La posizione dell’euritmia nella scala delle arti

O.O. 277 – La posizione dell’euritmia nella scala delle arti – 21.07.1923


 

Non è un fatto arbitrario che l’euritmia abbia avuto origine dall’antroposofia; anzi, col suo caratteristico sviluppo, essa è dovuta sorgere nel corso dei tempi proprio in seno all’antroposofia, così come questa è stata concepita per l’epoca presente e per il prossimo futuro.

 

L’euritmia è un’arte ben determinata: nasce quando la natura umana si manifesta artisticamente, sia mediante i movimenti delle membra di una persona singola, sia mediante i movimenti di più persone nello spazio.

Questo modo di estrinsecarsi dell’essere umano, io l’ho chiamato un «linguaggio visibile». E tale esso è, in quanto si manifesta con regole precise per mezzo dei movimenti umani, così come per mezzo del linguaggio o del canto si manifestano, con regole precise, le opere d’arte poetiche o musicali.

 

Le basi dell’arte devono sempre ricercarsi nel mondo spirituale. L’architettura, per esempio, è sorta da una ben determinata visuale soprasensibile; ne è una riprova il fatto che, nei tempi antichi, i monumenti si erigevano sopra i sepolcri. Ora, se contempliamo quei monumenti funebri, essi suscitano in noi il seguente ordine di pensieri: «L’essere totale dell’uomo non è conchiuso nella sua esistenza terrena. Varcando le soglie della morte, egli abbandona il suo corpo e continua ad esistere oltre la vita terrena».

Ne scaturisce la domanda: «Quando l’uomo abbandona il suo corpo, come viene egli accolto in grembo all’universo?»

 

A chi sia in grado di contemplare immaginativamente questo mistero umano, si presenteranno nell’immaginazione, come risposta ad una tale domanda, le forme degli antichi monumenti sepolcrali.

Infatti questi sembrano voler proteggere le linee, lungo le quali l’anima, abbandonando il corpo, vorrebbe librarsi a volo negli spazi cosmici. Il monumento funebre risponde dunque al quesito: «Quali sono le vie che Fanima percorre quando esce dal corpo?»

Ma qui il pensiero architettonico ci si presenta soltanto nella sua forma estrema; in fondo possiamo anche estenderne la portata a determinate costruzioni utilitarie. Potremmo anche porre il quesito in questa forma più prosaica: «Come può l’uomo costruire artisticamente, per il suo corpo, un riparo che gli permetta di esplicare un’attività conforme agli impulsi dell’anima?»

 

Ho così voluto mostrarvi, anche se con brevi accenni, come da fondamenta soprasensibili, cioè dalla chiaroveggenza, sia nata l’architettura.

Se ora consideriamo la scultura, troveremo che alla sua origine sta la risposta alla seguente domanda: «Come hanno creato gli Dei la forma umana e come viene questa trasformata dall’uomo durante la sua vita terrena? Quali doni hanno largito gli Dei all’uomo nella sua figura e come ha trasformato egli, coi moti della sua anima, il dono divino?».

 

Lo scultore trascura del tutto, perché non artistici, gli elementi introdotti dall’anima nella divina forma umana: invece gli elementi divini nella forma umana sono appunto quelli che originariamente la scultura vuol realizzare.

L’architettura monumentale nacque nell’epoca in cui era vivo negli uomini l’interesse per il destino dell’anima dopo la morte.

Anche le chiese cattoliche possono essere intese come monumenti sepolcrali: in esse, l’altare è il sepolcro e la chiesa stessa è il monumento erettovi sopra. E come l’architettura è stata generata da una visione soprasensibile, così la scultura è nata in un’epoca in cui era vivo l’interesse per il corpo umano e per la sua origine divina.

 

Quanto abbiamo accennato per l’architettura e per la scultura, potrebbe essere ripetuto per ogni altra forma d’arte. Le origini delle singole arti vanno infatti ricercate, nelle epoche corrispondenti, entro il mondo soprasensibile al quale gli uomini si sollevano. E tutti gli elementi che nelle singole arti inclinano al naturalismo, che non sono ereditati dal mondo soprasensibile, conducono alla decadenza ed al tramonto dell’arte stessa.

 

È dunque chiaro che un’opera d’arte può essere originata soltanto dal mondo soprasensibile. Nell’epoca attuale si parla sotto molti rapporti del subcosciente o dell’incosciente che s’intesse fluttuando nell’uomo secondo le leggi animico-spirituali. Ma la maggior parte dei nostri contemporanei lascia che l’inconscio rimanga inconscio. Invece la conoscenza spirituale antroposofica si propone di portar luce nella sfera dell’incosciente, confrontandola colla sfera del sopracosciente, e di cogliere il rapporto che corre fra gli elementi animico-spirituali immediatamente attivi nell’uomo e la sfera spirituale superiore.

 

In questo senso il linguaggio è oggi solo una parziale manifestazione dell’essere umano; esso è principalmente espressione del pensiero. E proprio perché nella nostra cultura il linguaggio è espressione del pensiero, si è giunti oggi al punto di perdere la poesia perché la si vuol rendere strumento del pensiero. E ciò si mostra particolarmente nel fatto che oggi non si è più capaci di declamare e di recitare artisticamente, sebbene si sia già reagito e con successo in questo campo. (Per anni ed anni infatti la signora Maria Steiner von Sivers ha cercato di ricondurre alla vera forma la declamazione e la recitazione). Queste, se intese artisticamente, mettono in luce la vera essenza della poesia. Alla quale può giungere soltanto chi, con piena comprensione interiore, sappia dire insieme al poeta: «Quando l’anima parla, ahimè, essa non parla già più!».

 

Da lungo tempo ormai le nostre parole hanno perduto il nesso con l’essenza dell’universo; per questa ragione, quando la nostra anima vuol esprimersi attraverso le parole, noi facciamo della prosa e non più della poesia. Ma potremo ritrovare la poesia se creeremo versi e strofe in cui i suoni e le parole somiglieranno, nell’impeto, alle onde fluttuanti oppure porteranno in sé quasi una rigidezza di forme angolose; ritroveremo la poesia se saremo capaci, come il vero poeta, di far scaturire musica dal linguaggio, elaborandone il ritmo e la melodia. Se saremo capaci di questo, giungeremo ad afferrare quell’elemento che risiede al di là delle parole e che le configura artisticamente; mentre per lo più, oggi, nel recitare e nel declamare, si accentua soltanto il senso prosastico (sebbene, come ho detto, a questo si sia già cercato di reagire). Chi recita o chi declama è in grado soltanto di pronunziare parole; tutta la sua arte dipende da come egli le pronunzia. Se egli è veramente un artista, nell’ascoltatore dotato di un orecchio sensibile la sua recitazione suscita un’immagine che, configurata o in suoni parlati o in suoni musicali, si eleva al di sopra del pensiero.

 

Il pensiero riproduce il sensibile, mentre l’immagine suscitata in noi ci eleva alla sfera del soprasensibile. Quando, pensando, manifestiamo il pensiero, questo ci richiama al respiro, nel quale esso stesso vive, ed alla pulsazione del sangue, che è collegata col respiro. I sentimenti, la vita dell’anima si esprimono anche nella minima fluttuazione del polso. Chi si intende di questa categoria di fenomeni sa bene che la pulsazione del sangue si differenzia a seconda dei suoni che noi pronunziamo. Per esempio, quando nella parola «tintinnare» noi pronunziamo le prime due sillabe «tin,tin» che contengono una «i», la pulsazione sanguigna è diversa da quando pronunziamo le ultime due sillabe che contengono un’«a» e una e». Ogni volta che, coll’aiuto del respiro, trasfondiamo il pensiero nella parola, destiamo quel moto interiore dell’uomo che è la pulsazione del sangue.

 

Questo accade fintanto che restiamo entro la sfera del pensiero. Ma se ci eleviamo dal pensiero all’immagine — e questo può accadere nella parola — allora il nostro compito non sarà più soltanto quello di imprimere movimenti al sangue che pulsa.

 

Oggi quando si pronunzia, per esempio, una «i», lo si fa con estrema flemma. La si pronunzia semplicemente come quella data lettera dell’alfabeto che è contenuta in tante e tante parole. Ma questo non avveniva originariamente, quando il suono «i» nacque in seno all’umanità; e non avviene neppur oggi, quando il suono «i» prorompe realmente dall’essere umano.

 

Il suono «i» si genera per mezzo del respiro, il quale a sua volta è collegato colla pulsazione del sangue. Chi sia capace di sentire profondamente questo, comprenderà anche che quando la «i» viene pronunziata è l’uomo stesso che effonde la sua sostanza inserendola nello spazio. Quando invece l’uomo pronunzia una «e», egli ha il senso che un evento spirituale si generi in lui. E quando pronunzia una «o», egli ha il senso che lo spirito si manifesti dinanzi a lui.

Se saremo in grado di sentire profondamente l’essenza del linguaggio, ogni singolo suono ci si configurerà in un’immagine ben determinata.

 

Quando nel parlare si passa da un suono all’altro, questo processo è compenetrato di un profondo sentimento. Purtroppo, nel corso dei tempi, è andata perduta per noi la facoltà di afferrare questo sentimento; per esempio, non siamo più capaci di giubilare interiormente, come dovremmo, quando pronunziamo determinate parole. Nel linguaggio tutto è diventato fermo, indifferente. L’uomo si è come inacidito nella sua anima. Oserei dire, con un paragone un po’ ardito, che il linguaggio odierno dà il gusto del sale e dell’aceto e che noi ne siamo sgradevolmente colpiti, specialmente nei suoni schiacciati (combinazione di una dentale con una sibilante). Invece il linguaggio dell’umanità originaria era simile al liquido miele, infinitamente dolce; in esso l’essere umano si esprimeva davvero per mezzo del suono parlato.

 

Oggi i poeti cercano spasmodicamente di esprimere i loro sentimenti, perché il vero sentimento del linguaggio è andato perduto. Ma noi possiamo risvegliarlo ed elevare così il linguaggio ad un livello superiore; allora, quando l’uomo parlerà, sopra le sue parole si vedrà aprirsi un cielo; ed in esso si potranno contemplare, in potenti figure i processi viventi dell’anima umana. E contemplando questo cielo, di cui il linguaggio attuale non è che un pallido riflesso, noi riceveremo la rivelazione di un linguaggio soprasensibile le cui immaginazioni potranno essere tradotte nel sensibile da quel microcosmo che è l’uomo; il quale, in quanto essere spaziale, potrà esprimere tutti i misteri per mezzo della sua figura.

 

Tali immaginazioni corrispondono non solo alle singole forme del linguaggio ma anche alle singole forme del canto. Quando esse vengono portate fin dentro i movimenti umani, ne nasce l’euritmia. Si potrebbe dire che essa è una manifestazione immaginativa del linguaggio.

 

Oggi il nostro parlare è diventato intellettualistico; ma dobbiamo ricondurlo al suo elemento immaginativo, perché, in tutti i campi, dobbiamo ritornare allo spirito; oggi si esige da noi che il nostro linguaggio divenga espressione immediata d’immaginazioni; e questo lo possiamo ottenere mediante il movimento dell’uomo nello spazio, mediante il movimento dell’uomo in se stesso, che è il più significativo mezzo d’espressione.

 

A base del linguaggio sta un elemento profondo che noi non siamo in grado di esprimere soltanto nel parlare, per mezzo della circolazione del sangue collegata col respiro; se vogliamo esprimere questo elemento più profondo, dobbiamo ricercarlo entro la sfera dell’immaginazione che corrisponde al linguaggio, e che si trova oltre la sfera del pensiero, oltre la sfera del linguaggio astratto; per questo non ci basterà più soltanto la circolazione del sangue che si effettua quando siamo fermi e parliamo, ma ci occorrerà di trasformare il movimento invisibile del sangue, nel movimento visibile dell’uomo intero. Allora, i movimenti impressi all’aria quando noi parliamo (poiché inconsciamente imprimiamo nell’aria i gesti della nostra immaginazione) si trasformeranno in gesti visibili.

 

L’euritmia procede da un approfondimento della nostra cultura, tanto necessario nell’epoca attuale. E come l’architettura, la scultura, la pittura, la musica, sono dovute nascere ognuna in una determinata epoca di cultura, così un giorno si potrà riconoscere come in questa nostra epoca sia dovuta nascere proprio l’euritmia, l’arte del movimento umano.