La missione del Cristo: infondere entro l’anima dell’uomo la piena forza dell’io, l’autonomia interiore.

O.O. 103 – Il Vangelo di Giovanni – 23.05.1908


 

« Se imparerete a riconoscere veramente il Figliuolo dell’uomo,

vedrete come le forze spirituali scendano e salgano dalle regioni spirituali.

Questo vi sarà reso noto dall’impulso che il Cristo dà alla Terra » (Parafrasi di Giov. 1,51- nota del trad.).

 

Abbiamo già trattato nella conferenza precedente ciò che nel vangelo segue a queste parole: è l’episodio delle nozze di Cana, in Galilea, che spesso vien chiamato « il primo miracolo »: meglio si dovrebbe dire « il primo dei segni » che il Cristo Gesù compie. Per comprenderne tutta la grandezza, dovremo riassumere molto di quanto abbiamo ascoltato nelle conferenze che precedono.

 

Anzitutto si parla di nozze: ma perché proprio di nozze in Galilea?

Comprenderemo perché si tratti di nozze in Galilea,

se ci richiameremo ancora una volta dinanzi all’anima tutta la missione del Cristo.

 

• Questa missione consiste

nell’infondere entro l’anima dell’uomo la piena forza dell’io, l’autonomia interiore.

• Il singolo io dovrà sentirsi pienamente autonomo e indipendente,

e ogni uomo dovrà sentirsi unito al prossimo mediante l’amore liberamente offerto.

 

• Grazie all’impulso del Cristo deve cioè penetrare nella missione della Terra

un amore sempre più innalzato al disopra della sfera materiale e verso quella spirituale.

• L’amore ha preso le mosse dalla sua forma più bassa legata alla sensualità;

nei tempi antichi dell’umanità delle origini, si amavano coloro ch’erano legati da consanguineità.

 

Il Cristo venne per spiritualizzare l’amore, per scioglierlo dai legami del sangue

e per infondere la forza, per dare l’impulso all’amore spirituale.

 

• Fra i seguaci dell’Antico Testamento vediamo ancora esprimersi in pieno l’appartenenza all’anima di gruppo,

come fondamento dell’io singolo entro l’io complessivo.

• Abbiamo veduto ciò che significhino per il seguace dell’Antico Testamento

le parole: « Io e il padre Abramo siamo uno»: significano la consapevolezza

di sentirsi accolti nella corrente del sangue che fluisce nelle vene, da Abramo giù fino al suo discendente.

 

• Costui si sentiva accolto in un tutto, e si consideravano congiunti

solo quelli che fossero nati da una siffatta rigorosa consanguineità.

• Ai primi inizi dell’evoluzione umana sulla Terra, i matrimoni

avvenivano esclusivamente entro cerchie ristrettissime di famiglie consanguinee;

a quei tempi ci si atteneva rigorosamente al matrimonio fra parenti stretti.

 

• In seguito, le ristrette cerchie di consanguinei andarono sempre più allargandosi:

si cominciò a sposarsi tra persone di tribù differenti, ma non ancora fra un popolo e l’altro.

• Il popolo dell’Antico Testamento si attenne con rigore al principio della consanguineità:

era considerato giudeo chi lo fosse secondo il sangue.

 

Il Cristo Gesù non si rivolse a questo principio, bensì a coloro che lo avevano infranto; per questa ragione, egli mostrò il « primo segno », dei tanti segni importanti che doveva mostrare, non entro i confini della Giudea, ma fuori, in Galilea. La Galilea era un territorio dove si erano mescolati popoli e tribù diversissimi. « Galileo » significa «ibrido».

 

E proprio ai Galilei, ai più ibridi, si rivolge il Cristo. Da ciò che sta alla base d’una tale mescolanza fra stirpi diverse deve scaturire un amore non più legato al substrato materiale. Ecco perché il Cristo dice ciò che ha da dire proprio in occasione di nozze: perché con le nozze si accenna alla riproduzione dell’umanità. Ed egli mostra ciò che vuole mostrare, non già là dove ci si sposava in cerchie ristrette, entro i limiti della consanguineità, bensì in un luogo dove ci si sposava al di fuori di quei limiti.

 

Ecco dunque la ragione per cui quelle parole vengono pronunciate in occasione di nozze, e precisamente di nozze in Galilea. Se ora vogliamo comprendere ciò che venne mostrato in quell’occasione, dobbiamo nuovamente gettare uno sguardo su tutta l’evoluzione dell’umanità.

 

È stato spesso ripetuto che per l’occultista non esiste nulla di esteriore, di meramente materiale: tutto ciò ch’è materiale è per lui espressione di qualcosa di animico-spirituale; come il nostro viso è espressione di un quid animico-spirituale, così la luce del Sole è espressione di una luce animico-spirituale, e tutto quanto accade in apparenza solo materialmente è al tempo stesso espressione di processi spirituali più profondi. L’occultismo non nega la materia; ma per esso anche il più materiale dei processi è espressione di qualcosa di animico-spirituale. Così ai processi evolutivi spirituali del mondo corrispondono sempre dei fatti materiali che procedono parallelamente.

 

Volgiamo indietro lo sguardo spirituale all’evoluzione umana, quando l’umanità si trovava ancora nell’antico continente fra l’Europa e l’America, cioè nell’Atlantide, e quando poi passò alla successiva epoca post-atlantica e attraverso una serie di generazioni pervenne fino ai tempi nostri.

 

Possiamo scorgere il senso di tutta questa evoluzione dalla quarta razza alla quinta (se vogliamo considerarla dal punto di vista delle razze), nel fatto che dall’umanità atlantica, ancora tutta immersa nell’anima di gruppo, maturando lentamente nei tempi postatlantici si sviluppa l’io singolo della personalità umana.

 

 

Ciò che il Cristo portò col suo potente impulso spirituale aveva dovuto prepararsi anche mediante altri impulsi. Jahvé aveva posto l’io dell’anima di gruppo entro il corpo astrale umano, preparandolo così con lenta maturazione ad accogliere l’« io sono » del tutto autonomo. Ma questo « io sono » non avrebbe potuto venire accolto dall’uomo, se il suo corpo fisico non fosse divenuto uno strumento atto ad albergarlo.

 

È facile rendersi conto che, per quanto adatto sia il corpo astrale ad accogliere un io, ciò non sarebbe mai possibile, se il corpo fisico non fosse idoneo strumento per afferrare realmente l’io allo stato di veglia. Per qualunque cosa debba esplicarsi nell’uomo qui sulla Terra, anche il corpo fisico dev’essere lo strumento adatto. Perciò quando il corpo astrale fu pronto ad accogliere l’io, il corpo fisico dovette venir preparato esso pure ad accoglierlo. Questo avvenne realmente, nel corso dell’evoluzione umana.

 

Siamo in grado di seguire i processi grazie ai quali il corpo fisico venne preparato a divenire un portatore dell’uomo autocosciente, dotato di un « io sono ». Perfino la bibbia vi accenna: là dove ci racconta che Noè, destinato a diventare il capostipite dell’epoca postatlantica, fu il primo a bere del vino, a conoscere gli effetti dell’alcool.

 

Tocchiamo qui un punto che per molti può sembrare scandaloso. Nei tempi postatlantici si è venuto istituendo il culto di Dioniso, e tutti sanno come questo culto venga posto in relazione col vino. E’ proprio vero che il vino, questa sostanza singolare, viene offerto all’umanità solo nell’epoca postatlantica e da allora esso agisce sull’umanità. Sappiamo che ogni sostanza agisce in qualche modo sull’uomo e che l’alcool esercita sull’organismo umano un’azione ben determinata.

 

Ora, l’alcool ebbe una certa missione nel corso dell’evoluzione dell’umanità:

per quanto possa apparire singolare, esso ebbe il compito di preparare, per così dire, il corpo umano

a venire staccato dalla connessione col mondo divino,

perché potesse svilupparsi l’«io sono» individuale.

Infatti l’alcool ha l’effetto di precludere all’uomo il contatto col mondo spirituale,

nel quale l’uomo si trovava in passato. Questo effetto, l’alcool lo possiede tuttora.

 

L’alcool non è stato introdotto invano nell’umanità. In futuro si potrà affermare nel pieno senso della parola che l’alcool ebbe il compito di attrarre l’uomo giù nella materia, sì da renderlo egoistico, da portarlo al punto di esigere per sé il proprio io, di non metterlo più al servizio di tutto il proprio popolo. Così dunque l’alcool ha reso all’umanità il servizio opposto a quello dell’anima di gruppo: ha tolto agli uomini la facoltà di sentirsi uniti in un tutto nei mondi spirituali.

 

Ecco perché il culto di Dioniso coltivava la comunità in una specie di ebbrezza esteriore: un espandersi in un tutto, senza distinguerlo chiaramente. L’evoluzione dell’epoca postatlantica è stata collegata al culto di Dioniso perché questo culto era un simbolo della funzione e della missione dell’alcool.

 

Adesso che l’umanità tende di nuovo a ritrovare la via dei mondi spirituali, ora che l’io è sviluppato al punto da poter riprendere contatto con le figure divino-spirituali è giunto il tempo in cui si osserva una certa reazione contro l’alcool, perfino incoscientemente. Questa reazione avviene perché molti sentono che ciò che ebbe per lungo tempo una certa importanza, non è giustificato eternamente.

 

Quanto è stato or ora esposto, circa il compito che l’alcool ebbe in una determinata epoca, non va considerato come un’opinione favorevole all’uso dell’alcool; è stato detto per mostrare che quella missione dell’alcool si è compiuta e che a tempi differenti si addicono cose differenti. Ma proprio nella stessa epoca in cui l’umanità era stata più profondamente impigliata nell’egoismo ad opera dell’alcool, apparve sulla scena la forza più possente, quella che diede all’uomo l’impulso più intenso per ritrovare il contatto coll’universo spirituale.

 

Da un lato l’uomo doveva discendere fino all’ultimo gradino per divenire autonomo,

dall’altro doveva giungere la forza potente, capace di ridare l’impulso per ritrovare la via verso il tutto.

 

Questo, il Cristo doveva accennarlo per la sua missione nel primo dei segni: doveva anzitutto mettere in evidenza che l’io doveva rendersi autonomo, e poi che egli si rivolgeva a coloro che già si erano sciolti dai legami della consanguineità. Doveva rivolgersi a una celebrazione nuziale nella quale i corpi stavano sotto l’influsso dell’alcool; infatti, troviamo che nelle nozze di Cana si beveva del vino.

 

Il Cristo Gesù mostra come egli consideri la propria missione, nei riguardi delle diverse epoche terrestri. Quante strane interpretazioni sono state date di quella trasformazione dell’acqua in vino! Perfino dal pulpito si può sentir dire che ciò non significa altro che la sostituzione della scipita acqua dell’Antico Testamento col generoso vino del Nuovo Testamento. Probabilmente, questa interpretazione fu prediletta dagli amatori del vino! In verità questi simboli non sono tanto semplici.

 

« La mia missione è tale, da accennare al più lontano avvenire dell’umanità;

e agli uomini divenuti autonomi deve venir restituito il contatto con la divinità,

l’amore per la divinità, quale libero dono dell’io autonomo ».

 

Questo amore dovrà stringere l’uomo alla divinità nella libertà,

come prima l’aveva inserito nella divinità un impulso interiore irresistibile dell’anima di gruppo.

 

Cerchiamo ora di rappresentarci lo stato d’animo e soprattutto i pensieri dell’umanità che aveva quelle esperienze. Ci si diceva: un tempo l’uomo era congiunto con l’anima di gruppo e sentiva il proprio rapporto con la divinità. In seguito egli è andato evolvendosi verso la Terra, verso il basso. Ciò veniva considerato come un impigliarsi nella sfera materiale, come una degenerazione, come una specie di distacco dal divino; e ci si chiedeva: da che cosa deriva in origine ciò che l’uomo possiede attualmente? Da che cosa egli si è distaccato?

 

Quanto più indietro si risale nell’evoluzione terrestre, tanto più si trova che le sostanze solide trapassano, sotto l’influsso di condizioni di maggior calore, nello stato liquido. Sappiamo però che quando la Terra era ancora un pianeta liquido, l’uomo già esisteva anch’egli; ma a quel tempo l’uomo non era ancora tanto staccato dalla divinità, quanto lo fu più tardi.

Nella stessa misura in cui la Terra andò solidificandosi, anche l’uomo si venne materializzando.

 

Quando la Terra era liquida, l’uomo era già contenuto nell’acqua; ma non potè cominciare ad aggirarsi sulla Terra, se non dopo che quest’ultima ebbe cominciato a solidificarsi. Perciò l’umanità antica sentiva a questo modo il processo di solidificazione dell’uomo:

l’uomo è nato dalla Terra ch’era ancora acqua e allora era ancora del tutto legato alla divinità;

tutto ciò che lo ha portato giù, nella materia solida, lo ha contaminato.

 

Venivano battezzati col battesimo d’acqua coloro che dovevano ricordarsi di quell’antica connessione con la divinità.

Il battesimo doveva simboleggiare questo contenuto: siate consapevoli del vostro antico legame con la divinità

e del fatto di essere contaminati, di essere decaduti al vostro stato odierno!

 

In questo modo battezzava anche il Battista, per recare alla coscienza degli uomini il loro rapporto con la divinità;

e questo era il senso di ogni battesimo, nell’antichità:

l’abbiamo espresso in modo radicale, ma tale da rendercene chiaro il significato.

 

Il Cristo Gesù, invece, doveva battezzare con qualcosa d’altro.

Egli non doveva far volgere gli uomini verso il passato, bensì verso l’avvenire,

per mezzo dello sviluppo della loro intima spiritualità.

Lo spirituale dell’uomo doveva ritrovare il contatto con la divinità

per mezzo dello « Spirito Santo », dello spirito incontaminato.

Il battesimo d’acqua era un battesimo di ricordo;

il battesimo dello « Spirito Santo », invece, è un battesimo profetico, che accenna all’avvenire.

 

Quella connessione ch’era andata del tutto perduta e che il battesimo con l’acqua doveva ricordare,

è andata perduta anche in ciò che si esprimeva nel simbolo del vino, del vino sacrificale.

Dioniso è il dio smembrato, che fece il suo ingresso nelle singole anime,

in modo che le sue singole parti non seppero più nulla l’una dell’altra.

 

Per effetto dell’alcool – il simbolo di Dionisio – l’umanità è stata smembrata in tanti frammenti, gettata nella materia.

Ma nelle nozze di Cana viene affermato un grande principio: è il principio pedagogico dell’evoluzione.

 

Esistono verità assolute, ma esse non possono senz’altro venir comunicate all’umanità in qualsiasi momento.

Ogni età deve avere le sue pratiche particolari, le sue particolari verità.