La percezione immaginativa

O.O. 234 – Antroposofia – Alcuni aspetti della vita soprasensibile – 09.02.1924


 

Sommario: La percezione immaginativa. L’organismo tripartito umano visto immaginativamente e legato con vite passate e future. I ricordi. Lo sguardo retrospettivo dopo la morte. Le azioni morali viste immaginativamente. L’esperienza del divenir debitori verso l’universo e la formazione del karma. Nel sogno sperimentiamo la parte spirituale della vita diurna.

 

Ieri ho cercato di indicare come ci si possa accostare alla scienza iniziatica mediante un’intima osservazione della vita di sogno dell’uomo. Sarà mio compito oggi approfondire quello che ieri ho cercato di esporvi dal punto di vista della coscienza ordinaria, di approfondirlo considerando lo stesso oggetto dal punto di vista della conoscenza immaginativa, cioè come appaiano le cose che abbiamo osservate ieri a chi sia giunto a contemplare il mondo in immaginazioni.

 

Prescindiamo dapprima dal divario tra i due tipi di sogno di cui si è parlato ieri, prendiamo i sogni come tali. Giungeremo ad una considerazione valida, se descriveremo il comportamento della vita immaginativa e del vedere immaginativo nei confronti di un sogno sognato da un individuo dotato di capacità immaginativa. Lo confronteremo con quella visione di se stesso cui questi giunge quando guarda alla propria essenza umana, quando guarda immaginativamente agli organi umani, siano i propri o quelli di altri uomini, oppure alla loro organizzazione, vale a dire a tutto l’uomo come organismo.

Ed ecco che entrambi, tanto il mondo di sogno quanto l’organismo umano fisico ed eterico, si presentano davanti alla coscienza immaginativa del tutto differentemente che davanti alla coscienza ordinaria.

 

L’uomo dotato di capacità immaginativa può anche sognare, ed egli sogna, a seconda delle circostanze, altrettanto caoticamente degli altri uomini. Egli può benissimo giudicare il mondo di sogno fondandosi sulle proprie esperienze, perché, accanto alla vita immaginativa, che è interiormente ordinata e interiormente luminosa, scorre per lui tuttavia, come nella coscienza ordinaria, il mondo di sogno, proprio come esso è anche di fronte alla vita esteriore di veglia.

 

Ho spesso ripetuto che chi perviene ad una reale veggenza spirituale non diventerà per questo fatto tanto sognatore o visionario da vivere di continuo nei mondi superiori senza vedere la realtà esteriore. Chi sia tale da stare continuamente soltanto in mondi superiori, o da sognare di mondi superiori, senza vedere la realtà esteriore, non è un veggente o un iniziato, ma è da prendersi per un caso patologico, seppure di patologia dell’anima.

 

Una vera conoscenza di iniziato non allontana dalla normale vita fisica e dalle sue singole relazioni, ma, al contrario, rende osservatori più attenti, più coscienziosi, di quanto non si sia senza la capacità di veggenza. Anzi, si può dire che se qualcuno non ha alcuna sensibilità per la realtà di tutti i giorni, alcun interesse per i particolari della vita degli altri uomini, se è così “distinto” (ma lo dico tra virgolette) da librarsi al di sopra della vita e non si cura dei suoi particolari, questo può già essere un sintomo che non vi sia in lui alcuna veggenza vera.

 

Cosicché colui che ha immaginazioni (io parlo ora solo di questo caso, ma può essere naturalmente capace pure di ispirazioni o intuizioni), conosce benissimo per propria esperienza la vita onirica, ma quanto alla comprensione del sogno vi è tuttavia una differenza: colui che ha immaginazioni sente il sogno come qualcosa con cui egli si unisce, con cui egli si congiunge in misura assai più forte di quanto possa avvenire mediante la coscienza ordinaria.

 

Egli può prendere il sogno più sul serio: l’immaginazione autorizza a prendere sul serio il sogno, appunto perché rende capaci di vedere dietro al sogno e di coglierne di preferenza l’andamento drammatico, le sue tensioni e le sue soluzioni, le sue catastrofi, le sue crisi, assai più che i singoli contenuti. Di fronte alle immaginazioni, i singoli contenuti del sogno cominciano ad interessare di meno. Assai più interessa il sogno se conduce a una crisi, a una gioia, se porta a una condizione di sollievo oppure di aggravio, e così via.

 

Questo andamento, ripeto, la drammaticità del sogno, comincia ad interessare in modo particolare, e interessa proprio ciò che spesso non interessa la conoscenza ordinaria. Si apre la vista sui retroscena del sogno, e quando questo avviene si diventa attenti al fatto che, nel sogno, si trova qualcosa che si comporta in maniera del tutto speciale per l’essere spirituale dell’uomo.

 

Si viene a dire che, riguardo allo spirituale, il sogno è realmente l’essere dell’uomo

così come il seme di una pianta è la pianta stessa.

• Si impara a scorgere soprattutto, in questo contenuto drammatico del sogno, l’uomo spirituale in germe

e si impara a capire che questo uomo in germe è qualcosa di estraneo alla vita presente,

così come il seme della pianta che nell’autunno di un certo anno viene sottratto alla pianta

è estraneo per quell’anno all’accrescimento della pianta stessa,

e diventa invece partecipe della crescita vegetale del prossimo anno.

 

Proprio questa osservazione del sogno dà le più forti impressioni per la coscienza immaginativa, perché sempre più si constata di avere, nel proprio essere sognante, qualcosa che si trasmette alla prossima vita terrena, qualcosa che germoglierà tra la morte ed una nuova nascita e continuerà a svilupparsi nella prossima vita terrena. Si impara a sentire, nel sogno, il germe della prossima vita terrena.

 

Ciò è straordinariamente importante, e maggiormente si precisa quando si confronta questa particolare esperienza, che è una forte esperienza di sentimento, con quella visione che si può avere dell’uomo fisico così come si presenta nei suoi singoli organi. Anch’egli si trasforma, per la coscienza immaginativa, in modo che se ne riceve un sentimento simile a quello che si ha di fronte ad una pianta conosciuta verde, fresca e fiorente, quando essa principia ad appassire.

 

In sede di coscienza immaginativa, quando si considerano i polmoni, il fegato, lo stomaco,

e specialmente il cervello dell’uomo, quali organi fisici,

si viene a constatare che in rapporto allo spirito essi sono qualcosa che appassisce.

 

Direte che non è piacevole trovarsi, mediante l’immaginazione, di fronte all’uomo come a chi sta appassendo, ma nessuno che conosca la scienza dell’iniziazione sosterrà che essa sia lì ad offrire agli uomini delle piacevolezze. Essa deve dare la verità e non offrire piacevolezze agli uomini.

 

D’altra parte bisogna notare che,

mentre si viene a conoscere l’uomo fisico come un ente in stato di appassimento,

si vede in lui l’uomo spirituale.

Non arriverete a veder risplendere l’uomo spirituale,

se non imparerete a riconoscere nell’uomo fisico

un essere che in un certo modo si corrompe ed appassisce.

 

Con ciò l’apparenza dell’uomo non diverrà più brutta, ma al contrario più bella e anche più vera. Inoltre, quando si possa così osservare questo appassire spirituale degli organi umani, questi organi fisici e il loro contenuto eterico appaiono proprio come giunti dal passato della precedente vita terrena per appassire nell’attuale vita terrena. Così si giunge veramente alla rappresentazione che nello svilupparsi dell’appassimento dell’uomo, nell’appassire del suo essere della precedente incarnazione, si forma il germe per la vita terrena futura. Più di tutto appassisce il capo umano; all’osservazione immaginativa, il sogno appare proprio come un effluvio del capo umano.

 

Viceversa, l’organismo del ricambio e delle membra appare allo sguardo immaginativo come quello che appassisce meno di tutti ed è quasi simile al sogno comune; perciò il meno appassito è più legato, per la sua forma e il suo contenuto, con il futuro dell’uomo; mentre l’organismo ritmico, quello che è celato nella cavità toracica, è la congiunzione degli altri due sistemi e ne tiene l’equilibrio.

 

Proprio per l’osservatore spirituale il cuore umano diviene un organo straordinario, poiché ad una osservazione spirituale il cuore fisico appare tendente all’appassimento, ma, mentre appare spiritualmente-immaginativamente, rimane (non del tutto, ma quasi) invariato nella forma che ha come cuore fisico, solo imbellito, nobilitato.

Vi sarebbe quindi una certa base di verità se si dipingesse un ritratto dell’uomo (visto con lo sguardo spirituale) in cui, ad un viso dotato di una certa saggezza, magari un po’ anziano, si unissero dei piedini e delle manine infantili e delle ali per indicare ciò che è lontano dalla Terra, ma in cui fosse pure raffigurato un cuore in una forma che rammentasse l’organo fisico.

 

Se si ha la visione immaginativa dell’uomo e si cerca di dipingerlo, si otterrà qualcosa di simbolico, ma non nel senso deteriore che ha in genere il simbolico nella civiltà odierna, dove esso è fittizio, bensì qualcosa che conterrà elementi della realtà fisica i quali nello stesso tempo si elevano al di sopra della realtà fisica stessa. Quando si vuol parlare del mondo spirituale (si dovrebbe cominciare a parlarne un po’ per paradossi, appunto perché il mondo spirituale è così differente dal mondo fisico che appare proprio paradossale), ebbene si potrebbe dire, se si cominciasse a guardare l’uomo con una conoscenza immaginativa, che di fronte al capo si ha il seguente sentimento: “con quanto acume devi pensare, per sostenere il confronto col capo dell’uomo!”

 

Quando si riflette con coscienza immaginativa al capo dell’uomo, ci si ritrova del tutto scemi, perché anche con i più sottili tra i pensieri cui siamo avvezzi nella vita non ci si avvicina facilmente a questa miracolosa figura del capo umano in quanto formazione fisica.

Se poi lo si trasforma nell’aspetto spirituale, esso è ancora più mirabile nel suo appassire, quando mostra così nettamente la sua forma; poiché, veramente, le circonvoluzioni del cervello diventano qualcosa che in sé contiene, appassiti, profondi segreti della formazione del mondo. Quando si comincia a comprendere la testa umana, si penetra così profondamente nei segreti della formazione del mondo, che pare di ricevere continuamente delle “botte in testa” quando si vuol comprendere il capo umano.

Invece, quando si vuol comprendere con coscienza immaginativa il sistema delle membra e del ricambio dell’uomo, si viene a dire: qui non ti serve il tuo acume intellettuale, qui devi proprio dormire e sognare dell’uomo, perché in rapporto a questa organizzazione l’uomo viene compreso meglio se si sogna di lui, sognando da desti.

 

Vedete, dunque, che

• bisogna inserirsi in un modo di vedere assai differenziato,

quando si comincia a considerare immaginativamente l’uomo dal lato della sua organizzazione fisica.

• Si deve diventare terribilmente intelligenti quando si osserva la sua testa,

• si deve diventare sognatori quando si osserva il suo sistema del ricambio e delle membra.

 

Per il sistema ritmico si deve proprio oscillare pendolarmente tra sogno e veglia,

per afferrare con lo sguardo immaginativo la mirabile figura del sistema ritmico dell’uomo.

Ma tutto ciò si presenta appunto come residuo della precedente vita terrena.

 

Dunque, ciò che l’uomo sperimenta in sé nella veglia è un residuo della precedente vita terrena;

e questo gioca solo nella presente vita terrena, e gli dà quel tanto

che ieri gli ho attribuito per esempio nell’azione, quando ho detto:

solo quanto l’uomo sogna delle proprie azioni egli lo compie veramente da sé, il resto lo fanno gli dèi per lui.

Fino a qui gioca il presente; il resto viene tutto da precedenti vite terrene.

 

Questo si vede nell’uomo, quando lo si ha davanti a sé

nella sua organizzazione fisica in corso di appassimento.

• Se poi si osserva ciò che egli sa di se stesso quando sogna, quando sogna dormendo,

allora si ha un quadro di ciò che egli prepara pei la prossima vita terrena,

e si possono distinguere le cose molto bene l’una dall’altra.

 

Così, l’immaginazione conduce direttamene osservazione dell’uomo desto e dell’uomo desto e dell’uomo dormiente alla visione di quell’evoluzione che va di vita terrena. (?)

 

Una posizione del tutto speciale prende invece, sia nell’uomo desto che in quello dormiente,

l’elemento animico che denominiamo ricordo e che viene conservato nella memoria.

 

Pensate un po’ ai vostri soliti ricordi. Già lo sapete, quello che voi ricordate, lo tirate fuori da voi stessi come pensieri, come rappresentazioni. Formate delle rappresentazioni di esperienze trascorse e, come sapete, le esperienze perdono la vitalità in queste rimembranze, perdono la loro incisività, i loro colori, e così via. Le esperienze si sbiadiscono nel ricordo, ma d’altra parte questo ricordo ci deve apparire strettamente legato con l’essere umano, anzi ancor più deve apparire come l’essere stesso dell’uomo. L’uomo non è in genere abbastanza onesto per riconoscere, a questo proposito, ciò che è necessario.

Ma io vi chiedo: se guardate in voi stessi allo scopo di cogliere chi voi siate secondo ciò che chiamate il vostro io, trovate forse che ci sia qualcos’altro che dei ricordi? Se volete indagare sul passato del vostro io, sentirete appena appena qualcos’altro oltre ai ricordi della vita. Troverete tutt’al più questi ricordi pervasi da una certa attività che è tuttavia come un’ombra vaga e indistinta. Per la vita terrena ciò che appare vivo come io, sono proprio i ricordi.

 

Che cosa diventa per la coscienza immaginativa il mondo dei ricordi,

sul quale è necessario che voi riflettiate al fine di averlo davanti a voi

in tutto il suo aspetto di pura parvenza animica?

Subito, nell’immaginazione, esso si distende in un ampio e poderoso quadro,

nel quale si scorge in immagini tutto quanto si è vissuto nella presente vita terrena.

 

Si potrebbe dire che, se qui è l’uomo e qui il ricordo di lui, mediante l’immaginazione tale ricordo si dilata d’un tratto fino alla nascita. Ci si sente come fuori dallo spazio, tutto è un accadere. Si guarda come in un quadro nel quale si riconosce tutta la vita terrena fino ad ora trascorsa. Il tempo diventa spazio. Lo si vede come in un viale alberato. Si vede tutto il tempo trascorso finora in un quadro, in un panorama, e si può affermare che il ricordo si estende e si dilata.

Esso sta in un solo momento, quando lo abbiamo nella coscienza abituale. Per la coscienza abituale è così che se, per esempio, si hanno quarant’anni e ci si ricorda di qualcosa che si è vissuto prima dei vent’anni, ma non si è in condizione immaginativa, allora ci si rappresenta che questo ricordo sia situato molto lontano nello spazio, e che lì rimanga.

 

Se ora si passa all’immaginazione, si viene a constatare che esso è rimasto e si è altrettanto poco dileguato quanto l’albero più lontano di un viale. È qui. Così si guarda in questo quadro, e si riconosce che quel ricordo che si porta nella coscienza ordinaria è una ben triste illusione. È proprio così che, quando si volesse attribuire realtà a quanto si porta nella coscienza abituale come ricordo, sarebbe come se si facesse una sezione trasversale nel tronco di un albero e si ritenesse che quello che si vede in una sezione sia la realtà del tronco arboreo: la sola sezione è un nulla, è solo un’immagine apparente, il tronco dell’albero è sopra e sotto la sezione.

E così risulta quando si considerano immaginativamente i ricordi: allora si osserva la totale nullità dei singoli contenuti mnemonici, allora il tutto si estende appunto fino alle vicinanze della nascita, e in certe circostanze perfino a prima della nascita. Qui il passato si fa presente. Esso è qui; si mostra invero lontano, in prospettiva, ma è qui.

 

Una volta che si sia compreso questo e si abbia un tale modo di vedere, allora subentra quella conoscenza capace di un’osservazione progredita, la quale svela come l’uomo, quando con la morte abbandona il suo corpo fisico, abbia per un breve tempo dopo la morte, per alcuni giorni, come propria vita naturale tale panorama retrospettivo.

Non appena l’uomo oltrepassa la porta della morte, egli ha subito per alcuni giorni, come propria esperienza, questo guardare nel panorama della propria vita: egli contempla la propria vita in quadri poderosi, lucenti e splendenti, di effetto intenso.

Ora si tratta di proseguire nella conoscenza immaginativa.

 

Quando si prosegue nella conoscenza immaginativa, avviene che la vita in certo qual modo si arricchisce; allora, naturalmente, si comprende in modo corrispondente ciò che altrimenti si comprendeva in modo diverso.

Per esempio, si comprende il contegno che si ha verso gli altri uomini, la condotta di fronte agli altri uomini. Si comprendono le intenzioni che si avevano in tale condotta, le azioni che si sono eseguite, il nostro modo di essere rispetto agli altri uomini.

Nella vita comune si può essere portati a riflettere più o meno sui singoli fatti, a seconda che si sia più o meno spensierati; ma ora è tutto qui presente. Si ha la rappresentazione del carattere del proprio comportamento. Eppure, ciò che qui si comprende è ancora solo una parte.

 

Supponiamo di esplicare verso un altro uomo un’azione buona oppure cattiva: dall’azione buona vedremo seguire la soddisfazione dell’altro uomo, il quale si mostrerà appagato e forse, da un certo punto di vista, stimolato. Vedremo, insomma, quali conseguenze di un tale modo di agire possono avvenire nel mondo fisico. Se si è compiuta invece una cattiva azione, si potrà vedere come si sia recato danno all’altro uomo, come questi sia rimasto insoddisfatto, come glie ne sia forse derivato un dolore fisico, e così via.

Tutto ciò, se non lo si sfugge, se non risulti spiacevole osservare le conseguenze del nostro agire presso gli altri uomini, tutto ciò lo si può anche osservare entro la vita fisica. Ma questo non è che un lato della cosa.

Ogni azione che noi commettiamo verso altri uomini, o anche verso gli altri regni naturali, ha un altro lato.

 

Supponiamo che voi esplichiate una buona azione verso un uomo: questa buona azione ha, nei mondi spirituali, un’esistenza, un significato determinato, è come se nei mondi spirituali emettesse calore, così da divenire sorgente spirituale di raggi di calore.

Da una buona azione compiuta verso un altro fluisce calore animico nel mondo spirituale, e freddo animico fluisce da una cattiva azione verso un altro uomo.

Cosicché, realmente, è come se si introducesse calore o gelo animico nel mondo spirituale, a seconda di come ci si comporti con gli altri uomini.

Altre azioni dell’uomo sono tali da operare in determinate direzioni delle irradiazioni luminose nel mondo spirituale, mentre altre azioni ancora agiscono oscurando il mondo dello spirito; in breve, si può dire che di quel che si compie nella vita terrena si sperimenta solo la metà.

 

Se si passa ora alla coscienza immaginativa, di fronte a tale coscienza

scompare proprio ciò che l’altra coscienza in ogni modo già sa.

Se un uomo sia beneficato o danneggiato, è affare della coscienza ordinaria indagarlo, ma ciò che un’azione, sia essa buona o cattiva, saggia o stolta, produce nel mondo spirituale quale calore animico, gelo animico, luminosità animica, oscuramento animico e così via (ve ne è una infinita varietà), tutto ciò che sorge di fronte alla coscienza immaginativa, comincia ad esistere.

E si arriva a dire a se stessi: • “Per il fatto di non averlo saputo, mentre nelle tue azioni facevi agire la tua coscienza ordinaria, non per questo tutto ciò non c’era. Non credere che non esista tutto quello che non sapevi delle tue azioni, e cioè che esse sono sorgenti di radiazioni animiche luminose e caloriche, non credere che non esista perché non l’hai visto e non l’hai sperimentato. Che non ti venga neppure in mente. Tu l’hai vissuto, ma nel tuo subconscio. Tu hai attraversato tutto ciò. Come ora i tuoi occhi, gli occhi animici della coscienza superiore, vedono che hai beneficato qualcuno mediante una buona azione compiuta, o che hai danneggiato qualcun altro mediante un’azione cattiva, così il tuo subcosciente ha sperimentato parallelamente ciò che quell’azione ha significato per il mondo spirituale”.

 

E nell’istante in cui l’uomo è tanto avanzato nella coscienza immaginativa che questa coscienza immaginativa si è sufficientemente intensificata, allora egli non solo scorge il panorama delle proprie esperienze, ma è costretto a constatare di non essere un uomo completo se non vive ciò che ha lasciato di non coscientemente vissuto, ossia questo altro lato delle proprie azioni, questo altro lato della propria vita terrena.

Di fronte a questo panorama della vita che va fino alla nascita e a prima della nascita, si comincia ad apparire a se stessi come degli storpi, come se si avesse subito una minorazione.

Si continua a dirsi: • “Questo avresti ben potuto sperimentarlo; sei proprio come se ti mancasse un occhio o una gamba, non sei un uomo intero. La metà delle tue esperienze in realtà non le hai avute”.

 

Nel corso della coscienza immaginativa deve farsi strada questo sentimento di mutilazione nei confronti delle esperienze, e soprattutto si deve sentire come la vita ordinaria ci nasconda qualcosa.

Nella nostra epoca materialista questo sentimento è particolarmente violento, perché questa epoca materialista non crede affatto che le azioni umane possano avere un valore e un significato maggiore di quelli che hanno per quella vita immediata che si svolge esteriormente nel mondo fisico. Si considera più o meno una follia il fatto che nel mondo spirituale si svolge qualcosa di particolare; ma ciononostante questo avviene. E nella coscienza immaginativa sorge questo sentimento di mutilazione, tanto che si giunge a dire: “Devi proprio offrirti la possibilità di sperimentare tutto ciò che non hai sperimentato”. Ma ciò non avviene quasi per nulla; avviene soltanto in qualche particolarità, in piccolissima misura.

 

Chi guarda con profonda penetrazione nella vita sente gravare su di sé, in tutta la sua serietà, il fatto che durante la vita terrena egli non può portare a compimento molto di essa, e che deve quindi emettere una specie di cambiale verso il futuro, in modo tale da dire: “La vita pone all’esperienza dei compiti che in questa vita non si possono quasi assolvere”. Si deve rimanerne debitori verso l’universo, e dire: “Io potrò sperimentare queste cose dopo essere passato attraverso la morte”.

Questo, che ci dà la scienza iniziatica, è un forte arricchimento della vita, anche se ben tragico; è un sentimento di inevitabile debito verso la vita, unito al senso di necessità di sottoscrivere una obbligazione a favore degli dèi, dichiarando: “questo lo potrò sperimentare quando sarò morto: solo allora potrò iniziare a sperimentare quanto io sia divenuto debitore verso l’universo”.

 

Questa consapevolezza che la vita interiore debba svolgersi in una specie di cambiale sull’avvenire oltre la morte, questa consapevolezza interiore approfondisce straordinariamente la vita umana. La scienza dello spirito non è qui solo per farci imparare teoricamente questo o quel fatto; chi studia la scienza dello spirito così come si studiano altre cose, farebbe opera più utile a studiare un libro di cucina, dal quale verrebbe per lo meno costretto a considerare le cose non del tutto teoricamente. Perché ci pensa la vita, e soprattutto la vita dello stomaco e quanto vi si connette, a farci considerare un libro di cucina più seriamente di una mera teoria.

 

È ben necessario che la scienza dello spirito, quando si accosta agli uomini,

approfondisca la vita secondo il sentimento, secondo il cuore.

• Avviene uno straordinario approfondimento della vita

quando ci si fa attenti a questo divenir debitori verso gli dèi, quando ci si dice:

“la metà della vita in Terra non la si può sperimentare,

perché essa si cela al di sotto della superficie dell’esistenza”.

 

Quando si impari mediante l’iniziazione quello che si nasconde alla coscienza ordinaria, si può penetrare un poco nel campo del proprio debito, sino a constatare che con la coscienza ordinaria si giunge tutt’al più a vedere che si è debitori, ma non si può leggere la cambiale che si è pur dovuto sottoscrivere.

Con la coscienza iniziatica si può invero leggere la cambiale, ma non si può pagarla nella vita corrente, si deve attendere finché venga la morte.

 

Quando si sia conseguito questo grado di coscienza, quando si sia approfondita la coscienza morale umana in modo che questa consapevolezza dello stato di debito sia vivente in noi, allora si è maturi per proseguire la vita umana verso quel panorama retrospettivo di cui ho parlato, col quale si retrocede fino alla nascita.

Allora si vede come dopo pochi giorni abbia inizio il processo per cui si deve vivere coscientemente ciò che si è lasciato trascorrere senza sperimentarlo.

 

Per ogni singola azione che si è compiuta verso gli uomini o verso il mondo, si deve ora vivere quello che si è lasciato di non sperimentato.

Prime ad incontrarsi sono le ultime azioni compiute prima della nostra morte, poi si procede indietro nella vita.

Dapprima si vien fatti attenti sul significato cosmico delle azioni cattive o buone che si sono compiute da ultimo: si prescinde dall’esperienza terrena sperimentata, per viverne il significato cosmico.

Si continua ad andare a ritroso, rivivendo in direzione invertito la propria vita.

 

Durante questo tempo di risperimentazione della propria vita nel suo significato universale, si sa di essere per questo lasso di tempo uniti alla Terra, poiché esso è solo l’altro lato delle azioni terrene vissute qui.

Vedete, allora l’uomo sente come se la sua vita futura fosse ora portata nel grembo del cosmo. È una specie di vita embrionale per l’ulteriore vita tra morte e nuova nascita, quella che l’uomo vive, con la differenza che egli non è portato in embrione da una madre, ma dal cosmo, precisamente da quella parte del cosmo costituita da ciò che egli non ha sperimentato qui nell’esistenza fisica. Egli torna a vivere a ritroso la propria esistenza fisica, ma in funzione cosmica.

Qui la sperimenta con una coscienza molto suddivisa. Quando viviamo qui nel mondo fisico e scorgiamo gli esseri che ci circondano, ci sentiamo, in quanto uomini, come dei re in confronto agli altri esseri. Anche se chiamiamo il leone re degli animali, come uomini ci sentiamo pure a lui superiori. L’uomo sente come sottostanti gli esseri degli altri regni, egli può giudicarli e non ascrive ad essi la capacità di giudicare lui. Egli sta sopra gli esseri degli altri regni naturali.

 

Ebbene, altri sentimenti ha l’uomo quando, dopo la morte, percorre le esperienze ora descritte.

Qui non si trova di fronte ai regni della natura in posizione di rilievo rispetto ad essi,

ma si trova al cospetto dei regni del mondo spirituale, di fronte ai quali egli è in posizione subordinata.

Egli sente ora se stesso sul gradino più basso e gli altri al di sopra di lui.

 

Mentre egli percorre l’elemento finora non sperimentato, sente dappertutto delle presenze a lui superiori, verso le quali egli è in posizione soggetta. Queste entità portano le loro simpatie e antipatie verso quel che egli sperimenta in conseguenza della propria vita terrena. Ci si trova, in questo periodo di esperienze immediate dopo la morte, come dentro ad una pioggia, una pioggia spirituale. Si sperimentano di nuovo le proprie azioni, vale a dire il loro aspetto spirituale, ma mentre si rivivono queste azioni, gocciano le simpatie e le antipatie delle entità superiori che stanno sopra di noi. Si è inondati e inzuppati di simpatie e di antipatie.

Sicché uno è preso, in sede spirituale, dal sentimento che quella parte, su cui si riversano le simpatie delle elevate entità delle gerarchie superiori, è accolta nel cosmo e forma ivi un buon acquisto; mentre è respinto dal cosmo ciò su cui si riversano le antipatie delle entità superiori. Si ha il sentimento che questo formerebbe un cattivo acquisto per il cosmo, se non lo si trattenesse per sé.

 

Una azione cattiva compiuta verso un uomo viene inondata di antipatia dalle entità superiori, e si sente che questo collegamento con le antipatie delle entità superiori significherebbe qualcosa di straordinariamente malefico per il cosmo, se si lasciasse libera e non si trattenesse in se stessi questa azione che per il cosmo è una cattiva azione. Per questa ragione raccogliamo tutto ciò che è colpito dall’antipatia delle entità superiori.

Così si pongono le basi per il karma, per quello che proseguirà ad agire nella prossima vita terrena, affinché possa trovare il suo pareggio mediante altre azioni.

 

Si può descrivere, vorrei dire, più dal di fuori il passaggio dell’uomo nelle regioni animiche dopo la morte, come l’ho descritto nel mio libro Teosofìa, ovvero più secondo il corso delle idee cui si è stati abituati nella nostra epoca. Ora invece che cerco di descrivere ancora una volta entro la Società Antroposofica Universale, a guisa di ricapitolazione, quella che è ormai la sistematica dell’antroposofìa, vorrei disegnare le cose più interiormente, cosicché voi possiate provare come l’uomo, nello stato in cui si trova dopo la morte, sperimenti ciò con la propria umanità, con la propria individualità umana.

 

Avendo così penetrato tutto questo, si può di nuovo gettare uno sguardo sul mondo dei sogni, che appare allora in una nuova luce. Quando si scorge come l’uomo riviva, dopo la morte, il lato spirituale delle proprie azioni terrene e anche i suoi pensieri terreni, si può tornare a guardare l’uomo sognante, a considerare tutto quello che egli ha sperimentato durante il sonno, e allora ci si accorge che, durante il sonno, l’uomo ha già sperimentato tutto ciò, ma in modo assolutamente inconscio. Qui si comprende il divario tra l’esperienza di sonno e l’esperienza che si ha dopo la morte.

 

Osservate la vita terrena dell’uomo: vi è lo stato di veglia, sempre interrotto dal sonno. Se un uomo non è un dormiglione, egli passa dormendo circa un terzo della sua vita. Durante questo terzo della sua vita egli sperimenta positivamente, ma senza saperne nulla, questa parte spirituale delle proprie azioni. Il sogno provoca soltanto una lieve increspatura d’onda, per cui nel sogno si può osservare qualcosa di quest’altra parte, ma appunto come una schiuma superficiale, mentre

• il sonno profondo fa sperimentare nell’inconscio tutta la parte spirituale della vita diurna.

 

Si può dunque dire che

• nella vita cosciente diurna sperimentiamo quel che pensiamo e sentiamo secondo i nostri stessi stimoli,

• mentre nel sonno sperimentiamo inconsciamente quello che gli dèi pensano

delle nostre azioni e dei nostri pensieri di quando siamo desti, ma non ne sappiamo proprio nulla.

 

Per questo colui che, come ho descritto, penetra nei misteri dell’essere, si percepisce mutilato e gravato di una colpa. Tutto ciò è rimasto nel subconscio e dopo la morte lo ripercorriamo in tutta coscienza, per cui riviviamo quella parte della vita in cui abbiamo dormito, cioè circa un terzo del tempo della vita terrena.

• Chi è passato per la porta della morte rivive coscientemente a ritroso

quello che, notte dopo notte, ha già vissuto inconsciamente.

 

Si può dire inoltre, sebbene sembri di scherzare su queste cose estremamente serie, che quanto maggiore è la parte della propria vita in cui si è dormito, tanto più lungo sarà lo sperimentare a ritroso dopo la morte; se l’uomo è stato di sonno corto durerà meno, ma in media durerà un terzo della vita vissuta, perché in media si dorme per un terzo della vita. Se uno vive in Terra 60 anni, questo suo periodo di dopo-morte durerà vent’anni. Durante questo periodo si attraversa per il mondo spirituale una specie di stato embrionale.

 

Soltanto allorché lo si è compiuto, si è veramente distaccati dalla Terra. Allora la Terra non ci avvolge più.

Solo allora si è veramente nati al mondo spirituale che si percorre tra morte e nuova nascita.

• Allorché, dopo la morte, si sguscia fuori dagli involucri dell’esistenza terrena

che fino a quel momento, se pur spiritualmente, si erano portati ancora su di sé,

si sperimenta ciò come la nascita al mondo spirituale.