Il sole descritto dalla scienza è una vera e propria illusione

O.O. 183 – Il divenire dell’uomo – 26.08.1918


 

Ho fatto presente che in tutte le antiche concezioni del mondo si parlava di una triplicità del Sole, di quel Sole che viene percepito dai sensi fisici come un globo luminoso sospeso là fuori nello spazio. Dietro questo Sole gli antichi sapienti vedevano però il Sole animico – Helios per i Greci – e giusto dietro il Sole animico vedevano il Sole spirituale, che ancora Platone, ad esempio, identificava con il Bene.

Per gli uomini d’oggi, in effetti, non ha alcun senso parlare di Helios, del Sole animico, o tanto meno del Sole spirituale, del Bene.

 

Ma come qui, fra la nascita e la morte, splende per noi il Sole fisico,

così, nel tempo che trascorriamo fra la morte e una nuova nascita,

risplende fin dentro il nostro io, se così posso dire, il Sole spirituale,

quello appunto che viene identificato da Platone con il Bene.

 

Con riferimento al tempo che intercorre fra la morte e una nuova nascita

non ha alcun senso parlare del globo luminoso

di cui parla la nostra odierna concezione materialistica del mondo;

fra la morte e una nuova nascita ha senso soltanto parlare del Sole spirituale,

di ciò che Platone designa ancora come il Bene.

 

Proprio un concetto come questo dovrebbe tuttavia suggerirci qualcosa.

Dovrebbe suggerirci di riflettere a ciò che effettivamente significa

la rappresentazione fisica che ci formiamo del mondo.

Che nella rappresentazione fisica che ci formiamo del mondo,

in ciò che è dispiegato in forma sensibile davanti a noi,

dobbiamo vedere una specie di illusione, una specie di maya,

è cosa che purtroppo non viene presa sul serio nel pieno senso della parola,

per lo meno non abbastanza sul serio da poterne compenetrare realmente la concezione della vita.

 

Una rappresentazione del Sole di questo tipo è propria in sostanza di quanti riconoscono alla fisica, o, per meglio dire, all’astrofisica odierna, un’autorità assoluta: se potessero salire fin là dove i fisici dislocano il Sole, costoro, avvicinandoglisi — prescindiamo adesso, beninteso, dal fatto che la vita umana sia condizionata, presupponiamo che possa essere incondizionata —, sentirebbero un caldo enorme — così si immaginano — e poi, una volta giunti all’interno dello spazio che il fisico presume occupato dal Sole, troverebbero entro questo spazio del gas incandescente o qualcosa di analogo.

 

Così in effetti se lo raffigura il fisico:

come un globo gassoso incandescente o qualcosa del genere.

Ma così non è, questa è una vera e propria maya, è una vera e propria illusione.

 

Una simile rappresentazione non regge neppure davanti alle concezioni veritiere cui si può arrivare nell’ambito della fisica, e tanto meno poi davanti alle reali visioni soprasensibili. Se infatti ci si potesse realmente avvicinare al Sole e si giungesse là dove il Sole si trova — ebbene, nell’avvicinarsi si scoprirebbe qualcosa come se si dovesse passare attraverso un flusso di luce (lo disegniamo come un cerchio giallo con un nucleo blu all’interno); se però ci si inoltrasse là dove i fisici presumono esservi il Sole fisico, vi si scoprirebbe in un primo momento quel che potremmo considerare dello spazio vuoto. Lì non c’è assolutamente nulla; lì, dove si presume esservi il Sole fisico, non c’è proprio nulla. Lo disegno schematicamente [in blu], perché in realtà lì non c’è nulla.

 

Lì non c’è nulla, c’è dello spazio vuoto.

Ma è uno spazio vuoto singolare!

Quando dico: “Non c’è nulla”, in realtà non mi esprimo del tutto correttamente; c’è meno di nulla.

Non c’è semplicemente uno spazio vuoto, ma c’è meno di nulla.

 

E questa è una cosa della quale, per gli occidentali di oggi, è straordinariamente difficile formarsi una rappresentazione.

L’orientale trova ancor oggi questa rappresentazione assolutamente familiare; per lui non c’è proprio alcunché di sbalorditivo o di incomprensibile se gli si dice che lì c’è meno di nulla. L’occidentale invece, specie se è un vero kantiano, e di kantiani, di kantiani inconsapevoli, ve ne sono molti più di quanti oggi si creda, la pensa così: “Se nello spazio non c’è nulla, vuol dire appunto che è spazio vuoto!”

 

Ma non è questo il caso; può anche essere spazio più che vuoto. Se andassimo infatti a vedere oltre questa corona solare, troveremmo estremamente disagevole questo spazio vuoto in cui ci introdurremmo: esso infatti ci dilania. E mostra in ciò la sua caratteristica di essere più — o, per meglio dire, di essere meno — di uno spazio vuoto.

In realtà è sufficiente che ci aiutiamo con i più elementari concetti matematici perché ciò che intendo, quando dico che lo spazio vuoto è ancor meno che semplicemente vuoto, possa risultarvi non del tutto oscuro.

 

Ammettiamo che possediate un certo patrimonio. Può succedere però che spendiate tutto quello che possedete, che non abbiate più nulla. Ma si può anche avere meno di nulla: si possono avere dei debiti, e allora effettivamente si ha meno di nulla. Passando progressivamente da una condizione di spazio pieno a una di spazio sempre più rarefatto si può arrivare fino allo spazio vuoto; ma si può anche procedere oltre il semplice vuoto, così come si può passare dal nulla ai debiti.

 

Qui sta il più grosso difetto dell’odierna concezione del mondo,

nell’ignorare questo genere peculiare di materialità negativa — se così posso esprimermi —,

nel conoscere unicamente il vuoto e il pieno, e non ciò che è meno del vuoto.

 

Proprio in quanto non conosce ciò che è meno del vuoto, infatti, la cognizione, la concezione odierna del mondo è trattenuta nel materialismo, vi è trattenuta nel preciso senso del termine, è, vorrei dire, imprigionata nel materialismo.