spinale sono un’espressione del corpo astrale individualizzato.

Attraverso poi tale individualizzazione nasce ciò che si esprime nell’«io».

 

Seguendo in questo modo l’uomo nella sua evoluzione, vediamo che abbiamo in un primo tempo

una catena a cinque anelli che si ordinano come qui possiamo così indicare:

• per primo il corpo fisico, per secondo il corpo eterico, per terzo il corpo astrale;

oppure,

• primo: le forze inorganiche, neutrali, fisiche;

• secondo: i succhi vitali che si trovano anche nelle piante;

• terzo: il sistema nervoso inferiore o del gran simpatico;

• quarto: il corpo astrale superiore, elevatosi dal corpo astrale inferiore,

che trova la sua espressione nel midollo spinale e nel cervello;

• quinto: il principio che individualizza il corpo eterico.

 

Come sono stati individualizzati questi due princìpi, per l’uomo verrà individualizzato anche il primo principio mediante il quale le sostanze prive di vita penetrano dall’esterno e formano il corpo umano. Questa trasformazione è presente nell’uomo di oggi solo come prima disposizione.

 

Vediamo così

• come le sostanze esterne prive di forma penetrino nel corpo umano,

• come il corpo eterico sollevi tali sostanze a strutture viventi,

• e come poi vengano formate immagini del mondo esterno mediante il corpo astrale;

• come inoltre questo riflesso del mondo esterno si sviluppi in una esperienza interiore

• per produrre a sua volta da se stessa altre immagini del mondo esterno.

 

Se ora la trasformazione arriva fino al corpo eterico, si forma il sangue.

Il sistema della circolazione sanguigna con il cuore

è l’espressione del corpo eterico trasformato,

come il sistema cerebro-spinale lo è del corpo astrale trasformato.

 

Come il mondo esterno viene interiorizzato mediante il cervello,

così mediante il sangue il mondo interiore viene creato a nuovo nel corpo dell’uomo in un’espressione esteriore.

È necessario parlare a mezzo di analogie, se si vogliono esprimere i complicati processi che qui occorre considerare.

 

Il sangue accoglie le immagini del mondo esterno interiorizzate dal cervello,

le trasforma in vive forze formatrici e attraverso di esse edifica il corpo umano di oggi.

• Il sangue è così la sostanza che edifica il corpo umano.

 

Ci si presenta qui un processo mediante il quale il sangue assorbe

l’elemento più prezioso che possa prendere dal mondo circostante: l’ossigeno,

vale a dire l’elemento che di continuo rinnova il sangue, che gli fornisce nuova vita.

• In tal modo il sangue viene spinto ad aprirsi al mondo esterno.

Abbiamo così seguito il cammino dal mondo esterno al mondo interiore e di nuovo di ritorno dall’ultimo al primo.

 

Due cose sono ora possibili.

Vediamo che il formarsi del sangue avviene

• quando l’uomo si contrappone come essere indipendente al mondo esterno,

• quando, movendo dalle sensazioni derivate dal mondo esterno, egli crea autonomamente figure e immagini,

• quando diviene creativo,

• quando l’io si può esprimere con propria volontà.

 

Nessun essere, nel quale questo processo non sia già avvenuto, potrebbe dire io a se stesso dal suo intimo.

Nel sangue vi è il principio per il divenire io.

• Un io può manifestarsi

solo quando un essere può dare forma in se stesso alle immagini che egli produce ricavandole dal mondo esterno.

• Un essere dotato di io deve avere la capacità

di accogliere in sé il mondo esterno e di riprodurlo nella propria interiorità.

 

• Se l’uomo avesse soltanto il cervello,

egli potrebbe solo produrre in sé immagini del mondo esterno e in sé sperimentarle;

egli potrebbe allora dirsi solamente: • «Il mondo esterno è riprodotto in me come immagine riflessa».

• Se però egli riesce a costruire in una nuova forma la riproduzione del mondo esterno,

questa non è più allora semplicemente il mondo esterno, ma è l’io.

 

• Un essere con solo il sistema nervoso del gran simpatico rispecchia il mondo esterno,

non sente cioè ancora il mondo esterno come suo, non lo sente ancora come vita interiore.

• Un essere con midollo spinale e cervello sente il rispecchiarsi come vita interiore.

• Invece un essere con sangue sperimenta come cosa propria la sua vita interiore.

 

Mediante il sangue, e con l’aiuto dell’ossigeno del mondo esterno,

viene data forma al proprio corpo secondo le immagini della vita interiore.

Tale forma giunge ad espressione come percezione dell’io.

 

L’io indirizza verso due direzioni, e il sangue è l’espressione esteriore di tali indirizzi.

Lo sguardo dell’io è rivolto verso l’interiorità, verso l’esterno è rivolta la volontà dell’io.

Le forze del sangue sono rivolte verso l’interno e lo costruiscono;

verso l’esterno esse sono rivolte all’ossigeno del mondo esterno.

 

Di conseguenza l’uomo, quando si addormenta, cade nell’incoscienza, cade in ciò che la coscienza può sperimentare nel sangue. Quando però l’uomo apre il suo occhio al mondo esterno, il sangue accoglie nelle sue forze formative le immagini prodotte dal cervello e dai sensi.

Il sangue sta così a metà

fra il mondo interiore delle immagini e il vivente mondo delle forme esterne.

 

Ci sarà chiara questa funzione considerando due fenomeni.

Uno è la discendenza, la parentela degli esseri coscienti;

l’altro è l’esperienza del mondo dei fatti esterni.

La discendenza ci porta dove ci troviamo grazie al sangue, come si dice di solito.

 

L’uomo nasce in un nesso determinato, in una razza, in un popolo, da una serie di antenati,

e ciò che da essi eredita trova la sua espressione nel sangue.

Nel sangue viene come riassunto ciò che si è venuto formando dal passato materiale dell’uomo.

Nel sangue viene però anche prefigurato quel che si prepara nel suo futuro.

 

• Se quindi l’uomo ottunde la sua coscienza superiore, trovandosi in uno stato ipnotico, sonnambolico o di chiaro-veggenza atavica, egli cade in uno stato di coscienza molto più profondo e percepisce le grandi leggi cosmiche in una forma sognante, solo molto più chiara e distinta che non i più chiari sogni del sonno ordinario.

• L’uomo ha poi represso l’attività del cervello, e nel più profondo sonnambulismo anche quella del midollo spinale; egli sperimenta allora l’attività del suo sistema nervoso del gran simpatico, vale a dire sperimenta in una forma ottusa e crepuscolare la vita di tutto il cosmo.

• In tal caso il sangue non porta più ad espressione le immagini della vita interiore, trasmesse dal cervello, ma ciò che il mondo esterno ha costruito in lui. Ma ora hanno costruito in lui le forze dei suoi antenati.

• Come l’uomo deriva la forma del suo naso da un antenato, così vi deriva la forma di tutto il suo corpo. In caso di coscienza oscurata egli sente in sé i suoi antenati, così come sente le immagini del mondo esterno prodotte dai sensi, nel caso della coscienza sveglia. Vale a dire: i suoi antenati si agitano nel suo sangue, ed egli vive quindi oscuramente ancóra la vita dei suoi antenati.

 

Tutto nel mondo è in evoluzione, anche la coscienza umana.

Il tipo di coscienza che l’uomo ha ora non gli fu sempre propria.

Se risaliamo nel tempo ai nostri antichi progenitori, troviamo un altro tipo di coscienza.

Oggi l’uomo, nella sua diurna vita di veglia,

percepisce le cose esterne mediante i sensi, e le trasforma in rappresentazioni.

 

Le rappresentazioni del mondo esterno agiscono sul suo sangue.

Di conseguenza nel suo sangue egli vive ed elabora

tutto ciò che ha ricevuto attraverso le esperienze esteriori dei sensi.

La memoria è così riempita con le esperienze dei sensi.

 

• Per l’uomo di oggi rimane di contro incosciente

quel che egli ha ereditato nella sua vita interiore corporea dai suoi antenati.

Egli non sa nulla delle forme dei suoi organi interni.

 

• Così non era in tempi antichissimi.

Allora nel sangue non viveva soltanto quel che i sensi ricevevano dall’esterno,

ma anche ciò che esiste nella struttura corporea,

e poiché tale struttura è ereditata dagli antenati, l’uomo sentiva in sé la vita degli antenati.

 

Se si pensa potenziata una simile vita cosciente,

si ha un’idea come si manifesti anche in una corrispondente memoria.

Un uomo che sperimenti solo quel che percepisce attraverso i suoi sensi,

si ricorda anche soltanto di ciò che ha sperimentato attraverso le esperienze esteriori dei sensi.

Può solo avere coscienza di quel che ha sperimentato in tal modo dalla sua infanzia.

 

Diverso era nell’uomo di epoche antichissime.

Egli sperimentava ciò che vi era in lui, e poiché tale interiorità è il risultato dell’ereditarietà,

nelle sue rappresentazioni egli sperimentava le esperienze dei suoi antenati.

Non si ricordava solo della sua infanzia, ma anche delle esperienze dei suoi antenati.

La vita dei suoi antenati era presente nelle immagini che il suo sangue riceveva.

 

Per quanto sia incredibile per il modo materialistico di pensare di oggi,

pure è vero che un tempo vi era una coscienza mediante la quale

la gente aveva le proprie percezioni sensorie come proprie esperienze,

ma aveva anche le esperienze dei propri antenati.

• Allora la gente diceva: «Lo ho sperimentato» non solo per quello che personalmente sperimentava,

ma anche per quello che avevano sperimentato gli antenati; se ne ricordava.

 

Questa antica forma di coscienza umana, rispetto all’attuale coscienza di veglia diurna, era sì crepuscolare,

piuttosto come un vivo sogno potenziato, ma in compenso era più ampia.

Si estendeva anche alle esperienze degli antenati.

Il figlio si sentiva legato in un io con il padre e con il nonno, perché sperimentava come proprie le loro esperienze.

 

Poiché l’uomo aveva tale coscienza, poiché non viveva solo nel suo mondo personale, ma poiché nella sua interiorità riviveva la coscienza della generazione che lo aveva preceduto, per questo egli non indicava con un nome solo la sua persona, ma tutta un’intera serie di generazioni. Il figlio, il nipote e così via indicavano con un nome l’elemento comune che passava attraverso tutti loro.

 

Il singolo si sentiva come un anello di tutta la serie delle generazioni.

Era una sensazione vera e reale.

Come venne poi modificata questa forma di coscienza in un’altra?

Lo fu mediante un evento che la storia scientifico-spirituale ben conosce.

 

Risalendo a ritroso nella storia, per tutti i popoli della Terra viene un momento che può essere indicato con molta precisione in ogni singolo popolo. È il momento in cui il popolo entra in una nuova fase della civiltà: cessa di avere antiche tradizioni e di possedere un’antichissima saggezza, la saggezza che si è tramandata attraverso il sangue delle generazioni. I popoli ne hanno una coscienza, e noi la troviamo espressa nelle vecchie saghe popolari.

In tempi precedenti le stirpi, le tribù rimangono chiuse in sé, i singoli membri delle famiglie si sposano fra di loro. Si trova questo fenomeno presso tutte le razze e presso tutti i popoli.

Per l’umanità è un momento importante quello in cui questo principio viene rotto, quando sangue estraneo si mischia con sangue estraneo, quando il matrimonio fra consanguinei si modifica in matrimonio fra lontani.

 

Il matrimonio fra vicini conserva il sangue delle generazioni,

fa scorrere attraverso i singoli membri lo stesso sangue che era fluito da generazioni nella stirpe, nella nazione.

Il matrimonio fra lontani versa nuovo sangue nell’uomo,

e la rottura del principio della stirpe, la mescolanza del sangue, che presto o tardi si verifica in ogni popolo,

significa la nascita del raziocinio esteriore, dell’intelletto.

 

È appunto importante che nei tempi antichi esistesse una specie di chiaroveggenza crepuscolare, e che miti e saghe siano derivati da quel patrimonio di chiaroveggenza che si poteva manifestare nella consanguineità, come si manifesta la coscienza attuale nella mescolanza del sangue.

Con il matrimonio fra lontani si ha anche la nascita del pensiero logico, la nascita dell’intelletto. Per quanto appaia strano, pure è così.

 

È una conoscenza che sempre più viene confermata dalla scienza ufficiale; già ne abbiamo un inizio.

La mescolanza del sangue, che avviene col matrimonio fra lontani, è in pari tempo ciò che estingue la chiaroveggenza antica e che solleva l’umanità a un superiore livello evolutivo.

Come chi segue uno sviluppo occulto risveglia la chiaroveggenza e le dà una forma nuova, in senso inverso l’attuale coscienza di veglia diurna si è sviluppata da un’antica chiaroveggenza crepuscolare.

 

Oggi tutto il mondo circostante al quale l’uomo si dedica si esprime nel sangue;

il mondo forma l’interiorità in base agli elementi esterni.

Nell’uomo di un tempo l’interiorità corporea si esprimeva nel sangue.

In tempi antichissimi, con il ricordo delle esperienze degli antenati

si ereditavano anche le loro tendenze al bene o al male.

Nel sangue del discendente si avvertivano gli effetti delle tendenze degli antenati.

 

Quando poi il sangue venne mischiato a seguito di matrimoni con lontani,

venne anche interrotto questo nesso con gli antenati. L’uomo passò a una vita personale propria.

Nelle sue tendenze morali apprese a orientarsi in base a ciò che sperimentava nella sua vita personale.

 

Così nel sangue non mischiato si manifesta la potenza della vita degli antenati,

in quello mischiato la potenza delle proprie esperienze.

Di questo raccontano le saghe e i miti dei popoli.

Essi dicono: quel che ha potere sul tuo sangue, ha potere anche su di te.

 

Il potere delle tradizioni dei popoli cessò quando esso non potè più agire sul sangue, quando la capacità di accogliere il potere degli antenati si spense a seguito della mescolanza con sangue estraneo. Questo concetto è valido nel senso più lato.

 

Qualsiasi sia la potenza che vuole impossessarsi di un uomo,

essa deve agire su di lui in modo che la sua azione si manifesti nel sangue.

• Se quindi una potenza malvagia vuole influire su di un uomo, essa deve avere il dominio sul suo sangue.

 

È questo il profondo e spirituale significato del passo del Faust.

Per questo il rappresentante del principio del male dice: sottoscrivi il patto con il sangue,

perché se ho il tuo nome scritto con il sangue, ti ho afferrato

in ciò attraverso cui l’uomo può venir afferrato, ti ho attirato a me.

Quello cui appartiene il sangue possiede anche l’uomo o l’io dell’uomo.

 

Quando due gruppi umani si scontrano, come avviene nel caso della colonizzazione, chi conosce l’evoluzione potrà dire se una civiltà estranea potrà venir accolta oppure no.

Prendiamo un popolo cresciuto nella sua terra, nel cui sangue si esprima ciò che lo circonda, e cerchiamo di innestargli una civiltà estranea. Sarà impossibile.

Questa è la ragione per la quale certi abitanti originari dovettero estinguersi, quando i coloni arrivarono in determinate zone. Si dovrà giudicare questo problema in questa prospettiva, e allora non si crederà più di poter innestare ogni cosa su qualsiasi altra.

Al sangue non si può imporre se non quello che può ancora sopportare.

 

La scoperta della scienza moderna, che mischiando il sangue di un animale con quello di un altro non imparentato col primo, il sangue dell’uno uccide quello del secondo, è un’antica conoscenza occulta.

Mischiando sangue umano con quello di una scimmia inferiore, si ha un annientamento, perché essi sono troppo lontani fra di loro.

Mischiando sangue umano con quello di una scimmia superiore, essi non si uccidono.

 

Come la mescolanza del sangue di specie animali troppo distanti fra loro produce una vera morte, così la mescolanza uccide l’antica chiaroveggenza dell’uomo primitivo, quando il suo sangue viene mischiato col sangue di popoli non affini al suo.

Tutta la vita culturale di oggi non è altro che il risultato della mescolanza del sangue; in tempi non molto lontani si studierà anche l’influenza delle mescolanze di sangue, e le si potranno seguire a ritroso nella vita umana, avviando l’indagine in questa prospettiva.

 

Riassumendo:

• se si incrocia nell’evoluzione sangue di specie animali fra loro distanti, si uccide;

• se si incrocia sangue di specie animali fra loro apparentate, non si uccide.

 

L’organismo fisico umano viene conservato anche incrociando sangue estraneo,

ma la forza chiaroveggente muore sotto l’influsso di mescolanza del sangue o di matrimonio fra lontani.

L’uomo è fatto in modo che, mescolando sangue diverso

a condizione che la mescolanza non venga da troppo lontano nell’evoluzione, ne nasce l’intelletto.

• Allora la forza chiaroveggente, derivata originariamente dall’elemento animale

viene annullata, e nell’evoluzione nasce una nuova coscienza.

 

Nell’evoluzione umana, a un livello superiore, esiste qualcosa di simile

a quello che vi è nel mondo animale a un livello inferiore.

Nel mondo animale sangue estraneo uccide sangue estraneo.

Nel mondo umano il sangue estraneo uccide ciò che è legato con l’affinità del sangue:

la chiaroveggenza ottusa, crepuscolare.

 

La chiara coscienza diurna dell’uomo del presente è dunque il risultato di un processo di uccisione.

Nel corso dell’evoluzione è cioè stata uccisa la vita spirituale legata al matrimonio tra vicini,

e in pari tempo dal matrimonio fra lontani è nato l’intelletto, la chiara coscienza diurna.

Ciò che quindi può vivere nel sangue dell’uomo, vive nel suo io.

 

Come il corpo fisico è l’espressione del principio fisico,

il corpo eterico dei succhi vitali e dei loro sistemi,

il corpo astrale del sistema nervoso,

così il sangue è l’espressione dell’io.

 

• Principio fisico, corpo eterico, corpo astrale sono l’«alto»,

• sangue e io sono il «mezzo»,

• corpo fisico, sistema vitale, sistema nervoso sono il «basso».

 

Volendosi dunque impadronire di un uomo, occorre impadronirsi del suo sangue. Bisogna tenerlo presente, se si vuole andare avanti nella vita pratica. Si può per esempio uccidere un popolo straniero nella sua entità, pretendendo dal suo sangue, attraverso la colonizzazione, ciò che quel sangue non può sopportare.

 

Nel sangue si esprime infatti l’io.

Bellezza e verità domineranno l’uomo solo se domineranno il suo sangue.

Mefistofele si impadronisce del sangue di Faust, perché ne vuole avere l’io.

 

La frase che costituisce il filo conduttore di questa conferenza è quindi presa dal profondo della conoscenza.

Il sangue è davvero un succo molto peculiare.