La coscienza diviene un impulso cosmico che, dopo la nostra morte, agisce fuori di noi.

O.O. 231 – L’uomo soprasensibile alla luce dell’antroposofia – 13.11.1923


 

…… Quando l’uomo varca la porta della morte, la figura fisica che egli vedeva

guardandosi nello specchio o facendosi fotografare non esiste più.

Essa d’altronde non lo interessa.

 

L’uomo ora guarda verso l’archetipo cosmico disegnato nell’etere.

Durante la vita terrena, quell’archetipo era ancorato nel suo corpo eterico, ma in esso egli non lo vedeva.

Sulla Terra quell’archetipo è sì entro il corpo fisico, ma l’uomo non lo vede.

 

Ora però egli percepisce la sua vera figura,

ma la figura che ora vede riluce, irradia delle forze, e questo ha una ben determinata conseguenza.

Ciò che quell’immagine irradia, agisce infatti allo stesso modo di ogni altro corpo luminoso,

ma ciò va ora inteso in senso eterico.

 

Il Sole splende fisicamente.

L’immagine dell’uomo veduta sotto l’aspetto cosmico

splende spiritualmente e, essendo una immagine spirituale, ha la forza d’illuminare anche dell’altro.

 

Durante la vita terrena si può esporre lungamente al Sole

una persona che abbia compiuto delle azioni buone oppure cattive;

i suoi capelli risulteranno illuminati, ma le sue buone o cattive azioni, le sue qualità non lo saranno.

• Ciò che nel mondo spirituale, dopo il passaggio per la porta della morte,

l’uomo sperimenta quale risplendente immagine della propria figura

irradia invece una luce spirituale che illumina le sue azioni morali.

 

Assieme alla propria immagine cosmica, all’uomo si presenta così il suo comportamento morale.

Esso fu in noi durante la vita terrena, risuonò sommessamente in noi come coscienza.

Ora, dopo la morte, lo contempliamo oggettivamente.

Il nostro comportamento morale siamo noi stessi; dobbiamo averlo intorno a noi dopo la morte.

 

Siamo allora giudici inflessibili di noi stessi, perché quella forza illuminante non si adegua tanto facilmente

a quanto quaggiù potremmo addurre a discarico delle nostre colpee ad esaltazione dei nostri meriti.

 

Ciò che allora irradia da noi stessi

è davvero un giudice inflessibile che chiaramente illumina quello che fu il valore della nostra condotta.

La coscienza diviene un impulso cosmico che, dopo la nostra morte, agisce fuori di noi.

Queste sono le cose che dall’uomo terreno ci conducono all’uomo soprasensibile.

 

E ben si può dire che l’uomo terreno, l’uomo che compare con la nascita e che si dissolve con la morte,

può venir compreso antropologicamente, come oggi è uso,

ma l’uomo soprasensibile che si compenetra di materie fisiche unicamente per divenire visibile,

l’uomo soprasensibile, l’uomo superiore, deve venir compreso antroposoficamente.