La comprensione soprasensibile della figura umana (pelle, organi dei sensi, nervi, ghiandole, sangue, muscoli, ossa)

O.O. 231 – L’uomo soprasensibile alla luce dell’antroposofia – 13.11.1923


 

Sommario: La necessità del materialismo e delle sue conoscenze scientifiche. La sua incapacità per conoscenze animiche e spirituali. La comprensione soprasensibile della figu­ra umana (pelle, organi dei sensi, nervi, ghiandole, san­gue, muscoli, ossa) rispetto alla sua discendenza plane­taria e alle gerarchie. Differenze fra uomo e animale. La coscienza.

 

Il tema proposto per queste conferenze per soci della Società Antroposofica è: « L’uomo soprasensibile alla luce dell’antroposofia »; noi tenteremo di illustrare il modo di comprenderlo dai più diversi lati. Siccome potrò tenere solo un piccolo numero di conferenze, vorrei entrare subito oggi nel cuore dell’argomento.

 

Parlando dell’uomo soprasensibile, ci poniamo subito in contrasto col modo in cui ai nostri tempi si parla dell’uomo. Già da gran tempo infatti, anche quando si è di tendenze idealistiche, dell’uomo soprasensibile non si parla. Nell’ambito della cultura corrente, della conoscenza del nostro tempo, non si parla cioè dell’uomo che passa attraverso nascite e morti, perché nel corso di questi ultimi secoli si è arrivati a considerare come un fatto ovvio (il quale fin dalla scuola viene inculcato nei fanciulli) che le moderne concezioni abbiano mostrato come la Terra sia come un granellino di sabbia che si muove con folle velocità nell’universo e che su di esso, naturalmente come un granellino ancor molto più piccolo, c’è quell’essere insignificante in senso cosmico che è l’uomo.

 

Tuttavia, mentre questa concezione del granellino di sabbia è penetrata in tutti gli intelletti, e quindi nei cuori, con essa si è completamente perduta la possibilità di collegare l’uomo con ciò che risiede fuori dell’ambito terreno. Ma con chiarezza davvero innegabile, pur se gli uomini non se ne rendono conto, pur se per loro rimane nel dominio dell’inconscio, con innegabile chiarezza nell’anima parla qualcosa che energicamente invita l’uomo a tornar a volgere lo sguardo sulla parte soprasensibile del proprio essere, e per tal via dell’essere del mondo.

 

Nel corso degli ultimi secoli il materialismo è infatti anche penetrato nel campo della conoscenza.

Che cosa è dunque il materialismo?

• Il materialismo è una concezione del mondo

che considera l’uomo in quanto nato dalle sostanze e dalle forze della Terra.

 

Pur se qualcuno sostiene che l’uomo non consiste unicamente di sostanze e forze terrene, non possediamo alcuna scienza che si occupi di quanto non proviene da esse. Quindi se molte persone, dal loro punto di vista ben intenzionate, affermano che l’elemento eterno insito nell’uomo può tuttavia venir compreso, quell’affermazione non è del tutto onesta.

Confutare il materialismo non basta, è una impresa del tutto dilettantesca quella di voler confutare il materialismo. Le vedute teoriche che poggiano sul materialismo e pongono in dubbio o negano del tutto l’esistenza di un mondo spirituale, o per lo meno pongono in dubbio o negano la possibilità di conoscerlo, quelle vedute non sono ciò che va in prima linea considerato.

 

Quel che va innanzi tutto preso in considerazione

è l’importantissima, la estremamente imponente azione del materialismo.

 

A che giova in fondo se, partendo da un qualsiasi stato d’animo o per tradizione religiosa, la gente dice che il pensare umano, il sentire umano, il volere umano devono pur essere qualcosa di autonomo, di esistente fuori del cervello, e poi viene l’odierna scienza che, con un mezzo o con l’altro e per lo più sottoponendo ad esame condizioni cerebrali patologiche, seziona il cervello un pezzo dopo l’altro, e al contempo seziona in apparenza anche l’anima?

A che giova inoltre se, per un qualsiasi stato d’animo o per tradizione religiosa, parliamo dell’immortalità dell’anima e poi, se questa è per esempio ammalata, null’altro può venirci in mente se non di pensare al risanamento del cervello, e del sistema nervoso in genere? Tutto ciò è stato portato dal materialismo.

Molti che oggi vogliono confutarlo non sanno propriamente quel che fanno; non sospettano l’enorme importanza delle singole cognizioni derivate da esso, e non hanno un’idea delle conseguenze che il materialismo ha portato per tutta la conoscenza dell’uomo.

 

Poniamoci davanti all’anima questo punto di partenza.

Osserviamo l’uomo quale la scienza odierna può conoscerlo, e procediamo al riguardo del tutto onestamente.

Allora qualcosa ci verrà rivelato.

 

Da tutto ciò che la fisiologia, la biologia, la chimica ecc. possono addurre a spiegazione dell’uomo, si riconosce come le diverse sostanze e forze dell’universo e della Terra si combinino per costruire i suoi muscoli, il sistema nervoso, il sistema sanguigno, per costruire inoltre i vari organi sensori; in breve, tutt’intero l’uomo di cui parla la scienza odierna.

Qui costatiamo un fatto singolare. Interroghiamo per prima la scienza che oggi, e con ragione, miete i maggiori successi. Prendiamo per esempio la conoscenza dell’uomo che sta alla base di quel che nelle università il medico deve imparare quale fondamento dell’azione curativa, quel che, prima nelle scienze preparatorie e poi in quelle fondamentali per la medicina, egli apprende intorno all’uomo.

Possiamo pensare compendiato in un manuale tutto quel che un medico deve conoscere intorno all’uomo, pensare riassunto in un compendio quel che deve sapere fino al momento in cui passa a cognizioni specializzate, e poi domandarci che cosa si conosca in tal modo dell’uomo.

Se ne conosce moltissimo; se ne conosce tutto quello che è oggi possibile conoscerne.

 

Da quel campo passiamo a un altro, al campo degli psicologi, dei conoscitori dell’animico…, ma qui il problema diviene in realtà assai problematico, incerto. Ci si accorge infatti subito che nelle scienze esatte, alla cui base risiede un serio studio, si hanno dei risultati di indagine ben fondati. Così ben fondati che quelli che li espongono non sono per lo più alla loro altezza. Accade spesso che gli studenti si annoiano terribilmente delle cose che vengono loro ammannite come preparazione; ciò non dipende dalle scienze stesse, ma solo da coloro che ne trattano. Non si dovrebbe quindi mai parlare della noiosità della scienza, ma solo di quella dei professori. Dalla scienza non dipende davvero; essa offre cognizioni di buona lega. Pur se quelli che la espongono sono spesso abbandonati da ogni buon spirito, la scienza stessa non lo è.

 

Ma se dai risultati di un’indagine straordinariamente solida passiamo agli psicologi ed ai filosofi, e vediamo come essi parlano dell’anima, e perfino di quanto vive di eterno nell’uomo, ben presto ci accorgiamo che, prescindendo da quel che si è tradizionalmente tramandato da tempi passati, essi offrono parole, null’altro che parole di cui non si può far uso alcuno. Se con i più profondi bisogni della sua anima l’uomo si volge attualmente a una filosofia o a una psicologia, non solo le troverà noiose, ma non vi troverà più nulla di rispondente a quanto egli chiede.

Perciò si può dire che una reale conoscenza viene oggi propriamente solo largita dalle scienze naturali. Ma che cosa insegnano esse dell’uomo? Insegnano quello che di lui si forma con la nascita o la concezione e scompare con la morte. Null’altro.

 

Se si vuole essere onesti, va confessato che non racchiudono altro. Per chi in questo campo vuol essere onesto, non esiste quindi altra possibilità se non quella di volgere il proprio sguardo verso ciò che non può oggi venir raggiunto con i mezzi scientifici ordinari, e fondare una reale scienza dell’anima e dello spirito che, come l’antica, poggi su esperienza e osservazione spirituale.

Questo tuttavia può solo farsi con i mezzi che si trovano indicati nei miei libri L’iniziazione e La scienza occulta e altri ancora, attraverso i quali l’uomo raggiunge la possibilità di vedere realmente lo spirituale e di parlarne come parla di quanto appartiene al campo sensibile e ha condotto a una solida scienza della natura.

Naturalmente quello che sulla Terra si offre ai sensi e può essere oggetto di esperimento, non è ancora giunto a conclusione; procede però su una buona via. Tutto ciò conferisce comunque solo delle cognizioni intorno all’uomo transitorio, sensibile, perituro. Se vogliamo capire l’uomo attraverso quei mezzi, non possiamo quindi andare oltre cognizioni terrene.

 

Guardando solo a quanto dell’uomo è terreno, noi guardiamo unicamente a quanto di lui è transitorio.

Ma come ancora vedremo, considerato a sé, il transitorio non è comprensibile;

ciò costituisce un’esortazione a distogliere lo sguardo dalla Terra e dirigerlo verso la sfera circostante.

 

Tuttavia quando la scienza odierna volge lo sguardo alla sfera che circonda la Terra, essa calcola solamente le distanze stellari, descrive le vie percorse dagli astri, dirige verso di essi lo spettroscopio, e dice come i fenomeni luminosi osservati portino a concludere che le stelle contengono le stesse materie che sono anche sulla Terra. La scienza che investiga quel che è sopra e fuori della Terra non esce essa stessa dall’ambito terreno, non lo può. Oggi però, quale punto di partenza, vorrei presentare alcune cose che nelle singole trattazioni troveranno sempre maggiore conferma.

 

Se con i mezzi della scienza odierna, anziché alla Terra, volgiamo lo sguardo verso quel che si offre ai sensi fuori di essa, al mondo stellare, incontriamo prima il sistema planetario, i corpi celesti che sotto certi aspetti si palesano connessi con la Terra, che eseguono moti di cui oggi si crede di aver scoperto che assomigliano a quelli della Terra intorno al Sole, e altri moti che, unitamente al Sole, eseguono in una qualsiasi direzione fuori nello spazio. Questo è ciò che oggi può venir calcolato e osservato. Ma non fornisce nulla che possa in qualche modo venir messo in relazione con l’uomo. Si può dire che da quelle osservazioni non si ricava nulla per l’uomo.

 

La percezione soprasensibile conduce subito a qualcosa di diverso. Volgiamo lo sguardo ai lontani pianeti esterni alla Terra: Saturno, Giove, Marte, poi vengono la Terra stessa, Mercurio, Venere, Luna. Non calcoliamo ora la Luna come un satellite, ma come un corpo planetario pari alla Terra. Per i pianeti l’odierna scienza calcola per esempio che Saturno, che ha da assolvere un lungo cammino, abbisogna di molto tempo, 30 anni, per girare intorno al Sole, che a Giove occorre assai meno, a Marte meno ancora. Volgiamo dunque lo sguardo al cielo stellato: vediamo un pianeta, una stella in un determinato punto, un altro in un punto diverso; così Saturno, Giove e così via.

 

Tutto ciò che a tutta prima si presenta all’occhio fisico, qui Giove, là Saturno, tutto ha anche un’atmosfera eterica, è immerso in una fine sostanza, nell’etere. Se si è in grado di vedere al contempo la forma fisica e l’etere, si vede come per esempio Saturno (questo pianeta così singolarmente configurato con il globo percepibile alla visione esteriore e gli anelli all’intorno), si vede come Saturno esegua qualcosa nell’etere che lo circonda.

Saturno non è inattivo rispetto all’etere che avvolge e racchiude tutta la sfera planetaria; alla percezione spirituale appare che Saturno irradia delle forze percepibili quali forme. Quel che appare fisicamente è solo una parte di Saturno, è anzi qualcosa che gradualmente scompare per la visione spirituale.

 

Dalla percezione spirituale si trae l’impressione

che gli spiriti del mondo situarono Saturno là dove esso si trova

perché avessimo una direttrice verso cui dover guardare.

 

Se guardiamo con l’occhio spirituale, avviene come se qualcuno disegnasse qualcosa su una lavagna solo per stabilire un punto d’appoggio, poi disegnasse qualcosa all’intorno e cancellasse quel punto. Nella visione spirituale questo accade di per sé: Saturno si cancella, ma quello che vi è all’intorno si fa sempre più distinto.

Ciò parla un meraviglioso linguaggio.

 

Se si è arrivati al punto in cui Saturno si è cancellato, si vede che quel che esso ha inciso nell’etere si prolunga fino a Giove. Giove si comporta nello stesso modo. Anche esso si spegne; quel che si va imprimendo nell’etere si estende a sua volta, va molto lontano, e nell’etere sorge di nuovo una forma che, unendosi a quella di Saturno, produce un’immagine.

Si arriva così fino a Marte e avviene di nuovo lo stesso. Poi si arriva al Sole e qui, mentre il Sole esteriore, il Sole fisico abbacina, col Sole spirituale il fenomeno non accade; tutto ciò che abbacina si spegne rapidamente. Da tutto ciò che è stato impresso nell’etere si ricava un’immagine estremamente viva che si estende fino a Mercurio, a Venere, alla Luna.

Abbiamo così diverse immagini parziali, e si può ora dire che a volte le singole immagini occupano posizioni tali che, attraverso i moti dei pianeti, la figura prodotta da Saturno non può incontrarsi con quella emanata da Giove. Orbene, cosa notevole, a ciò pure è provveduto, e le singole figure si connettono in modo singolare.

 

Nella Terra esiste cioè una linea: se da un determinato punto situato in Oriente, in Asia, passando attraverso il centro della Terra, la si prolunga fin dall’altra parte, e poi oltre nell’universo, essa acquista straordinaria importanza per tutta l’immagine in questione. Se Saturno si trova fuori di quella linea, si è indotti a portare fino ad essa la forma da lui emanata; qui essa si fissa. Per lo sguardo veggente le singole immagini si fissano sempre lungo quella linea (viene disegnato). Se dunque si vedono in un qualsiasi punto le forme emanate da Saturno o da Giove (certo bisogna cercarle) si vede parimenti che in ultimo esse si fissano lungo quella linea, e si ottiene in tal modo un’immagine del tutto unitaria. Visto in questa maniera, il nostro sistema planetario presenta un’immagine del tutto unitaria. Che cos’è quell’immagine unitariamente configurata? Si cerca di capirla e si scopre che cosa è.

 

Quell’immagine ci presenta una figura generale della pelle umana inclusi gli organi di senso.

• Se si prende la pelle umana con gli organi di senso

e si cerca di disegnarne un’immagine celeste, si avrà quello che ho descritto ora.

Il sistema planetario disegna nell’etere cosmico

ciò che, specializzato dalle condizioni terrene, esiste nella figura spaziale della pelle e degli organi di senso.

 

• Il primo fenomeno è dunque che, secondo la figura conferitagli dalla pelle,

connettiamo l’uomo vivente sulla Terra col sistema planetario

che configura, che plasma nell’etere la celeste forma archetipica dell’uomo terreno.

• Il secondo fenomeno è che vediamo i pianeti eseguire dei movimenti.

 

Passiamo ora a considerare i movimenti dei pianeti.

Se osserviamo un singolo pianeta dal punto di vista tolemaico, otteniamo una data immagine, e anche seguendo il sistema copernicano otteniamo un’immagine. Prescindendo da quale sarà giusto, le singole figure tracciate da quei movimenti possono venir interpretate nei più vari modi, ma quel che conta è di poter abbracciare tutti quei movimenti insieme.

I movimenti di Saturno che deve percorrere il più lungo cammino, e abbisogna quindi di maggior tempo per assolverlo, visti assieme a quelli di Giove generano un’immagine. Guardandoli, si costata che da tutti i moti dei pianeti visti assieme risulta un tutto.

Anche l’immagine sorta in questa maniera può venir compresa, e allora essa non si presenta quale viene descritta dall’astronomia.

 

È per esempio singolare che per la visione spirituale non risultano delle figure di ellisse come quelle presentate dall’astronomia, ma se seguiamo per esempio Saturno, esso ci mostra delle linee che, congiungendosi con quelle di altri pianeti, si conchiudono nella forma di un otto, di una sorta di lemniscata.

All’interno di quella forma, giuocano tutti gli altri moti planetari possibili. Anche questo crea una immagine, e tale immagine suscitata dai moti planetari è ciò che, quale figura celeste, possiamo porre alla base di quanto nell’uomo si manifesta nei nervi e nelle ghiandole ad essi collegate.

 

Se dunque dalla pelle con gli organi di senso in essa inclusi,

il cui archetipo appare alla percezione spirituale nella collocazione dei pianeti,

passiamo ai moti planetari e li percepiamo nel loro insieme,

disegnando il contorno della figura umana avremo l’impressione di riprodurre quella del sistema planetario;

se poi in quel contorno introduciamo il sistema nervoso e le ghiandole secretorie

come appaiono alla vista, con ogni tratto di penna dovremo avere il sentimento

di disegnare l’immagine fisica dei moti dell’intero sistema planetario.

 

Poi l’uomo può progredire nella sua veggenza, nell’osservazione spirituale del mondo. È arrivato fino al punto in cui, come ho descritto, disegnando i nervi e le ghiandole vicine ha ottenuto un’immagine dei moti planetari; ma egli può maggiormente progredire, e allora i singoli movimenti spariranno.

 

Se dalla percezione immaginativa ascendiamo cioè a quella ispirativa,

i singoli moti planetari scompaiono. Ciò ha molta importanza.

Scompare quel che in senso stretto può venir chiamato percettibile; a un tratto non c’è più.

Allora si comincia spiritualmente a udire.

 

Quello che prima era stato movimento si fa indistinto, si confonde:

in ultimo se ne ha solo un’immagine nebulosa.

Ma da quell’immagine nebulosa sorge la musica cosmica, i ritmi cosmici diventano udibili per noi.

Rispetto a tali ritmi cosmici possiamo domandarci

che cosa dobbiamo ora introdurre nel nostro schizzo dopo quello che abbiamo già fatto.

 

Sappiamo che con l’arte umana si possono trasformare varie cose. Disegnando la linea di contorno dell’uomo e introducendovi il sistema nervoso, abbiamo l’impressione di disegnare o di dipingere del tutto giustamente. Ma non possiamo direttamente dipingere la musica cosmica che udiamo; sono ritmi, sono melodie. Se volessimo introdurla nel nostro schizzo del contorno della figura umana, dovremmo prendere un pennello e, seguendo il disegno che abbiamo fatto del sistema nervoso, presto mettere in un qualsiasi punto una macchia rossa, presto una turchina, poi di nuovo una rossa, di nuovo una turchina e così lungo tutta la linea del sistema nervoso. In certi punti si avvertirebbe però come un guizzo; non si può andare avanti, si deve sostare e dipingere qualcosa di particolare, qualcosa che esprima quel che udiamo.

 

Lo possiamo tradurre in disegno, ma se vogliamo collocarlo entro la linea di contorno, in certi punti siamo costretti a disegnare una tutt’altra forma, perché ciò che prima procedeva in ritmo: blu, rosso, blu, rosso diviene ora melodia. Siamo così costretti a dipingere qualcosa di diverso, una forma, quello che la melodia ci canta. Ritmi cosmici, melodie cosmiche! E quando abbiamo disegnato il tutto, ne risulta in forma percepibile spaziale la melodia cosmica quale risuona quando i moti planetari scompaiono come nella nebbia e la musica cosmica diviene spiritualmente udibile.

 

Quello che abbiamo in tal modo disegnato è il percorso del sangue. Quando arriviamo al cuore o ai polmoni, a uno degli organi che ricevono qualcosa da fuori oppure anche ricevono qualche sostanza dal corpo stesso, dobbiamo dipingere qualcosa che si aggiunge alla semplice circolazione del sangue: cuore, polmoni, fegato, reni, stomaco; a questi organi, che hanno a che fare con la circolazione sanguigna, che sono organi secretivi, la secrezione può venire aggiunta dipingendoli entro il sistema sanguigno e attingendo alla musica cosmica.

 

• Procediamo poi oltre dall’ispirazione all’intuizione.

Dalla musica cosmica sorge allora qualcosa di molto particolare; i suoni si combinano assieme, un suono esercita un’azione sull’altro, e in quella musica cosmica si può avvertire un senso. La musica cosmica si trasforma in linguaggio di tutto l’universo, in ciò che si dovrebbe compendiare nei termini di linguaggio universale; il linguaggio cosmico diviene udibile. Mentre diviene udibile, ci sentiamo di nuovo indotti ad aggiungere qualcosa al nostro disegno. Ne diventiamo coscienti, e dobbiamo procedere come quando, scrivendo o disegnando, esprimiamo qualcosa attraverso le figure che sono le lettere alfabetiche. Così dobbiamo esprimere il senso delle singole parole cosmiche, introducendole nel nostro disegno; esattamente come quando qualcuno ci dice qualcosa e noi lo scriviamo, così ci dice qualcosa la parola cosmica e noi lo disegniamo. In quel disegno compare allora il sistema dei muscoli e quello delle ossa.

 

Da ciò che il mondo extraterreno ci dice abbiamo ora ricavato l’uomo tutt’intero.

Nel corso di questa osservazione si aggiunge però qualcosa di essenzialmente diverso.

 

Torniamo al principio di queste nostre considerazioni, a ciò che troviamo quale forma incisa nell’etere. Mentre esercitiamo tale conoscenza, l’elemento terreno scompare, esiste solo più come ricordo. Come ricordo deve rimanere, altrimenti non avremmo alcun sostegno, ed è necessario averlo se vogliamo acquisire delle conoscenze in campo spirituale. Si può dire che conoscere lo spirituale con esclusione della conoscenza fisica non è bene.

 

Come se nella vita fisica facciamo qualcosa dobbiamo poi ricordarcene

(senza memoria della propria vita fisica non si è sani),

così praticando la conoscenza scientifico-spirituale

dobbiamo sempre poter ricordare quel che esiste nel mondo fisico.

 

Quando ascendiamo alle forze plasmatrici del sistema planetario, il rimanente, quello che era esistito sulla Terra, quelli che noi stessi avevamo conosciuto quali i migliori frutti del sapere terreno, viene per un istante dimenticato. Per quanto valenti conoscitori della scienza fossimo stati qui, nel momento della conoscenza spirituale dovremmo sempre riflettere per sapere ciò che avevamo imparato nel dominio fisico; dovremmo sempre dirci che bisogna poggiare su di esso, anche quando si allontana da noi, quando diviene un mero ricordo.

Per contro, con particolare vivezza a paragone di quella delle cognizioni fisiche, con vivezza tanto maggiore quanto quella di una vicenda presente è maggiore di quella di una ricordata, appare qualcosa che vediamo come la forza formatrice del sistema planetario. In quell’istante siamo cioè circondati da un tutt’altro mondo, precisamente da quello che nella Scienza occulta ho chiamato il mondo della terza gerarchia, la gerarchia degli angeli, degli arcangeli e delle archai.

 

Vediamo che in quella forma vive la terza gerarchia.

Ci si schiude così un nuovo mondo.

Ora non ci limitiamo però a dire: nel suo archetipo cosmico la figura umana è sorta dal sistema planetario,

ma diciamo: alla archetipica figura cosmica dell’uomo lavorano e tessono

gli angeli, gli arcangeli e le archai, gli esseri della terza gerarchia.

 

Attraverso la conoscenza soprasensibile diviene possibile fin dalla vita terrena aprirsi alla visione di quel mondo. Dopo la morte ognuno deve accedere a tale visione, e la sperimenta tanto meglio chi meglio vi si è preparato durante la vita terrena. Ma sperimentarla deve ognuno.

 

Quando è sulla Terra e vuole conoscere la propria figura, l’uomo guarda se stesso oppure si fa fotografare.

Dopo la morte non esistono mezzi siffatti per conoscere la figura altrui o la propria;

l’uomo deve guardare l’immagine planetaria.

• Quello che i pianeti gli mostrano si palesa come la sua figura;

egli riconosce come figura umana quello che ho descritto.

• Intessuto in tutto ciò vede operare e tramare la terza gerarchia, gli angeli, gli arcangeli e le archai.

 

Ma andiamo oltre. Dopo aver riconosciuto che l’operare della terza gerarchia è connesso con la forma assunta dalla pelle umana unitamente agli organi di senso che vi sono inseriti, possiamo ulteriormente procedere nella conoscenza dell’uomo in unione col mondo soprasensibile.

Per prima cosa dobbiamo essere bene in chiaro che qui sulla Terra diciamo che l’uomo è configurato in una o in un’altra maniera; una persona ha una data fronte, un’altra quel dato naso, una ha occhi melanconici, un’altra invece occhi ridenti, e qui ci fermiamo.

Attraverso la conoscenza del cosmo siamo guidati a vedere in tutto quanto costituisce la figura umana l’operare e il tramare della terza gerarchia.

 

In realtà la figura umana non è formata dalla Terra;

la Terra si limita a fornire la relativa sostanza durante il periodo embrionale.

Ma quelli che dal cosmo lavorano intorno alla figura umana sono gli angeli, gli arcangeli e le archai.

 

• Progredendo ulteriormente, arriviamo a percepire la confluenza dei moti planetari

che vediamo riprodotti nel sistema nervoso umano e nelle ghiandole secretive

con la seconda gerarchia: exusiai, dynameis, kyriotetes.

• Siccome quegli esseri sono collegati con l’archetipo cosmico

dei nervi e delle ghiandole secretive e lavorano intorno ad essi, dopo la morte,

qualche tempo dopo aver attraversato il periodo in cui abbiamo imparato a capire la figura umana

mediante l’osservazione del suo archetipo cosmico,

per un periodo alquanto lungo siamo occupati ad ascendere fino alla seconda gerarchia

e a capire come nel suo pensare, nel sistema nervoso e in quello ghiandolare,

l’uomo terreno, del quale ora abbiamo il ricordo, sia costruito da essa.

 

Ora non guardiamo più l’uomo come se l’elettricità o il magnetismo lo avessero in qualche modo formato,

ma riconosciamo che in quanto uomo fisico egli è stato edificato dagli esseri della seconda gerarchia.

 

• Poi andiamo oltre e ascendendo alla musica cosmica, ai ritmi, alle melodie cosmiche,

riscontriamo che in essi pure è contenuto un archetipo dell’uomo;

ho mostrato come lo si debba disegnare entro la linea di contorno della figura umana.

• Ma qui, rispetto alle gerarchie, non si va oltre.

È di nuovo la seconda gerarchia, quella di exusiai, dynameis, kyriotetes,

che lavora su ciò che vediamo a quel punto. Si tratta di un’altra forma di attività.

 

È difficile mostrare in che cosa la prima, quella del lavoro sul sistema nervoso, si differenzia da quella sul sistema ritmico e del sangue. Se vogliamo tuttavia farlo, possiamo dire che

• nell’esercizio della prima attività la seconda gerarchia guarda in basso, verso la sfera terrena;

• nell’esercizio della seconda, guarda in alto, e così il sistema nervoso e il sistema sanguigno coi relativi organi

sono plasmati dalla medesima gerarchia;

solo che una volta essa opera guardando verso la Terra, e l’altra con lo sguardo rivolto al cielo.

 

• Se poi procediamo fino all’intuizione e vediamo

come dalla forza formativa della parola cosmica, del linguaggio cosmico,

vengano tessuti il sistema muscolare e quello osseo,

arriviamo alla prima gerarchia, a quella di serafini, cherubini e troni.

• Siamo allora all’incirca giunti a metà della vita fra morte e rinascita,

al momento che nei miei misteri drammatici ho chiamato « la mezzanotte dell’esistenza ».

 

Dobbiamo quindi considerare ciò che, prodotto dagli esseri della prima gerarchia,

conferisce all’uomo la possibilità del movimento entro il creato.

Così vediamo l’uomo attraverso la conoscenza soprasensibile e, dietro di lui un mondo di esseri spirituali.

 

Oggi siamo abituati a studiare l’uomo partendo dal sistema osseo. Si comincia per lo più dallo scheletro, sebbene già dal punto di vista di un’osservazione grossolana direi che tal modo di procedere è stolto. Lo scheletro si forma infatti traendo la propria sostanza da quanto nell’uomo è liquido. Lo scheletro non è l’elemento primario, ma ciò che residua dal liquido, e così soltanto può venir compreso. Come si procede invece di solito? Si devono imparare: braccia, mani, ossa dell’omero, dell’avambraccio, delle dita e così via; si sommano le parti del sistema osseo e si impara il tutto a memoria. Si sa che i più hanno mandato tutto ciò a mente. Lo stesso si fa per i muscoli, ma qui diventa già più difficile, e parimente si procede per gli altri organi; qui però le idee turbinano e si confondono notevolmente. Rispetto a tutto questo in un animo sano vive tuttavia solo la brama di sapere da chi e quanto tutto ciò dipenda dal segreto del mondo.

 

Per un reale studio dell’uomo

si dovrebbe cominciare invece con la pelle e con i sensi che vi sono inseriti,

arrivando così alla gerarchia degli angeli, degli arcangeli e delle archai.

• Si penetrerebbe poi più addentro fino al sistema nervoso e a quello ghiandolare,

arrivando alla successiva gerarchia, quella delle exusiai, delle dynameis e delle kyriotetes.

• Si rimarrebbe ancora nella loro sfera anche quando

si fosse giunti al sistema sanguigno e ai relativi organi che abbiamo menzionato.

 

• Ascendendo poi a ciò che è stato formato dal sistema sanguigno e dai relativi organi,

a ciò che fa di noi degli esseri capaci di movimento, e cioè al sistema muscolare e a quello osseo,

si arriva alla prima gerarchia e si impara a riconoscere il sistema muscolare e il sistema osseo

che l’uomo possiede quale opera dei serafini, dei cherubini e dei troni.

• Abbiamo in questa maniera la possibilità di descrivere l’ascesa dell’ordine gerarchico

dalla terza alla prima gerarchia.

 

Quando descriviamo ciò che dal mondo soprasensibile agisce nel mondo sensibile,

quando così volgiamo lo sguardo alle opere delle gerarchie, davanti a noi sorge una singolare immagine.

• Contempliamo l’ordine gerarchico, sul gradino inferiore le operanti entità della terza gerarchia:

angeli, arcangeli, archai,

• poi quelle della seconda gerarchia: exusiai, dynameis, kyriotetes

e vediamo come esse cooperino, come agiscano insieme nel cosmo.

• Leviamo poi lo sguardo agli esseri della prima gerarchia: serafini, cherubini, troni,

e ora soltanto sorge davanti a noi una comprensibile immagine del corpo umano, quale risultato delle gerarchie,

che seguiamo fino a percepire le loro opere che si mostrano al nostro occhio spirituale,

ed ecco che davanti a noi abbiamo l’uomo.

 

Così si apre una forma di osservazione che comincia là dove finisce quella comune. Ma essa soltanto ci porta oltre nascita e morte. Nessun’altra forma di osservazione può dire all’uomo qualcosa intorno a ciò che trascende nascita e morte; lo può unicamente la forma di osservazione ora descritta. Quel che così si descrive diviene infatti percezione, diviene esperienza, e vedremo nelle prossime conferenze come ciò accada.

 

Mentre sulla Terra l’uomo ha intorno a sé

i regni minerale, vegetale e animale e quanto dell’uomo è fisico,

e percepisce quel che deriva dai minerali, dalle piante, dagli animali e dall’uomo fisico,

così, dopo aver varcato la soglia della morte, fra morte e rinascita

egli vede quel che gli muove incontro dall’attività cosmica

e fa di lui il prodotto delle azioni delle gerarchie superiori.

• Vedremo anche come ciò si connetta con le forme degli altri esseri terreni;

in questo modo soltanto essi diverranno intellegibili.

 

Come preparazione alle conferenze dei prossimi giorni, vorrei ancora dire: guardando un animale esso ha una figura che può solo limitatamente ricordare quella umana. Da che cosa dipende?

Dipende dal fatto che l’animale non può riprodurre la figura planetaria iscritta nell’etere. L’uomo può riprodurla perché egli tende verso la linea della quale ho parlato e lungo la quale quell’immagine si fissa.

Se l’uomo rimanesse eternamente un infante, se non imparasse a camminare, ma strisciasse sempre carponi, se fosse così predisposto (ma non lo è), neppure lui potrebbe riprodurre le figure planetarie. Ma in virtù dell’organizzazione umana egli deve riprodurle, deve accedere a quelle figure. L’animale non lo può.

 

L’animale può solo formare il proprio corpo adeguandosi ai movimenti planetari, può solo riprodurre quei movimenti, come si manifestano in ogni singola parte del suo corpo.

Se per esempio si guarda Io scheletro di un mammifero e si osserva la colonna vertebrale con le sue vertebre, si hanno assolutamente imitazioni dei movimenti dei pianeti.

Per quante vertebre abbia un serpente, ogni singola vertebra è l’immagine terrena dei movimenti dei pianeti.

 

La Luna, il pianeta più vicino alla Terra, esercita un particolare influsso sulla struttura dell’animale, la sua azione è particolarmente marcata. Lo scheletro si forma nei singoli arti, e poi il tutto agisce insieme nella figura delle vertebre.

Dopo la Luna vanno considerati gli altri pianeti che si muovono in forma di spirale: Venere e Mercurio.

Si arriva quindi al Sole; il Sole opera sulla formazione dello scheletro, in certo qual modo concludendola; c’è anche un punto in cui agisce sulla formazione della spina dorsale ed è quello in cui essa comincia a tendere verso la formazione della testa.

Nella configurazione della testa dobbiamo vedere vertebre trasformate.

Là dove le ossa dorsali si trasformano, rigonfiandosi in ossa del capo, abbiamo l’azione di Saturno e di Giove.

 

Se per capire le ossa dell’animale seguiamo lo scheletro dalla parte posteriore a quella anteriore, dobbiamo procedere dalla Luna a Saturno; non possiamo però risalire alla forma incisa nel sistema planetario, ma ai moti dei pianeti. L’animale introduce nel complesso della sua figura ciò che l’uomo introduce nel suo sistema ghiandolare. Dell’animale possiamo dire che non ha la possibilità di adeguarsi al sistema planetario, ma che comincia subito dai suoi movimenti.

In tempi passati ci si rappresentava il movimento del sistema planetario dicendo che il cammino dei pianeti passa per i segni dello zodiaco. Dei moti di Saturno si sapeva dire per esempio come esso passi attraverso i segni zodiacali, e parimenti lo si sapeva degli altri pianeti. Sulla base della conoscenza che si aveva dell’animale, si collegava perciò la sua figura allo zodiaco. Lo zodiaco porta davvero a buon diritto il proprio nome.

 

Ma l’essenziale è che l’animale non si adegua alle forme configurate nell’etere:

solo l’uomo vi si adegua.

Egli può farlo perché è predisposto al portamento eretto.

Per questa ragione la forma planetaria diviene il suo modello,

mentre l’animale arriva soltanto a una riproduzione dei movimenti dei pianeti.

 

Vediamo dunque che davanti a noi abbiamo un’immagine spirituale, un’immagine soprasensibile dell’uomo,

perché in tutto ciò che ho finora descritto: pelle, sistema nervoso, sistema sanguigno, muscoli, ossa,

si tratta soltanto di forze, di immagini di forze.

Attraverso la concezione e la nascita,

quelle immagini si congiungono con l’embrione terreno, accolgono forze e sostanze terrene.

• Quelle immagini, che sono unicamente spirituali ma come tali sono ben determinate,

si colmano di sostanze e forze terrene.

 

L’uomo discende quaggiù come essere formato dal cielo.

Egli è prima un’entità totalmente soprasensibile, fin nelle sue ossa è una entità soprasensibile.

• Poi si congiunge col germe embrionale, col germe embrionale fisico, e questo riempie il germe spirituale.

L’uomo lo accoglie, con la morte lo lascia cadere, e torna ad essere una forma spirituale.

 

Per finire voglio ancora dire che

• quando l’uomo varca la porta della morte, la figura fisica che egli vedeva

guardandosi nello specchio o facendosi fotografare non esiste più.

Essa d’altronde non lo interessa.

• L’uomo ora guarda verso l’archetipo cosmico disegnato nell’etere.

 

Durante la vita terrena, quell’archetipo era ancorato nel suo corpo eterico, ma in esso egli non lo vedeva.

Sulla Terra quell’archetipo è sì entro il corpo fisico, ma l’uomo non lo vede.

Ora però egli percepisce la sua vera figura, ma la figura che ora vede riluce, irradia delle forze,

e questo ha una ben determinata conseguenza.

Ciò che quell’immagine irradia, agisce infatti allo stesso modo di ogni altro corpo luminoso,

ma ciò va ora inteso in senso eterico.

 

Il Sole splende fisicamente.

L’immagine dell’uomo veduta sotto l’aspetto cosmico splende spiritualmente

e, essendo una immagine spirituale, ha la forza d’illuminare anche dell’altro.

 

Durante la vita terrena si può esporre lungamente al Sole

una persona che abbia compiuto delle azioni buone oppure cattive;

i suoi capelli risulteranno illuminati, ma le sue buone o cattive azioni, le sue qualità non lo saranno.

• Ciò che nel mondo spirituale, dopo il passaggio per la porta della morte,

l’uomo sperimenta quale risplendente immagine della propria figura

irradia invece una luce spirituale che illumina le sue azioni morali.

 

Assieme alla propria immagine cosmica, all’uomo si presenta così il suo comportamento morale.

Esso fu in noi durante la vita terrena, risuonò sommessamente in noi come coscienza.

Ora, dopo la morte, lo contempliamo oggettivamente.

Il nostro comportamento morale siamo noi stessi; dobbiamo averlo intorno a noi dopo la morte.

Siamo allora giudici inflessibili di noi stessi, perché quella forza illuminante non si adegua tanto facilmente

a quanto quaggiù potremmo addurre a discarico delle nostre colpe e ad esaltazione dei nostri meriti.

 

Ciò che allora irradia da noi stessi è davvero un giudice inflessibile che chiaramente illumina

quello che fu il valore della nostra condotta.

La coscienza diviene un impulso cosmico che, dopo la nostra morte, agisce fuori di noi.

 

Queste sono le cose che dall’uomo terreno ci conducono all’uomo soprasensibile.

E ben si può dire che l’uomo terreno, l’uomo che compare con la nascita e che si dissolve con la morte,

può venir compreso antropologicamente, come oggi è uso,

ma l’uomo soprasensibile che si compenetra di materie fisiche unicamente per divenire visibile,

l’uomo soprasensibile, l’uomo superiore, deve venir compreso antroposoficamente.