L’amore deve sgorgare dalla sovrabbondanza dell’Io

O.O. 114 – Il Vangelo di Luca – 25.09.1909


 

Nell’ottuplice sentiero

è contenuta la parafrasi della dottrina della compassione e dell’amore annunziata dal Buddha.

 

Chiediamoci quale mèta rappresenti veramente questo ottuplice sentiero; potremo formulare la domanda nel modo seguente: dove arriverà l’uomo che, dalle profondità della sua anima, si proponga veramente come ideale di vita l’ottuplice sentiero? qual è veramente la sua mèta? Egli si chiede: come posso perfezionarmi al massimo? come posso nel miglior modo purificare e affinare il mio io? che mai debbo fare per collocare nel mondo il mio io nel modo più perfetto?

 

• L’uomo si dirà: se osserverò tutto ciò che viene detto nell’ottuplice sentiero, il mio io diverrà l’io più perfetto che si possa concepire, perché in esso tutto mira alla purificazione e alla nobilitazione. Tutto quanto s’irraggia dal meraviglioso ottuplice sentiero deve per così dire elaborarsi penetrando dentro di noi; questo è il lavoro dell’io per il proprio perfezionamento.

 

L’essenziale è questo: se l’umanità continuasse a sviluppare in sé la «ruota della legge» che il Buddha mise in moto, essa giungerebbe a poco a poco a possedere degli io quanto mai perfetti, e a conoscere in che cosa consista la perfezione di questi io. L’umanità possederebbe degli io perfetti per quanto riguarda il pensiero, la conoscenza.

 

Potremmo anche dire: Buddha portò all’umanità la conoscenza dell’amore e della compassione; e se noi elaboreremo il nostro corpo astrale in modo da farlo diventare interamente un prodotto dell’ottuplice sentiero, allora conosceremo tutto quel che è da conoscersi intorno alla dottrina dell’ottuplice sentiero.

 

Ma vi è una differenza fra la conoscenza, fra il pensiero, e la viva forza operante,

vi è una differenza fra il conoscere come l’io debba essere, e il lasciar penetrare in sé la forza viva;

• questa infatti rifluisce poi dall’io il mondo intero, come fluì dal Cristo

la forza viva che operò nei corpi astrali, eterici e fisici di quelli che gli stavano intorno,

l’impulso del Buddha rese possibile all’umanità di  c o n o s c e r e

quale sia il contenuto della dottrina della compassione e dell’amore.

 

Il Cristo invece non portò una dottrina, ma una  f o r z a   v i v a .

Egli ha dato se stesso; è disceso sulla Terra

non solo per versarsi nel corpo astrale degli uomini, ma per riversarsi nell’io,

affinché questo avesse la forza di irraggiare la sostanza all’amore.

 

Il Cristo ha portato alla Terra la sostanza, il contenuto vivente dell’amore,

e non solo il contenuto di conoscenza, di ciò che si tratta.

 

Sono passati ormai più di duemila anni da che il Buddha visse sulla Terra. E altri tremila ne passeranno, così ci insegna la scienza dello spirito, prima che un gran numero di uomini giungano al punto da poter sviluppare l’ottuplice sentiero, da poter elaborare la sapienza del Buddha, in virtù del loro stesso senso morale, della propria anima, del proprio cuore. Occorreva che una volta il Buddha esistesse.

 

Da lui partì la forza che a poco a poco gli uomini svilupperanno; da lui ha origine la saggezza dell’ottuplice sentiero. Gli uomini la possederanno fra circa tremila anni. Allora saranno in grado di sviluppare da soli questa dottrina, saranno in grado non solo di accoglierla da fuori, ma di svilupparla in se stessi e si diranno: l’ottuplice sentiero ora germoglia da noi stessi; da noi scaturisce la conoscenza della compassione e dell’amore.

 

Se null’altro fosse sopraggiunto, se il Buddha avesse solo messo in moto la «ruota della legge», per usare un termine tecnico, allora, fra tremila anni, l’umanità avrebbe ugualmente raggiunto la conoscenza della dottrina della compassione e dell’amore.

Ma ben altro è raggiungere anche la forza per vivere questa dottrina.

 

Qui sta la differenza: non si tratta di conoscere la compassione e l’amore;

ma si tratta anche, sotto influsso del Cristo, di sviluppare una forza. Una tal forza emanò dal Cristo.

Egli riversò negli uomini l’amore stesso che andrà sempre più aumentando.

 

Quando gli uomini saranno giunti alla fine della loro evoluzione,

• essi conosceranno quale sia il contenuto della compassione e dell’amore;

e di questo dovranno andar debitori al Buddha.

• Ma avranno anche la facoltà di far scaturire dal loro io l’amore per l’umanità:

e di questo andranno debitori al Cristo.

 

Così dovettero collaborare fra loro i due princìpi;

e tutto ciò è stato caratterizzato per render comprensibile il vangelo di Luca.

Di ciò si parla fin dall’inizio di questo Vangelo, se lo sappiamo interpretare nel giusto modo.

 

Ecco infatti i pastori che accorrono per ricevere la rivelazione (Luca 2, 13-14). E in cielo ecco apparire una moltitudine di angeli, che altro non è se non l’immagine spirituale del nirmanakaya del Buddha. Che cosa viene annunziato dal cielo ai pastori? La manifestazione della divinità piena di saggezza. Questo annunzia il nirmanakaya del Buddha, che aleggia sopra il bambino Gesù natanico in forma di una moltitudine di angeli.

 

Ma v’è dell’altro; vi è detto: e pace sia in Terra agli uomini di buona volontà;

vale a dire a quegli uomini in cui germoglia la vera forza vivente dell’amore.

Ecco ciò che ha da attuarsi sulla Terra, mercé l’impulso del Cristo.

A quella che fu una rivelazione dall’alto il Cristo aggiunse la forza vivente.

 

Egli portò questa forza entro ogni cuore umano; ad ogni anima umana donò qualcosa che poi da quest’anima poteva traboccare. Egli diede all’umanità non solo una dottrina da accogliersi in forma di pensiero e di idea, ma una forza che può poi irraggiarsi dall’anima umana.

 

• È precisamente la forza del Cristo ad operare nell’anima umana e ad irraggiarsi da essa.

Nel vangelo di Luca e negli altri Vangeli questa forza viene sempre indicata come la forza della fede.

Nel senso dei Vangeli, questa è la fede.

Ha fede colui che accoglie in sé il Cristo, in modo da farlo vivere in sé;

in modo che il suo io viva in lui non solo come in un recipiente vuoto,

ma come in un recipiente che è pieno di un contenuto traboccante. E questo contenuto traboccante è l’amore.

 

Come potè il Cristo darci il grandioso esempio delle guarigioni effettuate mediante la parola? Egli potè darci questo esempio, perché per primo mise in moto la ruota dell’amore (e non della legge), perché per primo esplicò una forza e una libera facoltà nell’anima umana. Egli possedeva in sé l’amore a tal punto da poterlo far traboccare e rigurgitare, da poterlo riversare intorno a sé sopra quelli che dovevano essere risanati.

 

Le parole che egli pronunciava: «alzati e cammina», oppure i tuoi peccati ti sono rimessi», o altre ancora, sgorgavano dal suo amore traboccante, dalla sua interiorità. Egli pronunciava parole che provenivano dalla sovrabbondanza dell’amore, che oltrepassavano la misura dell’io. E per il Cristo erano credenti coloro che potevano accogliere in sé, almeno in parte, questa sovrabbondanza.

 

Al concetto di fede, uno dei più essenziali del Nuovo Testamento,

dobbiamo appunto collegare quanto abbiamo detto ora.

Fede è la capacità di trascendere se stessi, di trasfondersi

oltre ciò che l’io può fare a tutta prima per il proprio perfezionamento.

 

Perciò il Cristo, dopo essersi immerso nel corpo del Gesù natanico ed essersi ivi congiunto con la forza del Buddha,

non ci insegna come possa perfezionarsi al massimo l’io,

bensì come l’io possa traboccare, come l’io possa andare oltre se tesso.

 

Egli lo dice spesso con le parole più semplici, come sono in genere le parole del vangelo di Luca, che parlano ai cuori più semplici. Egli dice: non basta che voi doniate solo a coloro di cui sapete per certo che ve ne faranno restituzione; questo lo fanno pure i peccatori (Luca 6, 33-34). Quando essi danno, sapendo per certo di poter riavere ciò che hanno dato, non lo fanno ancora per sovrabbondanza di amore.

 

• Ma quando voi date sapendo bene che non vi sarà restituito, allora lo fate per vero amore;

e questo è l’amore che non avvolge e racchiude l’io in se stesso,

ma che dall’io si sprigiona come una forza che fluisce all’uomo.

 

Nei modi più diversi il Cristo ci insegna come l’io esuberante debba traboccare,

come debba attuarsi nel mondo a sovrabbondanza dell’io, l’amore che prorompe per virtù propria.