Il sapere inconscio muove incontro al fatto spirituale scoperto da altri

O.O. 9 – Teosofia – (Il sentiero della conoscenza)


 

Ogni uomo può conquistare da sé la conoscenza dello spirito, esposta in questo libro.

Esposizioni della natura di quelle qui offerte danno un’“immagine di pensiero” dei mondi superiori.

 

Sotto un certo riguardo sono il primo passo verso la visione diretta, poiché l’uomo è un essere pensante e può trovare la sua via di conoscenza solo se muove dal pensare.

Se al suo intelletto viene offerta un’immagine dei mondi superiori, essa non rimane infeconda per lui, anche se per il momento gli appare solo come un’esposizione di fatti superiori di cui non può ancora accertarsi per visione propria.

 

I pensieri che gli vengono comunicati rappresentano infatti di per sé una forza che continua ad agire nel mondo dei suoi pensieri.

Tale forza sarà attiva in lui, desterà attitudini sopite.

È in errore chi ritenga superfluo dedicarsi a una tale immagine di pensiero, perché vede il pensiero solo come qualcosa di irreale, di astratto.

 

Il pensiero poggia però su una forza vivente.

 

• Come, per chi ha la conoscenza, il pensiero è un’espressione diretta di ciò che si osserva nello spirito,

• così la comunicazione di tale espressione agisce in chi la riceve come un germe da cui si produrrà il frutto della conoscenza.

 

Chi ai fini del sapere superiore, spregiando il lavoro del pensiero, si volgesse ad altre forze nell’uomo, non terrebbe conto del fatto che il pensiero  è la più alta facoltà che l’uomo possiede nel mondo sensibile.

 

A chi dunque chieda: come potrò conseguire io stesso le conoscenze superiori della scienza dello spirito?

è da rispondere: comincia con l’apprendere dalle comunicazioni altrui.

E se obietta: voglio vedere io stesso, non m’importa di quanto altri hanno veduto, è da rispondergli: appunto accogliere le comunicazioni altrui è il primo dei gradini che conducono alla conoscenza propria.

A ciò si può ribattere: sarei così costretto a una fede cieca.

 

Per tali comunicazioni non si tratta pero di credulità o di incredulità, ma semplicemente di accogliere senza preconcetti quel che si ascolta.

Il vero indagatore dello spirito non parla mai aspettandosi di essere creduto ciecamente.

Soltanto intende sempre: ho sperimentato tutto ciò nei campi spirituali dell’esistenza e racconto queste mie esperienze.

Sa pure che accogliere da parte dell’ascoltatore queste sue esperienze e compenetrare di pensiero il racconto è per l’ascoltatore forza vivente per il suo progresso spirituale.

 

L’oggetto di queste considerazioni può esser visto giustamente solo da chi rifletta che ogni sapere intorno al mondo animico e a quello spirituale giace nelle profondità dell’anima umana.

Mediante il “sentiero della conoscenza” si può farlo affiorare.

 

Possiamo “comprendere” anche quel che altri hanno attinto dalle profondità dell’anima, e non solo quel che ne abbiamo attinto noi stessi, anche prima di esserci avviati sul sentiero della conoscenza.

 

Un’esatta cognizione spirituale risveglia nell’anima non oscurata da pregiudizi le forze della comprensione.

Il sapere inconscio muove incontro al fatto spirituale scoperto da altri.

Tale muovere incontro non è fede cieca, bensì giusta attività del sano intelletto.

 

In questa sana comprensione si dovrebbe scorgere un punto di partenza molto migliore verso la diretta conoscenza del mondo spirituale che non nelle dubbie “concentrazioni” mistiche e simili, nelle quali spesso si crede di trovar qualcosa di meglio che non in quanto il sano intelletto umano può accogliere, se gli venga portato incontro dalla vera indagine spirituale.

Non si potrà mai insistere abbastanza su quanto sia necessario, per chi voglia sviluppare le sue facoltà di conoscenza superiore, dedicarsi a un serio lavoro del pensiero.

 

Questo rilievo deve essere tanto più energico in quanto molti che aspirano alla “veggenza” hanno scarsa stima di questo serio lavoro del pensiero pieno di abnegazione.

Essi dicono: il pensiero a nulla può servirmi: tutto dipende dalle “sensazioni”, dal “sentimento”, e così via.

A ciò bisogna obiettare che nessuno può diventare un “veggente” in senso superiore (e cioè reale) se non si sia prima addentrato nella vita del pensiero.

 

Sotto questo riguardo in molti uomini una certa pigrizia interiore svolge una brutta parte.

Non si rendono conto di questa pigrizia, perché essa si camuffa col disprezzo del “pensiero astratto”, della “vana speculazione”, e così via.

Ma il pensiero è frainteso da chi lo scambia con un semplice dipanare vane e astratte sequele di pensieri.

Un tale “pensare astratto” può facilmente uccidere la conoscenza soprasensibile.

Il pensare pieno di vita può divenire la base di tale conoscenza.

 

Sarebbe certo assai più comodo conseguire la veggenza superiore senza sottoporsi al lavoro del pensiero.

Farebbe piacere a molti.

Ma per questa veggenza sono necessarie una saldezza interiore, una sicurezza animica, alle quali può condurre soltanto il pensiero.

Altrimenti si arriva solo a un incerto vacillare d’immagini, a uno sconcertante gioco animico che piace sì a certuni, ma che nulla ha a che fare con una vera penetrazione nei mondi spirituali.

 

Se inoltre si riflette sulle esperienze puramente spirituali che si svolgono in chi penetri davvero nel mondo superiore, si comprenderà che la cosa ha ancora un altro aspetto.

• Per essere “veggente” occorre un’assoluta sanità della vita animica.

Ora non c’è modo migliore di coltivarla che lo schietto pensare.

Essa può anzi essere seriamente danneggiata, se gli esercizi volti all’evoluzione superiore non si fondano sul pensare.

 

• Come è vero che la veggenza rende l’uomo dal sano e retto pensiero ancor più sano e più idoneo alla vita di quanto non lo sarebbe altrimenti,

• così è vero che ogni tentativo di evoluzione superiore accompagnato da avversione per lo sforzo del pensiero, ogni abbandono a sogni in questo campo, favorisce la fantasticheria e un falso atteggiamento verso la vita.

 

Chi voglia ascendere alla conoscenza superiore nulla ha da temere, se tiene conto di ciò che è stato detto qui: dovrebbe però sempre fondarsi su questa premessa.

Essa concerne solo l’anima e lo spirito dell’uomo: ciò premesso, parlare di un’influenza nociva sulla salute fisica sarebbe assurdo.

L’ingiustificata incredulità è certo dannosa, poiché agisce nell’ascoltatore come forza respingente.

Gli impedisce di accogliere i pensieri fecondatori.

 

Nessuna fede cieca è richiesta per lo sviluppo dei sensi superiori: bensì che venga accolto il mondo dei pensieri della scienza dello spirito.

 

L’investigatore dello spirito va incontro al suo discepolo con questa richiesta: non devi credere ciò che ti dico, ma lo devi pensare, devi farne il contenuto del tuo mondo di pensieri: allora i miei pensieri in te faranno sì che tu li riconosca nella loro verità. Questo è l’atteggiamento dell’investigatore dello spirito.

Egli dà l’impulso: la forza di riconoscere la verità scaturisce dall’intimo di chi lo ascolta.

 

In questo senso dovrebbero esser cercate le concezioni della scienza dello spirito.

Chi fa lo sforzo di immergervi il suo pensare può essere certo che prima o poi esse lo condurranno a una visione sua propria.

 

In ciò che si è detto è già indicata una prima qualità che deve sviluppare chi voglia pervenire a una propria visione dei fatti superiori.

È la dedizione senza riserva e senza preconcetto alle rivelazioni della vita umana e del mondo extra-umano.

Chi fin da principio si accosta a un fatto col giudizio che porta dalla sua vita fino ad allora, a causa di quel giudizio si chiude all’impressione calma e intera che quel fatto può esercitare su di lui.

 

Lo studioso deve in ogni istante potersi trasformare in un recipiente del tutto vuoto in cui si riversi il mondo estraneo.

Sono fecondi per la conoscenza solo i momenti in cui tace ogni giudizio, ogni critica che parta da noi.

 

Di fronte a un uomo non importa ad esempio se siamo più saggi di lui.

Anche il più irragionevole fanciullo ha qualcosa da rivelare al più alto saggio.

Se questi poi si avvicina al fanciullo già con un giudizio, per quanto saggio, quel giudizio s’interpone come un vetro appannato fra lui e ciò che il fanciullo ha da rivelargli.

 

Questa dedizione alle rivelazioni del mondo estraneo richiede una totale abnegazione interiore.

Esaminandoci per sapere in quale misura si abbia tale dedizione, si faranno scoperte sorprendenti.