La civiltà babilonese-assiro-caldeo-egiziana

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 29.05.1908


 

Alla civiltà paleo-persiana la realtà fisica esteriore si presentava come un campo d’attività. Essa viene ancora considerata come l’espressione d’una divinità ostile, ma è già fiorita la speranza di poter penetrare, con l’aiuto della divinità luminosa, nel campo della realtà fisica, di poterlo compenetrare interamente di potenze spirituali e divinità buone. A questo modo l’uomo paleo-persiano sentiva già la realtà del mondo fisico, la considerava bensì ancora come dominio del Dio delle tenebre, ma non senza la speranza di poterle incorporare le forze degli dèi buoni.

 

Poi l’umanità procede verso quel periodo che trovò la sua espressione storica nella civiltà babilonese-assiro-caldeo-egiziana; e abbiamo veduto come avvenne che il cielo non fosse più considerato maya, ma come qualcosa che poteva venir decifrato. Nelle luci e nelle orbite stellari, che per gli antichi indiani erano stati solo illusione, maya, gli uomini della terza civiltà postatlantica scorsero l’espressione delle decisioni e intenzioni divine: Si cominciò a vivere nella persuasione che la realtà esteriore non fosse illusione, bensì una rivelazione, una manifestazione delle entità divino-spirituali.

 

Nella civiltà egizia si cominciò ad applicare alla suddivisione della Terra stessa ciò che si era appreso a leggere nelle stelle. Perché gli egizi divennero i maestri della geometria? Perché ritenevano che, per mezzo del pensiero che misura e suddivide la Terra, si potesse anche dominare la materia; che la materia, una volta afferrata dallo spirito dell’uomo, potesse venire trasformata.

 

A questo modo una umanità più recente compenetrò il mondo materiale, che prima era stato considerato come illusorio, lo compenetrò con lo spirito che andava sempre più emergendo anche nell’interiorità dell’uomo.

 

Abbiamo veduto che solo verso la fine dell’epoca atlantica gli uomini furono in grado di sentire l’io, o l’« io-sono ». Infatti, fintanto che gli uomini percepivano le immagini spirituali, si rendevano pure conto di appartenere essi stessi al mondo spirituale, di essere immagini fra le immagini.