In Christo morìmur

O.O. 153 – Natura interiore dell’uomo e vita fra morte e nuova nascita – 11.04.1914


 

Nei tempi antichi

la conoscenza si vivificava ancora dall’alto, e il suo contenuto le si faceva incontro dal basso.

Perciò gli antichi avevano ancora una coscienza diretta dei mondi spirituali;

essa però sempre più andò oscurandosi e attutendosi.

Se non si fosse oscurata e attutita, l’uomo non sarebbe giunto alla completa coscienza del suo io.

 

L’uomo può giungervi soltanto se nel suo corpo fisico

si forma in massimo grado il cadavere-fantasma di cui ho parlato.

Il nostro corpo fisico, in quanto entità trasparente,

deve essere interamente ricoperto, come uno specchio, da uno strato oscuro;

soltanto se sarà interamente ricoperto da quello strato, noi potremo sentirci in modo da dire: io sono un io.

 

Questa totale copertura si è andata formando però lentamente e gradatamente;

si è andata formando durante il corso dell’evoluzione dell’umanità, e si è compiuta al tempo del mistero del Golgota.

Allora la copertura fu compiuta.

Prima s’incontravano ancor sempre il sotto e il sopra; nell’entità umana il sotto e il sopra venivano ad incontrarsi.

Ma si potrebbe dire: il sotto e il sopra vennero totalmente espulsi

solo quando la formazione dello strato oscuro dello specchio fu compiuta,

ossia quando nell’evoluzione dell’umanità avvenne il mistero del Golgota.

 

Che cosa avvenne effettivamente allora?

Osserviamo esattamente quel che avvenne.

Rappresentiamoci ben chiaramente gli uomini antichi dei tempi

che precedettero il mistero del Golgota; rappresentiamoci la loro coscienza.

 

Da fuori penetra in essa la vivificazione delle immaginazioni;

da dentro affiorano immagini del mondo spirituale extraumano.

 

Che cosa sono le immagini che affiorano allora nell’uomo?

Come è noto, in passato ciò era possibile per lo stato attutito della coscienza umana.

Coloro che ne erano al corrente

e che in quanto iniziati erano in grado in passato di contemplare l’anima umana e di scorgere in essa

l’incontro fra le immaginazioni vivificate da fuori e le visioni da dentro,

non dicevano che l’uomo vedeva questo da solo,

ma dicevano per esempio che Jahve o Jehova contemplava il suo mondo entro l’uomo.

 

Così era presso gli antichi ebrei. Iddio pensava nell’uomo.

Come oggi, nel ciclo attuale dell’evoluzione, quando ci vengono delle idee diciamo che noi pensiamo,

così chi negli antichi tempi conosceva queste cose, quando sorgevano le visioni del mondo spirituale

diceva che gli dèi pensavano in noi.

Oppure, quando fu riconosciuta col monoteismo l’unità del divino, si diceva che Jehova pensava nell’uomo.

 

L’uomo è la scena su cui si svolgono i pensieri divini.

Gli uomini si sentivano ricolmi di pensieri e quindi dicevano che gli dèi pensavano in loro.

Ma nell’evoluzione umana ciò doveva diventare sempre meno possibile;

fu necessario che le visioni e i pensieri degli dèi incontrassero nella natura umana una sempre maggiore oscurità.

 

L’intimo cadavere fantasma diventò sempre più intenso e predominante.

Si avvicina il tempo in cui dalla natura umana non affioravano più dei pensieri incontro agli dèi.

Allora l’entità divina di cui si poteva dire che pensava nell’entità umana,

sentì che la sua coscienza, consistente di pensieri,

diventava sempre più ottusa, sempre più crepuscolare.

 

In questo essere divino sorse l’anelito a suscitare una nuova forma di coscienza.

Gli uomini giungono a una nuova forma di coscienza;

creando una nuova coscienza gli dèi creano così qualcosa di essenziale;

nasce in tal modo per essi qualcosa di essenziale.

• Per l’entità divina di cui parliamo, che sentiva attutire la sua coscienza,

l’elemento essenziale che allora ebbe origine è il Cristo.

 

Il Cristo è il figlio della divinità che ristabilisce la coscienza della divinità nell’attività umana.

Così l’entità del Cristo dovette inserirsi nell’entità umana.

Dobbiamo esserne consapevoli;

• in quanto percepiamo il mondo sensibile, facciamo fluire in noi continuamente un processo di morte.

• Facciamo fluire in noi tenebre e oscuramento quando pensiamo sul mondo,

• e lasciamo qualcosa di non nato in noi quando sentiamo e vogliamo.

 

Tutto ciò giace nei sostrati della nostra coscienza;

in essi noi facciamo fluire il nostro morire e il non nato in noi,

di cui potremo servirci soltanto quando saremo morti.

Tutto ciò però sarebbe storpiato, se non potessimo immergerlo nell’entità

che il mondo divino ha generato come essenza di una nuova coscienza,

se non potessimo farlo fluire nell’entità del Cristo.

 

In quanto riconosciamo veramente, grazie alla scienza dello spirito,

il senso di tutta l’evoluzione, possiamo avere tale coscienza;

noi sommergiamo nelle profondità subcoscienti ciò che muore in noi, ma questo morire viene accolto;

il morire che sommergiamo sempre più in noi viene accolto dal Cristo che ci si fa incontro vivente.

 

In ciò che muore in noi, che si oscura in noi, che non nasce in noi, sorge per noi il Cristo.

Facciamo morire ciò che deve morire in noi,

per poterci accostare al vero ideale dell’umanità con tutte le nostre disposizioni,

ma facciamo fluire nell’entità del Cristo,

che dalla origine del cristianesimo in poi pervade l’evoluzione umana, ciò che di morto facciamo fluire in noi.

 

Quanto di non nato resta in noi, il nostro sentire e volere,

sappiamo che verrà accolto dalla sostanza del Cristo nella quale viene immerso dopo la morte.

Dopo essere passato per il Golgota, il Cristo vive infatti in noi.

 

Nel Cristo riversiamo quel tanto di morto che accompagna ogni percezione.

Nell’entità del Cristo riversiamo l’oscuramento del pensiero.

 

Nella luce, nella luce solare spirituale del Cristo, noi immergiamo i nostri pensieri oscurati,

e quando attraversiamo la porta della morte,

i nostri sentimenti non nati e il nostro volere non nato s’immergono nella sostanza del Cristo.

 

Se comprendiamo giustamente l’evoluzione, dobbiamo dire: nel Cristo noi moriamo.

In Christo morìmur.