La triplice tentazione del Cristo

O.O. 123 – Il Vangelo di Matteo – 08.09.1910


 

Venne poi il tempo in cui ciò ch’era stato predetto si compì: le tre volte quattordici generazioni erano ormai interamente trascorse; dal sangue del popolo nacque la corporeità nella quale Zaratustra potè incarnarsi, per sacrificarla poi al Cristo, dopo averla ancora elaborata mediante gli strumenti offerti dal corpo del fanciullo Gesù natanico. Ora era giunto il tempo del quale il precursore del Cristo aveva potuto annunciare che «i regni dei cieli» sarebbero discesi verso l’io che vive nel «regno» esteriore, in malcùt.

 

Comprenderemo adesso il primo compito che il Cristo si assegnò, dopo aver superato la tentazione. Egli l’aveva superata grazie alla forza del suo essere interiore, di ciò che nell’uomo odierno chiamiamo il suo io. Egli era riuscito a superare tutte le difficoltà e tutte le tentazioni che si oppongono all’uomo quando s’immerge nel corpo astrale, nel corpo eterico e nel corpo fisico. Tutto questo risulta chiaramente nel racconto evangelico della tentazione: vi sono menzionati i diversi tipi di egoismo, e precisamente al loro grado più alto.

 

A chi aspiri allo sviluppo esoterico si oppone tra gli altri un ostacolo grave: come è del tutto naturale quando si discende nella propria interiorità, emerge la tendenza a occuparsi con grande predilezione della propria amatissima personalità. Questo difetto di parlare in ogni momento della propria amata personalità si trova soprattutto in coloro che vogliono accedere al mondo spirituale; essi si osservano minuziosamente e badano solo a se stessi. Mentre di solito la gente vive con risolutezza, senza tanto occuparsi di sé, quando comincia ad aspirare a uno sviluppo spirituale, anzi anche solo diventando antroposofi, si mette ad occuparsi intensamente del proprio io; e allora si presentano facilmente delle illusioni che prima potevano con facilità passare inavvertite per la concretezza della vita.

 

Perché avviene tutto questo? Perché l’uomo non sa veramente per quale verso prendersi, quando si congiungono col suo essere tutte le tentazioni che emergono dall’interiorità: non sa che fare di se stesso, si rivela molto inesperto sul proprio conto.

Prima osservava attentamente il mondo esterno che lo attraeva; adesso viene distratto dal proprio intimo e gli si presentano dal profondo una quantità di sentimenti. Perché emergono? A questo punto egli vorrebbe essere «io» più che mai, vorrebbe rendersi indipendente dall’esterno. Cade allora facilmente nell’errore di voler essere trattato come un bambino al quale si spiega chiaramente tutto quello che deve fare.

 

Vorrebbe essere tutto, tranne che una persona che si dirige da sé

e determina la propria mèta fondandosi sulla vita esoterica.

A ciò egli non è ancora abituato, ma ha la sensazione di venir disturbato dalla dipendenza dal mondo esterno.

 

I maggiori ostacoli si presentano proprio quando si vuol essere completamente indipendenti, e ci si trova costretti a prestare tanta attenzione a se stessi. C’è però una cosa che sembra volgare e che impedisce di liberarsi del tutto dal mondo esterno: è il fatto che bisogna mangiare! È un fatto banale, che però a molti crea grandi difficoltà. Questa circostanza ci insegna che non possiamo fare a meno del mondo esterno: è un esempio efficace della nostra dipendenza dall’ambiente esterno senza il quale non possiamo vivere.

 

Siamo come un dito attaccato alla mano: se viene tagliato va distrutto.

Questa osservazione banalissima è sufficiente

per mostrarci quanto dipendiamo dall’ambiente circostante.

 

Se il senso dell’io è spinto al massimo, può trasformarsi nel desiderio di rendersi indipendenti dal mondo esterno, di liberarsi da ciò che ci fa sentire la nostra soggezione all’ambiente, di aspirare perfino a procurarsi magicamente gli alimenti. Si tratta di un desiderio che può veramente insorgere in certe persone che aspirano all’iniziazione; può manifestarsi un vero senso di rivolta contro il fatto di dipendere dall’ambiente, di dover ricorrere agli alimenti esistenti, di non essere in grado di crearli!

 

L’enunciare una cosa come questa sembra strano, perché sono realmente paradossali i desideri che in piccolo nascono quando s’intraprende il proprio sviluppo, ma che appaiono in tutta la loro assurdità se si descrivono nei loro aspetti estremi. Non si sa neppure di averli, in piccolo, quei desideri. Del resto, nessuno li manifesta a quel grado estremo, perché si è troppo attaccati alle abitudini esteriori e non si arriva quindi a illudersi di potersi nutrire con mezzi magici, senza ricorrere a cose che provengono dal «regno» esteriore, da malcùt.

 

Tuttavia, portata la cosa all’estremo, sarebbe come se l’uomo dicesse: oh, se potessi giungere a vivere nel mio corpo astrale e nel mio io, al punto da non aver più bisogno di tutto il mondo ambiente!

Questa è una tentazione che si presenta realmente; e a colui che dovette subirla in misura massima, al Cristo Gesù, il tentatore suggerisce di trasformare le pietre in pane. Ecco il massimo grado della tentazione. Nella scena della tentazione il vangelo di Matteo ci descrive meravigliosamente la discesa nella corporeità (Matt. 4,1-11).

 

• Il secondo grado della tentazione si verifica quando ci si è già immersi nel proprio corpo astrale e ci si trova di fronte a tutte le emozioni e le passioni che possono esasperare il nostro egoismo. Quando ci si trova in questa condizione, si vorrebbe ugualmente precipitar giù nel proprio corpo eterico e nel proprio corpo fisico, senza aver vinto quelle tentazioni, senza essersi resi invulnerabili.

Si tratta realmente di una condizione che può paragonarsi al precipitare in un baratro. Così infatti ce la descrive il vangelo di Matteo: come un precipitare negli elementi che finora non si sono potuti corrompere in alto grado, cioè nel corpo eterico e in quello fisico. Ciò però non dovrebbe avvenire prima di aver domato le passioni e le emozioni. Il Cristo lo sa, e superando con la propria forza ciò che gli si contrappone, risponde al tentatore: Non tentare colui a cui devi affidarti! (Matt. 4,6).

 

• Col terzo gradino si discende nel corpo fisico. In questa discesa la tentazione si presenta con caratteri particolari. Si tratta realmente di un’esperienza che si può fare nell’iniziazione, di un’esperienza obbligata per chiunque raggiunga il gradino dell’immersione nel corpo fisico e nell’eterico: ci si vede da dentro.

Si scopre allora tutto quanto è contenuto nelle tre qualità più alte che abbiamo menzionate poco fa. È come un mondo che si scopre; ma all’inizio è un mondo che non esiste se non nell’illusione dell’uomo, un mondo che egli non può percepire nella sua verità interiore, se non penetrando attraverso l’involucro del corpo fisico e raggiungendo le entità spirituali che ormai non si trovano più nel corpo fisico, ma che si limitano ad elaborarlo.

 

Se non ci libereremo dall’attaccamento al nostro io, il tentatore del mondo fisico (Lucifero, ovvero il diavolo) continuerà ad ingannarci su noi stessi. Egli ci prometterà tutto il mondo che ci troviamo di fronte, ma che altro non è se non frutto della nostra stessa maya, della nostra stessa illusione.

Se lo spirito dell’egoismo non ci abbandonerà, contempleremo sì tutto un mondo, ma sarà un mondo di errore e di menzogna: questo è il mondo che il tentatore ci promette (Mt 4,8-10). Noi però non dobbiamo credere che si tratti di un mondo di verità; è il mondo in cui veniamo a trovarci, in un primo tempo; ma se non ce ne libereremo, resteremo nella maya.

 

Come un modello, come un esempio,

il Cristo attraversò al cospetto dell’umanità i tre gradi della tentazione.

 

E in quanto tale esperienza si compie per la prima volta fuori degli antichi misteri,

e viene fatta grazie alla forza di un’entità che vive entro la triplice corporeità umana,

vien dato all’umanità l’impulso a raggiungere essa stessa in avvenire,

nel corso dell’evoluzione, quella possibilità: cioè che l’uomo riesca ad ascendere al mondo spirituale

con la coscienza dell’io che ha di solito in malcùt, nel regno sensibile.

 

Doveva essere raggiunto questo punto: che fosse abbattuta la barriera fra i due mondi, per cui l’uomo potesse salire ai mondi spirituali con l’io che di solito vive in malcùt.

Ciò fu conquistato all’umanità grazie alla vittoria del Cristo sul tentatore, quale ce la descrive il vangelo di Matteo. Ormai viveva sulla Terra un’entità, il Cristo Gesù appunto, che rappresentava per l’umanità il modello di come l’io atto a vivere nel «regno» potesse sollevarsi al regno dei cieli, ai mondi superiori.

In che cosa doveva dunque consistere la conquista prodotta dall’esempio vissuto dal Cristo sul piano storico esteriore, da quell’esperienza che prima si era compiuta solo nel segreto dei misteri? Doveva scaturirne la predizione del «regno».

 

E se necessariamente il vangelo di Matteo riferisce prima la storia della tentazione,

dopo di questa dovrà descrivere l’ascesa dell’io che ormai può sperimentare in sé il mondo spirituale,

senza dover uscire da se stesso.

L’entità del Cristo doveva svelare nel mondo esterno il mistero dell’io;

il mistero dell’io che ascende al mondo spirituale secondo il modello valido per la vita nel «regno» esteriore.

 

Nel vangelo di Matteo il Cristo ci svela questo mistero al momento giusto, cioè dopo il racconto della tentazione.

A questo seguono i capitoli che iniziano con il sermone sul monte e contengono tutto quanto il Cristo ha da dire sul «regno», su malcùt (Matt. cap. 5-7).

Ecco quanto è profondo il vangelo di Matteo.

 

Dobbiamo realmente cercarne le fonti e gli elementi essenziali non solo nella dottrina occulta degli Esseni, ma in tutto il mondo ebraico antico e in quello greco. Acquisteremo allora, anche per questo testo, il profondissimo rispetto e la sacra venerazione di cui ho parlato anche a proposito del testo della Genesi.

Possiamo acquistare tali sentimenti se ci accostiamo a quegli antichi testi iniziatici muniti dei risultati dell’indagine spirituale. Nell’apprendere quello che gli antichi veggenti ci trasmettono, ci sembra di udirli parlare a noi dai tempi antichi. È come il suono di un colloquio spirituale che si svolge nei secoli fra le grandi individualità, perché possano ascoltarlo gli uomini che vogliono ascoltare. Certo, lo ascolteranno solo quelli che comprendono la parola evangelica: chi ha orecchie per udire, oda! (Matt. 11,15).

 

Ma come è occorso molto tempo perché potessero svilupparsi in noi gli orecchi del corpo, molto tempo ci vorrà perché si formino gli orecchi spirituali che ci permetteranno di comprendere il contenuto di quei grandi e profondi testi spirituali.

La nostra scienza dello spirito si propone appunto di farci nuovamente leggere e comprendere i documenti antichi. E solo quando avremo conseguito la comprensione dell’io, la comprensione dell’io umano nel «regno», potremo comprendere il capitolo del vangelo di Matteo che inizia con le parole: «Beati i mendicanti dello spirito perché grazie a loro stessi, per mezzo del loro proprio io, troveranno i regni dei cieli!» (Mt 5,3).

 

Un iniziato antico avrebbe detto: invano cercherete il regno dei cieli nel vostro io.

Il Cristo Gesù invece disse: è venuto il tempo in cui

gli uomini che cercano il regno dei cieli troveranno lo spirito nel proprio io.

 

L’evento del Cristo svoltosi sul piano storico

è la rivelazione di profondi segreti dei misteri fatta al cospetto del mondo.