La quadruplice entità umana – I

O.O. 206 – Il divenire dell’uomo, l’anima e lo spirito del mondo – 12.08.192


 

Vogliamo prima di tutto incominciare da ciò che chiamiamo il nostro Io,

dal momento che questo Io lo sperimentiamo coscientemente.

 

• Certamente sapete che questo Io – come coscienza –

nel corso della vita è interrotto da tutte quelle condizioni che intercorrono fra l’addormentarsi e il risveglio.

• Ad eccezione del sognare e, propriamente parlando, fino ad un certo grado anche nel sogno,

questa coscienza dell’Io – nel periodo che intercorre fra l’addormentarsi e il risvegliarsi – non c’è.

 

• Possiamo dire: questa coscienza dell’Io si accende sempre al momento del risveglio

– naturalmente qui l’espressione accendersi è usata solo in senso immaginativo –

e si smorza al momento dell’addormentarsi.

• Se ci conquistiamo la capacità di osservare queste cose,

allora noteremo che questa coscienza dell’Io nel senso più stretto

è legata all’intera gamma delle percezioni sensorie, ma essenzialmente solo a queste.

 

Basta che facciate una volta soltanto una specie di esperimento animico, che consiste in questo, nel cercare, nello stato di veglia, di estinguere ogni contenuto sensibile, in una certa misura di rinunciare a ogni contenuto sensibile. Ritorneremo ancora una volta su questa cosa, da un altro punto di vista.

Ma già noterete, se cercherete di prescindere da ogni contenuto sensibile, che nella stragrande maggioranza degli uomini è presente una certa tendenza a cadere in una specie di stato di sonno; il che significa: smorzare l’Io.

 

• Si può già notare che la coscienza dell’Io, quale vige nello stato di veglia diurno,

è essenzialmente legata alla presenza di contenuto sensibile.

• Perciò possiamo dire: per la coscienza quotidiana, in sostanza,

noi non sperimentiamo l’Io in altro modo se non attraverso il contenuto dei sensi.

 

All’inizio è del tutto giustificato se si parte dal punto di vista di questa coscienza quotidiana, il non separare l’Io da questo contenuto dei sensi, ma il dirsi: fintanto che c’è il rosso, questo o quell’altro suono, questa o quell’altra sensazione di calore, questa o quella sensazione tattile, questa o quella sensazione gustativa, questa o quella sensazione olfattiva, anche l’Io c’è, e se queste sensazioni non ci sono, anche l’Io, così come viene sperimentato nello stato di veglia abituale, è assente.

 

L’ho fatto ripetutamente presente come risultato di un’osservazione animica. In maniera particolarmente chiara l’ho fatto presente una volta in una conferenza, che ho tenuto al Congresso dei Filosofi di Bologna del 1911, allorché cercai di mostrare come, propriamente parlando, ciò che viene sperimentato quale Io non dovrebbe essere separato da tutto l’insieme dello sperimentare dei sensi.

• Dobbiamo perciò dire: per prima cosa l’Io è legato essenzialmente alla percezione dei sensi

(parlo sempre dello sperimentare).

 

Non è vero che ora non contempliamo l’Io quale realtà; al contrario, vogliamo, nel corso di queste tre conferenze, oggi, domani e dopodomani, richiamare l’attenzione sull’Io quale realtà. Soltanto vogliamo ora occuparci prima di tutto soltanto di ciò che in rapporto alla nostra vita chiamiamo esperienza dell’Io.

Sapete quanto diventi difficile vivere in rappresentazioni astratte, in rappresentazioni che non siano imbevute del contenuto delle esperienze sensibili. Ciò arriva al punto che si trovano molti filosofi i quali affermano in generale che un tale pensare libero dai sensi, un rappresentare tale che non vi sia contemporaneamente presente una qualche percezione sensoria, si tratti anche di percezioni sensorie riflesse dall’interno verso l’esterno, non è per niente possibile.

 

Ora però, ad una reale osservazione animica diviene subito chiaro che, a dire il vero,

lo sperimentare interiore non si esaurisce nelle percezioni sensorie,

anzi noi avanziamo semplicemente dalle percezioni sensorie a ciò che chiamiamo rappresentazioni.

 

Del resto, un’immagine pura del rappresentare ce l’abbiamo soltanto se vediamo chiaramente che ne diviene di un complesso di percezioni sensorie dalle quali ci siamo distolti, e che dopo continuiamo a rappresentarci – bisogna ammetterlo – con l’aiuto delle stesse forze che altrimenti ci servono nel ricordo.

 

Naturalmente non si può affermare che il contenuto delle percezioni sensorie non entri in queste rappresentazioni.

• Ma una cosa è l’attività che riscontriamo nella vita animica dell’uomo,

quando sperimentiamo una percezione sensoria legata al mondo esterno,

• e un’altra è quella che abbiamo quando questa percezione sensoria ce la rappresentiamo soltanto.

 

• Questa vita di rappresentazione ci allontana in sommo grado

da ciò che è l’essenziale del nostro sperimentare l’Io nelle percezioni sensorie.

• Non possiamo dire di avere una forte coscienza dell’Io nello stesso senso,

quando svolgiamo soltanto attività di rappresentazione;

al contrario, nel mero rappresentare entra continuamente in gioco il fatto

che questa coscienza dell’Io vuole oscurarsi

– il che si manifesta proprio nel passaggio, nel puro rappresentare,

ad uno stato di sogno o perfino ad una specie di stato di sonnolenza.

 

Quando rappresentiamo soltanto, ci immergiamo più profondamente nella nostra interiorità

che non quando viviamo collegati col mondo esterno nella rappresentazione sensoria.

Bisogna perciò indirizzare ogni singola persona all’auto-osservazione: ci si accorgerà che,

quando viene smorzata la percezione sensoria, esiste la tendenza a smorzare l’Io.

 

Infatti,

• quando leghiamo la rappresentazione allo sperimentare con i sensi,

• procediamo dal nostro Io al nostro corpo astrale.

Perciò possiamo dire:

• come la vita nella percezione dei sensi appartiene allo sperimentare dell’Io,

• così la vita della rappresentazione appartiene al corpo astrale.

 

Innanzitutto questo spegnersi dell’Io si esprime

(e questa è veramente la cosa più importante alla quale bisogna allacciarsi,

se si vuole capire ciò che ora intendo dire esattamente) completamente nel fatto che noi,

• finché restiamo nella percezione dei sensi,

• abbiamo qualcosa di completamente individuale.

 

Il complesso delle rappresentazioni sensorie, che ci stanno immediatamente davanti,

non può averlo davanti a sé una seconda persona precisamente nello stesso modo…

e in questa cosa del tutto individuale contemporaneamente abbiamo la nostra esperienza dell’Io.

 

In quanto saliamo alla vita di rappresentazione abbiamo allo stesso tempo

la possibilità di arrivare a qualcosa di più generale, per esempio di formare astrazioni,

che possano essere comunicate ad altri nella stessa forma,

in quanto gli altri hanno una capacità di comprendere identica alla nostra.

 

Per quanto abbiamo di individuale nelle percezioni sensorie,

nel corso di tutta la nostra vita, possiamo avere comprensione soltanto di noi stessi;

mentre ciò che leghiamo alle rappresentazioni  lo riceviamo in forma siffatta da avere valore più generale,

da poter essere comunicata in una certa misura ad un maggior numero di uomini.

 

Ma ciò è una testimonianza del fatto che,

• quando dalla vita dei sensi ci innalziamo alla vita di rappresentazione, l’Io si smorza.

Però, allo stesso tempo, scendiamo più profondamente dentro di noi:

anche questo è, invero, uno sperimentare immediato.

 

Mentre però le rappresentazioni – o per meglio dire, ciò che si svolge in noi affinché esse sussistano

e che noi vogliamo oggi, per il momento, lasciare imprecisato –

continuano a svilupparsi, dalle rappresentazioni nascono i ricordi.

A tutta prima le rappresentazioni scompaiono veramente dalla nostra coscienza.

• Da una qualche profondità emergono delle realtà – oggi vogliamo che restino imprecisate –

• grazie alle quali abbiamo la possibilità di evocare le stesse rappresentazioni.

 

Questa è la sola ed unica cosa che possiamo affermare. Quando ci si attiene allo stato dei fatti non si può, non è vero, fare il paio con quegli psicologi che dicono pressappoco così: le rappresentazioni scendono quindi nella subcoscienza, lì se ne vanno a spasso senza che la coscienza ne sappia niente, e quando compare un ricordo, allora risalgono un’altra volta in superficie. Questa non è la realtà dei fatti.

 

Nulla parla a favore del fatto che una rappresentazione, che mi sono formata tre anni fa, ha continuato ad esistere fino alla data odierna e se n’è andata a spasso da qualche parte nel sottosuolo dell’anima, e poi oggi, se mi viene in mente un ricordo, ritorna di nuovo su.

 

Al contrario, l’unica cosa che si può dire, se si vuole essere precisi, è questa:

un tempo mi sono formato le rappresentazioni;

le capacità che si sono aggregate a questo formare rappresentazioni

sono divenute nel loro ulteriore decorso atte a che oggi

questa rappresentazione possa presentarsi di nuovo in me in maniera cosciente.

 

Questo è il solo e unico stato dei fatti. E se ovunque si fosse inclini ad afferrare gli stati di fatto precisi, è proprio certo che al mondo ci sarebbero meno teorie e ipotesi di quante ce ne sono. Giacché, proprio in relazione a quanto io sto qui ora esponendo, la maggior parte degli uomini crede proprio che ciò che una volta ci si è formati come rappresentazione, viva da qualche parte nell’indeterminato e poi di nuovo si faccia una passeggiata per risalire.

 

Ma sappiamo anche

che la rappresentazione che l’uomo si forma in merito ad un’esperienza sensibile, è del tutto effimera,

e che, anche se a volte ciò è camuffato, tuttavia deve svilupparsi una forza interiore,

che può essere sperimentata, quando una rappresentazione del passato

diviene di nuovo rappresentazione nel ricordo.

 

Ciò che diviene motivo di rappresentazione-ricordo

sta dunque più in profondità della comune rappresentazione legata alla sensazione.

È una rappresentazione-ricordo che ha il suo fondamento nella nostra organizzazione;

è connessa anche con ciò che siamo quali esseri temporali.

 

• Se riassumiamo tutti i fatti che cadono sotto la nostra osservazione, dobbiamo dire:

in ogni caso ciò che ha avuto vita in una rappresentazione legata ad una percezione sensoria,

è penetrato nella corrente del tempo nella quale noi stessi viviamo.

• Certe sensazioni, che noi proviamo nella loro interezza,

mentre affiora un ricordo, ci dicono come il ricordare sia legato effettivamente a tutta la nostra organizzazione.

 

Sappiamo anche come nelle diverse età della vita,

quindi nella sequenza di tempo della vita compresa fra nascita e morte, la forza del ricordare sia maggiore o minore.

Se seguiamo tutti questi fatti, allora potremo dirci che,

• proprio come la forza del rappresentare è legata al corpo astrale,

• così la forza del ricordare è legata al corpo eterico.

 

Cosicché, se con la parola memoria intendiamo il ricordare, possiamo dire:

la memoria è un tutt’uno col corpo eterico,

così come la vita di rappresentazione è un tutt’uno col corpo astrale,

e come la percezione sensoria è tutt’una cosa con l’Io.

• In ogni caso, ciò che è a base del rappresentare viene accolto nello scorrere del tempo della nostra esistenza.

 

• Proprio come la nostra crescita,

il nostro continuo sviluppo fra nascita e morte è dentro una determinata corrente di tempo,

• così lo è ciò che, dentro a questa stessa corrente, vive come ricordo,e noi ne sentiamo l’affinità.

Ora però qualcosa viene ad aggiungersi alle cose di cui ho parlato finora,

e che ognuno può già scoprire se si auto-osserva in modo sincero, attento e sottile.

 

• Che l’Io sia legato alla percezione dei sensi è un fatto del tutto manifesto,

e colui che non lo ammette, non vuole semplicemente vedere un fatto del tutto palese;

• che lo sperimentare nella rappresentazione abbia a che fare col corpo astrale,

è qualcosa cui si può assolutamente arrivare anche con l’osservazione comune.

• Un osservare più fine, tuttavia, è già appropriato,

se si vuole saggiare per così dire l’affinità del corpo eterico con la memoria.

 

Ma anche qui ce la si può cavare perfino con la scienza naturale, soprattutto quando si osservano casi patologici, disturbi della memoria e simili e si vede come siano legati in modo speciale ai disturbi della crescita e della riproduzione.

È già assolutamente possibile mettere insieme un certo numero di osservazioni che ci permettono di vedere ulteriormente quanto siano legati memoria e corpo eterico.

 

Mentre ciò che ho da aggiungere ora risulta veramente soltanto all’osservazione immaginativa, e tutt’al più può essere soltanto sospettato dall’osservazione comune.

Ma quando lo si scopre attraverso l’osservazione immaginativa, ne risulta allora l’intero nesso in cui queste cose possono essere inserite, l’assoluta giustezza della cosa per il sano intelletto umano.

 

In un certo qual modo noi penetriamo sempre più in profondità,

andando dall’esterno verso l’interno, nel nostro essere, se partiamo

• dalla percezione dei sensi e dall’Io,

• dalla vita di rappresentazione e corpo astrale,

• dallo sperimentare nel ricordo e corpo eterico,

• e poi ci immergiamo nel corpo fisico.

 

• È vero però che nel corpo fisico abbiamo a che fare con qualcosa

che è ancora strettamente congiunto con il ricordo, ma tuttavia non quanto lo è il corpo eterico.

• Per meglio capire ciò, ci si può aiutare con ciò che si presenta all’osservazione immaginativa

e che voglio subito caratterizzare: ci si può aiutare con gli effetti di alcuni disturbi patologici.

 

L’uomo riceve fin dentro il corpo fisico alcune inclinazioni e tendenze; non è detto che debbano arrivare a causare movimenti involontari, sussulti. Naturalmente potrebbero arrivare al punto di provocare la morte, ma ciò appartiene propriamente già ad un altro campo.

 

Se sopravvengono dei movimenti involontari – vorrei dire di natura innocente – allora soprattutto chi vuole approfondire queste cose vedrà che, in una certa categoria di movimenti involontari, si collocano le conseguenze di esperienze vissute.

 

Se qualcuno mostra la tendenza a compiere questo o quello con le proprie dita, per abitudine, ma involontariamente, si può sempre far notare, sempre che si abbiano elementi sufficienti che lo comprovano, come questo o quel complesso di cose vissute porta proprio a queste manifestazioni. Non devono essere movimenti che oltrepassano un certo grado di involontarietà, ma movimenti quasi involontari.

 

• Vedete, le cose stanno in modo che ciò che è stato vissuto si imprime con troppa forza nel corpo fisico;

si può ancora imprimere nel corpo eterico, ma non troppo nel corpo fisico.

• Se si imprime troppo nel corpo fisico, questo viene a trovarsi sotto l’influenza dei ricordi.

Questo non deve succedere.

 

L’osservazione immaginativa ci mostra che ciò che opera nella memoria,

nel corpo eterico è ancora in una certa misura sviluppo di movimento. Nel corpo fisico si arresta.

• Non deve penetrare completamente nel corpo fisico; dev’essere respinto dal corpo fisico.

 

 

• Considerando le cose in maniera schematica, esse starebbero così:

mettiamo di avere qui il corpo fisico (rosso), qui il corpo eterico (arancione),

qui il corpo astrale (verde) e qui infine l’Io (bianco).

• Ora si sta svolgendo un’esperienza dei sensi.   • Questa esperienza dei sensi viene dapprima accolta dall’Io.

• Ad essa si lega la rappresentazione, mentre si familiarizza col corpo astrale;

• è attiva la forza che rende poi possibile il ricordo,

mentre questa va a familiarizzarsi col corpo eterico sotto forma di movimento.

Ora però si deve bloccare.

• Non deve proseguire oltre, non deve compenetrare completamente il corpo fisico.

 

Vale a dire che nel corpo fisico si forma un’immagine

– naturalmente al principio del tutto ignara di ciò che vive nel ricordo.

L’immagine non è per nulla simile a ciò che fu l’esperienza, è una metamorfosi, ma c’è un’immagine.

Per cui si deve dire: così come la memoria è collegata al corpo eterico,

al corpo fisico è collegata una vera immagine interiore.

 

Nel corpo fisico abbiamo sempre, quando tale movimento che parte dal corpo eterico si blocca,

un impregnarsi, un’immagine; questa immagine naturalmente

si può ottenere soltanto col rappresentare immaginativo.

Allora si vede come effettivamente il corpo fisico diventi il portatore di tutte queste immagini.

 

È possibile che voi diciate: ma è impossibile, per esempio, che io abbia nel corpo fisico l’immagine di un campanile!

Io voglio darvi innanzitutto una rappresentazione di ciò, di come voi potete invece avere nel corpo fisico l’immagine di un campanile, se vi accosto alla cosa immaginativamente.

 

Supponete di avere davanti a voi – fatelo per me – un volto, e questo volto fatelo rispecchiare in un qualsiasi specchio che alteri completamente il volto. Supponiamo che vi appaia dentro qualcosa di spaventoso. Ora non voglio dire che dall’esperienza esteriore di un campanile si produca qualcosa di tanto terribile quale un’impregnazione del corpo fisico, comunque, in ogni caso, è naturale che si formi qualcosa che non gli assomiglia. Ora pensate un po’: se voi qui, da questo bel sembiante ottenete una simile mostruosità, ciò è dovuto alla curvatura dello specchio.

 

Se ora, in questo caso, esiste la possibilità di fare i conti con la curvatura dello specchio, allora potrete – anche se ora non avete quel volto davanti a voi – ricostruire il volto partendo dalla caricatura dovuta alla convessità dello specchio. Potrete dunque, se comprendete la natura dello specchio che produce la caricatura, ricostruirvi quella bella faccia. Allo stesso modo, non bisogna pensare che nell’interiorità dell’uomo ci sia qualcosa che assomigli ad un campanile o ad una esperienza drammatica che l’uomo ha vissuto, o qualcosa del genere, ma ciò che in essa si collega alla natura di tutto l’uomo, dà poi la possibilità, naturalmente, di ricostruire la cosa allo stesso modo.

 

A ciò quindi non si può muovere alcuna obiezione, al fatto cioè che, dal momento che il mondo è grande e diversamente configurato dalla interiorità umana, in quest’ultima naturalmente non possa essercene neppure l’immagine: l’immagine invece c’è.

 

• E l’immagine è nell’uomo in un certo qual modo l’ultima tappa dell’esperienza esterna.

• Le altre cose – il rappresentare, il ricordare – sono momenti di passaggio.

• Non possiamo permettere a ciò che viviamo nel mondo esterno di attraversarci soltanto.

Dobbiamo fare da isolanti; dobbiamo trattenerlo, e questo lo fa da ultimo il corpo fisico.

 

• Il nostro corpo astrale lo cambia, lo rende sbiadito nella rappresentazione;

• il nostro corpo eterico gli toglie tutto il contenuto, mantenendo soltanto la possibilità di rievocarlo di continuo.

• Ma ciò che realmente si effettua dentro di noi si imprime in noi a mo’ di immagine.

Con questo seguitiamo a vivere, ma non possiamo permettere che ci attraversi.

 

Supponiamo di lasciare passare immediatamente la rappresentazione, in modo che non venga rigettata – per così dire in modo elastico – dal corpo eterico: essa attraverserebbe il corpo eterico, attraverserebbe il corpo fisico, e noi ci aggireremmo per il mondo sempre in balìa degli eventi. Usando esempi più complicati, ciò non si riesce a ben descrivere, ma se, per esempio, trovandomi in tale condizione, vedessi un uomo che si muove da destra a sinistra, io mi metterei immediatamente a danzare da sinistra a destra, vorrei subito imitare ciò che vedo. Vorrei imitare nella mia figura tutto ciò che vivo esteriormente.

 

È accaduto proprio questo – dapprima nel corpo astrale, che in un certo qual modo già opera in maniera frenante, poi nel corpo eterico, che respinge con la sua elasticità, poi specialmente nel corpo fisico che blocca tutto il processo: in questo avviene l’isolamento di ciò che percepisco dall’esterno. Ed è in questo modo che agisce in me ciò che sperimento nel mondo esterno.

 

Del fatto che l’uomo consta di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io, di ciò si conosce uno schema,

ma si tratta di vedere se in questo schema si sanno inserire i fatti concreti, in questo caso quindi

le percezioni sensorie, le rappresentazioni, il ricordo e infine quella cosa del tutto concreta che è l’immagine.

Questa soltanto dà contenuto a questi concetti schematici.

Bisogna avvicinarsi sempre di più ad un tale contenuto,

se si vuole avanzare nella comprensione di ciò che nel mondo è realtà.

 

Per esempio non si può dire: già, l’uomo si suddivide in corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io, come se ci fossero dei confini! Nessun uomo può sostenere innanzi tutto, se è ragionevole, che ci siano confini diversi da quelli che risultano quando si considera la formazione di immagini, l’esperienza della memoria, l’esperienza del rappresentare e l’esperienza del percepire coi sensi. Ma per fare distinzione fra questi quattro modi di sperimentare bisogna avere una capacità di comprensione spregiudicata.

Ora vogliamo accostarci all’uomo e al suo atteggiamento verso il mondo da un altro punto di vista.

 

Supponiamo di andarcene in giro. Mentre ce ne andiamo in giro (ho già toccato l’argomento in questa sede una volta, da un altro punto di vista), non possiamo fare alcuna distinzione, nell’osservazione esterna, fra il nostro spostarci e il movimento nel quale si trova un oggetto inanimato. In definitiva, sia che si consideri esternamente nella sua traiettoria il lancio di una pietra, semplicemente in rapporto al movimento, sia che si osservi un uomo che corre, se entrambi hanno la stessa velocità, come immagine esterna ci troviamo in un primo momento in presenza dello stesso fatto. Se prescindo da ogni altra cosa e guardo soltanto i corpi che si trovano in movimento, ho a che fare, sia nel caso della pietra che dell’uomo, con uno spostamento.

 

Io osservo questo spostamento, questa velocità. E questa è in definitiva, in sostanza, l’immagine del movimento che nella vita abituale abbiamo nella coscienza; poiché dobbiamo distinguere fra l’intenzione di compiere un movimento e il movimento vero e proprio. Mentre penso un movimento, posso restarmene del tutto fermo. Mi posso immaginare in movimento, e se ho un po’ di fantasia, posso immaginarmi come in moto. La rappresentazione che quindi ne ho, quando mi muovo veramente, non ha motivo di distinguersi dalla rappresentazione creata dalla fantasia, che ho quando sono in quiete e penso soltanto di muovermi.

 

Perciò dobbiamo distinguere molto accuratamente fra il pensare i nostri movimenti e i movimenti reali.

Ma questi movimenti reali ce li rappresentiamo soltanto esteriormente, in maniera affatto diversa

da quella con cui ci rappresentiamo oggetti che sono rimasti al loro posto:

ci accorgiamo che per loro mezzo otteniamo distanze diverse da questo o quell’oggetto.

• Prendiamo atto dei nostri movimenti del tutto esteriormente; è ciò che succede.

 

E quando parliamo di movimenti (non voglio per ora addentrarmi nella questione

se ora, in questo caso, si tratti di una rappresentazione ipotetica

o di una rappresentazione più o meno fondata, ciò è argomento di un altro capitolo),

ma se ci troviamo in presenza di movimenti – allora abbiamo anche una forza.

 

Voglio quindi attenermi per ora soprattutto allo stato dei fatti comune:

dove c’è movimento, c’è naturalmente il dispiegamento di una certa forza.

Cosicché possiamo dire: l’uomo in movimento dispiega una certa forza.

 

Non possiamo parlare di null’altro se non di una forza, e dobbiamo anche identificare questa forza che egli dispiega con quella di un qualsiasi oggetto, perfino inorganico. Osserviamo dunque soltanto il corpo fisico, sia come un tutto, sia nelle singole parti: quando si muove, si muove come un qualsiasi altro oggetto inanimato.

 

Perciò, quando ci pensiamo in movimento e guardiamo al corpo fisico, possiamo parlare soltanto di forza.

• Le cose già cambiano, se ora iniziamo a guardare nella interiorità dell’essere.

• Su ciò dobbiamo essere chiari a noi stessi:

mentre compiamo un movimento, dentro di noi si svolgono dei fenomeni interiori:

si consumano sostanze; succede qualcosa che ha un nesso con le forze di crescita, di nutrizione e di riproduzione.

• Si tratta di forze che non possiamo considerare alla stregua

delle forze che percepiamo nel movimento esteriore di un corpo inanimato.

 

• Quando osserviamo una pianta nella sua crescita,

dobbiamo aver chiaro, per quanto concerne ciò che avviene in essa,

mentre la pianta diventa sempre più grande

– e per l’animale e l’uomo si tratta all’inizio della stessa cosa in rapporto alle forze di crescita –

il dispiegamento di forze è diverso da quello che è a base

del movimento di un corpo osservabile puramente dall’esterno;

sia che si tratti del proprio corpo in movimento, osservabile dal di fuori, sia di un corpo umano qualsiasi.

 

Ciò che è presente quando si svolgono fenomeni di crescita

– e fenomeni di crescita in senso lato chiamo anche quelli

che succedono proprio davanti a noi, quando per esempio siamo in movimento –

ciò che lì avviene, dobbiamo cercarlo senz’altro nel corpo eterico.

 

Ciò che osserviamo nel movimento esterno,

nel rapporto dell’uomo che si muove esteriormente con questo mondo esterno,

non ci fa sì che dirigiamo lo sguardo verso il corpo eterico.

È nel momento in cui osserviamo ciò che avviene interiormente che dobbiamo guardare al corpo eterico.

 

E possiamo dire, se il concetto di crescita lo intendiamo in senso lato, come ho appena fatto:

la forza di crescita specifica, in cui è contenuta anche la nutrizione, il consumo di sostanze e così via,

questa forza specifica ci spinge fin d’ora a salire al corpo eterico.

Vediamo questa forza di crescita nel mondo delle piante.

 

Affinché vediate che le cose non sono puramente escogitate, ma possono essere confermate al tempo stesso dall’osservazione scientifico-spirituale, vorrei ora dire esplicitamente che quanto noi vediamo nell’organismo in crescita o che in genere cambia interiormente, quindi in maniera particolare nell’organismo delle piante, dove ciò si mostra nella sua purezza, poggia completamente sul fatto che la forza, che altrimenti si manifesta soltanto nel movimento esteriore, viene in un certo rapporto con ciò che in realtà si può chiamare etere.

 

Anche a ciò vorrei farvi accostare attraverso delle immagini. Sapete ciò cui si è spesso accennato, cioè che un corpo solido immerso in un liquido perde tanto del suo peso, riceve una spinta verso l’alto equivalente al peso cui ammonta il corpo liquido spostato.

 

Bene, le forze che sono a base dei movimenti esteriori dei corpi fisici sono in un certo senso rigide.

Hanno una rigidità interiore, proprio come un corpo solido ha un certo peso.

Se voi compenetrate le forze, che altrimenti causano il movimento esteriore,

con le forze dell’etere, esse perdono la loro rigidità; diventano interiormente mobili.

 

Una forza dunque che, come forza che muove l’inorganico, è di una certa grandezza

e più grande non può diventare, se è soltanto forza di movimento esteriore,

se ora si lega all’etere, perde la propria rigidità: può dilatarsi oppure restringersi.

E come forza di tale natura è poi attiva nella crescita, negli eventi interiori in genere.

 

Questo principio di Archimede si può dunque enunciare in modo da dire:

ogni corpo solido perde in un liquido tanto peso quanto è il peso della massa liquida spostata.

Ogni forza, si può così continuare, perde, quando si lega con le forze dell’etere, tanto in rigidità

quanta è la forza di aspirazione che le forze eteriche le portano incontro.

 

Si trasforma in movimento e con questo diventa,

ciò che diventerebbe se fosse attiva, diciamo, nell’organismo delle piante,

ma rimane ugualmente attiva nell’organismo degli animali e dell’uomo.

 

Se ora dal corpo eterico proseguiamo su fino al corpo astrale

– quindi, guardando dal di fuori, dalla pianta all’animale –

allora ciò che al principio era una forza interiormente mobile nel processo di crescita,

adesso diviene libero (similmente a ciò che ho descritto, quando ho parlato

delle forze che si liberano al settimo anno di età, al cambiamento dei denti),

interiormente libero,

cosicché ciò che ora vi si determina non è più legato alle forze del corpo solido.

 

Ciò che vi si manifesta in forma di forze libere

sono le forze dell’istinto nell’animale e nell’uomo.

Cosicché noi saliamo poi al corpo astrale

e ciò che in basso è ancora forza, qui lo riceviamo come istinto.

• E se saliamo su fino all’Io, l’istinto diviene volontà.

 

 

Questa affinità della volontà con gli istinti, del resto, già risulta di continuo ad un’osservazione spregiudicata della vita animica quotidiana, volta ad una sana autoconoscenza.

 

 Abbiamo riempito da un altro punto di vista ciò che qui è soltanto un semplice schema con ciò che è contenuto di esperienza. Se osserviamo il corpo fisico: dal di dentro ci si mostra come qualcosa che si oppone continuamente agli eventi e diviene immagine; visto dal di fuori è un’organizzazione di forze. E anche per il corpo fisico è giusta l’osservazione secondo cui esso consiste effettivamente in un compenetrarsi di forze e di immagini. Se cioè vi immaginate un quadro dipinto – certo bisognerebbe rappresentarselo spazialmente, in maniera che non sia più un quadro rigido, ma dotato di movimento interiore, in maniera che in ogni punto agisca una forza – allora avrete più o meno ciò che in realtà dovete rappresentarvi come corpo fisico.

 

 Se vi rappresentate le forze di crescita e le pensate imbevute di ciò che è a base del ricordo – ma ora non più come rappresentazioni che si nascondono l’una sotto l’altra, ma proprio come ciò che è a base del ricordo, quindi da un lato come movimenti eterici, che, nell’elaborazione interiore delle sostanze nutritive assunte, formano onde ascendenti, e che, grazie ai movimenti dell’uomo, si vanno a fermare lassù, in conflitto con ciò che scende giù ondeggiando e proviene da tutto ciò che è stato percepito coi sensi ed è divenuto rappresentazione e che poi è sparito nel corpo eterico per la conservazione del ricordo, se vi immaginate questo interagire dell’alto con il basso, quindi di ciò che dalla rappresentazione scende giù dondolandosi, con ciò che sale su dal basso verso l’alto e deriva dal processo di nutrizione, di crescita e di respirazione, entrambe le correnti in un gioco di compenetrazione reciproca, allora avrete un quadro vivente del corpo eterico.

 

E ancora, se riflettete su tutto ciò che voi stessi sperimentate, quando sono attivi gli istinti, dove potete comprendere benissimo come negli istinti operi la circolazione del sangue, il respiro, l’intero sistema ritmico, e come questi istinti dipendano dalla nostra educazione, da ciò che abbiamo accolto: allora avrete il gioco di interazione vivente in ciò che è corpo astrale.

 

E se infine pensate a come gli atti di volontà – fra questi si includa tutto ciò che in voi è azione volitiva – giochino compenetrandosi con ciò che sono le percezioni sensorie, avrete un quadro vivente di ciò che come Io si immedesima nella coscienza.

Soltanto, considerate questo come un semplice schema. L’uomo deve far rientrare per forza le esperienze, e di queste avevamo finora soltanto un piccolissimo campione in uno schema. Non è vero?

 

È il comune psicologo o fisiologo che osserva prima di tutto queste cose. E non è vero che se a qualcuno capita di avere tutti i possibili capi di biancheria e vestiario, ma di non avere un armadio, così da ammucchiarli tutti uno sull’altro, poi col tempo gliene viene fuori un caos? Questa, in realtà, è la nostra psicologia e fisiologia attuale. Bisogna avere un armadio.

 

Così come colui che costruisce l’armadio deve sapere con certezza quali debbano essere le divisioni di questo armadio, per poterci infilare veramente ciò che si vuole, allo stesso modo dev’essere noto con certezza anche ciò che in esso viene disposto, sebbene possa essere ancora soltanto una cosa astratta (com’è astratto l’armadio, quand’è ancora vuoto), in un certo qual modo ancora inspiegabile. Anche un armadio che se ne stia lì vuoto resta ugualmente inspiegabile!

 

Vedete dunque, i lati da cui è possibile attaccare l’antroposofia sono terribilmente numerosi, a seconda che si intervenga in questo o quel punto. Ma si può anche, ed io ho cercato di farlo nella mia Teosofia, mettere in evidenza che se all’inizio si è costretti a creare l’armadio è già qualcosa di concreto che ci spinge a farlo. E allora bisogna avere la pazienza di giungere proprio a ciò che porta pienezza allo schema. Ed è questo che va ripetuto in modo speciale agli antroposofi: non si dovrebbe evocare un’immagine del mondo come se fosse già stato detto tutto, quando dei concetti astratti quali quelli di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io vengono piantati lì a mo’ di pali.

 

Se si dice soltanto: «L’uomo consiste di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io», non si è detto nulla di più di quattro parole. Perché naturalmente c’è una bella differenza, se la stessa cosa viene detta all’inizio con cognizione di causa, come una suddivisione che ci può venire in aiuto per mettervi qualcosa in ordine, oppure se con questa si va avanti, dogmatizzandola e comunicandola come un dogma.

 

Perciò comunicare soltanto che l’uomo consiste di corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale e Io,

ha effetto respingente.

Molto dipende dal modo in cui queste cose vengono dette.

Non c’è bisogno di arrivare a dire, come si è dovuto fare una volta in una conferenza antroposofica:

“per semplicità suddividiamo l’uomo in sette arti”.

È cosa già eccessiva il credere di cogliere una realtà, mentre si sta imbastendo soltanto uno schema.

All’inizio serve a questo, ad avere delle linee guida, all’interno delle quali sia possibile fare osservazioni.