La vita pratica esteriore

O.O. 194 – La Missione di Michele – 12.12.1919


 

Il fatto caratteristico di tutto quanto si è svolto nell’umanità civile negli ultimi tre o quattro secoli,

mi sembra essere il seguente: la vita pratica esteriore, nella sua più vasta accezione, è meccanizzata al massimo,

forma un regno a sé che viene monopolizzato da coloro che si immaginano di essere uomini pratici.

 

Accanto a questa prassi di vita, che si è perfezionata in tutti i campi cosiddetti pratici, abbiamo una somma di concezioni spirituali, concezioni del mondo, filosofie o come si vogliano chiamare, le quali, specialmente negli ultimi tre o quattro secoli, sono in sostanza divenute a poco a poco estranee alla vita, e per le sensazioni e i sentimenti che trasmettono agli uomini è come se fluttuassero al di sopra della vita pratica propriamente detta.

La differenza tra queste due correnti è tanto marcata che si può affermare: è iniziato oggi il tempo in cui queste due correnti non si capiscono più tra di loro, o per dir meglio in cui non trovano più dei punti di contatto attraverso i quali agire l’una sull’altra.

 

Noi oggi provvediamo alle nostre fabbriche, facciamo viaggiare i treni sulle rotaie e mandiamo le navi sui mari, facciamo funzionare i nostri telegrafi e i nostri telefoni, facciamo tutto questo, lasciando scorrere automaticamente la meccanica della vita e lasciandocene noi stessi avvincere.

Accanto a ciò predichiamo. In effetti si predica molto.

Le vecchie confessioni religiose predicano nelle chiese, i politici predicano nei parlamenti, le diverse tendenze nei diversi settori discorrono delle esigenze del proletariato, dei diritti delle donne.

Molto si predica, e il contenuto di questo predicare, nel senso della coscienza umana attuale, è certamente qualcosa di voluto.

 

Ma se ci ponessimo la domanda: dov’è il ponte tra quello che predichiamo e quello che forma in pratica la nostra vita esteriore, se volessimo rispondere onestamente e veracemente, non troveremmo una giusta risposta movendo da quanto vi è nel nostro tempo.

Tutto questo emerge chiaramente nel fenomeno che voglio espressamente menzionare: è ben noto che oggi esistono per l’umanità, oltre a tutte le altre occasioni di predicare, anche ogni sorta di società segrete. Tra queste prendiamo la massoneria con le sue logge, i suoi bassi o elevatissimi gradi.

Vi troviamo un simbolismo: triangolo, cerchio, squadra e simili. Troviamo una parola spesso usata negli incontri: l’architetto di tutti i mondi.

 

Che cos’è tutto questo? Ebbene, se riandiamo ai secoli nono, decimo e undicesimo e consideriamo il mondo civile di allora, nel quale si diffusero come il fior fiore della civiltà le società segrete, le logge massoniche, troviamo che tutti gli strumenti che oggi stanno come simboli sui loro altari, erano allora usati per la costruzione delle case e delle chiese. Si avevano squadre, cerchi, vale a dire compassi, livelle, fili a piombo, e li si adoperava nella vita pratica. Nelle logge massoniche si tengono oggi discorsi riferiti a cose che hanno completamente perduto il loro nesso con la vita pratica, e si dicono tante cose su di esse, cose certo molto belle, ma del tutto estranee alla vita, alla vita pratica.

 

Siamo giunti a idee, a forme di pensiero, cui fa difetto la forza d’urto per far presa nella vita. A poco a poco siamo arrivati a lavorare dal lunedì al sabato e ad ascoltare la predica della domenica, ma questi due fatti non hanno più nulla a che fare uno con l’altro. E quando predichiamo, spesso ci serviamo di oggetti, che nei tempi antichi erano in intima relazione con la vita pratica, per simboleggiare il bello, il vero e perfino le virtù, ma sono oggetti estranei alla vita. Siamo andati tanto lungi da credere che quanto più le nostre prediche sono estranee alla vita, tanto più ci elevano nei mondi spirituali, perché il solito mondo profano è di minor valore.

 

Oggi si guarda a tutte le aspirazioni che salgono dal profondo dell’umanità, senza però comprenderne l’essenza. Infatti che nesso c’è tra le prediche tenute in locali più o meno belli sulla bontà dell’uomo, sull’amore tra tutti gli uomini senza differenza di razza, nazione, e perfino colore, che nesso c’è tra queste prediche e quel che avviene fuori, quello a cui tendiamo, agli affari che combiniamo quando tagliamo le nostre cedole azionarie e ci facciamo pagare le nostre rendite dalle banche, provvedendo così alla vita pratica, invero secondo principi del tutto differenti da quelli sui quali, chiusi nelle nostre stanze, dissertiamo sull’uomo buono?

Costituiamo per esempio delle società teosofiche entro le quali parliamo di fraternità tra tutti gli uomini, ma non abbiamo in quel che diciamo la minima forza d’urto per dominare ciò che si determina anche per causa nostra quando tagliamo le nostre cedole azionarie. Quando infatti tagliamo cedole mettiamo in movimento una serie di fatti economici. La nostra vita si suddivide assolutamente in queste due correnti separate una dall’altra.

 

Così può succedere ed è successo (racconto un esempio tratto dalla vita, non un esempio scolastico) che una signora venisse da me e mi dicesse: si è presentato un tale a chiedere un contributo da impiegare per il sostentamento di persone che bevono alcool, e questo, come teosofa, non posso farlo. Così si espresse la signora e io potei solo risponderle: « Vede, lei vive di rendita, ma lei sa forse quante fabbriche di birra sono state fondate e amministrate con il suo denaro? »

Quel che importa non è che da un lato noi predichiamo per soddisfare un piacere della nostra anima, e dall’altro ci sistemiamo nella vita come impone la routine in uso negli ultimi tre o quattro secoli. Sono pochi gli uomini oggi disposti ad affrontare questo problema fondamentale del tempo presente. Da che cosa dipende? Dal fatto che si è instaurato questo dualismo (ed è diventato sempre più forte negli ultimi tre o quattro secoli) tra la vita esteriore e le nostre cosiddette aspirazioni spirituali.

 

La maggioranza degli uomini, quando si discorre di spirito,

parla di qualcosa del tutto astratto, estraneo al mondo,

e non di qualcosa che possa far presa nella vita quotidiana.

 

La questione, il problema cui qui si allude deve essere preso alle radici. Se qui, su questa collina, si fosse agito secondo le tendenze degli ultimi tre o quattro secoli, ci si sarebbe forse rivolti a un architetto qualsivoglia, magari famoso, e si sarebbe fatto erigere un bell’edificio, senza dubbio bellissimo in base allo stile prescelto. Ma così non poteva essere, perché allora si sarebbe entrati in questo edificio, si sarebbe stati circondati da tutto il bello possibile in questo o quello stile e vi si sarebbe parlato di fatti che con l’edificio avrebbero avuto a che fare proprio come i bei discorsi che si fanno oggi si adattano alla vita pratica esteriore coltivata dalla gente.

Ma questo non sarebbe stato possibile, perché non è così che va intesa la scienza dello spirito che vuol orientarsi antroposoficamente.

Essa fu intesa altrimenti fin dapprincipio; fu intesa in modo che non si dovesse più stabilire la vecchia falsa contrapposizione tra spirito e materia, secondo la quale si tratta di spirito in astratto, ma senza alcuna possibilità di penetrare nell’essere e intessere della materia.

 

Quando si parla a buon diritto e veracemente di spirito?

Quando si intende per spirito il creatore di ciò che è materiale. Il peggior discorso sullo spirito, anche se oggi vien spesso considerato il più bello, vien fatto quando se ne parla come di un castello in aria che non debba essere sfiorato dall’elemento materiale.

No, si deve parlare di spirito, intendendolo dotato della forza di immergersi direttamente nella materia.

Quando poi si parla della scienza dello spirito, essa non va pensata solamente e semplicemente al di sopra della natura, ma in pari tempo come scienza della natura nel suo pieno valore.

Quando si parla dello spirito, esso va inteso come l’elemento con cui l’uomo si possa congiungere in modo che per sua mediazione lo spirito possa intessersi nella vita sociale.

 

Non è vero spirito quello di cui si parla nei salotti e che dovrebbe servire a esser gradevoli mediante bontà e fraternità, ma che si guarda bene dall’immergersi nella vita quotidiana.

Tale spirito è un’astrazione umana, ed elevarsi ad esso non è elevarsi allo spirito reale, bensì è proprio l’ultimo efflusso del materialismo.

Per questo abbiamo dovuto erigere un edificio pensato e previsto in tutte le sue parti secondo quanto solitamente vive nella nostra scienza dello spirito a orientamento antroposofico.

 

A ciò è collegato inoltre il fatto che in questi tempi difficili è sorto dalla scienza dello spirito un modo di trattare la questione sociale che non vuol essere un indugiare fra le nuvole, ma che dal principio della sua azione volle essere sostanza vitale, cioè proprio l’opposto di ogni forma di settarismo, che volle cogliere il contenuto delle grandi esigenze dell’epoca per mettersi al loro servizio. Certo non tutto è riuscito in questo edificio, ma quello che oggi davvero importa non è che tutto riesca alla prima, ma che per certe cose ci sia un inizio, un necessario inizio; e questo, almeno per quanto riguarda l’edificio, mi pare che sia avvenuto. Quando esso sarà terminato potremo fare quel che dovremo non in qualcosa che ci circonda con delle pareti estranee, bensì, come il guscio di noce fa parte del frutto e nella sua forma si accompagna al frutto, così ogni linea, ogni singola forma e colore di questo edificio si adeguerà a quello che scorre attraverso il nostro movimento spirituale.