La comprensione della conoscenza antroposofica

O.O. 26 – Massime antroposofiche – 13.07.1924


 

La comprensione della conoscenza antroposofica può venir avvantaggiata

ove si indirizzi sempre di nuovo l’anima umana alla relazione esistente fra l’uomo e il mondo.

 

Se l’uomo dirige l’attenzione al mondo

nel quale viene a nascere e dal quale esce al momento della morte,

innanzi tutto egli ha intorno a sé la folla delle sue impressioni sensorie.

E su tali impressioni dei sensi egli si forma dei pensieri.

 

Portando a coscienza il pensiero: « Io mi formo dei pensieri sul mondo che i miei sensi mi manifestano »,

egli può già dare inizio all’auto-osservazione.

Può dirsi: « Nei miei pensieri vivo « io ».

Il mondo mi dà occasione di sperimentarmi in pensieri.

Considerando il mondo, io trovo me stesso nei miei pensieri ».

 

Proseguendo così nella riflessione, l’uomo perde il mondo nella sua coscienza, e l’io entra in essa.

Egli cessa di rappresentarsi il mondo; comincia a sperimentare il sé.

 

Se al contrario l’attenzione vien diretta all’interiorità, nella quale il mondo si rispecchia,

emergono nella coscienza i fatti del destino della vita

nei quali il sé umano è fluito a partire dal momento fino al quale si risale con la memoria.

Si sperimenta la propria esistenza nella successione di tali esperienze del destino.

 

Mentre ci portiamo alla coscienza:

• « Col mio sé ho sperimentato un destino », si può cominciare con l’osservazione del mondo.

Ci si può dire: « Nel mio destino io non ero solo; nel mio sperimentare interveniva il mondo;

io volevo una cosa o l’altra, e nel mio volere fluiva il mondo.

Io trovo il mondo nel mio volere sperimentando il volere nell’auto-osservazione ».

 

Continuando così a penetrare nel proprio sé,

l’uomo perde il sé nella sua coscienza, e in questa entra il mondo.

Egli cessa dallo sperimentare il sé, e nel sentire comincia ad avvertire il mondo.

• Io penso fuori nel mondo, e là trovo me;   • io mi immergo in me stesso, e qui trovo il mondo.

Quando l’uomo sente ciò in modo sufficientemente forte, egli è inserito negli enigmi universali e umani.

 

Infatti, il sentire: « Noi ci affatichiamo nel pensare per afferrare il mondo, e alla fine in questo pensare siamo pur sempre noi stessi », è il primo enigma universale.

Sentirsi formati dal destino nel proprio sé, e sentire in questo formarsi il fluttuare del divenire universale ci spinge verso il secondo degli enigmi universali.

Nello sperimentare questo enigma universale ed umano germina l’atteggiamento animico nel quale l’uomo può incontrare l’antroposofia in modo da riceverne nel suo intima un’impressione che susciti la sua attenzione.

 

L’antroposofia fa rilevare che esiste uno sperimentare spirituale il quale nel pensare non perde il mondo;

anche nel pensare si può ancora vivere.

• Nella meditazione essa indica uno sperimentare interiore nel quale, pensando, non si perde il mondo dei sensi,

ma si guadagna il mondo dello spirito.

• Invece di penetrare nell’io, nel quale si sente che scompare il mondo dei sensi,

si penetra nel mondo spirituale, nel quale si sente rafforzato l’io.

 

L’antroposofia mostra inoltre che vi è uno sperimentare del destino nel quale non si perde il sé.

Anche nel destino si può sperimentare sé stessi attivi.

Nella contemplazione non egoistica del destino umano

essa suggerisce un’esperienza nella quale si impara ad amare non soltanto la propria esistenza, ma il mondo.

 

Invece di fissare il mondo che nella ventura e nella sventura porta l’io sui suoi flutti,

si trova l’io che, volente, plasma il proprio destino.

Invece di cozzare contro il mondo frantumando l’io, si penetra nel sé che si sente congiunto col divenire universale.

Il destino dell’uomo gli viene preparato dal mondo che i suoi sensi gli manifestano.

Se nell’agire del destino egli trova la propria attività,

allora il suo sé, nella sua sostanza, gli sorge dinanzi non solo dalla propria interiorità, ma dal mondo dei sensi.

 

Se, anche sommessamente, si riesce a sentire come nel sé il mondo appaia come spiritualità,

e come nel mondo dei sensi il sé si dimostri attivo, già si è inseriti in una sicura comprensione dell’antroposofia.

In tal caso si svilupperà allora un senso

per il fatto che nell’antroposofia è lecito descrivere il mondo spirituale che viene afferrato dal sé.

 

Tale senso svilupperà anche la comprensione per il fatto che nel mondo dei sensi

il sé può venir trovato anche in altro modo che non immergendosi nell’interiorità.

L’antroposofia trova il sé mostrando come dal mondo dei sensi

non si manifestino all’uomo soltanto percezioni sensorie,

ma anche effetti che sono l’eco della sua esistenza preterrena e delle sue vite anteriori.

 

Ora l’uomo può guardar fuori nel mondo dei sensi e dire: esso non è solamente colore, suono, calore;

in esso operano anche le esperienze delle anime,

le esperienze che le anime hanno attraversato prima della loro attuale vita terrena.

• Egli può guardar dentro di sé e dire: qui non vi è soltanto il mio io, qui si manifesta un mondo spirituale.