La coscienza degli Atlantidi.

O.O. 106 – Miti e misteri dell’Egitto – 04.09.1908


 

Sommario: L’ultima umanità atlantica e quella postatlantica. La coscienza degli Atlantidi. L’Atlantide penetrava nelle cose che percepiva.

 

Ieri abbiamo parlato della misteriosa connessione che esiste tra gli stati primitivi dell’evoluzione della nostra terra e le varie concezioni del mondo delle civiltà che si susseguono nel periodo postatlantico.

 

Ci si è rivelato il fatto singolare che, quando la catastrofe atlantica ebbe trasformata la faccia della terra, sorse in India una primordiale, sacra civiltà pre-vedica la quale, nel primo periodo di civiltà postatlantica, mostrò nella sua poderosa concezione filosofica un’immagine riflessa dei fatti svoltisi in un remotissimo passato, all’inizio dell’evoluzione terrestre, quando sole, luna e terra erano ancora riuniti. Ciò che nel primo periodo postatlantico videro in spirito coloro ai quali tale grazia fu data, non era se non una forma spirituale, afferrata con lo spirito, di ciò ch’era stato realtà al principio dell’evoluzione del nostro pianeta.

 

Abbiamo pure veduto il secondo stadio della terra (quello in cui il sole si era scisso, mentre terra e luna formavano tuttavia un corpo solo), con la singolare contrapposizione di due mondi che gli era stata propria, riapparire nel secondo periodo di civiltà, il paleopersiano, come sistema filosofico-religioso, nel contrasto tra il principio di luce dell’aura solare, e il principio della tenebra, tra Ormazd e Arimane.

 

Il terzo dei grandi periodi di civiltà, l’egizio-babilonese-assiro, è un riflesso spirituale di quel che si era svolto quando terra, sole e luna si erano scissi in tre corpi distinti.

 

Abbiamo poi già accennato a come nella trinità di Osiride, Iside e Oro si rifletta la triade stellare della terza epoca della terra, la trinità di sole, terra e luna. Già si è detto che tale scissione era avvenuta nell’epoca lemurica, alla quale era seguita l’epoca atlantica, quarto stadio evolutivo della nostra terra, in cui regnavano condizioni di coscienza del tutto diverse da oggi.

 

Grazie a quelle diverse condizioni di coscienza, l’uomo viveva insieme con gli dèi che conosceva e che più tardi si denominarono: Wotan, Baldur, Thor, Zeus, Apollo, e così via. Erano tutti esseri che l’Atlantide poteva percepire con la sua chiaroveggenza; la ripetizione di questa veggenza spirituale dell’epoca atlantica si ritrova nei ricordi dei popoli greco-latini, come pure in quelli del nord d’Europa. Era il ricordo delle esperienze fatte in condizioni anteriori di coscienza; Zeus, Wotan, Marte, Era, Atena, erano tutte reminiscenze delle antiche figure spirituali che erano il contenuto dell’antico mondo divino.

 

Così il quarto periodo di civiltà è quello nelle cui religioni appaiono i riflessi di quel che si era svolto nell’evoluzione terrestre durante l’epoca atlantica.

 

Oggi dobbiamo approfondirci un po’ più nell’anima delle antiche civiltà dell’umanità: l’indiana, la persiana e l’egizia. Se vogliamo farci un’immagine delle esperienze di allora, dell’elemento religioso che viveva nelle antiche civiltà, dobbiamo pensare che, tanto gli esponenti più importanti di quegli antichi popoli, quanto gli illuminati veggenti e profeti, erano tutti discendenti di coloro che già avevano vissuto durante il periodo atlantico. Ciò che aveva costituito l’antica civiltà atlantica non era perito del tutto subito dopo la grande catastrofe, ma era venuto via via trapiantandosi nel tempo nuovo. Comprenderemo nel modo migliore le anime dei primi uomini postatlantici se cercheremo di immergerci nella vita animica degli ultimi Atlantidi.

 

Nell’ultimo periodo dell’epoca atlantica gli uomini differivano molto tra loro. Gli uni avevano ancora conservato in alto grado le facoltà chiaroveggenti che non erano affatto scomparse d’improvviso, ma esistevano ancora in molti di coloro che partecipavano alle grandi migrazioni dall’Ovest all’Est, mentre in altri erano già venute meno.

 

Vi erano uomini progrediti e altri rimasti indietro, ed è ovvio che, data la via che percorreva l’evoluzione, appunto i meno progrediti fossero quelli meglio in grado di usare la chiaroveggenza, perché si erano in certo modo arrestati, conservando le antiche facoltà degli Atlantidi. I più avanzati erano invece quelli che per primi avevano acquisito la percezione fisica del mondo e una visione diurna già più somigliante alla nostra; di notte non vedevano più con la chiaroveggenza il mondo spirituale, e durante lo stato di veglia diurno vedevano gli oggetti sempre più distinti e nettamente delineati.

 

Appunto il piccolo gruppo di uomini di cui già abbiamo parlato, guidato da uno dei massimi iniziati, anzi dal più grande di tutti, detto il Manu, con i suoi discepoli, venne condotto fin nel fondo dell’Asia, e da lì fecondò gli altri paesi civili. Il gruppo, primo fra tutti gli altri, per le condizioni ordinarie della vita aveva perduto il dono dell’antica chiaroveggenza, ed era composto dagli uomini più progrediti di quei tempi, per i quali emergeva con sempre maggiore chiarezza la coscienza diurna, la visione degli oggetti fisici coi loro limiti ben definiti. Questo popolo era stato condotto dalle sue guide lontano nell’Asia, affinché potesse vivere isolato, separato dagli altri; altrimenti sarebbe venuto troppo in contatto con i popoli che ancora avevano conservata la antica chiaroveggenza. Solo rimanendo per un certo tempo separato dagli altri, quel popolo poteva sviluppare un nuovo modo di essere umano. Nell’Asia centrale venne fondata una colonia donde le grandi correnti civilizzatrici dovevano irradiarsi nei diversi popoli.

L’India settentrionale fu la prima a ricevere da quel centro la nuova corrente di civiltà.

 

Ho già accennato che le piccole masse di uomini, spediti quali pionieri di civiltà, non trovarono mai terre vergini inabitate, perché già prima che quella grande migrazione movesse da occidente verso oriente, ne erano avvenute altre considerevoli; a misura che nuovi tratti di suolo solidificato andavano emergendo dal mare, le schiere dei nomadi li avevano popolati.

Così il gruppo umano che era stato inviato da quella colonia asiatica, dovette mischiarsi con altri, tutti però più arretrati di quello guidato dal Manu. Negli altri si trovavano ancora molti che avevano conservata l’antica chiaroveggenza.

Gli iniziati d’allora fondavano le loro colonie in tutt’altro modo da come si fa oggi.

 

Essi sapevano di doversi regolare secondo lo stato delle anime di coloro che dimoravano nei paesi da colonizzare; i messaggeri non imponevano agli altri le proprie volontà, ma tenevano calcolo di ciò che trovavano. Creavano in tal modo un pareggio e rispettavano i bisogni dei primi abitatori, tenendo conto delle religioni fondate nei ricordi di tempi precedenti e nelle antiche disposizioni chiaroveggenti. Era perciò naturale che solo in un numero esiguo di individui più progrediti potessero formarsi rappresentazioni pure, mentre nelle masse viveva una specie di compromesso tra le concezioni dell’antica Atlantide e quelle postatlantiche. Perciò in tutte le popolazioni di quei paesi, in India, in Persia, in Egitto, dovunque andavano nascendo le diverse civiltà postatlantiche, si trovano al fondo concezioni religiose culturalmente arretrate per quei tempi; non erano se non propaggini delle antiche immagini atlantiche.

 

Per cercar di comprendere la sostanza di quelle religioni popolari, e per farcene un’immagine, cerchiamo di penetrare nelle anime delle ultime popolazioni atlantiche. Rammentiamo che nell’epoca atlantica l’uomo, di notte, non era incosciente, ma percepiva come di giorno, se per quei tempi è lecito parlare di “giorno” e “notte”.

 

Di giorno egli aveva come un primo albore di ciò che oggi per noi è il chiaro mondo delle percezioni sensorie; di notte, era compagno di esseri divino-spirituali. Non aveva bisogno di dimostrazioni per sapere che esistevano gli dèi, come noi non abbiamo bisogno di prove per sapere che esistono i minerali. Gli dèi erano suoi compagni; egli stesso di notte era un essere spirituale, e si muoveva col suo corpo astrale e il suo io nel mondo spirituale; era uno spirito e incontrava esseri a lui congeneri.

 

Naturalmente non incontrava allora solo gli esseri spirituali superiori, ma anche spiriti inferiori a quelli che più tardi si conobbero come Zeus, Wotan, e così via; questi erano solo i più eletti fra gli altri, come possono essere oggi i re e gli imperatori che molti non vedono eppure sanno che esistono. In quello stato, generale per tutti gli uomini, anche quando di giorno si era coscienti si percepivano altrimenti da oggi gli oggetti circostanti; anche la coscienza diurna degli Atlantidi era diversa da quella d’oggi, e dobbiamo cercare di comprenderla.

 

Abbiamo descritto come gli esseri divini sparissero per l’uomo, quando al mattino si immergeva nel suo corpo fisico e gli oggetti gli apparivano come avvolti nella nebbia; tale era allora la coscienza di veglia. Ma la visione degli oggetti aveva ancora un’altra proprietà singolare che dobbiamo cercare di comprendere bene.

Pensiamo che una di quelle anime si avvicinasse a uno stagno: non ne avrebbe veduta l’acqua nettamente circoscritta come oggi, ma nell’avvicinarsi allo stagno, rivolgendovi la propria attenzione, avrebbe sperimentato qualcosa di diverso da oggi: sarebbe sorto in lei il sentimento di assaporare ciò che le stava davanti fisicamente, di sentire il sapore di quell’acqua, pur senza berla. Solo guardandola avrebbe sentito se era dolce, oppure salata.

 

Era qualcosa del tutto diverso da quel che sperimentiamo oggi quando vediamo dell’acqua; ne vediamo solo la superficie, ma non penetriamo nell’interno. Invece prima, quando l’uomo aveva ancora la chiaroveggenza crepuscolare, avvicinandosi allo stagno non aveva il senso di essergli estraneo, ma penetrava nelle qualità dell’acqua; non era di fronte alle cose come oggi, era come se potesse unificarsi con l’acqua. Così, se si fosse imbattuto in un blocco di sale, avvicinandosi ne avrebbe sentito il sapore. Oggi dovremmo prima assaggiarlo; allora il sapore veniva attraverso la semplice visione.

L’uomo era come inserito in un intero e percepiva le cose come animate.

 

Per così dire percepiva le entità che conferivano alle cose il loro sapore salato. Per lui tutto era animato: l’aria, la terra, l’acqua, il fuoco; tutto gli rivelava qualcosa; poteva prolungare il proprio sentire fin nell’intimo degli oggetti, dentro il loro essere. Non esisteva allora per la coscienza umana un oggetto privo di anima; si sentiva ogni cosa con simpatia o antipatia, poiché se ne sentiva l’interiorità.

 

I ricordi di tali esperienze primitive sopravvissero a lungo per ogni dove. Le popolazioni che i colonizzatori trovarono in India vedevano animate le cose del mondo, sapevano che nelle cose vivevano anime e avevano conservato la facoltà di vederne le qualità.

 

Pensiamo a tale relazione animica con le cose. L’uomo percepiva il sapore dell’acqua avvicinandosi a uno stagno, vedeva un essere spirituale che dava all’acqua il sapore, e lo incontrava di notte quando si sdraiava accanto all’acqua e si addormentava.

 

Di giorno vedeva la parte materiale; di notte vedeva ciò che la compenetrava di vita.

 

Di giorno vedeva gli oggetti: pietre, piante, animali, sentiva soffiare il vento, rumoreggiare l’acqua; di notte vedeva nella sua interiorità e nella sua vera forma ciò che aveva sentito di giorno; vedeva gli spiriti che vivono in tutte le cose.

Quando diceva: nei minerali, nelle piante, nell’acqua, nelle nuvole, nel vento vivono spiriti, non era per lui una invenzione poetica, non erano fantasie, ma qualcosa che poteva percepire.