La conoscenza immaginativa, l’ispirazione e l’intuizione

O.O. 73 – L’antroposofia e le scienze – 05.09.1917


 

Il famoso filosofo Bergson.

Egli dice che non si può afferrare il mondo con la ragione analitica, che in special modo con essa non si può afferrare la vita dell’anima, in quanto nell’anima, nella vita, ovunque è “divenire”, “fluire”, “vivere”.

Che cosa crede Bergson? Che quel che conta esiste già, che lo si può cercare con le forze che già si possiedono. Questo è il grande errore. Non si trova ciò che può realmente spiegare l’anima, ma l’anima deve superare se stessa, deve sviluppare qualcosa che non ha. Non si deve credere che la vita da ricercare sia già qui; deve prima essere conquistata.

 

Davanti a questo immergersi nel dramma conoscitivo dell’interiorità molti hanno proprio una gran paura (posso ben usare l’espressione). Credono di addentrarsi negli abissi della soggettività, negli abissi dell’individualità. Se realmente entrassero in quegli abissi nel modo ora descritto, scoprirebbero che nel farlo trovano interiormente qualcosa di così obiettivo, come lo si trova all’esterno di fronte alla natura.

È solo un’illusione che ognuno trovi cose diverse nel vivere il dramma della conoscenza. In certo senso le esperienze individuali devono essere differenti perché sono aspetti diversi, diverse opinioni della stessa cosa da diversi lati. Fotografando qualcosa da più lati si hanno differenti fotografie, ma non è detto che l’oggetto non presenti per i singoli punti di vista la sua obiettività.

 

Non si deve prendere quanto così si conosce sulla propria anima in modo dogmatico, credendo che quella particolare formulazione sia un dogma o una legge di natura. Deve invece essere chiaro che quel che appare per mezzo dell’organo di tatto spirituale può ancora essere soggettivo per l’aspetto particolare (sviluppando ulteriormente i metodi che ho presentato solo in linea di principio, nascono realmente organi animico-spirituali che si possono paragonare a occhi e orecchi spirituali), quando sulla base della coscienza veggente, come la chiamo nel libro Enigmi dell’uomo, viene caratterizzato il mondo spirituale; quello che allora descrive l’osservatore può avere un aspetto soggettivo, ma si è di fronte alla realtà spirituale come alla reale immagine di un albero visto da un solo lato. Questo è quanto va compreso in questo campo.

 

Uscendo da se stessi nella vita animico-spirituale, appare quel che ho descritto nel mio libro L’iniziazione in cui si trova una dettagliata rappresentazione di ciò che l’anima deve fare appunto per uscire da se stessa. Ho potuto darne oggi solo i principi. Seguendo fino a un certo grado ciò che è presentato in quel libro si troverà perché ho chiamato immaginazioni le esperienze del tutto nuove rispetto alla coscienza ordinaria, e coscienza immaginativa il gradino di coscienza che ne risulta.

La coscienza immaginativa non è qualcosa di fantastico. Ha un contenuto nuovo rispetto a quello sperimentato in precedenza. “Coscienza immaginativa” è un’espressione come tante. Quel che importa è che nelle immaginazioni acquisite come arricchimento della vita dell’anima è espresso in modo chiaro che esse sono, diciamo, immagini di una realtà spirituale, come le nostre ordinarie rappresentazioni sono immagini della realtà fisica.

 

Ho descritto il processo con cui l’anima si eleva al primo gradino di quella che si chiama conoscenza immaginativa. Con essa si vive davvero in uno stato che si deve designare con una parola paradossale che ovviamente, date le abitudini di pensiero del presente, può esser vista solo in modo ironico: unendo l’anima con quanto così si sperimenta, si vive fuori dal corpo. Questo è l’essenziale! Prima di tutto si impara a distinguere quel che si prova senza l’ausilio del corpo: in primo luogo senza le comuni percezioni dei sensi ricavate dal mondo sensibile, ma anche senza visioni, allucinazioni e illusioni.

Va sempre ricordato che il cammino qui indicato è esattamente l’opposto di quello che può essere detto patologico e che conduce a vita illusoria, visionaria. Proprio chi si ritrova nella vita immaginativa sa che quanto percepiamo nella natura con i nostri sani sensi è spiritualmente più in alto di tutto quanto può presentarsi all’anima come visione o allucinazione. Abbandonandoci alle visioni ci immergiamo più a fondo nella corporeità, ci leghiamo ad essa più strettamente, la coinvolgiamo con la nostra anima, non ce ne rendiamo liberi.

 

Quando nella terza conferenza parleremo dell’uomo come essere naturale, ci sarà chiaro perché i contenuti delle visioni possano essere confusi con le percezioni spirituali. Oggi, parlando della vita dell’anima, si tratta di dar rilievo in modo netto alla distinzione: il visionario scende nella vita corporea, chi anela alla conoscenza immaginativa vive puramente nell’anima attraverso la quale arriva a esperienze indipendenti dal corpo.

Come ho detto, è un’idea paradossale per il comune pensare odierno. Chi oggi volesse giungere al mondo spirituale da profano, da idee dilettantesche, ama rappresentarselo secondo i modelli delle percezioni fìsiche, vorrebbe (si guardi al funesto spiritismo) che i fatti spirituali gli si facessero incontro come quelli naturali in un esperimento fisico di laboratorio.

Vorrebbe afferrare lo spirito. Ciò che ci viene incontro nelle percezioni immaginative non è paragonabile con qualcosa di tangibile. Nel libro Enigmi dell’anima l’ho paragonato (non è la stessa cosa, lo si può solo paragonare) ai ricordi di esperienze passate che crediamo di far emergere dal fondo della vita dell’anima. La delicatezza, puramente spirituale-animica, di tali esperienze della memoria è la sola in cui può essere vissuto lo spirito in cui l’anima è radicata. Solo che le immaginazioni, che nascono nell’anima come i ricordi, non si collegano con quanto sperimentato nel mondo fisico, ma annunciano con il loro contenuto che si è entrati in un mondo nuovo, spirituale, in un mondo prima sconosciuto. Occorre prima prendere confidenza a poco a poco con l’andamento del tutto diverso dell’esperienza animica, non avendo ora col proprio io il sostegno degli organi corporei con i quali si ottengono le percezioni esterne; ci si deve abituare a poco a poco a questa vita.

 

Prima di tutto, sebbene abbia paragonato le rappresentazioni della conoscenza immaginativa ai ricordi, tutte le immaginazioni che si presentano sono riproduzioni di una realtà spirituale, hanno una peculiarità a cui ci abituiamo con fatica; è una peculiarità per la quale quanto più completa è la percezione spirituale nell’immaginazione, tanto meno ce ne possiamo ricordare. Siamo abituati a ricordare ciò che è passato per la nostra anima. Un’esperienza spirituale non provoca direttamente in noi la forza del ricordo; il processo è del tutto differente. L’ho descritto nel mio libro Enigmi dell’anima. Il processo è il seguente: volendo avere una certa immaginazione ci si deve preparare, occorre esercitare l’anima così che essa sviluppi le forze interiori attraverso cui l’immaginazione si possa manifestare. Ci si può ricordare di quel che l’anima fa, di quel che intraprende per arrivare all’immaginazione. Così la si può richiamare di nuovo. Avendo avuto un’esperienza spirituale nella conoscenza immaginativa non la si può semplicemente ricordare, si devono fare invece di nuovo tutte le interiori preparazioni dell’anima; di queste ci si può ricordare. Possiamo dirci: hai fatto questo e quello; fallo di nuovo e avrai di nuovo l’esperienza. Arriviamo a ricordarcene solo se riusciamo a portare nella coscienza e nel pensare ordinario rappresentazioni di immaginazioni. Ma la vera immaginazione deve sempre comparire di nuovo, altrimenti non è vera immaginazione.

 

Un’altra peculiarità è che formiamo più facilmente le rappresentazioni che ricaviamo dalla vita corrente quanto più spesso lo facciamo. Mentre qui abbiamo un certo esercizio e le cose per noi diventano usuali, nello sperimentare le immaginazioni, i reali fatti spirituali, non è così. Avviene il contrario: quanto più spesso vorremmo avere un’immaginazione nelle stesse condizioni, tanto più essa diventa confusa. Da questo dipende la strana e paradossale circostanza per cui i discepoli della vita spirituale, che si diano la pena di arrivare a certe immaginazioni, le raggiungono e poi si meravigliano che non si ripetano. Spesso si perde persino la capacità di richiamarle già alla seconda, alla terza volta, ed è quindi necessario che ci si prepari sempre a nuovo per richiamare ciò che in certa misura ci sfugge quando ci si sia avvicinati una volta al mondo spirituale.

Tutti gli esercizi dell’anima per superare queste difficoltà li ho descritti nei particolari nel libro L’iniziazione, anche se è solo un abbozzo di quanto più tardi dissi sull’argomento.

 

Un’ulteriore peculiarità è che ci si orienta in queste rappresentazioni immaginative solo trovando punti d’appiglio, grazie ad esercizi spirituali, nella vita del pensare, del sentire e del volere al fine di compenetrare le immaginazioni con i concetti. Se non si presta un’attenzione meticolosa, ci si può non certo ammalare, ma confondersi e oscurarsi nell’anima. È buona regola ripetersi sempre: ora sperimenti qualcosa di spirituale che non puoi ancora comprendere, non hai formato ancora concetti abbastanza approfonditi. Si deve allora interrompere, mutare il cammino, cercando di portare avanti le proprie idee abituali formate nel mondo sensibile, per comprendere più tardi, al momento opportuno, quel che prima non si era capito.

 

Potrei ancora addurre molte di queste sorprendenti e paradossali caratteristiche (se ne conoscono molte) riguardo alla vita dell’anima che è parte della coscienza abituale. Solo quando si siano separate in questo modo la sfera animica da quella corporea si è nello spirito, nel mondo spirituale. Nessuno può contestare l’esperienza spirituale.

Con quanto ho finora descritto si giunge a certe convinzioni. Si giunge alla convinzione che oltre al corpo fisico che abbiamo e che è oggetto dell’anatomia, della fisiologia e della scienza in genere, abbiamo quello che nei miei più recenti libri, per evitare equivoci, chiamo “corpo delle forze formative”, mentre prima lo chiamavo “corpo eterico”. È un secondo elemento in noi che non si mostra alle abituali percezioni, all’abituale vita dell’anima, ma che può risultare solo quando l’esperienza animica progredisce fino all’immaginazione. Il corpo delle forze formative non è infatti inserito nello spazio; vive nel tempo, in modo però che da esso scaturisce tutto quanto opera nel corpo fisico, diciamo dalla nascita o dal concepimento fino alla morte. In noi portiamo un secondo corpo, il corpo delle forze formative, che diventa una realtà per la coscienza immaginativa.

 

Non progrediamo però con la conoscenza immaginativa al di là di quanto ci offre il corpo delle forze formative dalla nascita alla morte (l’espressione è paradossale, ma non fa nulla). Si progredisce ulteriormente, rispetto a quanto ho appunto indicato, se si rafforza interiormente l’anima ora divenuta libera e se si continua in una maniera diversa allo scopo di raggiungere quella che si chiama vita delle idee, vita dei concetti, con un esercizio paziente e sempre rinnovato.

Nella vita consueta il pensare è per noi qualcosa grazie al quale ci rappresentiamo gli oggetti esterni. Quando abbiamo una rappresentazione crediamo di possedere davvero quel che interiormente riusciamo ad avere di un oggetto. Ce ne dobbiamo liberare ‘per la vita spirituale. Dobbiamo poterci mettere nelle condizioni di lasciar scorrere le nostre rappresentazioni come forze ed energie in lotta fra loro nell’interiore dramma della conoscenza. Dobbiamo conquistare la capacità di lasciar scendere in lotta una rappresentazione con l’altra. Quando abbiamo caratterizzato qualcosa da un punto di vista, dobbiamo tendere a caratterizzarlo anche dal lato opposto. A questo livello le espressioni: materialismo, idealismo, spiritualismo, sensualismo e così via diventano modi di dire, perché tutti questi concetti, orditi dalla ragnatela dell’intelletto si mostrano come riprese fotografiche da diverse angolazioni.

Impariamo che nella sfera dello spirito dobbiamo comportarci con i nostri concetti come ci comportiamo con gli organi di senso nella sfera dei sensi. Noi giriamo attorno agli oggetti; consideriamo i concetti non come immagini, ma solo come ciò che caratterizza in modo unilaterale questo o quell’aspetto delle cose.

 

Il ricercatore dello spirito avrà l’anelito a caratterizzare ogni cosa da diversi, anche opposti punti di vista. Sentirà il desiderio di formare certe rappresentazioni e confutarle da sé, di intraprendere davvero questa battaglia interna. Indico qui solo alcuni punti di vista interiori di principio che ascendendo si devono realizzare, quando al confine della conoscenza si arrivi a un certo punto.

L’anima si evolve ulteriormente. Riesce a sviluppare in sé quella che nei miei libri ho chiamato conoscenza ispirativa, e prego in proposito di prescindere da ogni superstizione o idea preconcetta. L’anima si scioglie dal corpo a un grado superiore, e dopo il raggiungimento di questo livello di conoscenza non si è solo in grado di abbracciare con lo sguardo il corpo delle forze formative che ci accompagna nella vita dalla nascita alla morte, ma ora si è in grado di vedere anche qualcosa di spirituale, realtà spirituali al di fuori del nostro corpo, come occhi fisici vedono realtà fisiche. Nella prossima conferenza parlerò delle realtà spirituali e richiamerò l’attenzione su quelle che con la conoscenza ispirativa l’uomo vede ormai in se stesso.

 

Quanto affiora con la conoscenza ispirativa non esiste nella vita compresa fra nascita e morte; era vissuto prima di noi, prima che noi entrassimo nell’esistenza terrena con la nascita o col concepimento, e vivrà con noi dopo che saremo entrati nel mondo spirituale attraverso la morte; è collegato con l’eredità tramandataci fisicamente da genitori e progenitori; compenetra il fisico. Con la conoscenza ispirativa si arriva realmente alla visione di ciò che di nostro precede nell’anima la vita fisica e segue la morte, perché si perviene a una visione spirituale del tutto indipendente dal corpo fisico. Il corpo delle forze formative è ancora legato all’esistenza fisica; separandosene, si disperde. Ciò che può percepire la conoscenza ispirativa non si disperde, è permanente, è quel che transita attraverso nascita e morte. Nella sfera della conoscenza ispirativa l’uomo può ora esaminare in modo appropriato che cosa lo lega al puro mondo spirituale, che cosa lavora con forza, affinché egli diventi l’uomo che appunto è, quando unisce l’eredità fisica con la sua parte spirituale.

 

La terza conquista è l’intuizione. Con questo termine non si intende ciò che di confuso è comunemente chiamato “intuizione”, ma quello che ora voglio indicare. Si consegue quel che si può raggiungere come terzo gradino della conoscenza spirituale rendendosi del tutto conto (la cosa si presenta in un preciso momento dello sviluppo dell’anima) che si è un altro, che si è trovato un osservatore interno grazie agli sforzi fatti con immaginazione e ispirazione.

Qui entra qualcosa di importante in quello che ho chiamato dramma della conoscenza. Entra qualcosa e si può dire: si vede che non solo il corpo fisico è formato dallo spirito; si impara che in noi vive la nostra anima con la sua volontà, con i suoi sentimenti, tendenze, ambizioni, con i suoi moti e la sua volontà, e che è diventata proprio così attraverso processi spirituali. Il dramma della c3noscenza diventa un intimo colpo del destino.

 

Nella vita si possono avere le più esaltanti e le più dolorose esperienze del destino, si sperimenta tutto il peggio e tutto il meglio possibile: quel che si sperimenta nel divenire dell’anima e non solo del corpo è un colpo del destino, un intimo colpo del destino che, per chi vive in pieno il dramma della conoscenza, ha più importanza delle più elevate e delle più basse, delle più gioiose e delle più dolorose esperienze della vita.

Quando questa forza interiore può operare il mutamento nell’anima, quando non le appaia dalla sfera spirituale solo l’elemento corporeo, ma l’animico stesso dal divenire dello spirito, compare la conoscenza intuitiva. Si è entrati nella sfera che comprende le ripetute vite terrene, la visione retrospettiva di vite precedenti e la certezza che le vite terrene si ripetono. Si ha la conoscenza che la vita umana completa consiste di vite terrene susseguentisi, frammezzate da vite nel mondo spirituale fra morte e nuova nascita.

 

Il nostro sguardo animico deve unirsi a tutto ciò per dirigersi su qualcosa a cui non è affatto addestrato dalla relazione con la natura. Per essa cerchiamo sempre le origini, le cause. Con queste domande non arriviamo però allo spirito. A chi si apre alla regione spirituale, come io l’ho detto, si manifesta un regredire, un continuo deperire della vita, una continua distruzione in tutto quel che cresce, che progredisce, in tutto quel che avanza e si sviluppa. Per questo coloro che forse lo capivano non in questa forma moderna, ma come una volta se ne aveva coscienza, dicevano: la conoscenza spirituale conduce alla porta della morte. Si riconosce che la coscienza, l’esperienza spirituale, la cosciente esperienza spirituale, sorgono solo perché quanto distrugge la vita si inserisce in quel che cresce, progredisce e si sviluppa; si riconosce che la morte è solo l’unico grande avvenimento che diviso, per così dire frazionato in atomi, si può pensare come ciò che ci accade di continuo quando diventiamo coscienti nella vita corporea. Il sapere in questo mondo è un adempiersi in piccolo di quel che ci coglie di colpo quando attraversiamo la porta della morte.

 

Si conosce l’affinità fra la coscienza e il morire, e proprio perché la si apprende si sa anche come la coscienza attraversi la porta della morte, come la morte sia suscitatrice di un altro stato di coscienza in cui entriamo deponendo il corpo fisico; in un certo senso lo deponiamo per sete di conoscenza, acquisendo le tre conoscenze superiori.

Per avere un’idea reale della conoscenza spirituale ci si deve adattare a pensare il proprio rapporto con il mondo in maniera del tutto diversa da come prima si era abituati.

Anzitutto si deve perdere la convinzione di riuscire a trovare lo spirito interpretando il mondo materiale, criticandolo, trovando le sue leggi. Le leggi scoperte nel mondo materiale valgono solo per esso. Non si trova lo spirito per mezzo dell’interpretazione del mondo sensibile; lo si trova nel corpo fisico a contatto col mondo sensibile e nella libera esperienza della sfera dello spirito.

 

Posso fare un esempio: nel leggere le parole, le lettere, non ci diciamo: questo è un tratto verticale, quest’altro è orizzontale; non interpretiamo le lettere, vediamo oltre le parole e le lettere; si genera così un contenuto interiore che nulla ha a che fare con l’interpretazione delle lettere. Occorre aver imparato a leggere, ma quel che avviene nel lettore è del tutto diverso da quanto vi è nelle lettere. Non è possibile prendere dalla cassetta dei caratteri tipografici lo spirito che si ricava dalle lettere con la lettura; altrettanto poco è possibile ricavare vita spirituale dalla natura per mezzo dell’interpretazione della natura. Si arriva a trovare la vita dello spirito soltanto se l’anima si eleva al di sopra di se stessa; trova così ciò che sorge dallo spirito nella vita fisica in quanto l’anima sperimenta se stessa nel fisico fra nascita e morte.

Si realizza così una psicologia che può ben stare accanto alla scienza, perché non trasferisce affatto all’anima i metodi che sono adatti alla natura, ma neanche si ferma all’anima come è vissuta nel quotidiano, ma le apporta qualcosa di obiettivo, che la spinge a sperimentare se stessa, e dal quale è nato anche il corpo, come vedremo nella terza conferenza.

 

Questi sono alcuni accenni, solo i primi elementari accenni (per tutto il resto devo rinviare ai miei libri) relativi a come si possa trovare quel che nell’uomo vi è di eterno, a come la psicologia orientata secondo l’antroposofia conduca realmente a evitare che succeda quel che accadde a un importante ricercatore del presente che sopportava tragicamente il suo pensiero, al grande psicologo Franz Brentano, deceduto a Zurigo nel marzo di quest’anno.

Si era avvicinato alla ricerca psicologica nel tempo in cui si affermava il modo di pensare scientifico che voleva lasciare inalterato anche per la vita dell’anima. Con quel metodo non si va però oltre il confronto fra i concetti, non si va oltre a come i sentimenti vogliono emergere dall’anima, e a come è l’attenzione nella vita fisica.

Nella prima parte del suo libro Psicologia da punti di vista empirici (che rimase anche l’unica) egli lamentò quel che la scienza non poteva raggiungere e disse: che cosa ci serve se anche facciamo agire in modo abbastanza scientifico il confronto dei concetti, le loro associazioni, il nascere di piacere e dispiacere e così via, se non si possono raggiungere le grandi speranze di Platone e di Aristotele, che cioè con la psicologia si possa raggiungere la convinzione della sopravvivenza della parte migliore del nostro essere dopo il passaggio attraverso la porta della morte?

Brentano si lamentava di non potersi avvicinare a questi problemi con i suoi mezzi. È singolare che egli abbia lottato fino alla morte con questi problemi. La sincerità, l’onestà della sua lotta risulta dalla tragica circostanza che esposi in un ricordo di Brentano nel terzo capitolo del mio Enigmi dell’anima. Egli promise sempre il seguito della sua Psicologia, dopo la pubblicazione della prima parte. Ne erano previste quattro o cinque; nella primavera del 1874 apparve la prima, promise la seconda per l’autunno e le seguenti a breve: nulla è più apparso!

Voleva dominare la vita dell’anima con il metodo scientifico, procedere onestamente e con sincerità. Se ci fosse riuscito, se non avesse pesato come piombo il metodo scientifico sulle sue forze di ricercatore, che purtroppo male interpretò, sarebbe riuscito ad entrare attraverso la soglia nell’esperienza spirituale che fa emergere dall’anima qualcosa che non si riesce a raggiungere con il solo metodo scientifico. Dalla tragica esperienza di scienziato di Brentano, come da quella di molte altre personalità del presente (ma in modo particolare con lui, data la sua importante e nello stesso tempo onestissima natura) si mostra proprio come per le conquiste scientifiche si richieda di necessità una psicologia che si può conseguire solo in esperienze animiche liberate dal corpo.

 

Si presentano così di nuovo davanti all’anima le grandi domande che impegnano sopra ogni altra cosa chi diriga lo sguardo alla propria vita dell’anima: il grande problema dell’immortalità (come abbiamo visto, comprendendo con questo metodo la parte realmente immortale) e anche il problema del libero arbitrio, di cui parleremo ancora in queste conferenze: sono i due più importanti, più impegnativi, e lo si ricava anche dalle psicologie degli ultimi secoli. Queste domande sono del tutto assenti, scomparse dalla ricerca psicologica, proprio per le ragioni indicate nelle considerazioni odierne.