La leggenda degli Argonauti e l’Odissea

O.O. 92 – Leggende e misteri antichi – 14.10.1904


 

Oggi vorrei parlare di un mito molto importante, anch’esso greco, e anch’esso interpretabile, come ogni altro mito, a livelli diversi e da diversi punti di vista. Si tratta ora di coglierne chiaramente il nucleo reale. Ma, prima di passare a questo argomento, vorrei fare ancora qualche premessa teorica.

 

Nell’ultimo numero di “Lucifer-Gnosis” ho richiamato l’attenzione su un determinato influsso, che ha cominciato ad agire sulla nostra specie umana durante le ultime tre civiltà atlantiche e che, sotto un certo aspetto, dura tuttora. Questo influsso è legato al fatto che gli uomini, a quel tempo, erano ormai maturi per vivere nel segno di ciò che chiamiamo intelletto, intelligenza logica. Prima di allora, la caratteristica essenziale dell’uomo era stata piuttosto la memoria.

 

La memoria umana si era sviluppata, fino alla quarta civiltà atlantica, in misura eccezionale.

L’intelligenza combinatoria, la padronanza del calcolo aritmetico, in breve:

ciò su cui si fonda tutta la nostra civiltà, la civiltà attuale,

ha avuto origine con la quinta civiltà atlantica, con i Protosemiti.

 

E per questo i Protosemiti sono potuti altresì diventare i capostipiti di tutta l’umanità della quinta epoca, quella postatlantica. Nel corso dell’evoluzione, l’umanità della quinta epoca ha prevalentemente la funzione di sviluppare l’intelletto, che è rivolto al piano fisico.

 

Ora, quando nell’umanità si apre una nuova fase evolutiva, come quella dell’intelletto, è possibile che nuovi esseri, rimasti fino ad allora nell’ombra, acquistino un influsso sull’evoluzione. E in effetti, a partire da quel momento, a partire dalla quinta civiltà atlantica, potè mettersi all’opera nell’ambito dell’evoluzione umana una determinata schiera di esseri, la cui attività, prima, non era percepibile.

Questi esseri dovete immaginarveli estremamente evoluti, ben più di quanto lo fosse l’uomo nel suo stadio evolutivo di allora. In certo modo, però, erano rimasti indietro rispetto agli esseri che erano intervenuti nel genere umano a metà dell’epoca lemurica. Dunque, vi furono in sostanza dei nuovi arrivi.

 

Gli esseri di cui sto parlando adesso appartenevano, per la totalità della loro natura, a quella che chiamiamo evoluzione lunare. La loro evoluzione si era compiuta nell’epoca della Luna, ma essi non avevano raggiunto il livello degli esseri che erano potuti entrare in azione a metà del periodo lemurico. Erano rimasti indietro rispetto all’evoluzione normale compiutasi sulla Luna. Erano arrivati esattamente a un punto per cui riconobbero affini a loro le facoltà che gli uomini avevano allora acquistato, e la conseguenza fu che poterono appropriarsene.

Prima, gli uomini non erano esseri intelligenti; ora avevano ricevuto l’intelletto. E gli esseri si valsero di questa nuova facoltà per la loro ulteriore evoluzione. Così avvenne che ebbe inizio, allora, quella fase evolutiva che definiamo di preparazione alla scientificità oggettiva. In precedenza, questa non esisteva, né esisterà più in un tempo avvenire.

 

Tutta la saggezza che si era acquisita nel corso dell’evoluzione dell’umanità

aveva un nesso sostanziale con quello che chiamiamo amore.

• La scientificità fredda, puramente calcolatrice, è influenzata da questi esseri, che rappresentano dei “nuovi arrivi”.

 

L’influsso di questi esseri dunque, che oggi in qualche maniera sono pur sempre attivi, avrà fine solamente quando tutto il lavorìo del nostro intelletto, tutto ciò che possiamo sapere, tutto ciò che chiamiamo attività intellettuale, sarà anch’esso permeato di amore.

 

Quando intelletto e amore si saranno ricomposti nell’unità di una superiore saggezza, l’influsso di questi esseri, che non sono visibili sul piano fisico, scomparirà. Rendere chiaro agli uomini tale influsso, renderlo chiaro in primo luogo ai discepoli dei misteri, fu segnatamente il compito dei misteri greci.

 

Intorno all’ottavo secolo avanti Cristo si inaugura, per ciò che riguarda questi esseri, un’epoca di particolare importanza. Se prendete in esame le civiltà della nostra quinta epoca, cominciando dal periodo dell’antica civiltà vedica, passando poi per quello delle civiltà paleo-persiana e caldeo-egizia, e giungendo fino ai tempi della civiltà druidica, scoprirete che in tutti questi periodi di civiltà non esisteva ancora, propriamente parlando, una scienza oggettiva, una scienza neutrale.

 

La sua comparsa si ebbe soltanto nel periodo che vide il progressivo affermarsi della quarta civiltà, e i cui inizi sono rintracciabili all’incirca nell’ottavo secolo avanti Cristo. Fu questo periodo a segnare la nascita di una scienza oggettiva, isolata da ogni altro contenuto dell’animo umano. Nel coltivare l’astronomia, un sacerdote caldeo mirava ancora a penetrare i disegni del governo cosmico. Lo stesso facevano i sacerdoti degli Egizi e quelli druidici; essi cercavano di discernere i propositi di chi reggeva il mondo.

 

Una scienza puramente razionale iniziò a sorgere soltanto in Grecia. Questa scienza razionale, che si era preparata a poco a poco e s’era fatta strada grazie all’influsso degli esseri di cui abbiamo parlato, ma che aveva un legame con il resto dell’attività umana, si rese del tutto indipendente nel quarto periodo di civiltà della quinta epoca. Gli iniziati che venivano istruiti nei misteri di quel tempo percepivano che la saggezza primordiale, della quale il genere umano era stato in precedenza reso partecipe, era come andata persa di fronte all’imporsi della saggezza esteriore, e bisognava quindi tornare a cercarla.

 

Vi è stato un preciso momento in cui questa spenta saggezza esteriore si è isolata dall’ampio contesto della saggezza primordiale. Tale momento, il momento della separazione di questa saggezza spassionata e arida dal vasto insieme della saggezza primordiale, è stato caratterizzato dicendo che, all’incirca nell’ottavo secolo avanti Cristo, il Sole, all’equinozio di primavera, è passato in Ariete.

Questo passaggio del Sole in Ariete è la ripetizione di un precedente passaggio nello stesso segno, compiutosi migliaia di anni prima. Il Sole percorre infatti, com’è noto, l’intero zodiaco, passando successivamente nei segni zodiacali dell’Ariete, del Toro, dei Gemelli, del Cancro, del Leone, della Vergine e così via, ed è passato quindi già molte volte in Ariete. Quando era accaduto l’ultima volta, l’uomo possedeva ancora amore e conoscenza riuniti, e con essi la saggezza primordiale. Ora questa saggezza primordiale era andata persa, e al suo posto era subentrata una civiltà dell’intelletto, dell’esteriorità.

 

Nella Grecia antica, il sacerdote dei misteri descriveva tutto questo processo nel suo significato occulto con il mito, di incommensurabile profondità, contenuto nella leggenda degli Argonauti, ove l’Ariete rappresentava il simbolo dell’unione di amore e conoscenza.

Diamo allora uno sguardo d’insieme a questo mito.

 

Il racconto dice che Frisso ed Elle dovevano molto soffrire per opera di Ino, la loro perfida matrigna. Perciò la madre di Frisso, la divina Nefele, apparve al figlio e gli consigliò di cercare scampo nella fuga assieme alla sorella. Gli diede anche un grosso ariete dal vello d’oro, con il quale avrebbero potuto cavalcare al di sopra del mare. Accadde poi che Elle precipitò e annegò nel mare, che perciò venne detto da allora Ellesponto, mentre Frisso raggiunse la Colchide con l’ariete. Là, sacrificò l’ariete a Zeus e ne donò il vello al re Eete, che lo appese a una quercia davanti a una grotta. In seguito, l’eroe greco Giasone, accompagnato dai più eminenti fra gli iniziati greci del tempo (Orfeo, Teseo, Eracle e altri ancora), si mise in viaggio per andare a riprendere il vello dell’ariete togliendolo ai popoli barbari della Colchide. Essendosi guadagnato il favore di Medea, la figlia più giovane del re Eete, riuscì infine a riportare il vello dell’ariete in Grecia. Prima dovette però soggiogare due tori che soffiavano fuoco, e poi seminare i denti di un drago; dai denti del drago sorsero degli uomini in armatura, che si disposero al combattimento. L’aiuto di Medea permise a Giasone di renderli inoffensivi. Fu sempre Medea a far sì ch’egli potesse prendere il vello dell’ariete e intraprendere, con il vello e assieme a lei, il viaggio di ritorno alla volta della Grecia. Per ingannare suo padre, Medea aveva portato con sé il fratello, lo aveva ucciso e, fattolo a pezzi, lo aveva gettato in mare. Mentre il padre, straziato, ne raccoglieva le membra, Medea e Giasone poterono proseguire la loro fuga verso la Grecia.

 

Nel nono e nell’ottavo secolo prima di Cristo, agli inizi dunque del periodo della civiltà greca, i discepoli dei misteri greci venivano istruiti circa il significato occulto di questa leggenda. Esso consiste nel rendere noto che, a partire da quel momento, gli esseri che si servono dell’arida, spassionata intelligenza degli uomini acquistavano un’importanza particolare. Tornava allora a risvegliarsi la nostalgia della civiltà primordiale, quella che era esistita un tempo, allorché il Sole era passato per l’ultima volta in Ariete.

 

Che i gemelli Frisso ed Elle vengano portati nella Colchide dall’ariete non significa altro se non che una precedente civiltà, quella persiano-iranica, con la sua natura gemina – i Persiani vivevano sotto il segno della dualità bene-male, Ormazd-Arimane -, intende riguadagnare il nesso di conoscenza e amore. Questo, la civiltà precedente l’aveva portato in regioni nascoste. In passato, nell’epoca atlantica, questo vello, questa saggezza, aveva costituito un patrimonio comune della civiltà umana, quindi era stato portato in remote scuole misteriche. Bisognava andare a riprenderlo. Vediamo così che nella leggenda degli Argonauti si vuole alludere alla fondazione di scuole misteriche in Grecia.

 

Ai tempi dell’umanità atlantica c’era dunque una saggezza primordiale – così ci viene narrato -, che era allora patrimonio comune dell’umanità. Questa saggezza primordiale era andata smarrita, e ormai la si poteva trovare soltanto nelle grotte e nelle cripte delle scuole misteriche. I Greci però istituirono nuovamente i misteri per i loro iniziati, e Teseo, Orfeo, Eracle e altri ancora furono i fondatori di queste scuole di saggezza, in quanto riportarono in Grecia la saggezza primordiale.

 

Per opera di Talete, Anassimene, Socrate e altri filosofi

si venne affermando una saggezza fredda e spassionata,

una saggezza dell’intelletto, una saggezza oggettiva.

La saggezza dei misteri è congiunta con l’amore.

È una saggezza che non si può ottenere senza purificarsi dalle passioni, dalle forze del kama.

• Alla scienza razionale, invece, si può giungere senza purificazione del kama.

 

In una leggenda così importante come quella degli Argonauti

ci viene dunque illustrato il passaggio dal terzo al quarto periodo di civiltà

della nostra attuale epoca della Terra.

La transizione si compie con lo spartirsi del flusso della civiltà umana, prima indiviso,

in due correnti: la saggezza dei misteri e la scienza razionale esteriore.

 

La prima corrente, che è simboleggiata precisamente nella riconquista del vello dell’ariete, era nascosta,

ma questo non le ha impedito di agire e di influenzare l’arte e la cultura greche.

Soltanto sulla scienza razionale non avrebbe avuto, da allora in avanti, alcuna influenza.

Questa è dunque la leggenda della spedizione degli Argonauti.

 

Anche nel caso della leggenda di Odisseo vediamo che c’è il riferimento a una transizione, al passaggio da un’epoca della Terra a un’altra. Questa leggenda ha ricevuto nel corso del tempo interpretazioni e spiegazioni le più diverse. Oggi mi limiterò a delinearne sinteticamente la trama. Nel mio libro Il cristianesimo come fatto mistico ho cercato di servirmi del secondo metodo di interpretazione, quello allegorico; oggi seguiremo il terzo, il metodo dell’interpretazione occulta.

 

Odisseo, dopo avere partecipato alla guerra di Troia e aver aiutato i Greci, con la sua astuzia e il suo ingegno, a conquistare la città, compie lunghe peregrinazioni per mare; prego di tenerlo ben presente. Giunge fra i Ciclopi, ha la meglio sul loro capo, dotato di un solo occhio, poi continua il viaggio arrivando da Circe, che, come narra la storia, muta in porci i suoi compagni. In seguito, si reca nell’Ade, e qui si intrattiene con gli eroi caduti nella guerra di Troia. S’inoltra poi nel dominio delle Sirene, che seducono gli uomini con il loro canto ammaliante. Apprendiamo dal seguito del racconto che la maggior parte dei compagni di Odisseo soccombe alla fascinazione delle Sirene, mentre egli si salva facendosi saldamente legare alla sua nave. Successivamente, raggiunge un punto, che è situato fra Scilla e Cariddi, dove le navi corrono il rischio di naufragare, e qui deve scampare all’attraversamento di un gorgo marino. Approda poi a Ogigia, l’isola della ninfa Calipso, dove è costretto a restare per sette anni, finché viene liberato da Zeus, che dà ordine a Calipso di lasciarlo andare. Infine, giunge a Itaca, la sua patria. Viene guidato dalla dea Pallade Atena alla sua casa e alla sua sposa, Penelope, che era rimasta esposta a pericoli di ogni sorta, giacché molti pretendenti aspiravano ad averla. Così, Penelope tesseva durante il giorno una tela che tornava poi a disfare durante la notte, avendo promesso ai pretendenti la sua mano una volta che la tela fosse stata ultimata.

 

Vi prego ora di ripercorrere con me la trama della leggenda di Odisseo seguendo il metodo che la saggezza dei misteri greci ci ha fatto conoscere. Le scuole iniziatiche, dove ciò che è narrato in questa leggenda veniva concretamente riattualizzato, offrivano al discepolo una guida, sul piano astrale e sul piano mentale, che lo metteva in condizione di percorrere un determinato tratto dell’evoluzione umana, e precisamente quello racchiuso fra la metà dell’epoca lemurica e il momento nel quale, in Grecia, l’uomo potè riscoprire nelle scuole iniziatiche che erano state fondate da Giasone, e assieme a lui da Orfeo, Teseo, Eracle e altri, la saggezza primordiale. Il discepolo era dunque condotto sul piano astrale e su quello mentale, e gli venivano mostrati gli avvenimenti attraverso i quali l’umanità era passata a cominciare dalla metà dell’epoca lemurica fino al punto in cui si era svolta la guerra di Troia. Quello che ci viene presentato attraverso il racconto mitico della spedizione degli Argonauti è un momento della saggezza primordiale. Ci viene mostrato come questa procedesse allora a fianco della scienza. E, con la saga di Odisseo, che cosa si mostrava agli uomini, ai discepoli delle scuole di iniziazione? Lo vediamo emblematicamente rappresentato nello stesso Odisseo.

 

Spostiamoci adesso indietro nel tempo, fino alla metà dell’epoca lemurica. L’uomo stava passando allora dallo stato ermafroditico alla differenziazione sessuale, e la sua vista di prima, indipendente da un organo di senso fisico, esterno, si stava trasformando nella vista mediata dall’occhio fisico, dall’occhio esteriore. Fino alla metà dell’epoca lemurica, l’uomo aveva in effetti quell'”unico occhio” che venne poi sostituito dai due occhi fisici esterni.

 

Il discepolo veniva ritrasferito in questa fase dell’evoluzione. Doveva rivivere il passaggio dalla prima alla seconda fase lemurica, quella compresa fra il momento centrale dell’epoca lemurica e la comparsa dell’occhio esteriore. I Ciclopi erano gli uomini della prima fase lemurica. Odisseo ne fece la conoscenza sul piano astrale.

 

Dopo quest’epoca, il corpo astrale dell’uomo era stato calato nella materia che stava diventando più compatta e più solida. Questo era ciò cui gli iniziandi venivano messi di fronte. Ci avviciniamo quindi al principio dell’epoca atlantica. L’uomo atlantico acquista sempre più la capacità di utilizzare le forze vitali, di servirsene per le sue attività. Quelle sviluppate dagli Atlantidi erano facoltà astrali elevate, molto evolute, e un greco poteva riattingerle unicamente sul piano astrale.

 

Erano questi i tempi, tanto spesso citati nelle antiche scritture occulte, in cui le stirpi atlantiche andavano scadendo nelle arti brutali della magia nera. Ai discepoli dei misteri greci quest’epoca veniva presentata in forma drammatica attraverso immagini di trasformazione. Era l’epoca in cui le passioni umane erano a tal punto degenerate sotto l’influsso delle forze appartenenti alla magia nera, che i corpi astrali assomigliavano agli animali immondi. E questa fu l’immagine che si offrì quando, più tardi, i Turani si abbandonarono alle stesse brutali arti magiche. Sotto l’influsso di questa negromanzia il corpo astrale subì un tale mutamento che, in termini simbolici, si disse che Circe aveva mutato in porci i compagni di Odisseo. L’iniziato greco ripercorreva questo momento dell’evoluzione umana.

 

Odisseo era poi sceso agli inferi. Ora, tutte le volte che nelle leggende greche si parla di una discesa agli inferi, vuol dire che siamo in presenza di una iniziazione. Quando leggiamo che un eroe si è inoltrato nel mondo degli inferi, il narratore, con questo, non vuol dire altro se non che l’eroe in questione è stato iniziato, che è stato portato a conoscenza di ciò che sta oltre la morte. Odisseo era un iniziato, e la leggenda di Odisseo è, come tale, il racconto della sua iniziazione.

 

Ora proseguiamo fino al momento in cui, dopo l’inondazione che sommerse l’Atlantide, gli uomini conobbero i primi effetti dell’attività di quegli esseri di cui ho parlato, effetti attraverso i quali essi si manifestarono nella civiltà esteriore, nella scienza e nelle arti di allora, e che, appunto dopo la scomparsa dell’Atlantide, esercitarono il loro influsso sulla sfera intellettuale.

 

All’iniziato, le prime manifestazioni di una civiltà meramente esteriore, fisica, venivano presentate come le seduzioni delle arti puramente mondane, della cultura puramente mondana. Erano i canti di sirena della giovane umanità postatlantica, quei canti dei quali tanto spesso si parla nelle scritture occulte. Da una parte abbiamo infatti il grande insegnamento di saggezza del Manu, il quale richiama gli uomini della quinta epoca alla necessità che il loro intelletto si elevi al divino. Questo richiamo ha trovato la sua espressione nei Veda, e in quella religione che il persiano Zarathustra ha fondato e lasciato in eredità ai propri correligionari. Accanto a questo, d’altra parte, abbiamo la civiltà basata esclusivamente sull’intelletto, che distoglie gli uomini da quanto si sviluppa sotto l’influsso del Manu. In tutte le scritture occulte trovate descritti gli avvenimenti che si svolsero a quei tempi.

 

Il Manu scelse un piccolo gruppetto di uomini e andò nel deserto del Gobi, o Shamo. Qui, solo una ridotta schiera gli rimase fedele, mentre gli altri lo abbandonarono e si dispersero in tutte le direzioni. Questo importante avvenimento dunque, per cui il Manu scelse dapprima una parte dei Protosemiti, ma poi solo un piccolo numero di questi eletti lo seguì, mentre i restanti andarono incontro alla rovina per aver seguito il canto di sirena della civiltà esteriore, questo importante avvenimento era ciò che veniva presentato agli iniziandi.

 

Nella leggenda di Odisseo è poi descritto un altro importante momento dell’evoluzione dell’umanità, il passaggio fra Scilla e Cariddi. Che cosa comincia propriamente a succedere nell’umanità, a questo punto? Solo adesso ha inizio, come abbiamo visto, la vera e propria civiltà del kama-manas. Fino ad ora questa civiltà è stata lentamente preparata. Adesso ha inizio. E nella quinta epoca, la nostra, la civiltà del kama-manas è quella dominante. Il kama agisce nella sfera astrale, ed è attivo ancor oggi nel corpo astrale. Ma ciò che è attivo nel cervello fìsico è il manas. L’uomo della quinta epoca pensa con il cervello fisico. Solo in una fase futura dell’evoluzione anche il kama, il corpo astrale, si svilupperà fino al punto di poter pensare. Per ora, nel cervello fisico è insediato il manas.

 

Noi dobbiamo passare attraverso i due gorghi di Scilla e Cariddi, che ci fanno sbandare da una parte e dall’altra. Questo è ciò che viene rappresentato nel passaggio di Odisseo fra Scilla-manas e Cariddi-kama. Da una parte c’è il gorgo astrale, ci sono gli istinti, i desideri e le passioni in cui l’uomo può annegare, e dall’altra c’è l’intelletto fìsico forgiato sulla roccia.

 

Abbiamo già incontrato la roccia nella leggenda di Prometeo. Qui ci si para un’altra volta di fronte. L’intelletto umano è esposto a tutti i pericoli della physis, della roccia.

L’uomo deve veleggiare tenendosi fra gli scogli dell’intelletto fìsico e il gorgo della vita astrale.

Se riesce a superare questo frangente, se riconosce i pericoli che lo minacciano e riesce tuttavia a uscirne indenne, approda allora all’isola di Calipso, alla saggezza nascosta. Qui può inoltrarsi con lo sguardo nel futuro dell’umanità, può sostenere il tempo della prova, che si prolunga per sette anni. Perciò Odisseo rimane appunto per sette anni presso Calipso.

 

Chiunque voglia pervenire all’iniziazione deve sostenere un settennio di prove, e a questo allude la sosta presso Calipso, dietro il cui inganno sta celata la saggezza. Solo dopo aver superato la prova egli può giungere là dove giunge l’anima che è scampata al gorgo delle passioni astrali.

 

Leggete l’Odissea omerica; ciò che Omero vuol dire è che l’uomo cerca la propria anima. Aspirare al ritorno in patria significa tendere alla riscoperta dell’anima. Chi vuole davvero comprendere l‘Odissea non può associarsi all’opinione di uno studioso recente, secondo il quale l’episodio di Polifemo e dei Ciclopi non si riferirebbe ad altro che a un’eruzione dell’Etna, nelle cui vampe Odisseo avrebbe creduto di scorgere l’occhio del gigante.

 

Da ultimo, Odisseo si avvia verso casa vestendo i panni di un mendicante, sprovvisto di ogni bene esteriore. Questo sta a significare che colui il quale ha intuito fino in fondo l’irrilevanza del mondo esteriore e dei beni mondani cerca la patria dell’anima non dentro, ma oltre la maya, e che dunque, in senso mistico, giunge in patria da mendicante.

 

Che Odisseo in realtà sia un saggio è indicato dal fatto che verso casa lo guida Pallade Atena. In tutto l’esoterismo, l’anima personale viene rappresentata da un essere femminile; sono sempre degli esseri femminili quelli scelti come simboli dell’anelito dell’anima personale. È ciò che Goethe chiama l’eterno femminino.

 

Come nella leggenda della spedizione degli Argonauti dobbiamo vedere l’anima personale in Medea, qui dobbiamo vederla in Penelope: Penelope è l’anima cui Odisseo cerca di fare ritorno.

 

Nella religione cristiana, l’anima umana che aspira alla redenzione è la Vergine Maria, anche se qui abbiamo un significato infinitamente più profondo. Penelope, per dirlo con esattezza, è l’anima dell’uomo che appartiene alla quinta epoca della Terra. Questa epoca ha il compito di coltivare l’intelletto umano. Di per se stesso, l’intelletto è quanto di più sterile possa esistere; solamente se viene applicato a un contenuto può diventare fecondo. L’intelletto è una rete che viene tessuta intorno alle cose, alle cose che ci vengono da altre parti. Se l’esperienza esteriore vi insegna una cosa, potete avvolgerla nella rete dell’intelletto. Se poi a insegnarvi qualcosa è la saggezza superiore, la saggezza occulta, anche in questo caso potete tessergli intorno la rete dell’intelletto. Spesso si dice che le dottrine occulte sarebbero in contraddizione con l’intelletto. Ma non v’è nulla che sia in contraddizione con l’intelletto. Tutte le volte che entro il loro orizzonte si è affacciata una novità, gli uomini, sempre, l’hanno giudicata in contraddizione con l’intelletto.

 

Ma l’intelletto è li solo per combinare dei dati, per collegarli.

• A nulla può giungere partendo da se stesso; basandovi sul solo intelletto non potete dimostrare nulla.

• Questa improduttività dell’intelletto, nel quale tuttavia sta la vera anima della quinta epoca,

trova espressione nell’incessante tessere e disfare con cui Penelope lavora alla sua tela.

 

Odisseo viene guidato dalla saggezza. L’iniziato deve trovare la strada che lo conduca all’anima della quinta epoca, allo sterile intelletto. Ma potrà adeguatamente riunirsi a tale anima solo se è colmo egli stesso di saggezza, se viene guidato da Pallade Atena, la quale è a sua volta una divinità femminile superiore, un’altra forza presente nell’anima: la saggezza, la vera guida. Dopo aver lungamente peregrinato, e in quanto le sue peregrinazioni siano state realmente percorsi evolutivi, l’uomo deve arrivare all’intelletto. E a questa meta deve guidarlo Pallade Atena, la saggezza. Questo è ciò che in Grecia veniva mostrato al discepolo dei misteri, e che Omero ha inteso narrare nella leggenda di Odisseo, così ricca di profondi significati.

 

È dunque una iniziazione quella che ci viene presentata nella leggenda di Odisseo, un’iniziazione qual era in uso nella Grecia di allora, e che in null’altro consisteva se non nella ripetizione, attuata sul piano astrale-mentale, delle esperienze vissute dagli uomini nell’epoca lemurica e fino al tempo dei misteri stessi.

 

Odisseo è l’uomo astuto, l’uomo d’ingegno, grazie alle cui facoltà Troia fu sconfitta. L’uomo intelligente ricco d’ingegno è l’uomo della quinta epoca. Questi però deve tornare, attraverso lunghi giri, a cercare la sua patria, la sua Penelope: solo così potrà andare diritto per la sua strada nella quinta epoca. Chi ha solamente astuzia e ingegno, entro la quinta epoca non può trovare la retta strada. Prima, deve uscire da sé e ampliare il proprio sguardo, volgendolo indietro al lungo percorso evolutivo del genere umano. Odisseo è il rappresentante dell’astuto uomo del kama-manas, che deve compiere lunghe peregrinazioni per essere ricondotto all’anima nella quinta epoca della Terra.