Karma passato e karma futuro.

O.O. 239 – Nessi karmici Vol. V – 15.06.1924


 

Sommario: Gli effetti del nostro comportamento morale-animico nella loro trasformazione attraverso il legame con le gerarchie nella vita tra morte e rinascita. L’azione del karma del passato nella formazione della testa. Il karma in divenire nel sistema del ricambio e delle membra. Pestalozzi. Il compito storico dell’antroposofia.

 

Confrontiamo ora che cosa ci offrono le esperienze dirette fatte nella vita tra nascita e morte con quanto dobbiamo sperimentare interiormente sul nesso tra il nostro atteggiamento, il nostro pensiero, il nostro agire animico-morale, e il risultato di quell’atteggiamento animico-morale. In queste serate abbiamo preso l’avvio proprio da tali considerazioni, e ne parleremo anche alla fine.

 

Per un verso, osservando il modo in cui le nostre azioni animico-morali procedono dalle nostre intenzioni,

da tutta la disposizione della nostra anima vediamo che quando ci osserviamo spassionatamente

• dobbiamo definire moralmente buona la parte delle nostre azioni che possono inserirsi nel processo universale;

• consideriamo invece azioni moralmente cattive, moralmente incompiute,

quelle che non possono inserirsi animicamente nel processo universale.

 

In realtà ognuno si dice che tutto quanto avviene ad opera dell’uomo non può avere solo un valore momentaneo, così come anche in natura tutto ha un significato non solo momentaneo; tutto ha però i suoi effetti, le sue conseguenze, tutto diviene causa di qualcos’altro o è effetto di qualcos’altro. La vita umana non si adatterebbe per nulla al corso degli avvenimenti universali se anche quel che porta in sé non fosse causa o effetto.

Mentre però, quando osserviamo la natura possiamo essere del tutto soddisfatti di come una cosa si verifica procedendo dalla sua causa, non possiamo assolutamente esserlo dei nessi tra le nostre esperienze animico-morali e l’andamento del mondo.

Vediamo che negli accadimenti fisici non emerge alcun nesso diretto tra quel che deve divenire la nostra disposizione animico-morale e quel che avviene davvero nel corso della vita fisica.

 

Allo stesso modo, quando in ampie sfere umane lasciamo agire su di noi gli avvenimenti, vediamo che, osservando un’anima, essa appare moralmente e animicamente buona, ma nel mondo viene colpita dalla sfortuna, dal male, mentre chi appare animicamente debole e cattivo può venir colpito da avvenimenti esterni che in generale non sono in qualche modo in relazione con quello che vive nella sua disposizione animica.

In breve, quando osserviamo la natura non troviamo nessun nesso tra ciò che sperimenta l’uomo, che vive per destino, e l’essenza, la natura della sua volontà. Sarebbe un’illusione irresponsabile se, per quanto riguarda una singola vita terrena, ci volessimo illudere che il percorso della vita in base al destino derivasse in qualche modo quale effetto dalla singola volontà morale. Il cattivo può essere felice, il buono infelice. Pure in queste due asserzioni si riassume quel che nella vita terrena la rende in un primo tempo incomprensibile alla natura umana.

 

Ne dedurremo che l’uomo, da come è inserito nel mondo, non è in grado di far sì che avvengano le relative conseguenze delle sue azioni: l’elemento morale nella singola vita terrena resta stato d’animo intimo, intima disposizione d’animo, non può manifestarsi direttamente nella realtà fisica esterna.

In ogni caso è una realtà che lo stato d’animo può presentarsi come effetto reale dell’atteggiamento morale.

Noi possiamo essere soddisfatti interiormente nell’anima della nostra buona condotta sebbene ci colpisca la sfortuna, il che sta in crasso contrasto con quel che abbiamo causato in realtà; permane però ciò che così viene attuato, per lo meno interiormente nell’anima.

 

Dobbiamo convenire che nell’ambito della vita fisica

non siamo in grado di realizzare esteriormente nel mondo fisico

quel che di morale portiamo animicamente nel nostro intimo.

 

Se, come abbiamo fatto negli ultimi giorni, prendiamo in considerazione il karma e il modo in cui le precedenti vite terrene influiscono sulle successive, perveniamo al nesso fra ciò che in campo animico-morale è posteriore e ciò che è precedente.

 

In poche parole questo significa che l’uomo, qui nella vita fisica terrena,

ha un’organizzazione che riconduce nell’elemento animico le conseguenze del suo comportamento morale

e non le lascia emergere in una vita terrena.

L’uomo in questa vita terrena è impotente a realizzare quel che porta moralmente nella sua anima, è impotente;

la sua corporeità fisica esteriore, la sua sostanzialità eterica lo rendono impotente.

Nella vita tra morte e rinascita egli diviene altrettanto potente quanto è impotente qui nella vita fisica.

 

Se però qui nella vita fisica il corpo fisico e l’eterico sono d’impedimento, lo rendono impotente,

nella vita tra morte e rinascita deve esserci qualcosa che lo mette in grado di realizzarlo là

e anche fisicamente in vite terrene successive.

Qui col nostro corpo fisico e con l’eterico siamo nel regno della natura.

Nella nostra vita terrena fisica ci rende impotenti

quanto dobbiamo prendere dal regno della natura per i nostri corpi fisico ed eterico.

 

Dopo la morte diventiamo potenti col nostro essere animico-spirituale con cui varchiamo la porta della morte

perché tra morte e rinascita siamo collegati con le entità delle gerarchie superiori,

come sulla Terra siamo collegati con i regni della natura.

Le entità delle gerarchie superiori si articolano in tre regni:

• in quello relativamente inferiore di Archai, Arcangeli, Angeli,

• nel regno intermedio di Exusiai, Dynamis, Kyriotetes

• e in quello superiore di Troni, Cherubini e Serafini.

 

Nel corso di queste conferenze abbiamo descritto come l’uomo, tra morte e rinascita, viva con le reali entità delle stelle e tramite loro con le gerarchie superiori. Affinché però l’elemento animico morale possa realizzarsi nella nostra vita terrena, deve accadere qualcosa.

 

• In primo luogo dobbiamo in verità conservare nell’anima

l’effetto della nostra disposizione animico-morale di pensiero, di sentimento e di volontà,

e poi attendere di ricevere l’aiuto delle entità delle gerarchie superiori nella vita tra morte e rinascita.

• Allora quel che rechiamo nell’anima viene prima portato attraverso il mondo spirituale,

riemerge poi in una nuova vita terrena e compare infine sotto l’aspetto con cui deve comparire.

 

• Che cosa saremmo se potessimo realizzare direttamente nella vita terrena l’elemento animico-morale che portiamo in noi? Non saremmo uomini della vita terrena!

 

Immaginiamo di portare in noi qualcosa di animico-morale da cui si possa a ragione dedurre che potrebbe creare una felice condizione del mondo, e che lo si possa rendere operante. Che cosa saremmo? Saremmo dei maghi, non uomini della vita terrena!

Se infatti viene direttamente reso operante un simile elemento animico-spirituale, nella sua essenza esso è effetto di magia. Nella singola vita terrena tra nascita e morte, nel corso dell’attuale ciclo cosmico, l’uomo non è un mago, ma lo è assieme alle entità delle gerarchie superiori, operando tra morte e rinascita e proseguendo l’opera quando dalla vita tra morte e rinascita ridiscende nella vita terrena.

 

Di fatto l’ambito in cui l’uomo agisce magicamente è la sua evoluzione karmica attraverso due tipi di esistenza così differenti, la terrena e quella tra morte e rinascita. Considerando l’uomo fisico quale ci sta di fronte nella vita corrente, egli per noi si articola (l’ho già esposto alla fine del mio libro L’enigma dell’anima) nell’uomo dei nervi e dei sensi, nell’uomo del sistema ritmico e nell’uomo del ricambio e delle membra. Ricambio e membra sono collegati: quando usiamo gli arti attiviamo il ricambio che deve funzionare e nell’organismo devono venir consumate forze.

Il ricambio deve funzionare, anche nell’esperienza interiore. Ambedue però sono affini. Osservando il sistema del ricambio quale si manifesta nel corpo fisico, siamo tentati di considerarlo il sistema più basso dell’essere umano terreno. Esistono persone che si definiscono idealiste perché si sono abituate a guardare con un certo disprezzo al sistema del ricambio e delle membra.

È il sistema più basso, quello che l’idealista per bene preferirebbe non avere. Ora però non si può esistere nella vita terrena senza di esso. È quello che mostra l’uomo nella sua incompiutezza entro la vita terrena.

 

Abbiamo dunque che nella formazione fisica dell’uomo il sistema del ricambio e delle membra è quello più basso, e di conseguenza nella vita terrena ha poco a che vedere con l’elemento veramente umano, ma già nella vita terrena è connesso con le entità della gerarchia superiore, con Troni, Cherubini e Serafini.

Quando ci moviamo nel mondo o lavoriamo con le nostre mani, nell’attività misteriosa che ivi si realizza è insita l’attività di Troni, Cherubini e Serafini. Quando poi proseguiamo la nostra vita oltre la morte e continuiamo a vivere tra morte e rinascita, essi restano i nostri aiuti. Rimangono i nostri aiuti. È quindi del tutto errato credere che l’elemento animico- morale provenga dalla testa.

 

Considerata da un punto di vista superiore, la testa non è in realtà per niente un organo così importante. La testa è più o meno uno specchio del mondo esterno e se avessimo solo la testa non avremmo conoscenza di nulla fuorché del mondo esterno. Nel capo, infatti, si rispecchia semplicemente il mondo esterno. Le esperienze della testa sono solo il rispecchiarsi del mondo esterno.

 

Gli impulsi morali, gli impulsi animici che vivono in noi non provengono dalla testa, ma dalla stessa regione in cui si trova il sistema del ricambio e delle membra, non dalla parte fisica del sistema del ricambio e delle membra, ma dalla parte spirituale-animica del sistema del ricambio e delle membra in cui vivono Troni, Cherubini e Serafini.

 

Per formarci un’adeguata visione dell’uomo in questo campo bisogna immaginare che il sistema del ricambio e delle membra, per quanto riguarda la sua organizzazione fisica ed eterica, è in apparenza incompleto, vien da dire indegno dell’uomo. In esso vi è però ben altro, o meglio, quel sistema è inserito in qualcos’altro in cui vivono i Troni, operano i Cherubini e fiammeggiano i Serafini.

 

Quando dunque l’uomo varca la porta della morte, egli abbandona tutto quanto è alla base del sistema del ricambio e delle membra e con la sua entità dell’io, resta nell’ambito in cui si trovava già durante la vita, nell’ambito di Troni, Cherubini e Serafini. Egli allora continua a vigere in grembo a Troni, Cherubini e Serafini; si separa poi da loro, ma essi continuano a formare quel che era predisposto nell’elemento animico-morale, ne accennai anche in questi giorni.

 

Dissi che l’uomo guarda dalla Terra verso il cielo per farsi un’idea di quello che per lui è l’elemento superiore, l’elemento soprasensibile-spirituale. Sinché è sulla Terra, egli si comporta così. Quando si trova nella vita tra morte e rinascita, guarda giù che cosa diviene del suo comportamento animico-morale attraverso l’azione di Cherubini, Serafini e Troni. Quando ridiscende sulla Terra, egli ne vede compiere le conseguenze; qui giù Cherubini, Serafini e Troni operano assieme alla realizzazione dell’elemento spirituale.

Così, dopo avervi prestato attenzione vediamo che l’uomo invia in maniera magica gli effetti delle sue azioni dalla vita terrena presente nelle future.

 

Se dopo aver osservato il sistema del ricambio e delle membra, volgiamo lo sguardo al sistema polarmente opposto, al sistema neuro-sensoriale che è pure diffuso in tutto l’uomo, ma che è in prevalenza disposto nel capo, volgiamo lo sguardo alla testa umana.

L’uomo nella sua testa vive in effetti solo un riflesso dell’attuale mondo esterno.

 

I suoi pensieri, le sue idee in cui soltanto, come dissi, è sveglio, in realtà attraverso il capo sono solo riflessi del mondo esterno. Quando però si ascende alla scienza iniziatica, si perviene prima alla conoscenza immaginativa e poi, attraverso la conoscenza immaginativa, si perviene com’è noto alla sua trasformazione in conoscenza ispirata e poi, attraverso la conoscenza intuitiva, si ritorna indietro alle precedenti vite terrene. Allora si guarda alle precedenti vite terrene, ma le si guarda nel loro aspetto spirituale. Nel mondo spirituale anche la conoscenza è qualcosa del tutto reale.

 

Chi con vera conoscenza iniziatica fa l’esperienza di guardare alle precedenti vite terrene, non ha l’impressione di vivere solo ora qui, al 15 giugno 1924, ma si sente vivere nel corso di precedenti vite terrene. Non solo le osserva, ma vede a ritroso se stesso in tutto il suo essere. Non è un osservare astratto, conoscitivo, è un ritrasformarsi, un fondersi, un divenire identici a chi si fu. Quando si ritorna alle precedenti vite terrene, l’interiorità diviene molto vivace, molto mossa e agitata. Poiché si ritorna indietro si acquisisce la possibilità di mutare il punto di osservazione della propria concezione del mondo.

 

Ma quale punto di osservazione si ha di solito per una concezione del mondo?

Di solito è la testa. La testa, con la sua organizzazione fisica che si aveva nella passata vita terrena, quando si sia vista la vita terrena precedente non può assurgere a punto di osservazione della concezione del mondo. Non è possibile, perchè essa non esiste più da lungo tempo, è scomparsa.

 

Solo l’elemento spirituale che viveva nel capo

può assurgere a punto di partenza di una concezione del mondo.

 

L’iniziazione consiste quindi nella spiritualizzazione dell’uomo grazie al ritornare da parte dell’uomo stesso alla sua vita precedente. In fondo ogni veggenza, nella migliore accezione del termine, significa un retrocedere a vite terrene passate.

Venir iniziati significa non restare fermi all’attuale vita terrena, ma osservare le cose del mondo da quell’uomo che si fu nella precedente vita terrena.

 

Mentre nell’abituale corso del mondo nella vita terrena si è un’entità tanto incompleta da riuscire a vedere solo il mondo fisico esterno, nel frattempo, quel che si fu in precedenti vite terrene, è già diventato veggente. Di regola avviene che quando si ritorna alla penultima vita terrena si scopre che chi si era allora è già diventato molto più completo.

Da che cosa deriva infatti che appunto non esiste ciò che si potrebbe essere dopo la precedente vita terrena? da che cosa deriva? Se in quanto uomini si avesse solo la testa e si passasse da una vita terrena all’altra, nella vita successiva rispetto alla precedente si sarebbe completi come ho descritto. Ma non si ha solo la testa, si hanno anche gli altri sistemi. E poiché nel sistema del ricambio e delle membra è insito il principio magico dell’uomo, principio che dal canto suo agisce nel karma, il karma stesso trasporta la testa degli uomini da una vita all’altra. Nella struttura della nostra testa è quindi direttamente attivo il karma.

 

In questo campo, quando si comincia a sviluppare un’obiettiva concezione dell’uomo, dalla fisionomia della testa umana s’impara a poco a poco a leggere molte cose del proprio karma. Certo che osservare la testa umana come viene osservata oggi con la coscienza abituale è proprio come se si prendesse il Faust di Goethe e si cominciasse: « E-h-o-s-t- u-d-i-a-t-o-a-h-i-m-è… » perché si sa solo sillabare e non leggere. Non si è in grado di dire: « E ho studiato, ahimè, filosofia… » Quando però si sia imparato a leggere, si comprenderanno quei curiosi segni scritti e si saprà leggerli.

 

Ho già detto che questo provoca quell’inezia per cui, mentre altrimenti in ogni libro si recepirebbero solo circa trenta differenti lettere alfabetiche, in un libro si ha il Faust, nell’altro la Logica di Hegel, nel terzo la Bibbia e così via. Che li si abbia dipende solo dall’aver imparato a leggere. Alla stessa stregua si può imparare a leggere in ciò che di vivo ci circonda.

Il passaggio dal sillabare le forme umane del capo al leggerle, conduce poi all’interno dei segreti del karma della persona in questione. Di modo che di fronte a quel che diviene visibile nella forma della testa, davvero visibile esteriormente, possiamo dirci: ogni persona ha la propria testa, nessuno ha la stessa identica formazione della testa di un altro. Anche se le persone spesso si assomigliano, il loro karma è diverso.

 

All’osservazione fisico-sensoria dalla formazione del capo emerge il karma del passato della persona in questione: nel sistema del ricambio e delle membra emerge il karma futuro, è spiritualmente nascosto, invisibile. Così quando si parla dell’uomo dal punto di vista spirituale, si può dire che l’uomo per un verso manifesta il suo karma passato, per l’altro porta in sé in maniera invisibile il suo karma futuro.

Possiamo così ascendere a un’intima considerazione spirituale dell’uomo. Se osserviamo l’uomo del ricambio e delle membra, in esso solo gli elementi fisico ed eterico sono inferiori; nel sistema del ricambio e delle membra vivono le entità della massima gerarchia.

 

La testa, nella prospettiva fisico-sensibile, è sì la parte più completa dell’uomo perché egli porta in sé in maniera esteriore e visibile quello che vi opera spiritualmente provenendo dalle vite terrene passate; di solito è la parte più considerata, ma non lo è dal punto di vista spirituale, perché mentre nel sistema del ricambio e delle membra vivono Troni, Cherubini e Serafini, nel sistema del capo vivono Archai, Arcangeli e Angeli. Sono loro che in sostanza stanno dietro a tutto quanto sperimentiamo con la nostra testa nel mondo fisico-sensibile. Essi vivono in noi, nel nostro sistema della testa, agiscono dietro la nostra coscienza, s’imbattono negli effetti del mondo fisico-sensibile, lo riflettono, e noi prendiamo solo coscienza delle immagini riflesse. Quello di cui prendiamo coscienza nel sistema del capo è solo la parvenza delle azioni di Archai, Arcangeli e Angeli in noi. Se devo proseguire l’immagine, devo dire che di contro nel sistema del capo umano operano Archai, Arcangeli e Angeli. Per le entità spirituali, che possono anche venir chiamate diversamente, mi avvalgo sempre dei nomi dell’antica terminologia cristiana che possedeva ancora l’elemento spirituale.

 

Tra il sistema neuro-sensoriale, in prevalenza ancorato alla testa, e il sistema del ricambio e delle membra, l’uomo ha il sistema ritmico. Nel sistema ritmico vi è quanto avviene tra polmoni e cuore, e in esso vive la gerarchia di Exusiai, Dynamis e Kyriotetes.

 

A conclusione dunque di queste considerazioni sul karma si apre di nuovo la visione che

l’uomo è in certa misura aperto verso l’avanti ai tre regni della natura, che sono qui sulla Terra,

e all’indietro è aperto ai tre regni spirituali delle gerarchie, via via più alte.

 

Come qui sulla Terra lo accoglie il suo corpo fisico e gli impedisce di realizzare in modo magico la sua vita etico-animica, così dopo la morte lo accoglie il mondo delle gerarchie e gli permette di realizzare magicamente per le prossime vite terrene quello che non realizzò in modo magico in una vita terrena.

Quando l’uomo procede da una vita terrena all’altra, se continuasse ad evolversi regolarmente in tutti i casi si svilupperebbe col sistema della testa della precedente vita terrena sino a raggiungere la veggenza. Archai, Arcangeli e Angeli lo porterebbero alla veggenza. Di conseguenza, se l’uomo, ove ammetta veramente l’elemento spirituale, cioè quella che si può chiamare veggenza (senza intendere con questo elementi di superstizione o di ciarlataneria), quando nel mondo sia giunto alla sua vita terrena attuale, dovrà in certo modo immedesimarsi con un atteggiamento cosmico nella sua vita terrena precedente.

 

Se quindi qualcuno vive, diciamo, nel secolo ventesimo, si avvale del corpo che gli può offrire il suo secolo, e per la conoscenza deve avvalersi del capo. A questo modo non può essere veggente. Immaginiamo però che venga trasposto in una vita precedente, diciamo nel secolo decimo o undicesimo, e che ora nel secolo ventesimo, grazie ai suoi esercizi animici, si porti indietro in ciò che egli era allora: in questo caso non è più chi fu allora, ma con la sua stessa forza spirituale fa sì di essere ora per il secolo ventesimo chi fu allora ed è appunto veggente.

Grazie alla conoscenza iniziatica nella vita fisica, ciò può appunto generare senz’altro la veggenza. Quando si guarda però alla vita umana, alla conoscenza chiaroveggente si rivela in maniera davvero reale che nei più profondi impulsi della natura umana, nei più profondi recessi dell’anima, rivive in altra forma quanto esisteva in una precedente vita terrena. In proposito si possono fare diverse esperienze; si tratta di strutturare la vita terrena in modo animico-spirituale, più profondo di quanto si faccia di solito, volendo davvero avvicinare con serietà argomenti quali l’azione del karma.

 

Desidero illustrare con un esempio quanto ho esposto. È noto dal modo in cui ho esposto questi esempi che essi sono realmente ricavati da una responsabile ricerca spirituale. Desidero citarne uno.

Un’individualità umana visse un po’ prima della fondazione del cristianesimo nell’oriente asiatico-europeo col compito per lei allora poco soddisfacente, era l’epoca in cui regnava ancora lo schiavismo, di sorvegliare un certo numero di schiavi che appartenevano ad un signore, un proprietario. La veggenza introduce in una situazione in cui un’anima umana di quell’epoca, incarnata nel corpo di un sorvegliante di schiavi, dovette eseguire tutto quanto disponeva il severo proprietario di quegli schiavi. Gli schiavi avevano direttamente a che fare col sorvegliante. Tra di loro e il sorvegliante si svilupparono legami prodotti da impulsi morali. Nell’anima di quel sorvegliante in verità viveva una grande contraddizione. Gli ripugnava applicare le disposizioni spesso dure e crudeli che gli ordinava il suo signore. Era però costretto a farlo perché era abituato a quelle condizioni, perché in quell’epoca si riteneva naturale comportarsi così. Si rifletta che anche oggi la gente non si comporta sempre come vorrebbe essere. Non riflette se è come dovrebbe. A questo modo inganna se stessa a proposito della disarmonia tra quel che è e quello che vorrebbe essere. Quell’anima quindi non era come avrebbe dovuto essere, ma in fondo provava profonda compassione, profondo amore per tutti gli schiavi infelici su cui doveva esercitare la crudeltà. Per le consuetudini sociali faceva però subire molte malvagità agli schiavi. Divenne così corresponsabile, mentre responsabile in primo luogo fu naturalmente il signore e proprietario degli schiavi.

 

Le due individualità ritornarono alla metà del medioevo come coniugi. L’allora proprietario di schiavi ritornò in un’incarnazione maschile e il sorvegliante di schiavi in una femminile. Alla metà del medioevo l’uomo che era la reincarnazione dell’allora proprietario di schiavi ricoprì una carica non proprio piacevole in una specie di comune rurale. In un certo senso fu una specie di sbirro. Tutto quanto succedeva in quel paese veniva scaricato sulle sue spalle. In realtà egli si trovò molto, molto male. Se poi si ricerca perché le cose erano così, emerge che la maggior parte degli abitanti di quel paese erano gli schiavi che aveva avuto un tempo e che aveva fatto trattare a quel modo dal suo sorvegliante. Karmicamente si evidenziò che egli, l’allora possidente, ebbe di nuovo una certa autorità, anche se solo come sbirro di paese su cui veniva addossata ogni cosa e perciò anche su sua moglie. Contemporaneamente però, poiché la moglie soffriva assieme a lui tutto quanto gli schiavi reincarnati ora nel comune rurale gli caricavano addosso, si adempie anche il karma tra la moglie, un tempo il sorvegliante, e il proprietario di schiavi. Si sciolse il legame tra i due. Tra quei due i legami erano sciolti, ma non lo erano ancora tra il sorvegliante di schiavi che era ricomparso in un’incarnazione femminile e il comune rurale. Essi si incontrarono di nuovo nel secolo diciannovesimo. Il sorvegliante di schiavi di un tempo, che in certo qual modo aveva regolato il suo legame con l’allora suo padrone, comparve come il grande pedagogo Pestalozzi, e coloro che furono i suoi schiavi comparvero come i giovani cui egli, in qualità di pedagogo, elargì i suoi benefici.

Sì, è proprio così, cose simili non vanno considerate solo alla luce della cruda ragione, ma con sentimento, sensibilità e amore, in modo che sensibilità, sentimento e amore divengano così chiari e luminosi come è di solito l’intelletto, e se ne possa sviluppare autentica conoscenza. L’intelletto può solo sviluppare le immagini della natura esterna, e quando si crede di giungere a qualcosa di diverso dalle immagini della natura, ci si sbaglia.

Si può ottenere qualcosa di diverso solo quando sentimento, sensibilità e amore divengono forze conoscitive. Solo potendo ritrasporsi come si è accennato negli sviluppi karmici, si perviene a poco a poco a farsi un’idea di come agisce il karma. In quel caso però deve collaborare tutta l’anima. Per questo motivo ciò che è implicito in simili considerazioni sul karma deve afferrare tutto l’uomo.

 

Le cose devono giungere a portare l’anima a inserirsi in modo profondo nel movimento antroposofico. Poco tempo fa fui davvero colpito a fondo. Mi ero proposto di parlare anche a Dornach di quello che ora ho detto di Pestalozzi e poi, assieme a un componente della Presidenza di Dornach, dovetti recarmi in un ufficio pubblico di Basilea. Nella sala di attesa vi era un quadro, il noto quadro che aveva già visto spesso anche chi stava con me: raffigurava come Pestalozzi si dedicava ai bambini. L’amico della Presidenza di Dornach fu profondamente colpito da quel quadro e disse :« Guardando quel quadro, tratto dall’essere di Pestalozzi, non si può che pensare che la situazione deve essersi svolta proprio così come la descrive l’antroposofia ».

Proprio queste sono le cose che dovrebbero avvenire più spesso, che potrebbero portare veramente all’esperienza diretta quel che deriva dalle concezioni antroposofiche. Per questo motivo le considerazioni sul karma che potei svolgere qui con mia grande soddisfazione non debbono solo avere la pretesa di venir comprese intellettualmente; quel che fu detto in questi otto giorni non si appella solo all’intelletto, si appella al cuore, a tutta l’anima. Solo quando si comprenderà quel che ho detto sulla reincarnazione di personalità storiche, sulle considerazioni su singoli karma, sull’influenza di sonno e veglia per lo sviluppo del karma, e lo si lascerà agire su cuore e anima, solo allora da tali considerazioni potrà derivare una comprensione complessiva degli effetti del karma per le singole personalità umane.

 

Questo operare su tutto l’uomo di quel che oggi si considera così volentieri solo dal punto di vista intellettuale è l’elemento che solo aiuta la nostra civiltà in declino a sollevarsi. Che cosa dice oggi l’orientale sull’uomo dell’occidente? L’orientale oggi non ha una spiritualità che noi possiamo semplicemente far nostra, ha una spiritualità che in tempi antichi guardava veramente a fondo nel mondo spirituale. Egli ne serba solo tracce, ma nella sua anima ha certo la sensibilità per quello che vi fu una volta in oriente: un convivere con lo spirito che vive in ogni cosa. Questo ha chi non soccomba al materialismo.

Un orientale che aveva una sensibilità proprio per l’essenza della spiritualità vivente nella saggezza orientale, considerando la civiltà occidentale, disse:« Qual è la sua caratteristica? Di avere solo facciata e non fondamenta. La facciata si erge direttamente sul terreno e mancano le fondamenta ».

E continua: « Sì, l’uomo occidentale, in tutto quanto è parte della sua civiltà, in quasi tutto muove dall’io, da un io racchiuso in una sola vita terrena, da un io che agisce in modo che percependolo, come si fa, non è una realtà. È una realtà solo se esce da se stesso e conduce alle vite terrene che si susseguono».

 

L’orientale vede come fondamenta lo stare in vite terrene succedentisi,

e considera facciata il fermarsi all’io racchiuso tra nascita e morte.

 

Non abbiamo forse visto oggi che quando si guarda nell’elemento spirituale si guarda di nuovo nel passato? Quando si guarda di nuovo allo sviluppo karmico in senso magico, bisogna essersi basati sulle vite terrene succedentisi. Allora l’io viene ampliato, l’io non sarà neppure più egoista. L’orientale dice che l’europeo può trovare l’io solo tra nascita e morte, e definisce questo l’egoismo dell’europeo. Per questo dice: l’europeo e in generale tutta la civiltà occidentale hanno una facciata, ma non le fondamenta, e se la civiltà occidentale continua a restare ferma all’io che vive tra nascita e morte, allora un giorno, essendo la facciata priva di fondamenta, potrebbe avvenire che cadano le singole pietre della facciata.

Quest’immagine della facciata priva di fondamenta e dalle pietre sgretolantesi, è radicata in molte anime orientali, perché esse vivono nell’immaginazione. Proprio il vedere le cose che abbiamo considerate in questi giorni offre di nuovo fondamenta, conduce oltre la pura facciata. L’osservazione del karma che guida da vita terrena a vita terrena permette all’uomo di uscire dalla sua attività limitata, ristretta, volta solo a una vita terrena.

 

Oggi, in occasione dell’ultima conferenza che tengo qui, desidero dare quest’immagine del compito storico-culturale dell’antroposofia. Se tale immagine darà spunti, continuando ad agire all’interno delle anime, esse coopereranno a posare le fondamenta di una vera facciata, autentica e massiccia, della civiltà occidentale. L’orientale fa sempre un’aggiunta quando dice qualcosa come ho fatto io. In realtà a me resta poco da aggiungere, le cose sono state presentate spesso da orientali. Quando un orientale dice frasi simili, vuol dire: l’occidente si è allontanato troppo dallo spirito, non è più in grado di trovare le fondamenta. L’oriente deve contribuire con quello che ha ancora dai tempi antichi di modo che la civiltà terrena non affondi.

 

Il non avverarsi di questo terribile destino della civiltà occidentale, profetizzato oggi da tutti gli orientali saggi, dipende da aspirazioni come quella antroposofica. Per riportare di nuovo l’elemento spirituale nei cuori umani, nelle anime umane, bisogna avere la buona volontà di entrare nel mondo spirituale. Una comunità di persone che si riunisce per svolgere un tale lavoro spirituale, come è avvenuto qui ora, intende correttamente la cosa solo quando ne consegua il compito di lavorare con tutta la forza di volontà a disposizione dell’anima, per sperimentare lo spirito. Così in queste conferenze mi sono impegnato a indicare come sperimentare con l’anima l’elemento spirituale e l’elemento morale che tutto abbraccia. Per questo ho voluto impiegare come ho fatto le ore passate insieme.

 

L’antroposofia dovrebbe prendere sul serio l’elemento spirituale ogni momento, ogni istante, non solo ogni ora.

Essa di conseguenza deve rendere vero che quando ci troviamo nello stesso spazio siamo assieme fisicamente, ma sappiamo che occupandoci dell’elemento spirituale, continueremo a stare assieme anche quando ci separeremo fisicamente.