L’avvenire dell’umanità e l’attività di Michele

O.O. 26 – Massime antroposofiche – Lettera del 2.11.1924 – massime n° 112-114


 

In quale rapporto sta oggi l’uomo, al suo grado di evoluzione, con Michele ed i suoi?

L’uomo si trova di fronte ad un mondo che una volta era interamente entità divino-spirituale;

entità divino-spirituale della quale egli stesso era parte.

Allora, dunque, il mondo nel quale l’uomo viveva era entità divino-spirituale.

A una tappa successiva dell’evoluzione non lo fu più.

 

Il mondo divenne manifestazione cosmica del divino-spirituale,

mentre l’entità di questa aleggiava dietro la manifestazione.

Nella manifestazione, tuttavia, viveva e tramava l’entità.

Già era venuto ad esistenza il mondo stellare.

Nel suo risplendere e roteare, il divino-spirituale viveva e tramava come manifestazione.

 

Si può dire: nella posizione e nelle rivoluzioni di una stella,

si poteva allora vedere direttamente l’attività del divino-spirituale.

• Mentre lo spirito divino permeava il cosmo della sua azione,

mentre la vita dell’uomo era un risultato dell’attività del divino-spirituale nel cosmo,

Michele era ancora senza opposizione nel suo elemento.

Era l’intermediario nei rapporti del divino con l’uomo. I tempi mutarono.

 

Il mondo stellare cessò di portare in sé, immediatamente presente, l’attività divino-spirituale.

• Le stelle vivevano e si muovevano,

continuando per forza d’inerzia l’attività che prima era in esse.

• Il divino-spirituale viveva nel cosmo non più come manifestazione, ma solo ormai come effetto operante.

• Era subentrata una dualità distinta tra il divino-spirituale e il cosmico.

 

Michele, in ragione della sua propria entità, rimase unito al divino-spirituale.

Egli cercò di trattenere l’uomo quanto possibile vicino al divino-spirituale.

• In tale intento persistette sempre.

• Egli voleva preservare l’uomo dal vivere troppo

in un mondo che era solo effetto operante del divino-spirituale, non entità e non manifestazione.

 

Michele risente la più profonda soddisfazione nell’essere riuscito, per mezzo dell’uomo,

a mantenere ancora nel modo seguente l’immediato collegamento fra il mondo stellare e il divino-spirituale:

quando l’uomo, dopo aver compiuto la vita tra la morte e una nuova nascita,

riprende la via verso una nuova esistenza terrena, nel discendervi,

egli cerca di stabilire un’armonia fra i moti delle stelle e la sua vita terrena.

 

Anticamente questa armonia si stabiliva da sé, perché il divino-spirituale

operava nelle stelle nelle quali aveva la sua sorgente anche la vita umana;

ma oggi, quando nel corso delle stelle continua soltanto l’effetto operante del divino-spirituale,

quell’armonia non vi sarebbe più se l’uomo non la cercasse.

L’uomo mette il suo divino-spirituale, conservato da tempi anteriori,

in rapporto con le stelle che hanno in sé il loro divino-spirituale soltanto come effetto di un’epoca passata.

 

Così, nel rapporto dell’uomo col mondo, entra un elemento divino

che corrisponde a epoche precedenti ma che appare in tempi successivi.

Che così avvenga è opera di Michele.

• Quest’opera gli dà così profonda soddisfazione che in essa egli ha una parte

del suo elemento vitale, della sua energia vitale, della sua solare volontà di vita.

 

Oggi però, se rivolge lo sguardo spirituale alla terra, Michele vede uno stato di fatti ancora essenzialmente differente.

• L’uomo, durante la sua vita nel fisico tra nascita e morte, è circondato da un mondo

che immediatamente non mostra più nemmeno l’effetto operante del divino-spirituale,

ma solo qualcosa che è rimasto di quell’effetto operante; si può dire: la sola opera compiuta del divino-spirituale.

 

Nelle sue forme, tale opera compiuta è assolutamente di natura divino-spirituale.

Le forme, i processi naturali, rivelano alla visione umana il divino,

ma non lo contengono più vivente.

• La natura è opera del divino, è divina elaborazione, dovunque è immagine dell’attività divina.

L’uomo vive in questo mondo solarmente divino, ma non divino in modo vivo.

 

• E come risultato dell’azione esercitata su di lui da Michele,

l’uomo ha conservato il collegamento con l’entità divino-spirituale.

Vive come essere compenetrato da Dio in un mondo non compenetrato da Dio.

• In questo mondo divenuto vuoto di Dio,

l’uomo porterà ciò che è in lui, ciò che in quest’epoca è divenuta la sua entità.

L’umanità, evolvendosi, penetrerà in un’evoluzione universale.

 

Il divino-spirituale da cui l’uomo proviene, come entità umana cosmicamente espandentesi,

può pervadere di luce il cosmo che oramai esiste solo nell’immagine del divino-spirituale.

Non sarà più la stessa entità che fu una volta come cosmo,

quella che sorgerà così per opera dell’umanità.

 

Attraversando il gradino dell’umanità, il divino-spirituale

sperimenterà una esistenza che prima non manifestava.

• A che l’evoluzione prenda questo corso si oppongono le potenze arimaniche.

 

Esse non vogliono che le originarie potenze divino-spirituali illuminino l’universo nel suo progresso ulteriore; vogliono che tutto il nuovo cosmo sia irradiato dall’intellettualità cosmica che esse stesse hanno assorbita, e che l’uomo continui la sua vita in questo cosmo intellettualizzato ed arimanizzato.

In una simile vita l’uomo perderebbe il Cristo, perché il Cristo è venuto nel mondo con un’intellettualità che è ancora quale viveva un tempo nel divino-spirituale, allorché questo ancora nella sua entità formava il cosmo.

 

• Se oggi parliamo in modo che i nostri pensieri possano essere anche quelli del Cristo,

opponiamo alle potenze arimaniche qualcosa che ci preserva dal divenire loro preda.

• Comprendere il senso della missione di Michele nel cosmo vuol dire parlare in questo modo.

 

Oggi si deve poter parlare della natura come lo esige il gradino dell’evoluzione dell’anima cosciente.

Si deve poter accogliere in sé il puro pensare scientifico,

ma si dovrebbe anche imparare a parlare — cioè a sentire — intorno alla natura nel modo che è conforme al Cristo.

 

Dobbiamo imparare a parlare il linguaggio del Cristo,

• non solo intorno alla liberazione dalla natura,

• non solo intorno all’anima e alla Divinità,

• ma intorno al cosmo.

 

Riusciremo a mantenere il nostro collegamento umano col divino-spirituale originario e ad usare il linguaggio del Cristo intorno al cosmo, se col più profondo sentimento del nostro cuore penetreremo e vivremo nell’azione, nella missione che Michele ed i suoi svolgono in mezzo a noi.

 

Perché oggi comprendere Michele vuol dire trovare la via al Logos,

a quel Logos che il Cristo vive sulla terra in mezzo agli uomini.

 

L’antroposofia apprezza nel suo giusto valore ciò che da quattro o cinque secoli il pensiero scientifico ha imparato a dire sul mondo. Ma al di là di questo linguaggio essa ne parla un altro in merito all’essere dell’uomo, alla sua evoluzione e al divenire del cosmo; essa vorrebbe parlare il linguaggio di Cristo-Michele.

Se verranno parlati tutti e due i linguaggi, l’evoluzione non potrà infatti interrompersi e cadere in balìa di Arimane prima di aver ritrovato il divino-spirituale originario.

 

Il parlare puramente scientifico

corrisponde al distacco dell’intellettualità dal divino-spirituale originario.

Essa può cadere nell’arimanesimo se la missione di Michele non viene considerata.

Ma non vi cadrà se l’intelletto liberato si ritroverà, grazie alla forza dell’esempio di Michele,

nell’intellettualità cosmica originaria, distaccata dall’uomo, che è divenuta oggettiva di fronte a lui;

in quell’intellettualità che è alla radice dell’uomo e che è apparsa come ente nel Cristo entro la sfera dell’umanità,

dopo che si era ritirata dall’uomo per rendere possibile lo sviluppo della sua libertà.

 


 

112Il divino spirituale si afferma variamente nel cosmo attraverso le seguenti tappe:

1°- con la sua propria entità originaria;

2° – con la manifestazione di quell’entità;

3° – con l’effetto operante, quando l’entità si ritrae dalla manifestazione;

4° – con l’ o p e r a compiuta, quando nel parvente universo non c’è più il divino,

bensì unicamente le sue forme.

 

113Nella concezione attuale della natura, l’uomo non ha un rapporto col divino,

bensì unicamente con l’opera di esso.

Con ciò che questa concezione comunica alla disposizione della nostra anima,

ciascuno può, in quanto uomo, congiungersi sia con le forze del Cristo, sia con le potenze arimaniche.

 

114 — Michele è pervaso dall’intento di incorporare nell’evoluzione umano-cosmica,

mercé il suo stesso esempio che agisce liberamente, quel rapporto col cosmo

che l’uomo ha conservato dai tempi dell’affermazione divina come entità e come manifestazione,

in modo che quanto dice la concezione naturale relativa alla semplice immagine, alla forma del divino,

sfoci in una superiore concezione della natura, adeguata allo spirito.

Quest’ultima sarà sì insita nell’uomo; sarà però appunto una successiva esperienza umana

del rapporto divino col cosmo durante le due prime tappe dell’evoluzione cosmica.

In questo senso l’antroposofia approva la concezione naturale dell’epoca dell’anima cosciente;

la integra però con quella che risulta dalla visione dell’occhio dello spirito.