La vita animica si divide in pensare, sentire e volere.

O.O. 235 – Nessi karmici Vol. I – 02.03.1924


 

La vita animica.

Questa si divide in pensare, sentire e volere.

 

• Il pensare trova la sua principale base fisica nell’organizzazione della testa,

ma la trova in realtà in tutto l’uomo, poiché, come ho detto prima, la testa si estende in tutto il corpo.

• Il sentire è connesso con l’organizzazione ritmica.

 

• È un pregiudizio, anzi una superstizione della scienza moderna,

credere che il sistema nervoso abbia un diretto rapporto con il sentire: non ne ha affatto.

Organi del sentimento sono i ritmi del respiro e della circolazione,

e i nervi si limitano a trasmetterci la rappresentazione di quel che sentiamo.

I sentimenti fanno parte dell’organizzazione del sistema ritmico,

ma non sapremmo nulla dei nostri sentimenti se i nervi non ce ne trasmettessero la rappresentazione.

 

E poiché i nervi ci dànno la rappresentazione dei sentimenti, l’attuale intellettualismo è caduto nell’errore di credere che essi siano gli organi attraverso i quali il sentimento si esplica. Ma non è così.

• Se però sappiamo giustamente confrontare i sentimenti, quali affiorano dal sistema ritmico, con i pensieri che sono invece legati al sistema del capo e a quello dei nervi e dei sensi, fra di loro troveremo la medesima differenza che corre fra i pensieri della coscienza di veglia e il sognare.

• Nel campo della coscienza, i sentimenti non hanno un’intensità maggiore di quella propria ai sogni. Hanno soltanto un’altra forma, appaiono in altro modo. Quando sogniamo in immagini, la nostra coscienza vive appunto in immagini, e benché si presentino in forma diversa, quelle immagini hanno il medesimo significato che hanno i sentimenti.

 

Possiamo quindi dire:

• la coscienza più trasparente, più chiara

è quella che possediamo nei pensieri, nelle rappresentazioni.

• Nel sentire abbiamo una specie di coscienza di sogno.

 

Crediamo sì di avere nel nostro sentimento una coscienza più chiara di quella del sogno, ma in realtà non l’abbiamo. Pur se al risveglio ci ricordiamo dei sogni che abbiamo avuto e ce ne facciamo rappresentazioni somiglianti a quelle della coscienza di veglia, non potremo dire di averli realmente afferrati.

 

Il sogno è molto più ricco di quanto ce lo rappresentiamo,

e così pure il mondo dei sentimenti è infinitamente più ricco

di quanto sappiamo accoglierne nel campo della coscienza.

 

• Del tutto immerso nel sonno è il volere.

Esso è legato all’organizzazione degli arti e del ricambio, agli organi del movimento.

Del volere conosciamo solo i relativi pensieri.

Pensiamo: prenderò quell’orologio e poi lo afferriamo.

 

Ciò che, dopo il pensiero iniziale, discende nei muscoli e conduce infine a una rappresentazione nuova, a quella dell’atto di afferrare, tutto ciò sta fra la rappresentazione dell’intenzione e quella dell’attuazione; tutto quanto segue la prima rappresentazione e si svolge nell’organismo, rimane altrettanto inconscio quanto la vita del sonno profondo, del sonno senza sogni.

 

• Noi sogniamo almeno i sentimenti,

ma dagli impulsi di volontà non abbiamo più di quanto abbiamo dal sonno.

 

Qualcuno forse dirà: dal sonno io non ho assolutamente nulla. Ora però non parlo dell’aspetto fisico. Sarebbe certo una stoltezza dire che fisicamente non si trae nulla dal sonno; però anche animicamente ne ricaviamo molto.

Senza il sonno non avremmo la coscienza dell’io.

 

Seguiamo questo pensiero: quando ricordiamo le vicende della nostra esistenza,

risaliamo indietro e sempre più indietro nel passato, ma in realtà non è così.

 

 

Torniamo indietro solo fino al momento in cui ci siamo destati l’ultima volta (vedi disegno); poi abbiamo dormito, e quanto si svolse nel sonno sfugge al nostro ricordo. Il ricordo prosegue poi dall’ultima volta che ci siamo addormentati fino al penultimo risveglio.

 

Retrocediamo attraverso il ricordo.

Guardando indietro al passato, dobbiamo sempre includervi periodi d’incoscienza.

Un terzo della vita terrena trascorre in stato d’incoscienza.

 

A questo non si presta attenzione, ma è come se avessimo una superficie bianca con al centro un buco nero.

Il buco nero è visibile, sebbene non vi siano forze. Allo stesso modo, retrocedendo nel ricordo, urtiamo a dei buchi neri, e cioè alle notti durante le quali abbiamo dormito, sebbene esse non contengano alcuna reminiscenza della vita.

 

• La nostra coscienza urta sempre contro le notti, e da questo dipende che possiamo chiamarci “io”.

• Se procedessimo senza urtare contro nulla, non arriveremmo alla coscienza dell’io.

 

Si può quindi ben dire che ricaviamo qualcosa dal sonno;

e come dal sonno ordinario, così pure ricaviamo qualcosa dal sonno che domina nel campo della volontà.

 

Quanto si svolge in noi durante l’atto volitivo, viene sperimentato in una coscienza di sonno;

ma nei relativi processi vive il vero io.

Come la coscienza dell’io ordinario viene acquisita grazie all’oscurità contro la quale urtiamo,

così vi è l’io in quanto di noi dorme durante l’atto volitivo, l’io che visse attraverso le precedenti esistenze terrene.

 

Qui si esplica il karma!

Nella volontà si esplica il karma, dominano gli impulsi della precedente vita terrena.

 

Però anche durante lo stato di veglia, tali impulsi sono immersi nel sonno.