La nascita della coscienza

O.O. 116 – L’Impulso-Cristo e la coscienza dell’Io – 02.05.1910


 

Nelle conferenze dello scorso inverno ci siamo occupati, lungamente e da diversi punti di vista, della questione dell’essere del Cristo, e abbiamo cercato di chiarire in vari modi come, nel corso dell’intera evoluzione terrestre, l’avvento di quello che chiamiamo l’Impulso-Cristo sia, per l’evoluzione umana, l’avvenimento più grandioso. Si può perciò comprendere come questo argomento sia inesauribile: sarebbe infatti un compito senza fine quello di voler illustrare l’Impulso-Cristo in tutti i suoi aspetti.

 

D’altro canto è chiaro che, date le nostre premesse, tutto ciò che in fondo interessa l’uomo, può essere collegato con l’evento del Cristo. Abbiamo infatti visto che i Vangeli stessi cercano di avvicinarsi all’essere del Cristo da quattro lati diversi, e abbiamo accennato molte cose riguardo ai segreti di ogni singolo Vangelo.

 

Solo fino ad un certo grado abbiamo potuto illuminare il Vangelo di Matteo. In future conferenze ritorneremo ad occuparci compiutamente dei misteri del Vangelo di Matteo, per poi inoltrarci nelle profondità del Vangelo di Marco. Se volessimo ora, finito l’inverno, tratteggiare in questa sede – anche solo per brevi accenni – ciò che ancora rimane da dire, ebbene, ciò pregiudicherebbe fortemente la compiutezza delle prossime conferenze.

Per questa ragione, sia oggi che la prossima volta, vorrei toccare delle questioni che, sotto un certo riguardo, si avvicinano al problema del Cristo da un’altra angolazione, e precisamente vorrei oggi toccare la questione della relazione tra la coscienza e l’irruzione dell’Impulso-Cristo nell’evoluzione umana.

 

Con ciò raggiungiamo un duplice scopo. Giovedì prossimo avremo la conferenza pubblica sulla coscienza umana*, e anche oggi, qui nel nostro gruppo, parleremo dello stesso tema.

Con ciò vogliamo perseguire però un’intenzione ben precisa, un’intenzione che anche nel futuro dovrà riproporsi più volte dinanzi al nostro sguardo spirituale. Intendiamo infatti dimostrare come su uno stesso argomento si debba parlare in maniera differente a seconda che, come ora, ci si trovi all’interno di un gruppo di lavoro, oppure in una conferenza pubblica, destinata anche a coloro che ancora non appartengono al movimento della scienza dello Spirito.

Tra le varie caratteristiche che devono fissarsi nel suo animo, l’indagatore spirituale deve imparare a sentire che le cose del mondo vanno comprese dai più diversi punti di vista e dalle più diverse angolazioni, e chi già possiede certe premesse potrà esporre, o anche ascoltare qualsiasi argomento, in modo diverso da chi ne è sprovvisto.

Parlando in un gruppo di lavoro, si presuppone che l’animo sia, fino ad un certo grado, tutt’uno con i pensieri del mondo spirituale e che si trovi dentro le percezioni e i sentimenti del mondo spirituale. Si presuppone che l’animo, muovendo da percezioni, sentimenti e pensieri così accolti, possa formarsi un’idea di qualcosa come la coscienza umana.

 

In un gruppo di lavoro, la risposta a certe domande può essere portata alla luce da una profondità maggiore che non in una conferenza pubblica, tenuta davanti ad un uditorio non antroposofico. Il compito delle conferenze pubbliche è infatti quello di fornire gradualmente – attraverso i fenomeni della vita animica assunti in un primo momento come esperienze esteriori – una certa prova che le conoscenze della scienza dello Spirito sono realmente delle verità.

Compito diverso è quello di parlare all’indagatore spirituale, in quanto questi già reca con sé certe premesse, convinzioni e forse anche delle idee circa il mondo spirituale. L’indagatore spirituale deve formarsi da sé, a poco a poco, quei concetti e quelle idee in grado di spiegargli questo e quello: deve imparare ad attingerli, nei modi più diversi, dalle fonti e dai campi più disparati. Deve perdere la brutta abitudine, necessaria nella vita esteriore, di comportarsi come se si potesse parlare di una cosa in un solo modo.

 

La coscienza umana è qualcosa che ci deve toccare nel più profondo dell’anima.

Che cosa essa sia è questione che da secoli interessa filosofi e pensatori. Proprio dinanzi ad un fenomeno come la coscienza, ci si potrebbe facilmente abbandonare ad un’illusione, come più volte si è detto in questa sede: l’illusione di credere che sia sempre esistito tutto ciò che oggi è presente nell’anima umana. Abbiamo visto, invece, che i più svariati processi e facoltà dell’anima, sviluppatisi nell’uomo nel corso di millenni, erano in tempi remoti del tutto diversi da quelli attuali.

 

Ciò che oggi possediamo di più prezioso e significativo nella vita dell’anima non esisteva ancora, in tutti i suoi aspetti, quando le nostre anime, migliaia di anni fa, dimoravano sulla Terra in altre incarnazioni. L’attraversare più incarnazioni ha certamente un senso. L’abbiamo spesso sottolineato.

L’anima, sviluppandosi da un’incarnazione all’altra, può appropriarsi di facoltà e forze sempre nuove, vivendo così realmente la sua storia. La sua esistenza terrena è un apprendistato. L’anima era qualcosa di diverso quando le nostre incarnazioni ebbero inizio, è un’altra cosa al presente e ne sarà ancora un’altra in un lontano futuro.

Neanche la coscienza umana, questo bene prezioso dell’anima che, come una voce divina, si pronuncia in ogni singolo individuo circa il bene ed il male, neanche questo dono prezioso dell’interiorità umana è sempre esistito: ha dovuto parimenti attraversare la sua evoluzione.

È un fatto relativamente recente che questa coscienza si sia annunciata, per poi svilupparsi sempre di più, e nonostante sia un bene prezioso, essa non è chiamata a vivere nell’anima umana, in tutte le incarnazioni che seguiranno, secondo le attuali modalità. Si svilupperà ulteriormente e assumerà altre forme, si rivelerà come qualcosa di cui l’uomo dovrà appropriarsi, qualcosa che gli porterà dei frutti.

 

Successivamente, quando avrà ottenuto questi frutti, l’uomo, volgendo lo sguardo indietro potrà dire di essa: ▸ « Vi fu un tempo in cui, lungo il passaggio attraverso le mie incarnazioni, divenne per me possibile accogliere nell’essenza dell’anima mia ciò che è la coscienza ed ora raccolgo i frutti di ciò che un tempo ho accolto ».

Come oggi volgiamo il nostro sguardo ad un tempo in cui le nostre anime dimoravano in altre incarnazioni e non avevano ancora ciò che oggi chiamiamo coscienza, così in tempi futuri le nostre anime guarderanno un giorno indietro alle nostre attuali incarnazioni e diranno: ▸ « Evviva quel passato! grazie per quei doni che divennero allora la nostra coscienza! se non avessimo potuto sviluppare allora l’umana coscienza nella nostra anima, non avremmo oggi ciò di cui abbiamo bisogno per la nostra attuale vita! ».

 

Già da questo si vede come la coscienza sia presentemente una ricchezza dell’anima, e se possiamo comprendere qualcosa della natura e dell’essere della coscienza umana, comprenderemo il nostro presente e la nostra attuale vita dell’anima.

In più di una circostanza abbiamo richiamato l’attenzione sul fatto che essa è sorta in un determinato momento. Anche giovedì prossimo accenneremo al fatto che si può, per così dire, indicare il momento preciso in cui l’anima umana ha scoperto in sé la coscienza. Se andiamo indietro di alcuni secoli, all’antica Grecia, troviamo, appena mezzo millennio prima dell’èra cristiana, il grande poeta Eschilo. Se osserviamo questo straordinario genio della più antica arte drammatica e se lasciamo agire su di noi i suoi personaggi, troveremo che nei suoi drammi ciò che oggi chiamiamo « coscienza » non è ancora designato con questa parola.

 

Mezzo millennio prima dell’èra cristiana, il più grande drammaturgo non aveva ancora un’espressione precisa per ciò che oggi noi chiamiamo coscienza umana. Per esprimere il processo dell’anima corrispondente a ciò che oggi chiamiamo coscienza, Eschilo deve fare in modo che chi, per esempio, abbia commesso un matricidio guardi nello spirituale sotto l’effetto della violenza dell’azione. Egli vede figure che l’antica Grecia ha chiamato Erinni, e più tardi Roma chiamò Furie. Ciò significa che per Eschilo, chi ha commesso un delitto come il matricidio, non percepisce nel proprio intimo ciò che oggi chiamiamo l’ammonitrice voce della coscienza, ma è spinto a vedersi spiritualmente attorniato da figure vendicatrici.

Questa è una delle prove particolari che potete trovare nello sviluppo storico dell’umanità riguardo a ciò che è stato ora ampiamente descritto.

 

In antico, le facoltà animiche dell’uomo erano del tutto diverse.

Abbiamo sempre sottolineato il fatto che l’anima umana ha sviluppato gradualmente la sua attuale facoltà di percepire, attraverso i sensi, il mondo fisico-sensibile, e di usare l’intelletto come oggi è usato. Abbiamo sottolineato il fatto che in tempi antichi l’anima era naturalmente dotata di una certa chiaroveggenza.

Al tempo di Eschilo, questa chiaroveggenza non compariva più, salvo casi particolari. L’anima diventava chiaroveggente, per esempio, di fronte a ciò che essa aveva provocato nel mondo fisico con il suo delitto. L’anima di Oreste diventa chiaroveggente dopo il matricidio. Essa vede, allora, quali spiriti ha destato nel mondo spirituale con questo suo atto. Gli spiriti le si stringono attorno.

 

All’interno dell’anima non esiste qualcosa come la coscienza.

Appare invece una coscienza chiaroveggente in grado di vedere il disordine suscitato dal delitto commesso nel mondo fisico. Troveremo sempre che, in antico, chi ha commesso un crimine non senta ancora la voce ammonitrice della coscienza. Infatti l’anima, nei tempi antichi, è immersa in uno stato di chiaroveggenza e di lì vede ciò che è accaduto nel mondo esterno grazie al suo crimine.

 

Che cosa accade, infatti, quando viene commesso un delitto?

A causa nostra, qualcosa si produce nel mondo spirituale. È soltanto un pregiudizio materialistico credere che un delitto possa passare senza che qualcosa sorga nel mondo spirituale. Il delitto genera processi ben precisi nel mondo spirituale: effetti che si irradiano da noi, invisibili per l’osservazione sensibile esteriore, ma presenti dinanzi alla visione spirituale.

Tali processi spirituali, che si irradiano da colui che ha commesso un delitto, significano nutrimento per certe entità effettivamente presenti nel mondo spirituale. Tali entità non sempre possono avvicinarsi all’uomo. Se questi non emana quelle irradiazioni che derivano da una cattiva azione, esse non possono avvicinarlo.

 

È la stessa cosa di una stanza del tutto pulita in cui non è possibile che ci siano delle mosche. E difatti non ve ne sono, ma se una stanza è piena di ogni sporcizia, come avanzi di cibi, ecc., ecco immediatamente le mosche.

Nel momento in cui l’uomo effonde per mezzo delle sue cattive azioni certe irradiazioni spirituali, ecco che compaiono intorno a lui entità che se ne nutrono. Il grande tragico Eschilo lascia che siano queste entità a circondare Oreste. Ciò che oggi percepiamo come voce interiore, il tragico greco Eschilo lo lascia comparire in figure esteriori. Egli sa, infatti, che in casi particolari si verificava ancora ciò che in tempi più remoti era stato patrimonio comune di tutte le anime, ossia una certa coscienza chiaroveggente.

 

In casi eccezionali si conserva, per i tempi successivi, qualcosa di tutto ciò che è precedente e che si manifesta come atavismo. Per questa ragione non è da biasimare se in Shakespeare, per esempio, sia presente ancora qualcosa di simile: una coscienza in certo qual modo oggettivata.

Procedendo di poco nel tempo, attraverso l’arte greca, troviamo che Euripide, tragico più tardo, mostra già di possedere il concetto di coscienza.

Vediamo così come nell’antica Grecia, mezzo millennio prima dell’era cristiana, il concetto di coscienza compaia a poco a poco. Provate a cercare nell’Antico Testamento una parola per ciò che oggi chiamiamo coscienza: non la troverete.

 

La coscienza è qualcosa che solo col tempo ha preso dimora come facoltà nell’anima umana.

 

Considerando i grandi periodi, e non i brevi lassi di tempo, possiamo constatare che la coscienza ha avuto accesso nell’anima umana pressappoco nello stesso periodo in cui vi ha preso posto l’impulso del Cristo. Si direbbe che la coscienza segua come un’ombra l’impulso del Cristo quando esso entra nello sviluppo storico mondiale.

Per comprendere ciò dobbiamo far rivivere in noi quanto abbiamo acquisito nel corso degli anni, dobbiamo renderlo fecondo per comprendere che cosa sia invero la coscienza umana.

 

Se vogliamo comprendere ad un livello più profondo ciò che è la coscienza umana, dobbiamo considerare proprio i momenti in cui lo sviluppo umano si avvicina all’impulso del Cristo, lo accoglie e poi procede fin dentro la nostra èra.

Sappiamo che ciò riguarda le tre epoche di civiltà dell’evoluzione umana, che chiamiamo civiltà egizio-caldaica, civiltà greco-latina e la nostra attuale. Le due civiltà anteriori, quella paleoindiana e quella paleopersiana possono essere lasciate da parte. Le nostre anime, allora, erano ancora molto lontane perfino dall’immaginare ciò che oggi definiamo coscienza.

 

Nella civiltà egizio-caldaica vediamo come a poco a poco si prepari tutto ciò che in seguito è asceso alla vetta più alta che poteva raggiungere, per pervenire, nella civiltà greco-latina, a quell’impulso significativo che è stato accolto come Impulso-Cristo.

Nella nostra epoca vediamo poi il tempo in cui questo impulso viene assimilato. Questo processo di assimilazione sarà, nel prossimo periodo, sempre più vasto e significativo.

Se ora ricordiamo con maggiore attenzione l’evoluzione compiutasi a partire dal periodo egizio-caldaico, attraverso tutta l’epoca greco-romana, fino al nostro periodo, allora si presenta dinanzi alla nostra anima il fatto che in ognuna di queste epoche viene sviluppato in particolar modo un arto dell’anima umana.

 

• Dei tre arti dell’anima umana, nel periodo egizio-caldaico è stato sviluppato quello che chiamiamo anima senziente. Ciò vuol dire che, per poter accogliere nel giusto modo quelle facoltà atte alla particolare formazione dell’anima senziente, abbiamo dovuto attraversare un’incarnazione egizio-caldaica.

• Ci siamo poi, come anime, portate dietro queste facoltà nelle successive incarnazioni del periodo greco-latino, per formare ora l’anima razionale o affettiva.

• Con i frutti ottenuti dall’epoca greco-latina, viviamo nelle nostre attuali incarnazioni per maturare, a poco a poco, ad un grado sempre più alto, ciò che chiamiamo le forze dell’anima cosciente.

Durante queste tre epoche, la nostra anima si forma così come uomo.

 

Trascorsa la nostra epoca, la nostra anima si eleverà alla facoltà del Sé spirituale.

Ciò avverrà nella sesta epoca di civiltà.

 

Vediamo qui quale senso profondo abbia il fatto che noi viviamo incarnazioni successive:

• fare nostre, a poco a poco, le facoltà che sappiamo essere quelle dell’anima umana

• e, in una dimensione più vasta, anche quelle che trascendono la semplice vita dell’anima.

 

Durante la civiltà egizio-caldaica, quindi, le nostre anime hanno acquisito le forze dell’anima senziente e le hanno portate a dischiudersi, mentre, nel periodo greco-latino, hanno sviluppato le forze dell’anima razionale o affettiva.

 

Era necessario che l’uomo pervenisse all’anima razionale,

perché l’impulso del Cristo potesse agire su di lui.

Questo processo formativo si è tuttavia svolto in modi del tutto diversi nei vari punti della Terra.

 

Se volessimo credere, per comodità, che nello sviluppo dell’umanità tutto si compia nella maniera più semplice possibile, non potremmo mai arrivare a comprendere questo sviluppo. Bisogna apprendere molte cose per tentare di ripercorrere, seppure in modo imperfetto, i grandi pensieri degli esseri che dirigono il mondo!

È, per l’uomo, atto della più grande superbia affermare il principio che la verità è semplice. In questa maniera, infatti, vuole modellarsi la verità a misura della sua pigrizia. E’ soltanto frutto della pigrizia affermare che la verità è semplice.

 

La verità, invece, è complessa, perché lo spirito degli esseri che dirigono i mondi può essere compreso da noi soltanto se facciamo i più elevati sforzi per immergerci nei loro pensieri, anche i più sottili. Inoltre, non dobbiamo credere di aver esaurito tutto dicendo che le nostre anime si sono sublimate mediante la civiltà egizio-caldaica, quella greco-latina e mediante la nostra attuale civiltà. Poniamoci per un attimo nel tempo in cui non esisteva ancora una natura greco-latina, ma soltanto la civiltà egizio-caldaica.

Anche a quel tempo gli uomini vivevano nelle regioni della Grecia e nelle terre dell’impero romano. Vivevano, prima dell’inizio della civiltà greco-romana, nelle terre in cui quella civiltà si sarebbe sviluppata. Anche dalle nostre parti, su questa stessa terra che oggi calchiamo, vivevano degli uomini al tempo in cui la civiltà egizio-caldaica aveva luogo in Asia e in Africa. Al tempo della civiltà egizio-caldaica, in Asia e in Africa, vivevano certe anime che sperimentavano nel senso più eminente ciò che doveva prepararle all’accoglimento dell’impulso del Cristo.

 

Contemporaneamente, nelle regioni della successiva civiltà greco-latina, vivevano altre anime che si preparavano ad aggiungere allo sviluppo generale dell’umanità qualcosa di affatto diverso. Allo stesso modo vivevano nelle nostre regioni uomini che si preparavano a qualcos’altro.

Non soltanto dunque le nostre anime accolgono facoltà diverse in periodi successivi, ma vivono anche in uno stesso periodo una accanto all’altra.

In questo modo le anime ricevono le influenze più diverse, e l’evoluzione acquisisce una complessità crescente. In tal modo si trasmette all’umanità più di quanto sarebbe possibile se tutto scorresse per una linea diritta.

 

In effetti, era necessario che, sia in terra greco-latina che nelle nostre regioni, si preparasse nei modi più diversi ciò che doveva intervenire nello sviluppo delle civiltà.

Il compito dei popoli asiatici e africani, era del tutto diverso da quello dei popoli dell’Europa meridionale, e ancora diverso era quello dei popoli dell’Europa centro-settentrionale.

Tutti avevano da aggiungere qualcosa di completamente diverso allo sviluppo complessivo dell’umanità. Erano in grado di farlo perché le loro predisposizioni, come tutta la loro formazione, erano essenzialmente differenti le une dalle altre.

Se volgiamo infatti il nostro sguardo ai popoli egizio-caldaici, alle anime che proprio nella civiltà egizio-caldaica raggiunsero il loro apice, dobbiamo dire che essi potettero sviluppare allora certe facoltà dell’anima senziente in particolar modo grazie a quei meravigliosi insegnamenti che a quel tempo promanavano dai santuari egizi, o grazie alla meravigliosa astrologia che poteva provenire dai santuari caldei. Ciò che promana dai vari centri di cultura è lì per far progredire le anime. In fondo, il vero significato di queste correnti culturali non è da rintracciarsi nei contenuti da esse diffusi, ma propriamente nel loro contributo allo sviluppo dell’anima umana. Il contenuto passa!

 

Bisogna essere profondamente ottusi per credere che fra alcuni secoli la nostra scienza odierna non sarà sprofondata nell’oblio, come lo sono oggi certe cose della civiltà egizio-caldaica. Chi crede che nella concezione copernicana del mondo siano contenute delle conquiste eterne, si sbaglia di grosso! Essa sarà un giorno superata allo stesso modo in cui le conquiste della civiltà egizia lo sono oggi. Quanto al loro contenuto queste cose sono passeggere, come anche altre nello sviluppo dell’umanità.

 

Poniamoci, per esempio, dinanzi a quel meraviglioso affresco che a voi tutti sarà noto almeno in riproduzione, l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Se vogliamo andarlo a vedere oggi a Milano, ne vedremo soltanto i contorni sbiaditi e sappiamo che tra non molto nulla sarà più visibile di ciò in cui Leonardo da Vinci ha investito le sue migliori forze. Altrettanto poco si potrà vedere un giorno delle meravigliose opere di Raffaello che oggi, quando le si lasci agire su di noi, toccano così profondamente l’anima. Tutte queste opere si ridurranno in polvere e sul piano fisico non ne resterà memoria. Il contenuto di queste opere, come anche il contenuto delle civiltà, è destinato a morire.

 

Ma se, per esempio, ci troviamo dinanzi ai quadri di Raffaello, dobbiamo ricordarci che essi sono sgorgati dalla sua anima e che la sua anima, dopo averli magicamente creati, è diventata un’altra rispetto a quello che era prima. E i milioni di persone che in questi quadri trovano edificazione, accolgono nell’anima il loro contenuto e con ciò diventano diversi da quel che erano. Quando un giorno la Terra sarà diventata polvere – e accadrà di certo – non sarà rimasto più nulla delle istituzioni esteriori della civiltà, ma ciò che le anime avranno accolto, sarà trasportato nell’eternità.

 

I doni del passato, ciò che è sgorgato dai santuari d’Egitto e della Caldea, quale sublime contenuto di saggezza per l’anima dell’uomo! Occorreva che le anime umane avanzassero in proporzione a quello che avevano ricevuto. Man mano che avanzavano, le anime diventavano più mature per accogliere nuovi doni, vale a dire quei doni che successivamente, nella civiltà greco-latina, hanno fatto nuovamente progredire le anime di un certo tratto. Se non avessero accolto ciò che potevano accogliere nell’età greco-latina, le nostre anime non sarebbero ora in grado di interiorizzarsi nell’anima cosciente. Così procede il tempo.

 

Se ricordiamo le varie cose dette anche in occasione delle conferenze pubbliche, sappiamo che nei tre arti dell’anima opera ciò che chiamiamo « Io ».

Dal caos delle esperienze dell’anima senziente, razionale e cosciente si sviluppa e si cristallizza a poco a poco l’Io, ma non nello stesso modo in tutti i diversi punti della Terra.

Per esempio, durante la civiltà egizio-caldaica, gli uomini che vivevano in Asia o in Africa, si svilupparono conservando ancora a lungo la loro anima sotto l’effetto delle rivelazioni dei santuari caldei ed egizi, mentre i popoli europei, distanti da quei luoghi, si sviluppavano già anticipando, per così dire, qualcosa.

 

Nelle regioni europee, gli uomini avevano, in un certo senso,

già sviluppato l’Io nell’anima senziente,

vale a dire un forte sentimento e una forte sensazione dell’Io.

Siamo giunti ad un punto infinitamente importante.

 

Al tempo in cui si era già sviluppato nell’anima senziente ciò che poteva svilupparsi grazie ai santuari egizi e caldei, quegli uomini che tardavano a evolvere il loro Io avevano la loro dimora in Africa e in Asia. Erano, allora, incarnate nelle zone della civiltà egizio-caldaica, anime che accoglievano elevati insegnamenti ed un’elevata cultura senza avere un preciso sentimento dell’essere dell’Io. Nell’antica Caldea, l’elevata cultura del tempo viene immersa in un’anima senziente non ancora cosciente dell’Io.

 

Qui nel Nord viene immersa nell’anima una cultura meno elevata. In questa non-civiltà, in quest’anima senziente non pervasa dalle incandescenti rivelazioni dei santuari, l’anima resta più o meno incolta, ma sviluppa in compenso una coscienza dell’Io.

Possiamo dire che presso i popoli egizio-caldaici la coscienza dell’Io viene ritardata: essa lascia che l’anima senziente accolga una determinata cultura, in attesa che si sviluppino gli ulteriori arti dell’anima.

 

In Europa l’Io non attende, ma si sviluppa già nell’anima senziente,

rinviando però l’accoglimento di taluni valori culturali al momento dello sviluppo degli ulteriori arti dell’anima.

 

In Asia e in Africa troviamo così incarnate anime che quasi non sono coscienti del loro Io, ma che hanno nell’anima senziente qualcosa come l’ispirazione di elevate rivelazioni.

In Europa abbiamo anime che non posseggono una cultura particolarmente elevata, ma che accentuano il loro Io individuale, che guardano dentro se stesse come uomini e come tali si sentono.

 

Tra i due estremi si trovano i popoli greco-latini, il cui compito specifico è lo sviluppo delle facoltà dell’anima razionale. Essi sviluppano l’Io nell’anima razionale e sono in grado, allo stesso tempo, di accogliere determinate forze culturali nell’anima razionale.

 

• Così, la civiltà egizio-caldaica tardava a sviluppare l’Io,

• mentre la civiltà europea lo aveva sviluppato prematuramente.

• Nella civiltà greco-latina questi due aspetti, in un certo senso, si bilanciano,

perché l’Io si sviluppa contemporaneamente ad una certa cultura.

 

Con ciò accenniamo ad un grande mistero della nostra evoluzione umana, senza la cui conoscenza non comprenderemo mai come l’impulso del Cristo abbia trovato proprio in Europa libero accesso ed accoglimento.

Perché è avvenuto questo? Non sarebbe potuto il Cristo apparire nella carne in Europa, ossia incarnarsi in Europa? No, non avrebbe potuto farlo. Egli apparve durante l’età greco-latina, in cui si sviluppò l’anima razionale. Era, questa, l’anima più adatta, per così dire, ad accogliere il Cristo.

 

Mai il Cristo sarebbe tuttavia potuto apparire in Europa,

poiché lì era rimasto il forte sentimento dell’Io.

 

Questo forte senso dell’individualità impediva che un uomo, su tutti,

potesse accogliere, lui solo, ciò che vi era di più alto.

• Un prematuro sentimento dell’Io si era sviluppato nei paesi europei,

un sentimento troppo grande dell’uguaglianza degli uomini.

 

• Sarebbe stato impossibile per una personalità emergere sulle altre,

come emerse sui suoi contemporanei, in Palestina, quella personalità che doveva divenire il ricettacolo del Cristo.

Il sentimento dell’Io non doveva, inizialmente, apparire così intensamente come in Europa,

perché il Cristo potesse trovare un corpo in cui incarnarsi.

 

Egli doveva quindi apparire proprio al confine tra la civiltà egizio-caldaica e quella greco-latina, dove era possibile

plasmare un corpo che non portasse ancora in sé un sentimento prematuro dell’Io,

ma che già avesse quella profondissima comprensione del mondo spirituale sorta nella civiltà egizio-caldaica.

 

L’Europa, quindi, non era in condizione di fornire un corpo al Cristo.

Avendo sviluppato l’Io prematuramente, all’alba di una nuova esistenza,

l’Europa aveva un’altra facoltà:

una volta venuto il Cristo a portare all’uomo la piena coscienza dell’Io,

l’Europa era in grado di conquistare, prima di ogni altra cosa, la piena comprensione di questa coscienza.

 

I popoli europei, infatti, avevano accolto molto presto il sentimento dell’Io ed erano cresciuti insieme ad esso.

Ciò va considerato, se vogliamo comprendere interamente il sorgere della nuova civiltà.

 

In Asia e in Africa troviamo uomini che sanno molto sui misteri del mondo e sono molto abili nella produzione di certi simboli. In breve, essi hanno coltivato la loro anima senziente in modo da avere una ricca vita animica. Il loro sentimento dell’Io è però debole.

In Europa troviamo uomini che possiedono una minore cultura riguardo a ciò che si può acquisire dall’esterno tramite rivelazioni, in compenso, troviamo qui il tipo d’uomo che cerca dentro di sé, che in se stesso trova un solido sostegno.

 

Era in Asia, quindi, il terreno propizio per l’apparizione del Cristo,

per la formazione di un corpo in cui il Cristo potesse prendere dimora.

In Europa, invece, troviamo gli uomini meglio preparati a comprendere il Portatore della coscienza dell’lo.

Ai popoli europei, Egli portò ciò a cui essi anelavano.

Per questo motivo si sviluppa proprio in Europa quella meravigliosa mistica

che voleva accogliere il Cristo nella propria anima e nel proprio Io: la mistica cristiana.

 

È così che la saggia direzione del mondo provvede a che, nei diversi punti della Terra, ogni elemento dello sviluppo umano possa avere ciò che gli spetta.

Una delle grandi conquiste della scienza dello Spirito è stata il sentimento di come tutto, nello sviluppo dell’umanità e del mondo intero, si sia svolto saggiamente, di come le anime, in terra europea, siano state preparate, durante i millenni, in modo da avere il più presto possibile un punto fermo nella propria interiorità, e di come queste anime siano state addirittura frenate, per raggiungere tale punto, rispetto a quelle forze che in Asia erano state perfezionate a così alto livello.

 

Il flusso della cultura, quindi, ha la sua sorgente in Asia,

mentre è in Europa che si dischiude il forte sentimento della personalità, dell’Io.

 

Sì, possiamo, per così dire, toccare con mano come l’Adriatico sia quasi un confine stabilito:

• da una parte la Grecia, dove il sentimento dell’Io è ancora debole, dove l’uomo non si sente ancora singola personalità individuale, ma membro della propria polis ateniese, spartana o tebana;

• dall’altra parte le regioni della civiltà romana, dove troviamo invece il forte sentimento dell’Io radicato nella coscienza del cittadino romano, il quale, come personalità, è saldamente piantato coi piedi per terra.

 

Vediamo che in Grecia l’Io si trova ancora un po’ in secondo piano, infatti attinge ancora molto dal mondo esterno, secondo modalità che non rendono necessaria la sua presenza.

Attraversando l’Adriatico, giungiamo a Roma e troviamo, con i piedi saldamente piantati per terra, il cittadino romano già dotato del sentimento dell’Io.

 

Tutto ciò è collegato a ragioni profonde e significative.

Niente avviene nel mondo sensibile

senza che degli avvenimenti corrispondenti abbiano luogo nel mondo sovrasensibile.

 

Vediamo come la civiltà greca sia ancora fortemente improntata da un Io tenuto a freno. Molte cose vengono ancora accolte in modo impersonale. Il greco non si sente singolo cittadino, ma membro dell’organismo ateniese, spartano o tebano. Ciò deve venir meno.

 

Deve scomparire il desiderio umano di ricevere qualcosa dall’esterno.

L’uomo deve fare il suo ingresso nell’interno dell’anima,

se vuole diventare sempre più uomo occidentale.

Ciò che dovrà formare le grandi masse,

deve essere precedentemente vissuto dalle grandi personalità-guida dell’umanità.

 

Lasciamo che si presenti dinanzi alla nostra anima qualcosa a cui abbiamo più volte accennato: vedremo allora che per la scienza greca era ancora particolarmente prezioso quanto ad essa veniva dall’esterno, senza che la personalità interiore si sviluppasse molto.

Ancora una volta ricordo la massima di un greco eminente che ci permette di guardare in profondità nell’anelito del popolo greco: « Meglio mendicante sulla terra che re nel regno delle ombre! ».

Non si comprende ancora il grande valore dell’invisibile e della vita sovrasensibile. Si attinge dall’ambiente circostante, ciò che può essere attinto senza l’Io.

 

Commuove profondamente vedere come proprio a questo punto, alla svolta dei tempi, si erga, quale pietra miliare, una grande personalità-guida. Essa si libera delle attitudini del passato per accogliere quelle del futuro. Le sue parole continuano in un certo qual modo a risuonare per il mondo spirituale: ▸ « Ecco venire il tempo in cui non verrà più semplicemente accolto ciò che si riversa nella personalità umana senza l’Io, ma in cui dovrà essere accolto ciò che attraverso l’Io penetra in essa! ».

Questa azione è stata realizzata da Empedocle, uno dei grandi saggi di quell’antichità greca in parte svoltasi in Sicilia. In alcune leggende, oggi distrattamente narrate, è contenuto qualcosa di straordinariamente profondo.

Empedocle, il grande saggio, non era soltanto un grande filosofo, ma anche un Iniziato nei profondi Misteri di quell’epoca, uomo di Stato tra i più grandi di tutti i tempi e sacerdote addetto ai sacrifici in Agrigento.

• Narra la leggenda, e conferma la verità occulta, che, esaurito il suo compito in Sicilia, egli immerse il proprio corpo nell’Etna per unire i propri involucri esteriori alla terra di Sicilia, quasi a voler provare la saldezza della nuova fede nell’Io, oltre lo svanire dell’aspetto esteriore.

Empedocle compì il sacrificio dell’involucro esteriore allorché offrì le sue spoglie all’Etna. Dietro a ciò si cela una profonda verità occulta.

 

Chi va in Sicilia, ancora oggi sperimenta questo evento spirituale: respirando spiritualmente l’aria di Sicilia, egli troverà in essa ancora oggi i postumi dell’atto di Empedocle. L’anima di Empedocle si è ulteriormente incarnata. Il suo corpo, essendo stato coscientemente offerto agli elementi, ha acquisito un significato particolare, tanto che lo si ritrova oggi nell’atmosfera spirituale della Sicilia: il corpo di Empedocle costituisce parte integrante dell’atmosfera spirituale della Sicilia.

È stato per me un momento importante – possiamo ben dirlo tra di noi – quando alcune settimane fa, nelle immediate vicinanze del luogo dell’evento di cui stiamo parlando, ho potuto dire ai nostri amici palermitani: ▸ « Chi coscientemente e spiritualmente metta piede in questo luogo, spiritualmente respira ancora oggi ciò che è penetrato nell’aria di Sicilia attraverso il sacrificio supremo di Empedocle! ».

 

Vediamo come al confine tra Oriente e Occidente – che noi abbiamo indicato esteriormente e spazialmente nell’Adriatico – alluda parimenti una grande guida dell’umanità che, per poter continuare ad operare in Occidente, coscientemente si è liberata di ciò che in Oriente è fonte di crescita. Egli ha voluto preservare per la futura evoluzione la presenza di ciò che supera tutti gli elementi del piano fisico esteriore.

È impressionante addentrarsi in queste differenze. Esse mostrano, infatti, come in regioni lontane siano state preparate cose differenti, affinché nella molteplicità potessero essere raggiunte le cose più alte.

 

L’obiettivo della evoluzione di tutta l’umanità

deve essere raggiunto attraverso la cooperazione del molteplice.

 

Perciò il Cristo, dopo la sua apparizione in Oriente, va verso l’Occidente ed è accolto da coloro che, dotati di una forte coscienza dell’Io, sono preparati a poter comprendere il Portatore di questa forte coscienza dell’Io.

• È questo il mistero dell’ingresso del Cristo in Occidente: aver trovato delle anime preparate ad accoglierlo.

Vediamo l’umanità in Oriente preparare tutto ciò che rende possibile la nascita di una corporeità,

composta di corpo fisico, eterico e astrale,

in cui il Cristo potesse prendere dimora e portare sulla Terra l’impulso dell’amore

attraverso la coscienza dell’Io e con la coscienza dell’Io.

 

L’amore, nella sua forma più interiore e spirituale, viene donato alla Terra con il Cristo.

Consideriamo come l’amore sia dapprima sorto, per così dire, nella sua forma interiore-spirituale in Oriente,

e poi come si sia diffuso verso Occidente e lì sia stato compreso.

 

Continuiamo per tal via ad osservare l’ulteriore evoluzione. Per mezzo di che cosa poteva operare, proprio in Occidente, la coscienza dell’Io, in modo da sentirsi imparentata con il Cristo? Che cosa era accaduto alle anime che avevano prematuramente accolto la coscienza dell’Io?

 

I popoli egizio-caldaici aspettarono, per quanto concerne lo sviluppo dell’Io, fino all’anima cosciente.

I popoli greco-latini svilupparono l’Io già nell’anima razionale o affettiva,

mentre la civiltà nordeuropea aveva sviluppato ancor prima, nell’anima senziente, il sentimento dell’Io,

così che questo sentimento entrò precocemente nell’anima umana.

 

L’anima senziente ha qui operato insieme alla coscienza dell’Io in maniera del tutto diversa che in qualsiasi altra parte del mondo.

È nell’Europa del Nord che, per la prima volta nello sviluppo dell’umanità, si compenetrano l’anima senziente e la coscienza dell’Io.

 

Come mai, presso i popoli europei, la coscienza dell’Io si era già fissata nell’anima senziente, ancor prima che il Cristo penetrasse nell’evoluzione umana e prima che essi accogliessero ciò che si era sviluppato in Asia?

Con l’anima senziente, si sviluppò anche una forza dell’anima umana che potè manifestarsi soltanto per il fatto che l’anima senziente, ancora del tutto vergine e non influenzata da altre culture, fu pervasa dal sentimento dell’Io.

 

• Questa forza dell’anima è diventata la coscienza: la compenetrazione del sentimento dell’Io con l’anima senziente.

Ecco il perché della strana innocenza della coscienza!

 

Come parla la coscienza?

Essa parla nell’uomo più semplice e ingenuo come nell’anima più complessa. Essa dice in maniera diretta, senza teorie o dottrine: « questo è giusto! quello non lo è! ».

Non troverete in nessun’altea parte del mondo ciò che si è sviluppato in Occidente nel modo oggi descritto. Per questo motivo ciò getta i suoi primi raggi, come l’aurora, verso la Grecia e da lì verso Roma, dove si afferma con una certa forza.

 

Soprattutto negli scrittori romani troviamo per la prima volta la parola coscienza, conscientia, mentre presso i greci troviamo questa parola soltanto sporadicamente, appena si accenna in Euripide. Presso i romani, invece, essa è già fortemente evidenziata, è già parola d’uso comune.

• È l’influsso della corrente di cultura sorta dalla compenetrazione di anima senziente e sentimento dell’Io, che solleva l’uomo verso le cose più alte, parla come una voce divina già nell’anima senziente, dove di solito parlano soltanto impulsi, brame e passioni, ed esorta a fare quel che è giusto e a spingersi in alto verso un Io superiore.

 

Vediamo così che

• nell’evoluzione dell’umanità la coscienza sorge per la prima volta presso i popoli europei.

• Da lì si irradia, comunicandosi agli altri uomini della Terra.

 

La saggia direzione del mondo ha così disposto per preparare l’umanità ad accogliere, in un determinato momento, la coscienza come contributo all’intera evoluzione umana. Con ciò abbiamo già dato, in fondo, tutte le spiegazioni riguardanti la coscienza.

Abbiamo presentato l’indefinibile emergere della coscienza dalle profondità dell’anima. La coscienza parla come un istinto, pur non essendolo.

I filosofi che la descrivono come un istinto non colgono nel segno. Essa parla con la stessa grandiosità con cui parla l’anima cosciente al suo apparire, ma al tempo stesso, si esprime attraverso le forze più elementari ed originarie.

 

Così, sulla, Terra vediamo

come là, in Oriente, affiori l’amore e qui, in Occidente, la coscienza.

Sono due cose che appartengono l’una all’altra:

come in Oriente appare il Cristo,

così in Occidente si desta la coscienza per poter accogliere il Cristo come coscienza.

In questo simultaneo sorgere dell’evento del Cristo e della sua comprensione e nella preparazione di questi due fatti in due punti diversi della Terra – vediamo nell’evoluzione umana l’opera di una infinita saggezza.

Con ciò abbiamo accennato al passato della coscienza.

Ricordiamoci ora di ciò che è stato sottolineato più volte.

 

Con la conclusione del Kali Yuga, ci troviamo ora in una fase di transizione in cui si devono sviluppare nuove forze. Troveremo allora comprensibile che anche oggi andiamo incontro a fatti importanti per lo sviluppo della nostra coscienza.

Abbiamo sottolineato l’ultima volta, con precisione ed energia, che andiamo incontro ad un nuovo evento del Cristo. L’anima diventerà capace di percepire il Cristo con una certa chiaroveggenza eterica e sarà in grado di rivivere in sé l’evento di Damasco.

 

Dobbiamo perciò sollevare la questione: « Che cosa sarà dell’evento parallelo, ossia dello sviluppo della coscienza, nei tempi che ci apprestiamo a vivere? ».

Affronteremo la questione domenica prossima, 8 maggio, celebrando così il nostro anniversario*. Indicheremo ciò che di vivo rappresenta il movimento della scienza dello Spirito e illustreremo come le forze dell’anima umana si trovino in una fase di transizione. Vedremo come la coscienza possa essere illuminata dai punti di vista più diversi.

 

Per quanto riguarda il punto di vista meramente exoterico, ciò sarà fatto nella conferenza pubblica di giovedì prossimo. In quella sede si potranno dare alcune cose come presupposte, poiché queste conferenze pubbliche vanno già avanti da diversi anni.

 

Si può parlare della coscienza in modo profondo, come abbiamo fatto oggi; se ne può parlare in modo exoterico, come faremo giovedì prossimo e se ne potrà parlare un giorno, quando saremo in grado di farlo, in un modo ancora più profondo.

 

 


 

* Conferenza tenuta a Berlino il 5 maggio 1910. Opera Omnia, n. 59. In italiano in

Metamorfosi della vita dell’anima, Roma 1984, pp. 119-39.