L’antroposofia è un cammino di vita personale per l’uomo

O.O. 231 – L’uomo soprasensibile alla luce dell’antroposofia – 16.11.1923


 

Sommario: L’antroposofia è un cammino di vita personale per l’uomo. Trasformazione della conoscenza intellettuale « oggettiva » secondo « verità » e « errore » in una conoscenza personale risanatrice o dannosa. La differente posizione verso la scienza dello spirito per chi trasmette e per chi riceve conoscenze soprasensibili

Ieri mi sono permesso di mostrare come all’uomo sia possibile percorrere una via che conduce alla conoscenza del mondo spirituale e come, mostrando la possibilità di una tal via, si soddisfi un profondo bisogno, direi una fame di conoscenza spirituale dell’odierna umanità. Dall’esposizione di ieri sarà risultato come quella via arrivi a contatto delle più elementari aspirazioni, della più elementare vita animica dell’uomo. Ho infatti dovuto mostrare come una siffatta conoscenza dell’essere eterno dell’anima sia unicamente possibile se prima l’uomo attraversa certe esperienze interiori che gli valgono di preparazione e, per loro mezzo, risveglia l’altrimenti dormiente coscienza del mondo spirituale.

 

Per tal ragione, ciò che ieri è stato possibile descrivere quale conoscenza soprasensibile, quale conoscenza dell’eterno esistente nell’essere umano, si differenzia notevolmente da quella che oggi è ritenuta l’unica forma conoscitiva e che, come ieri abbiamo veduto, conduce ovunque a dei limiti.

Consideriamo come ciò che l’uomo oggi consegue in fatto di conoscenza, sia attraverso osservazione sia attraverso esperimenti, ma sempre attraverso l’applicazione del solo intelletto, abbia un carattere del tutto impersonale. Tale carattere si palesa con massima vivezza appunto a chi il destino ha avvicinato alla vita conoscitiva odierna. Ma dove risiede la vita conoscitiva? Si potrebbe dire che è nei libri, in una più o meno scritta tradizione e spesso, anzi per lo più, viene accolta dall’uomo per motivi esteriori.

 

Riflettiamo una volta con piena onestà verso noi stessi a come egli debba venir spinto a forza verso il sapere universalmente riconosciuto e a come, visti tutti i processi a cui dovette sottostare per conquistarlo, egli sia spesso ben lieto quando, inoltrandosi nei problemi della vita pratica, può abbandonare ai libri o, perché suoni meglio potremmo dire all’oggettività, la massima parte delle cose imparate. Egli vuol tornare ad essere completamente uomo, non vuole attenersi a ciò di cui si dice sempre con tanto orgoglio che « si » è trovato. Come questo « si è trovato » ci viene sempre incontro in ogni campo! Se dal profondo del proprio sperimentare qualcuno afferma di aver scoperto una cosa, salta subito fuori qualche persona ben ferrata in campo scientifico e gli oppone che la sua scoperta non concorda con quanto « si » è trovato, con quanto è cognizione scientifica.

 

Vorrei dire che la conoscenza si è emancipata dall’immediato sperimentare al quale partecipa il cuore del singolo. Si crede perfino che una cosa possa soltanto essere vera se viene sperimentata separatamente da tutto ciò che scaturisce dall’anima umana. Ieri ho dovuto invece descrivere una via conoscitiva diversa, una via che richiede partecipazione personale, che interessa in modo elementare e immediato l’anima umana e che non si può apprezzare se non vi si partecipa col più profondo del cuore. Su quella via la conoscenza viene dunque accostata alla persona umana. Oggi vorrei parlare di tutte le conseguenze per la vita di questo accostamento della conoscenza all’elemento personale.

Non è già che la conoscenza ieri descritta sia solo una continuazione di quella che, sotto il vessillo del « si è trovato », è attualmente ritenuta tale. Non solo il numero delle cognizioni cambia, ma anche tutto il modo in cui vengono sperimentate.

 

Consideriamo quale sia il segno caratteristico più marcato della conoscenza che l’odierna umanità ha portato a somma altezza. Non voglio con ciò dire nulla contro di essa. Sul proprio terreno quella conoscenza ha conseguito i massimi successi; dal punto di vista esteriore ha recato straordinari benefici all’umanità; benefici che tuttavia nell’attuale periodo della civiltà si eliminano fortemente. Ma quella conoscenza ha la caratteristica di dire che una cosa è « vera » oppure che è «falsa o errata»; nel suo dominio si mira a decretare su base puramente intellettualistica, o attraverso ciò che l’intelletto può conquistarsi nel mondo esteriore, che cosa è vero e che cosa è falso. Si vuol essere logici, procedere in base ad esperienza, si vuol stabilire su base sperimentale che cosa è verità e che cosa è errore. Esistono certo dei mezzi per accertare verità o errore su base sperimentale.

 

Come ho detto ora, nulla voglio obiettare contro quel metodo, ma è necessario mostrare come diversamente agiscano sull’uomo i metodi dei quali ho ieri parlato. Pure, quando si è realmente scoperto qualcosa di cui si dice che sia vero, o reale, o falso, la scoperta rimane davanti a noi come in un quadro astratto. Nella propria verità e nel proprio errore, essa è così staccata da noi che a quella verità e a quell’errore partecipiamo solo scarsamente con la nostra individualità. Certo possiamo, e anche dobbiamo entusiasmarci per la verità, possiamo e dobbiamo detestare l’errore, ma se poniamo tutto ciò che possiamo stabilire quale verità o errore a raffronto con le altre condizioni della vita umana, si palesa tuttavia una poderosa differenza.

 

Dirò ora qualcosa di molto grossolano. Se soddisfiamo il nostro bisogno di cibo, sappiamo di fare qualcosa che ha carattere del tutto personale. In tal caso non è possibile staccare la persona dall’atto che compie; quell’atto non ci sta davanti come il quadro oggettivo di prima. Se invece decidiamo in merito a verità o errore, non esigiamo propriamente che quel giudizio abbia un nesso diretto con noi. Se ieri eravamo ancora, e oggi non siamo più in errore riguardo a una cosa, si tratta certo di una nostra astratta decisione, ma da essa noi non siamo sostanzialmente cambiati nel nostro essere personale. Se invece da ieri abbiamo mangiato qualcosa, abbiamo unito al nostro corpo un cibo che non avevamo mai ingerito prima; qualcosa è cambiato personalmente in noi.

Nell’immediata esperienza delle verità scientifico-spirituali, i concetti di verità e di errore, di giusto e di falso si trasformano.

 

Chi si familiarizza con la via conoscitiva descritta ieri, non dice più che una cosa è vera oppure che è errata o falsa.

Questi termini sono in fondo unicamente valevoli

per quanto si può accettare oppure respingere nel mondo materiale esteriore,

e solo pochissime persone sanno che cosa quei giudizi propriamente comportino.

 

Per penetrare un poco addentro in quello che significhi dire che una cosa è vera oppure che è falsa, si deve infatti risalire al passato in relazione al concetto di vero o falso, e si arriva così a qualcosa di molto singolare.

 

Proprio se si considerano i termini che nei diversi linguaggi stanno ad indicare la verità o l’errore,

si scopre che nella loro odierna astrattezza quei due termini sono solo comparsi nel corso del tempo.

Anticamente non esistevano; sono un frutto dell’evoluzione.

In passato una cosa che andava approvata era considerata come voluta dagli dei

e quella che non doveva approvarsi come non voluta da loro.

•  Si scindeva così il mondo in quel che era voluto e in quel che non era voluto dal mondo divino,

e l’uomo era vero, era fedele al divino quando concordava con ciò che volevano gli dei.

 

Il termine « fedele » per « vero » lo si incontra ancora in varie lingue. Vero, per fedele all’ordinamento divino del mondo; non vero, per infedele a quell’ordinamento. L’altra interpretazione comparve solo più tardi. Quando l’intelletto divenne l’elemento determinante di ogni conoscenza, si dimenticò a quali origini risalgono propriamente le qualificazioni di vero o erroneo. Perciò oggi, di fronte al sapere generalmente riconosciuto, siamo in uno stato d’animo impersonale, anzi in uno stato d’animo in alto grado indifferente.

La conoscenza della quale ieri ho parlato ci porta di nuovo a congiungere qualcosa di reale, di concreto, con quanto riconosciamo valido e con quanto respingiamo.

 

Nell’ambito della scienza dello spirito orientata antroposoficamente,

non ci limitiamo perciò a dire che una cosa è vera,

ma arriviamo a un concetto molto somigliante a quello che indica che per noi è sana.

 

Da chi vive nel campo della scienza dello spirito qui intesa, le cose dette ieri verranno molto più volentieri qualificate come « sane » che non come « vere ». Si parla di cognizioni sane e di cognizioni malsane che vanno respinte.

 

Così in luogo dei concetti di vero e di errato, che valgono solo per il mondo fisico,

compaiono gradualmente quelli di sano e malsano.

 

Già per questo motivo noi, quali uomini, siamo costretti ad accostarci in modo personale a tutta la conoscenza. Infatti, ed è ben comprensibile, siamo abituati a sentire come sane le cose che desideriamo, che vogliamo, che la nostra persona richiede; viceversa a respingere per quanto possibile come malsano ciò che non richiediamo.

 

In quanto il vero si trasforma per noi in ciò che è favorevole alla vita, che è sano, che arricchisce l’esistenza, e il falso in ciò che la impoverisce, la deteriora, la paralizza e inaridisce, le nostre rappresentazioni si palesano gradualmente come qualcosa che si congiunge intensamente col nostro sentire e con tutta la nostra vita personale. Per questa ragione al sapere ordinario muoviamo incontro come a una persona che ci lascia dal più al meno indifferenti, con la quale, ed è il caso più frequente, si ha solo un rapporto esteriore, convenzionale, mentre alla scienza dello spirito qui intesa non si muove incontro in tale maniera convenzionale, ma come a un amico, e perfino come a qualcuno per il quale si può provare amore dal più profondo del proprio essere. Così la scienza dello spirito diviene sempre più una vicenda personale.

 

Se ci si muove in questo modo verso le verità alle quali ieri ho solo potuto accennare, alle verità relative alla vita prenatale, preterrena dell’uomo, al suo essere spirituale-animico che, attraverso la concezione e la nascita, da un mondo puramente spirituale discende nel corpo fisico, oppure se, come si può apprendere dalla letteratura antroposofica, si penetra sempre più addentro nei campi del mondo spirituale in cui l’uomo vive fra morte e rinascita, come qui attraverso i sensi vive nel mondo fisico, se dunque si penetra sempre più addentro in quei mondi, ci si sente congiunti con un certo loro contenuto in maniera da dover collegare la propria esistenza alle conoscenze, alle vedute sane. Parimenti si sente di doversi distanziare, separare da quelle che si è costretti a chiamare vedute malsane.

 

Per avere un paragone per ciò che intendo, sappiamo per esempio che l’uomo in grado di svolgere la propria esistenza in modo fisicamente normale assume degli alimenti che in lui subiscono una trasformazione per mezzo della quale egli può sostituire quanto consuma della corporeità, e parimenti sappiamo che egli trae un sano benessere da quella trasformazione degli alimenti esteriori in favore della propria vita fisica. Sappiamo però ugualmente che possono sopravvenire delle condizioni per cui l’uomo non può giustamente assumere nessun alimento perché il suo sistema digestivo è ammalato, e l’organismo non è quindi in grado di digerire nel modo dovuto. Per questo o per altri motivi può accadere che l’uomo non possa sostituire attraverso l’alimentazione ciò che ha consumato. Egli allora vive della sostanza del suo proprio corpo, comincia a consumare se stesso.

 

Questo ci guida a percepire il nesso fra certe malattie e il consumo della propria corporeità, ma è anche qualcosa in cui si penetra se gradualmente si conseguono delle conoscenze intorno al mondo spirituale. Rispetto a quelle che esercitano un’azione risanatrice, si ha l’impressione che per mezzo loro ci si congiunge col mondo spirituale, ci si fonde con esso, si percorre la via verso il mondo divino, verso la propria anima immortale, verso ciò che si sperimenta dopo essere passati per la porta della morte ed essere vissuti nel mondo spirituale, ma anche verso quel che si è sperimentato prima di essere discesi dal mondo spirituale sulla Terra attraverso la concezione e la nascita. Tutto ciò viene sentito come se quali uomini si fosse ceduta, donata la propria vita al mondo, ma interiormente si fosse in tal modo divenuti più colmi, più ricchi di contenuto.

 

Solo mediante questo graduale diventare mondo, l’uomo afferra se stesso nella sua piena interiorità umana,

e dal modo in cui quel riconoscimento, quel sano riconoscimento penetra in lui,

egli riconosce come tutta l’esistenza umana dipenda da tale unione col mondo.

Egli arriva anche gradualmente a sentire che la mancanza di quelle sane verità è simile a un vivere nel mondo

privi degli organi preposti all’alimentazione, a un doversi nutrire di se medesimi;

l’accoglimento di qualcosa di cui si ha l’impressione che dovrebbe venir respinto,

che agisce nel mondo come un contenuto nocivo,

viene sentito come un consumare se stessi, un rimpicciolirsi sempre più.

 

Questa è la differenza fra la ricerca del vero che rimane nel puro campo intellettivo

e quella attraverso la quale si perviene a vere conoscenze spirituali.

 

Nella sfera dell’intellettualismo si può discutere intorno a idealismo, spiritualismo e materialismo:

una di queste concezioni soddisfa, l’altra non fa gran male; esse non racchiudono nulla di intensamente umano.

• A chi adotta le verità spirituali, e cioè la sana conoscenza spirituale,

le idee orientate in senso materialistico arrecano invece dolore,

perché egli sa che attraverso di esse l’uomo consuma se stesso.

 

Ciò conferisce alle verità spirituali due coloriti che può assai chiaramente sentire chi gradualmente penetra nella conoscenza spirituale. Egli impara cioè a riconoscere la parentela fra verità e amore, la parentela della sana conoscenza umana con il disinteresse, il distacco da se stessi, un distacco però attraverso il quale l’uomo non perde il proprio sé, ma anzi veramente lo conquista.

 

Quando l’uomo sa uscire da se stesso e penetrare nel mondo, quando è privo di egoismo in questo senso,

e cioè non si svuota di ogni contenuto, ma si colma del contenuto del mondo,

quel suo non-egoismo lo conduce a verace umanità, a giusto sentire umano, a pienezza animica in genere.

Tale dedizione ai fatti spirituali della vita, una dedizione somigliante all’amore,

è ciò che allora sicuramente si presenta nell’uomo come una qualità del suo carattere.

Quella dedizione diviene perciò una caratteristica di chi può accogliere le conoscenze spirituali.

 

Negli uomini non si avverte molto, relativamente a impulsi caratteriologici determinati da mere cognizioni intellettive perché queste non arrivano fino all’individuo, ma chi afferra la conoscenza spirituale nella sua intima essenza sa anche che non è possibile accoglierla senza che essa trasformi il carattere e, se mi è lecito valermi di un paradosso, senza che generi qualcosa di simile a una qualità caratteriologica che penetra fin nella carne e nel sangue dell’anima, e cioè

la tendenza al distacco dal proprio sé, al non egoismo, all’amore.

È questo che differenzia l’acquisizione di verità spirituali dall’acquisizione di verità fisiche.

 

Inoltre si arriva a riconoscere come, se accoglie cognizioni malsane,

l’uomo vive consumando se stesso, rimane confinato in sé,

come, sotto l’aspetto spirituale, egli allora consuma realmente se stesso.

• Attraverso queste due intonazioni di sentimento,

si apprende che cosa l’egoismo può essere nella natura umana,

s’impara a conoscere l’amore e l’egoismo,

ed è anzi una delle maggiori conquiste raggiungibili mediante la scienza dello spirito

il fatto che essa può agire formativamente sul carattere

e che le qualità caratteriologiche di cui ho detto si presentano inevitabilmente.

 

La conoscenza intellettiva meramente astratta somiglia propriamente ad una radice di cera.

Non ne nasce nessuna pianta; anch’essa difatti è stata messa artificialmente insieme dall’intelletto.

Tutte le cognizioni che oggi tanto veneriamo, pur utili come sono e che non voglio impugnare,

furono artificialmente composte dall’intelletto. Ma solo dalla vera radice nasce la vera pianta.

 

Dalla vera conoscenza attraverso la quale l’uomo può congiungere il proprio spirito con gli spiriti del mondo

nasce a poco a poco l’uomo interiore nella sua totalità,

l’uomo che sente vivamente e intende che cosa sia distacco da se medesimo,

disinteressato amore, e che cosa sia egoismo;

l’uomo che da tal comprensione trae incitamento ad agire dove ciò è bene, in modo scevro di egoismo,

oppure dove è necessario, per esempio nella preparazione alla vita,

ad attingere da se stesso, a sviluppare egoismo con piena consapevolezza, senza nulla nascondere.

 

Sorge così una certa chiaroveggenza in relazione con l’osservazione di se medesimi

e al trasporto di tale osservazione nell’azione esteriore.

Da ciò che la conoscenza spirituale può divenire spunta e sboccia un uomo animico-spirituale.

Ne consegue che attraverso quella conoscenza accediamo praticamente alla morale.

 

Nell’ambito della forma conoscitiva oggi universalmente riconosciuta poniamo il nostro orgoglio nel tenere la conoscenza ben separata dalla morale. Vogliamo essere oggettivi affermando che i processi della natura inorganica, priva di vita, devono naturalmente essere investigati nelle loro leggi tenendo dietro alle relative cause e ai relativi effetti, ma in essi non troviamo contenuti morali. Poniamo il nostro orgoglio nel seguire lo stesso metodo nell’investigazione dei processi naturali permeati di vita, nell’investigazione delle piante, degli animali e dell’uomo e nel riconoscere carattere morale unicamente a ciò che scaturisce da certe profondità della natura umana, ma di cui non possiamo dire che si faccia valere e possa trovare il passaggio alla realtà oggettiva attraverso la propria interiore forza ed energia propulsiva.

 

In quanto attraverso la conoscenza spirituale veniamo

• da un lato stimolati a sviluppare in modo intensamente vivo lo stato d’animo del distacco da noi stessi,

la dedizione piena d’amore all’oggetto della nostra ricerca

(senza tale dedizione infatti la conoscenza spirituale non è possibile),

• e da un altro lato acquistiamo una sottile sensibilità in relazione all’« auto-divoratore » egoismo,

con la conoscenza spirituale penetriamo direttamente nell’ordinamento morale del mondo.

 

A poco a poco quell’ordinamento morale ci si presenta nella sua concretezza e arriviamo a non guardare solo in modo astratto alla vita umana preterrena, e cioè a ciò che quale entità animico‑spirituale l’uomo visse prima di discendere sulla Terra attraverso la concezione e la nascita, ma a realmente vedere le cose del mondo spirituale, così come attraverso i sensi fisici vediamo l’ambiente fisico.

Impariamo in questa maniera a riconoscere che in quel mondo siamo circondati da esseri spirituali che non rivestono mai una corporeità fisica, come qui nel mondo fisico ci troviamo con esseri che come noi sono in un corpo fisico.

Impariamo così a conoscere concretamente quel mondo spirituale e gli esseri che vi dimorano; ma non impariamo a conoscerli senza che, attraverso la via conoscitiva percorsa, non abbiamo interiormente e con vivezza acquisito il sentimento del non-egoismo, dell’altruistica dedizione.

 

Il segreto dell’esistenza fisica in un corpo terreno è infatti che, mentre a partire dalla nascita e attraverso l’infanzia quando siamo ancora degli esseri mossi da stimoli inconsci o semi inconsci, penetriamo sempre più addentro nel corpo fisico, nella vita fisica (e questo si manifesta sempre più chiaramente all’occhio animico) noi entriamo in relazione col mondo attraverso i nostri organi fisici.

 

Animicamente e spiritualmente ci perdiamo mentre siamo attivamente operosi, però operosi attorno al nostro corpo fisico; ma per la nostra coscienza l’animico-spirituale allora si spegne. Ogni contenuto del mondo ci viene trasmesso tramite la corporeità. Per la coscienza terrena il materialismo ha dunque ragione perché, nell’ambito terreno, dobbiamo valerci del corpo se ci limitiamo alla coscienza terrena, che d’altronde è la sola conferitaci dalla corporeità. Per la coscienza terrena dobbiamo limitarci alla percezione di quel che è corporeo se non vogliamo sollevarci alla coscienza indipendente dalla corporeità.

 

Dobbiamo quindi dire che per afferrare il mondo spirituale e il proprio essere soprasensibile

l’uomo deve sviluppare in se stesso qualcosa che il corpo gli impedisce di afferrare.

Il corpo ci strappa dal mondo spirituale, ci aliena dal mondo spirituale

e ci riconduce sempre maggiormente al nostro sé, all’egoità,

mentre nel campo della conoscenza spirituale dobbiamo comportarci come nell’amore

il quale esige che usciamo da noi stessi.

 

Quando l’uomo perviene a una coscienza indipendente dal corpo, gli si palesa particolarmente l’importantissima verità del suo percorso attraverso ripetute vite terrene.

Quel che compare nella nostra anima attraverso le ripetute vite terrene non viene da noi osservato, perché siamo confinati nella nostra corporeità.

 

Durante la vita conosciamo una persona, e quell’incontro diviene per noi un fatto di destino. La conosciamo a una data età e sperimentiamo con lei qualcosa che assume importanza decisiva per tutto il resto della nostra esistenza.

Se con occhio spirituale libero da preconcetti osserviamo la nostra vita fino al momento in cui abbiamo incontrato quella persona, scopriamo quel che con l’occhio fisico non possiamo vedere, e cioè che fin lì la nostra vita terrena è propriamente stata una ricerca di quella persona.

 

Guardando indietro alla vita terrena, certe persone che sono invecchiate prestando attenzione a tali fatti hanno perciò sempre detto che quel che hanno trovato durante la vita appare come se fosse stato pianificato. È come se già da bambini avessimo preso la direzione che ci portò all’incontro con quella data persona.

 

Se si osserva spiritualmente il cammino della propria vita, si deve dire che ogni passo è stato indirizzato in maniera che quell’incontro potesse infine verificarsi. Se si progredisce sempre maggiormente nella penetrazione di tali fatti, si arriva a riconoscere che tutto quanto si fa e che viene compiuto sotto l’influsso di forze terrene fisiche, è diretto da qualcosa d’altro, e che la vita attuale dipende da vite anteriori fra le quali, nel tempo fra morte e rinascita, fummo in un mondo spirituale.

 

Non arriviamo però al riconoscimento di quell’altra vita se non possiamo sviluppare amore di conoscenza e conoscenza permeata d’amore, perché l’essere che eravamo non è così facilmente raggiungibile come spesso ci si immagina.

 

L’essere che eravamo in una precedente vita terrena

è altrettanto estraneo alla nostra attuale persona quanto una qualsivoglia persona che incontriamo per strada.

Solo se possiamo sviluppare conoscenza pervasa d’amore e amore pervaso di conoscenza,

possiamo anche afferrare conoscitivamente l’altro a cui stiamo davanti come a persona del tutto estranea.

Allora egli penetra nel campo della nostra coscienza.

 

Con ogni passo alla conquista della superiore conoscenza spirituale è dunque necessario sviluppare conoscenza pervasa d’amore, qualcosa quindi di intimamente connesso con la nostra persona, a cui partecipiamo in modo direttamente personale, e che non è possibile avere senza quella personale partecipazione.

Ma per il fatto di penetrare gradualmente in un tale mondo, di realmente estendere la conoscenza oltre i confini di nascita e morte, di estenderla anche oltre il mondo sensibile, si verifica che ovunque, nel regno vegetale, nel regno animale ed in quello minerale, noi vediamo degli esseri spiritualmente operanti e ascendiamo per tal modo in un regno della realtà nel quale gli impulsi morali possono venir accolti nella conoscenza.

 

Per l’uomo ciò si presenta nel modo seguente: diciamo che talvolta è oltremodo penoso sopportare il destino. Certo, se rimaniamo nel dominio della vita sensibile fisica spesso vediamo che quanto scaturisce dai migliori impulsi morali ha scarso successo, mentre alcune cose che non scaturiscono affatto da impulsi buoni e morali sortiscono buon esito. Per qual motivo?

Ciò accade perché il mondo fisico-sensibile, del quale assumendo un corpo fisico ci siamo in certo qual modo rivestiti, non racchiude affatto impulsi morali. Questi vengono anzi rimossi da tutto il nostro fare e agire entro il mondo fisico; in esso può tutt’al più aversi un adeguamento convenzionale.

Mediante la conoscenza spirituale apprendiamo però che quel mondo non è l’unico esistente, ma che esso è ovunque attraversato da elementi spirituali in cui noi introduciamo quanto vi è nelle nostre azioni morali o immorali.

 

Se impariamo a conoscere il vero come ciò che è sano, gli errori come ciò che è malsano,

noi estendiamo quella cognizione anche al vero morale e agli errori immorali

e arriviamo così a riconoscere che, praticando la verità morale,

l’uomo raggiunge il pieno sviluppo del proprio essere interiore spirituale-animico.

 

Non occorre che ciò si manifesti direttamente nella corporeità terrena in cui egli allora vive.

Ma per il fatto di sperimentare impulsi morali

l’uomo raggiunge interiormente pienezza di sviluppo morale-spirituale,

mentre chi si abbandona all’errore diviene spiritualmente e animicamente deforme.

 

• Così s’impara a riconoscere l’elemento morale come dispensatore di salute e l’errore come portatore di infermità,

e si apprende che la vita vissuta in connessione con la verità morale configura l’uomo armonicamente.

• Tuttavia, nell’attuale ciclo evolutivo, ciò non si manifesta subito nel corpo fisico nel quale ora viviamo

in conseguenza di quanto, col nostro operare, ci siamo appropriati nella precedente esistenza terrena.

• Ma secondo che siamo vissuti nella verità moralmente sana oppure nel malsano errore,

noi diventiamo persone spiritualmente armoniche oppure spiritualmente e animicamente deformi.

 

Quando poi varchiamo la soglia della morte deponendo il corpo fisico,

quando esso non costituisce quindi più un intralcio,

il nostro essere spirituale-animico assume completamente

la fisionomia che abbiamo acquisito attraversando l’esistenza

nel senso del moralmente buono oppure del moralmente cattivo, e viviamo

o come uomini animicamente e spiritualmente compiuti in modo armonico, o come storpi.

 

Così percorriamo il mondo spirituale fino a quando torniamo in un corpo fisico terreno

attraverso il quale ci costruiamo il nostro destino partendo dall’intimo, e ce lo costruiamo così che,

per il fatto di avere in conseguenza di una precedente vita terrena un’interiorità animico-spirituale armonica,

possiamo edificarci quel corpo in maniera compiuta,

un corpo atto ad esplicare qualche valida attività nella vita,

oppure, essendo arrivati nell’esistenza terrena moralmente deformi,

viviamo inetti e maldestri nel maneggio del corpo fisico, dallo stato embrionale fino a quello di persone adulte;

ci prepariamo così un destino interiore che si trasforma poi anche in destino esteriore.

 

Chi è capace di osservare spassionatamente la vita scoprirà come la formazione interiore del destino si colleghi al destino esteriore in quanto, nei nostri nessi col mondo fisico-sensibile, noi ci valiamo del corpo e di quanto ad esso si connette; partendo dall’intimo, possiamo così adoprarlo abilmente oppure in modo maldestro. Prepariamo così anche le vicende esteriori della nostra vita in maniera che il destino esteriore risulti almeno in parte una conseguenza del destino interiore. Quel che in tal modo viviamo trova un pareggio nel corso delle successive vite terrene.

 

Così nel mondo spirituale, ed è qui che vero e falso si trasformano effettivamente in sano e malsano,

conseguiamo le forze configuratrici dell’animico-spirituale e degli impulsi morali.

Il mondo morale diviene per noi tangibile realtà,

e ci diciamo che in una singola vita terrena

l’impulso morale non può produrre direttamente i suoi effetti nella sfera fisica,

ma quando da una vita terrena passa a quella successiva

l’impulso esplica la propria azione risanatrice nella piena realtà,

proprio come l’energia termica, la luce o l’elettricità producono i loro effetti nel mondo fisico.

 

L’opinione secondo la quale l’ordinamento morale del mondo sarebbe solo una astrazione scaturita dall’uomo dipende unicamente dal fatto che riteniamo di poter solo conoscere le condizioni valevoli per il mondo fisico. In esso vediamo il cammino verso le cause partendo dagli effetti; nel mondo spirituale possiamo del pari conoscere le condizioni del collegamento delle forze; solo che,

per gli effetti che si manifestano in una determinata vita terrena,

dobbiamo cercare le cause nella vita terrena precedente;

e fra le due sta una vita nel mondo spirituale.

 

Altrimenti detto: dobbiamo conoscere a quale livello causa ed effetto entrano in azione per formare il destino umano. Quella che ordinariamente viene solo considerata robusta conoscenza fisica si amplifica così per noi fino a diventare conoscenza dell’ordinamento morale-spirituale del mondo; in questa maniera ci conquistiamo quell’ordinamento morale-spirituale.

 

Contro la conoscenza spirituale potrebbe qui venir sollevata l’obiezione alla quale ho già accennato ieri; si potrebbe cioè dire che tutto sarà bellissimo, ma che gli uomini non hanno tale conoscenza spirituale, che l’investigatore spirituale soltanto può rivestire di parole e idee quel che vede nel mondo spirituale e che quelle idee possono poi venir capite. Già ieri ho detto che per dipingere un quadro bisogna esser pittori; per sentirne la bellezza e il contenuto interiore non occorre però esserlo, ma basta abbandonarsi alla spontanea, retta natura umana. Lo stesso si verifica realmente anche per la scienza dello spirito. Per « dipingerla » in idee, bisogna essere investigatori dello spirito, ma dopo che è stata esposta in conferenze o in pubblicazioni, essa sta davanti come un quadro a chi la guarda anche se non è lui stesso pittore.

 

Basta affidarsi al proprio spontaneo e sicuro senso della verità

per far agire la risanante impressione della descrizione del mondo spirituale.

 

Al riguardo va anzi detto qualcosa del tutto particolare. Siccome la scienza dello spirito qui intesa è qualcosa di ancora relativamente nuovo nella nostra civiltà, succede che chi la propugna, attingendo alla propria diretta conoscenza, lo fa in gran solitudine, e per trasmetterla ad altri deve limitarsi a rivestirla di parole e di idee. Si potrebbe allora credere che quello che egli ha da dire concerne in realtà lui solo.

 

Come stanno ancora oggi le cose, ma è da sperare che cambino presto perché la scienza dello spirito è qualcosa di interiormente vivificante per l’uomo, l’umanità è ancora in posizione meramente ricettiva di fronte al conoscitore dello spirito. Ma per chi arriva ad essa mediante percezione propria, essa è ancora tutt’altra cosa che per chi, come ho detto ora, inizialmente l’accoglie attraverso il proprio sicuro senso della verità.

 

Già ieri ho accennato al fatto che a un dato punto della conoscenza spirituale si deve sperimentare un dolore che non può venir paragonato ad alcun altro dolore della vita. Ciò accade nel momento in cui l’uomo trascende il proprio sperimentare spirituale quale è fra nascita e morte e s’inoltra nel vasto mare dell’eternità spirituale nella quale vive dopo essere passato per la porta della morte, e prima di essere disceso nell’esistenza terrena attraverso la nascita.

 

Si sperimenta un indicibile dolore

quando con la conoscenza si deve abbandonare il mondo fisico e penetrare nel mondo spirituale.

 

Vorrei dire che quel dolore effonde le sue tracce su tutta la vita. Soprattutto per chi attualmente consegue l’iniziazione nella conoscenza superiore per forza propria, e così essa deve oggi venir conseguita, questa iniziazione si presenta in modo che all’inizio essa afferra sì l’uomo tutt’intorno, ma poi si scinde da lui in misura incredibile. Mi si permetta che a questo punto io riferisca qualcosa che in apparenza è del tutto personale; quel che racchiude di personale ha tuttavia carattere impersonale in quanto potrebbe venir sperimentato da ognuno che si trovasse in analoga situazione.

 

La conoscenza spirituale afferra l’uomo nel suo complesso.

Il sapere ordinario afferra solo la testa, l’intelletto,

e cioè quel che in fondo si comporta in maniera assai neutrale

nei confronti del diretto sperimentare personale.

 

Noi sappiamo anche come affaticando solo il capo tutto il rimanente sia un’aggiunta. Certo, per arrivare a talune cose dell’odierna conoscenza bisogna faticare molto. Parecchi sanno parlare dello studiare che essi spesso interrompono perché non è piacevole.

Ma quel che si affatica per la conquista del sapere ordinario non è l’uomo nel suo complesso. Se però si penetra nella vera conoscenza del mondo soprasensibile nel modo prima indicato, si ha l’impressione che lavorando solo con l’intelletto, con ciò che ha quale organo il capo, la conoscenza spirituale si volatilizzi come i sogni, si volatilizzi sia nelle grandi linee sia nei particolari.

 

Succede veramente che quando si arriva a penetrare nel mondo spirituale, a oltrepassare quello che vien chiamato il « Guardiano della soglia » del mondo spirituale, si sperimenta una gran difficoltà, non riguardo al contenuto conoscitivamente raggiunto perché quello è molto reale, ma si ha una gran difficoltà a portare nell’ambito della coscienza con tutta la sua realtà ciò che si sperimenta.

 

Il fatto è che moltissime persone possono arrivare relativamente presto a esperienze spirituali,

ma occorre presenza di spirito per afferrarle subito.

Per la maggior parte degli uomini le esperienze spirituali esistono,

ma prima che essi vi abbiano prestato attenzione, ecco, sono già scomparse.

Bisogna avere la presenza di spirito capace di volgere rapidamente lo sguardo su quanto si sperimenta.

 

La presenza di spirito è qualcosa di molto necessario per la conoscenza spirituale;

la presenza di spirito, quale è descritta nel mio libro L’iniziazione,va presa molto sul serio.

Quando si arriva ad afferrare le conoscenze che risiedono in realtà fuori dello spazio e del tempo,

ed è perché sono fuori che si sottraggono con facilità, esse prendono esteriormente l’aspetto di sogni.

Si fatica molto a toglier loro il carattere di sogno.

Sfugge come sogno ciò di cui ci si occupa solo con la testa.

 

Mi è perciò lecito dire che chi, attingendo al mondo spirituale, parla in forma di idee,

mentre parla deve sempre avere quel mondo davanti a sé.

A tal comunione con il mondo spirituale egli può tuttavia abituarsi soltanto se, almeno in qualche forma,

partecipa a quella conoscenza con tutto il proprio essere.

Qualcuno può arrivarvi in un modo; qualcun altro in modo diverso.

 

Per esempio io dovetti sempre fissare mediante alcune singole parole isolate o disegni simbolici quello che mi si presentava alla percezione spirituale. Non era per scrivere come sotto influsso medianico.

Era uno scrivere molto consapevole, assolutamente cosciente, ma quando si scrive non si adopera solo la testa, bensì anche qualcosa d’altro che ne completa l’attività estendendola a tutta la persona. Non è affatto importante che in seguito ci si valga di quanto è stato scritto come di appunti da consultare; importa solo quel che si è fatto.

 

Posso dire che nella mia vita ho messo insieme interi mucchi di quaderni d’appunti che non sono poi mai tornato a guardare, perché ciò che conta è il trattenere quel che si è veduto nel mondo spirituale con una forza più vigorosa di quella della sola testa. E viene trattenuto con una forza più vigorosa quando l’esperienza avuta si riversa nella mano attraverso l’impulso volitivo che conduce a scrivere.

 

La possibilità di trattenere, fissare le esperienze interiori avute nel mondo spirituale

dipende dal viverle direi « organicamente », col proprio essere tutt’intero.

 

Si aggiunge poi ancora dell’altro, qualcosa che non deve rimanere quale è ora nella nostra civiltà e che era diverso al tempo in cui esistevano tutt’altre vie verso la conoscenza iniziatica. Ciò che intendo e che oggi si verifica in alto grado è che quando si è prodotto un contenuto spirituale e più tardi ci si vuol tornar sopra, avviene che, se si è raggiunta per esempio la mia età e talune cose che si vogliono comunicare risalgono forse a quarant’anni prima, sono dunque molto vecchie, l’attività spirituale interiore che si mette in opera è quasi pari a quella di chi volesse comunicare a qualcuno ciò che ha letto in un vecchio libro del tutto estraneo. In altre parole, quel che una persona ha prodotto anni prima le diviene così estraneo come il contenuto di un libro a lui estraneo di quegli stessi anni. Quella conoscenza si separa, non come la conoscenza astratta della quale ho parlato, ma spiritualmente si separa da chi l’ha prodotta.

 

Ciò che vivendo al di fuori dalla conoscenza iniziatica si sente congiunto al proprio essere, se ne separa come una seconda persona. Posso dire che vari libri di amici mi sono oggi più familiari di quelli che io stesso scrissi in passato. Li leggo d’altronde solo se vi sono costretto, se per esempio devo revisionarli per una nuova edizione. Così, quello che l’investigatore spirituale deve produrre si separa ancor oggi da lui, diventa qualcosa di oggettivo. Egli non può né provare una grandissima elementare gioia, né trarne una grandissima elevazione. Ciò non si ricollega alla conoscenza stessa, ma al modo in cui la si deve ancor oggi conquistare, al fatto di doverla conquistare in solitudine.

 

In passato, quando esisteva ancora un modo assai più istintivo e meno consapevole di accedere alla scienza iniziatica, questa scienza non veniva coltivata bene in solitudine. Seguendo la storia sotto questo aspetto si vedrà sempre che la scienza iniziatica veniva coltivata in certe società. Società consimili esistono anche ora, ma portano avanti solo tradizioni; chi oggi parla attingendo alla propria diretta e personale via conoscitiva è in realtà condannato a una certa solitudine.

 

Ma come erano organizzate quelle società e come torneranno ad esserlo quando la conoscenza del mondo spirituale sarà di nuovo accolta dalla civiltà, quando essa sarà di nuovo chiamata a operare in tutti i settori e in tutta la pratica della vita? Le sarà infatti possibile quando gli uomini afferreranno il sapere spirituale.

 

Per proprio libero accordo in quelle società alcuni dei soci si dedicavano a un dato campo della conoscenza, e alcuni altri a un campo diverso. Uno concentrava la propria ricerca spirituale sull’influsso del mondo stellare sulla vita umana, un altro sì dedicava a investigare la via percorsa dall’uomo dalla forma di esistenza prenatale, spirituale, fino alla sua discesa nella sfera terrena. Si voleva in tal modo ottenere che i singoli campi potessero venire investigati in ogni particolare.

Se occorrono infatti già dieci anni per arrivare a conoscere qualcosa dell’influsso degli astri sulla vita umana,

• non bastano dieci anni ma è necessaria un’intera vita

per investigare in ogni particolare anche pochi passi del cammino che dalla vita prenatale conduce alla vita terrena.

 

Era perciò del tutto giustificato che i diversi campi del sapere venissero suddivisi.

Ognuno dei soci si approfondiva così nel campo sul quale si era particolarmente concentrato,

e lasciava che tutto il rimanente gli venisse comunicato dai suoi colleghi.

In questa maniera egli attraversava al contempo

• l’intima esperienza che consiste nel produrre la conoscenza

• e quella che consiste nell’accogliere conoscenze prodotte da altri.

 

Se un giorno l’umanità diverrà più calda, se un giorno i cuori si apriranno pieni di calore, allora nel dominio della scienza dello spirito dovrà verificarsi quello che si verifica per un dipinto.

 

Attraverso il proprio naturale senso della realtà l’uomo afferrerà quel che vive nell’idea che non fu prodotta a lui,

ma che egli sperimenta in modo immediato appunto perché l’accoglie col proprio libero senso della verità.

Da un altro lato egli sperimenterà anche il dolore,

la sofferenza dei quali ho parlato; in breve tutte le sfumature personali connesse con la conoscenza che gli sta davanti.

L’uomo arriverà in tal modo ad afferrare lo spirituale con le sue forze animiche.

Questo è possibile a chi riceve le verità spirituali.

 

Chi è produttivo in un determinato campo scientifico-spirituale deve spesso rinunciarvi, deve farne il sacrificio, e perciò i frutti delle verità della scienza spirituale possono particolarmente penetrare in chi li riceve, purché siano persone di ricco e caldo cuore. Ricevere era doveroso nelle antiche comunità scientifico-spirituali, e perciò nel loro seno veniva isolato un campo della ricerca spirituale per il quale l’affiliato rinunciava alla fruttuosa e vivificante esperienza del ricevere.

Si aveva invece l’elemento arricchente del ricevere dagli altri compagni. In futuro dovrà di nuovo sorgere qualcosa di analogo.

 

Non dico queste cose allo scopo di comunicare delle esperienze personali, ma per richiamare da questo lato personale e connesso col sentimento l’attenzione sul fatto che i frutti della scienza dello spirito non vanno solo a favore di chi li produce. Se si è prodotto qualcosa in un qualsivoglia dominio spirituale si sa che cosa sia produrre. Ognuno può pervenirvi purché in qualche misura pratichi ciò che ad esempio nel libro L’iniziazione ho descritto come esercizi dell’anima: meditazioni, concentrazioni e altri.

Se per loro mezzo qualcuno afferra, anche solo per pochi passi, l’intima attività animica conducente nella vita, egli apre il proprio cuore per quel che può dare l’investigatore competente.

 

Allora il dono spirituale ricevuto può profondamente congiungersi con l’elemento personale umano, perché ad esso si rivolge; l’uomo accede allora col proprio essere personale alle fonti della vita dalle quali origina quanto in lui è eterno, penetra profondamente in ciò che esisteva prima della sua vita terrena e che sarà dopo di essa, si approfondisce nelle vicende attraversate nel mondo spirituale prima della vita terrena e in quelle che attraverserà nel mondo spirituale dopo di essa, dopo essere passato per la porta della morte.

 

Così dal primo uomo, dall’uomo inferiore, nasce il secondo uomo, l’uomo spirituale. Tale secondo uomo, l’uomo superiore, non può nascere, non possiamo cioè conseguire intendimento per le idee della scienza dello spirito, senza sentire di poggiare in qualcosa del mondo spirituale, come qui, nel mondo fisico con le sue robuste idee sulla natura, ben sentiamo di poggiare su qualcosa.

Il fatto di avere dei muscoli e delle ossa ci congiunge con la natura esteriore; con la nostra natura fisica poggiamo, per loro mezzo, sulla natura fisica esteriore.

 

Se afferriamo il vero contenuto delle idee spirituali e riconosciamo la sua identità col mondo spirituale,

impariamo a sentire che poggiamo in un mondo spirituale-divino,

come attraverso il corpo sentiamo di poggiare nel mondo sensibile.

Ed è questo che importa

perché, attraverso quel sentimento, noi ci afferriamo nella nostra essenza spirituale,

come attraverso il corpo fisico ci afferriamo nella nostra essenza fisica.

 

Come attraverso il corpo afferriamo soltanto l’essenza transitoria, l’esistenza fra nascita e morte, così attraverso la nostra eterna entità animico-spirituale prendiamo cognizione di noi stessi nell’eterno mondo animico-spirituale. Appunto immergendoci nell’elemento personale apprendiamo che non solo l’uomo in genere, l’uomo in astratto, ha radice nel mondo spirituale, ma che proprio attraverso ciò che racchiude di più personale, attraverso ciò che in un dato luogo e tempo l’uomo può sperimentare in quanto singola individualità, ogni persona è radicata in un mondo spirituale, in un mondo spirituale al quale appartiene e che ha carattere di eternità.

 

Mentre sente questo, l’uomo sente per così dire anche la voce che ammonisce:

• « Accogliendo contenuti spirituali malsani non fare di te stesso animicamente e spiritualmente uno storpio, perché come su ogni altra persona si conta su di te, e non solo in generale, ma si conta su te in quanto sei un essere umano individuale ».

 

Con questa sua natura personale, del tutto individuale, l’uomo si immerge nello stato d’animo religioso e nel massimo stato d’animo artistico che possa venir sentito di fronte al mondo. Perciò la scienza dello spirito conduce direttamente a sentimenti religiosi. Dalla letteratura antroposofica ognuno può vedere come il cristianesimo risulti approfondito e come possa venir presentato nella sua piena luce e nella sua vera essenza soltanto grazie alla penetrazione negli eventi individuali umani vissuti dal Cristo apparso in una figura individuale.

 

Solo così, procedendo lungo una via personale verso una essenza spirituale eterna, la nostra individualità si pone con la giusta intonazione nel vero mondo, perché allora diveniamo consci del fatto che si conta su ognuno di noi come individuo. Conseguiamo allora realmente la conoscenza dello spirito come qualcosa che diviene una diretta e umanamente personale via di vita. Ci sembra allora di venir interiormente afferrati dal contenuto della coscienza spirituale, come, per vivere, il nostro corpo è afferrato dalla forza del sangue.

 

Ci sembra di poter caratterizzare la nostra individuale e personale esistenza terrena all’incirca mediante il seguente raffronto: In qualche luogo si tiene un’assemblea. Siamo invitati ad intervenire. Siamo invitati come singole persone perché in quell’assemblea ci si aspetta che venga detto qualcosa che solo noi, solo il singolo io come individualità personale, può dire. Supponiamo che, prima che si raduni l’assemblea nella quale siamo aspettati, stiamo facendo qualcosa che ha per conseguenza di impedirci di intervenire. Non andiamo. Siamo quelli che sono attesi e non vengono.

 

In quanto la scienza dello spirito diviene personalissima vicenda umana, s’impara gradualmente a riconoscere come ciò che nella vita si fa per suo tramite arricchisca l’esistenza anche nel dominio della pratica esteriore; s’impara a riconoscere come essa sia la direzione della nostra più personale via di vita verso un luogo dove siamo aspettati.

 

Immergendo lo sguardo nel mondo spirituale, nel mondo ove esseri divino-spirituali, creando, si adoprano intorno alla nostra vita individuale, noi vediamo qualcosa che ci mostra che siamo aspettati; soddisferemo l’attesa riposta in noi e arriveremo presso gli abitanti di un mondo superiore, spirituale, unicamente se, attraverso l’umana e personale via di vita verso il mondo spirituale, troveremo l’uomo eterno nella sua piena armonia, in tutta la sua potenza.

 

La conoscenza spirituale approfondita in noi ci conduce così a decidere se vogliamo accedere al dominio dove l’uomo è partecipe dello spirito e dove siamo attesi oppure se, passando attraverso morti e rinascite, arriveremo una volta al punto in cui ci echeggerà incontro la parola piena di biasimo: « Ti aspettavamo e tu non sei venuto! ».