Il vangelo di Matteo

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 01.09.1910


 

Se il vangelo di Giovanni ci mostra l’immensità della sapienza del Cristo

e quello di Luca la potenza del suo amore,

lo studio del vangelo di Marco ci mostrerà soprattutto la forza, la potenza creativa,

la gloria cosmica che compenetra gli spazi universali.

Nel vangelo di Marco vi è qualcosa di travolgente, nell’esperienza dell’intensità della forza cosmica:

è come se la sentissimo raggiungerci rombando da tutte le direzioni dello spazio,

quando cerchiamo di comprendere veramente il vangelo di Marco!

 

• Dal vangelo di Luca ci viene dunque incontro e ci penetra nell’anima un elemento di caldo amore profondo;

• il vangelo di Giovanni ci inonda di un senso di speranza per l’anima,

• mentre il vangelo di Marco quasi ci travolge con la potenza e la gloria delle forze cosmiche che vi si esprimono.

 

• Tutto diverso è il vangelo di Matteo.

In esso sono presenti, vien fatto di dire, tutti e tre gli elementi,

• quello della conoscenza che accende la speranza,

• il caldo sentimento di amore   •  e anche la maestosa grandezza dei mondi;

ma vi si trovano così attenuati, da riuscirci umanamente molto più vicini,

in quella loro attenuazione, di come si rivelano negli altri tre Vangeli.

 

Ci sentiamo quasi crollare annientati dinanzi alla grandezza della conoscenza, dell’amore e della potenza, quali ci parlano dagli altri tre Vangeli. Tutto questo è presente nel vangelo di Matteo, ma in una forma che ci consente di sopportarlo, in una forma umanamente più vicina, sì che possiamo collocarci per così dire non ai suoi piedi, ma al suo fianco. In nessun punto il vangelo di Matteo ci sopraffà, sebbene narri anch’esso qualcosa di ciò che negli altri Vangeli potrebbe quasi annientarci. Per questa ragione il vangelo di Matteo è il più universalmente umano fra quei quattro testi.

 

Esso più degli altri ci descrive il Cristo Gesù come uomo,

in una forma che ce lo fa sentire umanamente vicino in tutte le sue membra, in tutte le sue azioni.

 

Il vangelo di Matteo è in certo senso una specie di commento agli altri tre Vangeli: quello che negli altri Vangeli talora ci appare troppo grande per poterlo dominare col nostro sguardo, ci viene chiarito dal vangelo di Matteo, su una scala ridotta. Se comprendiamo questo rapporto, gli altri tre Vangeli ci si illumineranno in modo significativo: si potrà vederlo facilmente da certi particolari.

 

Vogliamo considerare dapprima solo dal punto di vista stilistico quello che stiamo per dire.

Per poter descrivere come il supremo grado dell’amore e del sacrificio possa fluire nell’umanità dall’essere che chiamiamo il Cristo Gesù, il vangelo di Luca fa appello a un filone dell’umanità che discende dai più antichi primordi del divenire terrestre. Luca stesso ci indica questo filone risalendo sino agli inizi dell’umanità.

 

Per poterci mostrare il punto al quale l’uomo può riferirsi con la sua conoscenza, con la sua sapienza, per iniziare il cammino verso la mèta indicata dalla sapienza stessa, il vangelo di Giovanni espone sin dal suo esordio come la trattazione del Cristo Gesù si fondi sul Logos creatore stesso. Sin dalle prime parole del vangelo di Giovanni viene enunciato quanto di più spirituale si può raggiungere con la nostra conoscenza; veniamo subito messi di fronte a uno dei culmini cui la conoscenza possa aspirare, a quanto di più elevato può vivere nel cuore umano.

 

Nel vangelo di Matteo l’impostazione è diversa: esso inizia narrandoci la discendenza dell’uomo Gesù di Nazaret, a partire da un determinato momento storico. Ci mostra le condizioni ereditarie entro un singolo popolo, indicandoci come le qualità che si ritrovano riunite in Gesù di Nazaret si siano andate sommando per eredità, a partire da Abramo, e come un popolo abbia fatto fluire nel suo sangue, attraverso tre volte quattordici generazioni, il meglio di quanto possedeva, per esprimere in modo perfetto in un’individualità umana le più elevate forze dell’uomo.

 

• Il vangelo di Giovanni ci guida verso l’infinità del Logos;

• quello di Luca risale fino ai primordi dell’infinita evoluzione umana.

• Invece il vangelo di Matteo ci mostra l’uomo Gesù di Nazaret

in quanto discendente da un singolo popolo che trasmette le proprie qualità,

partendo dal padre Abramo, attraverso tre volte quattordici generazioni.

 

In questa sede può venire solamente accennato al fatto che per intendere veramente il vangelo di Marco è necessario conoscere sotto certi riguardi le forze cosmologiche che compenetrano tutto il divenire del nostro mondo. Infatti in quel Vangelo il Cristo Gesù viene descritto in modo da mostrare come in un’attività umana si manifesti un estratto, un’essenza delle forze attive solitamente nell’infinito universo. Ci viene mostrato come le azioni del Cristo siano per così dire degli estratti di attività cosmiche.

 

Il vangelo di Marco si propone di descrivere l’uomo-Dio Cristo Gesù presente sulla Terra

come un estratto dell’attività solare in tutta la sua smisurata potenza.

Marco descrive dunque come l’attività degli astri operi per il tramite di una forza umana.

 

Anche il vangelo di Matteo fa riferimento in certo modo a un’attività di astri. Infatti già nel descrivere la nascita di Gesù di Nazaret esso attira la nostra attenzione sopra un certo rapporto fra il grande evento della storia umana e alcuni fatti cosmici: là dove menziona la stella che guida i tre magi al luogo in cui nacque Gesù. Tuttavia, questo Vangelo non ci descrive un effetto cosmico, come fa il vangelo di Marco, né esige da noi che si innalzi lo sguardo a quell’effetto cosmico: si limita a mostrarci tre uomini, i magi, e l’effetto esercitato su di loro da un fattore cosmico. E noi possiamo volgerci verso quei tre uomini, per cercar di partecipare ai sentimenti da loro provati. Veniamo dunque indirizzati verso l’uomo, anche in questo caso in cui pure si tratta d’innalzarci a un elemento cosmico. Ci viene mostrato il riflesso di un evento cosmico nel cuore umano; lo sguardo non viene rivolto agli spazi infiniti, ma agli effetti delle realtà cosmiche nel cuore dell’uomo.

 

Prego qui ancora una volta di voler accogliere questi accenni soltanto dal punto di vista stilistico. Il carattere fondamentale dei Vangeli è infatti proprio quello di descrivere gli eventi da aspetti diversi. Il modo stesso delle loro descrizioni è caratteristico dell’aspetto che ognuno di essi vuol riferirci del massimo evento dell’evoluzione della Terra e dell’umanità.

 

L’elemento più importante dell’esordio del vangelo di Matteo è proprio l’evidenza in cui viene messa la discendenza ereditaria di Gesù di Nazaret. È come se venisse offerta la risposta alla domanda: com’era costituita la personalità fisica di Gesù? Come si sono sommate in quella singola personalità tutte le qualità di un popolo, a partire dal padre Abramo, perché potesse manifestarsi in essa l’entità che chiamiamo il Cristo? Proprio a queste domande viene offerta risposta.

 

Ci vien detto: perché l’entità Cristo potesse incarnarsi in un corpo fisico, questo corpo doveva possedere tutte le qualità ereditarie del popolo discendente da Abramo, sommate in una singola personalità: appunto Gesù di Nazaret. Si doveva dunque veramente mostrare che il sangue di Gesù di Nazaret risale attraverso le generazioni su fino al capostipite del popolo ebraico. Perciò la natura di questo popolo, il suo particolare significato per l’evoluzione dell’umanità e della Terra è come compendiato nella personalità fisica di Gesù di Nazaret. Che cosa occorre dunque conoscere, per cogliere l’intenzione dell’autore di questo Vangelo, per quanto riguarda la sua introduzione? Occorre conoscere l’essenza del popolo ebraico.

 

Occorre poter rispondere al quesito: quale fu il contributo che il popolo ebraico potè dare all’umanità, proprio grazie alla sua natura peculiare?